Date: Thu, 13 Dec 2012 23:49:13 +0100 From: G. Plain Subject: IL FRATELLINO part 4 IL FRATELLINO CAPITOLO 4 UN ANNO TERRIBILE In America fu più semplice non farmi turbare dai pensieri sulle stranezze che avevo visto a casa mia (sempre che possa continuare a chiamarla casa "mia"), infatti ero come sempre presissimo dal lavoro e dallo studio per gli esami, impegni che mi assorbivano completamente e che lasciavano davvero poco spazio per fantasticherie su qualsiasi altro argomento. Superai a malapena gli esami di settembre, e ripresero i corsi. Al termine dell'anno mi aspettava un esame davvero complesso di conoscenza della lingua inglese, necessario per poter proseguire la permanenza nel paese, che era molto basato anche sulla memoria e sul quale iniziai a prepararmi con largo anticipo studiando spesso insieme a Carlos, il mio amico grassoccio messicano. I pomeriggi di studio con lui erano praticamente le uniche interazioni che avevo con altri ragazzi della mia età, perché per il resto mi ero ormai chiuso totalmente in me stesso. Continuavo a stare in contatto con casa, anche se meno frequentemente di prima, in quanto non riuscivo più a parlare con mio fratello senza rimanere turbato dalla sua voce profonda e possente, dai suoi modi così maturi e determinati, dai suoi successi nel mondo scolastico e sportivo, e non riuscivo a non pensare a come doveva essere diventato fisicamente, a quanto era cresciuto e a come si era sviluppato, anche se non avevo coraggio di chiedere nulla al riguardo per non sembrare troppo curioso o maliziosamente interessato alla questione. Il mio fratellino d'altronde era come sempre molto spontaneo, mi trattava con grande affetto, raccontandomi sempre di come trascorreva le sue giornate, ora che a quattordici anni e mezzo aveva iniziato a frequentare il secondo anno di liceo, e spiegava di come si doveva distribuire tra studio, sport, attività scoutistiche: era una vera furia, sempre pieno di mille iniziative, e non si rendeva minimamente conto che anche solo il fatto di snocciolarmi tutti quei suoi successi, era per me fonte di imbarazzo e difficoltà, perché mentalmente paragonandomi a lui non riuscivo a sentirmi all'altezza delle sue imprese e questo mi toglieva parte della gioia di sentirlo. Lui era sempre il mio fratellino, il mio moscerino, e io continuavo a essere il "fratellone Giorgio", ma ormai dietro quelle parole scherzose percepivo qualcosa di diverso, una sorta di senso di inadeguatezza da parte mia nei suoi confronti, che mi impediva di chiamarlo in quei modi, come facevo da una vita, con la naturalezza che avevo sempre avuto. Un altro duro colpo alla mia autostima arrivò quando, per il giorno del quindicesimo compleanno del mio fratellino Giulio, chiamai casa, e alla mia richiesta di poterlo salutare e fargli gli auguri, mia madre mi rispose con naturalezza di aspettare perché era "in camera sua con la sua ragazza". Rimasi di stucco... Giulio aveva una ragazza? E ci si intratteneva liberamente in camera "sua"? Ormai non mi stupivo nemmeno più che la chiamassero camera sua, ma non mi sarei mai aspettato che il mio fratellino quindicenne già fosse così avanti nei rapporti con l'altro sesso. Ebbi appena il tempo di pensare tutto ciò quando sentii la voce allegra ma come sempre profonda e forte del mio fratellino all'altro capo del telefono: "Fratellone Giorgio! Grazie della telefonata!" "Prego Giulio... Mah... Tu hai una ragazza... Da quanto?" la mia voce balbettante era a dir poco ridicola... "Ah ah ah fratellone, ma sai, io pensavo che mi avessi chiamato per gli auguri" "Si si scusami, tanti auguri... E' che non pensavo..." "No, dai, lo so, grazie, la ragazza c'è da qualche mese ma visto che tu sei sempre così riservato nel parlare delle tue avventure americane non avevo detto nulla nemmeno io... In fin dei conti sei tu quello più esperto no?" "Si si hai ragione... Beh ancora auguri fratellino... Scusami ho da fare..." Riattaccai, incapace di dire altro. Quella sera dormii poco, e male. A vent'anni suonati non ero nemmeno ormai più in grado di paragonarmi al mio fratellino quindicenne... Passarono alcuni mesi, e non mancava ormai molto all'esame di fine anno accademico, la vita scorreva in modo abbastanza normale, sempre che quella alternanza tra lavoro, studio, sonno e noia si fosse potuta definire una vita. Io ero sempre più chiuso nella mia depressione, e sentivo che doveva succedere qualcosa di drammatico per schiodarmi da quel guscio in cui mi stavo rinchiudendo. E qualcosa in effetti accadde. Mi stavo rendendo conto che Carlos era sempre più avanti a me nella preparazione dell'esame di lingua. Facevo fatica a studiare con lui, a tenere il suo passo, e per quanto lui fosse gentile e disponibile nei miei confronti, a volte dava per scontati troppi passaggi logici e si infastidiva nel vedere che non capivo molte cose. Una sera, si arrabbiò e mi disse: "Giorgio, vedi di prenderti anche tu la roba di Manuel altrimenti ti bocciano!" E detto questo mi mostrò un barattolino pieno di pasticche gialle. Io avevo già notato in passato che prendeva delle compresse, ma pensavo fossero semplici vitamine. Mi spiegò invece che quando si era reso conto, che non era in grado di superare gli esami in modo naturale, e che sarebbe dunque stato rispedito in Messico, aveva cercato qualcuno che potesse vendergli delle sostanze per migliorare la sua capacità di memorizzazