Date: Thu, 8 Nov 2012 23:50:55 +0100 From: G. Plain Subject: IL FRATELLINO part 2 IL FRATELLINO CAPITOLO 2 IN AMERICA I primi mesi a Chicago furono davvero difficili. Nei corsi universitari si dava per scontata una conoscenza praticamente perfetta della lingua, che io non avevo, e i test organizzati su cadenza quindicinale mi risultavano abbastanza difficili da superare. Studiavo ogni secondo lasciatomi libero dal lavoretto nel fast food sotto casa che avevo trovato per pagarmi da vivere. La casa, poi, era poco più che un buchetto, un piccolo monolocale nel quartiere più povero della città, ma di più non potevo permettermi con i pochi soldi che mi passavano i miei. In definitiva mi stavo isolando sempre di più, dividendomi tra studio, lezioni universitarie e lavoro, spesso con turni massacranti. Il più delle volte crollavo dal sonno sopra i libri in biblioteca all'università, dove mi svegliavo direttamente la mattina seguente, oppure tornando a casa dal lavoro, cadevo stremato sul letto. I fine settimana, in cui non avevo lezioni, cercavo di studiare il più possibile, e di mettere un paio di turni in più al lavoro, per guadagnare qualcosa di extra. All'università il mio carattere così timido e impacciato mi impediva di fare amicizia, e anche questo rendeva ancora più difficile l'apprendimento, per il fatto di non riuscire a confrontarmi con gli altri studenti. Questi, sia i ragazzi che le ragazze, mi sembravano quasi tutti di un'altra razza rispetto a me, poiché la maggior parte di loro erano alti, ben fatti, sorridenti, mantenuti in costosissimi college dai genitori e riuscivano, per il fatto di essere madrelingua, ad imparare tutto rapidamente. Di fatto nei primi mesi di permanenza riuscii a fare amicizia solo con un ragazzo messicano mio coetaneo, di nome Carlos, che era abbastanza timido come me di carattere, probabilmente per il fatto di essere un po' sovrappeso, e non molto alto. Insieme facevamo una strana coppia, entrambi bassi, ma io abbastanza magro e poco atletico, lui grassoccio. Credo fossimo spesso presi di mira dagli altri per le derisioni di rito, ma almeno avevo trovato qualcuno con cui scambiare qualche parola tra una lezione e l'altra e chiedere ogni tanto un aiuto, visto che lui parlava l'inglese meglio di me. Comunque, mi rendevo conto di essere sempre più un fallito e un perdente, ma in fin dei conti, guardando indietro, questa era stata la mia natura sin dalla nascita, e quindi la cosa mi risultava normale da accettare. Cercavo di andare avanti e di non mollare, anche se era davvero molto difficile. Anche il mio fisico iniziava a risentire della mancanza di attività sportiva e della alimentazione sbagliata con cui mi sostenevo, quasi sempre cibo avanzato a fine turno dal fast food, infatti, sebbene per costituzione fossi sempre stato molto magro e piccoletto ma abbastanza tonico, nel giro di qualche mese constatai di aver perso quasi tutto il misero tono muscolare che avevo prima di partire, e di averlo sostituito con un leggero strato di grasso morbido su tutti i punti del corpo dove avrebbero dovuto esserci muscoli: gambe, braccia, pancia, e sopratutto sui glutei, che si erano arrotondati un po' di più rispetto a prima. Il risultato è che se già prima non ero un atleta, per via della mia genetica poco maschile, dopo alcuni mesi di quella vita in America ero diventato davvero un ragazzo debolissimo, che dimostrava molto meno della sua età e che avrebbe potuto essere scambiato per un ragazzino quindicenne non ancora sviluppato. Il fatto inoltre che mi considerassi un fallito e un perdente, influenzava anche la mia già pressoché inesistente vita sessuale, infatti praticamente cessai anche di avere quelle fantasie che prima di partire ogni tanto cullavo e il mio piselletto sembrò contentarsi definitivamente dei pochi centimetri che normalmente misurava in stato completamente rilassato. Semplicemente, ero talmente giù e stanco che non mi capitava più di aver voglia di masturbarmi o di eccitarmi al pensiero e alla vista di bei maschioni muscolosi e atletici, come a volte mi succedeva in Italia. Ciò nonostante, cercavo di stare in contatto quanto più possibile con la mia famiglia, li sentivo almeno ogni dieci o quindici giorni, sforzandomi di sembrare contento della mia situazione e soddisfatto di come stessero andando le cose, un po' per non farli preoccupare inutilmente e un po' perché sapevo che non sarebbero comunque stati molto disponibili ad aiutarmi in ogni caso. In particolare ero molto felice quando riuscivo a parlare con il mio fratellino, al quale comunque pensavo molto spesso. Mi bastava ricordare di quando lo chiamavo puffo o gnometto o moscerino e mi si allargava un sorriso sul volto. Purtroppo non potevamo vederci via internet, sia perché dal mio lato all'università non erano installate le webcam, sia perché nostra madre non voleva che in casa si usassero, in quanto le riteneva una distrazione inutile. Ma mi bastava anche solo sentirlo al telefono o in chat su messenger, per farmi battere forte il cuore per l'emozione di avere sue notizie e di sentire la sua voce e il suo tono sempre caldo, allegro e accogliente nei miei confronti. E proprio a proposito del suo tono di voce, dopo alcune settimane dal mio arrivo negli Stati Uniti percepii che Giulio aveva un tono di voce più profondo. Mentre mi raccontava degli ultimi impegni scolastici e dell'ultima uscita con gli scout mi venne naturale chiedergli "Ma fratellino sei raffreddato? Ti sento la voce strana." "No fratellone Giorgio, è che la voce negli ultimi giorni mi si è abbassata un po', penso sia normale..." D'un tratto mi venne in mente che il mio fratellino aveva iniziato ad entrare nella pubertà, era in fin dei conti un tredicenne molto attivo ed energico e a differenza mia, che la pubertà l'avevo avuta solo sulla carta, senza che il mio corpo si modificasse di molto, per lui intuii che il cambio della voce sarebbe stato solo il primo delle evoluzioni fisiche. In effetti ciò fu confermato nei contatti successivi: la voce di Giulio rimase bella profonda, molto calda e sensuale, tanto che mi faceva immaginare di avere all'altro capo del telefono o del computer un uomo fatto e non il tredicenne che sapevo esserci. Col trascorrere dei mesi, oltre alla voce mi sembrava che il mio fratellino stesse anche maturando come ragionamenti, come atteggiamenti, infatti pur restando sempre molto caloroso e giocoso nei miei riguardi, iniziò a preoccuparsi per me, chiedendomi se me la passavo bene e se mangiassi a sufficienza, e prendendomi in giro sulla quantità di ragazze americane che stavo rimorchiando. Io rispondevo tenendomi sul vago, ma mi meravigliavo di quanto fosse maturato e di come un ragazzino tra i tredici e i quattordici già parlasse dell'altro sesso in modo così spavaldo, cosa che io a quasi diciannove anni ancora non riuscivo a fare. Spesso le nostre chiacchierate terminavano con un "Va bene fratellone Giorgio, vado ad allenarmi, ti saluto, a presto!". Io ricambiavo i saluti sapendo che lui era da sempre molto appassionato di sport e lo immaginavo andare a prepararsi per il nuoto o per l'uscita con gli scout, ma una volta mentre scambiavo qualche saluto di rito con mia madre sentii un grugnito animalesco e un forte urto metallico dall'altra parte del telefono, e alla mia domanda su cosa fossero quei rumori, mia madre mi rispose con disinvoltura, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che era Giulio che si allenava coi pesi in camera sua. Lì per lì non ebbi la prontezza di spirito di dire nulla, e cambiammo subito argomento, ma pensai che, se mai, quella era camera nostra e non solo sua, inoltre la cosa che mi sconvolgeva di più era che non avevo proprio immaginato che il mio fratellino potesse sollevare dei pesi per allenarsi, e poi da quando avevamo allestito una palestra in casa!? Qualche tempo dopo - eravamo arrivati ormai a circa sei mesi dalla mia partenza - ebbi una ulteriore conferma dei progressi fisici e caratteriali del mio fratellino, ovvero quando mi comunicò che il capo del gruppo locale degli scout gli aveva affidato la guida di un gruppo di lupetti di otto anni. La cosa mi lasciò di stucco: sapevo infatti per esperienza che i capi gruppo dovevano avere almeno sedici anni e dovevano seguire un allenamento e un addestramento specifico per dimostrare di essere all'altezza del compito, e dunque mi sembrava impossibile che avessero chiesto a un ragazzino di nemmeno quattordici anni di adempiere un simile impegno! Mi rivolsi preoccupato a lui chiedendogli se davvero se la sentiva di guidare quei bambini, se si sentiva all'altezza, e lui mi rispose con una risata spassionata: "Ma che dici fratellone! E' un divertimento! Anzi io avevo chiesto di affidarmi un gruppo di ragazzini più grandi! Sono solo dei bambini, è facile farli ubbidire!" Rimasi davvero stupito e in parte anche turbato: il mio fratellino di cinque anni più piccolo di me guidava un gruppo scout, mentre io alla sua stessa età ero stato invitato a lasciare il cammino scoutistico perché non giudicato all'altezza... Comunque questi pensieri erano messi da parte ogni qualvolta lo sentivo, perché al di là di ogni possibile cambiamento lui rimaneva sempre il mio moscerino, il mio gnometto, gli piaceva molto essere chiamato così da me e lui ricambiava sempre ridendo di cuore e chiamandomi fratellone Giorgio: nonostante la distanza riuscivamo a mantenerci in forte sintonia ed ero sicuro che anche lui non vedeva l'ora di rivedermi per poterci riabbracciare di persona al mio ritorno, che sarebbe avvenuto durante la pausa estiva dell'università. FINE CAPITOLO 2 [Se il racconto ti e' piaciuto puoi inviare un commento a: one_plain_guy@hotmail.com oppure iscriverti al gruppo Yahoo: http://it.groups.yahoo.com/group/adoroimuscoli/ dove troverai altri racconti a tematica muscolare in italiano.]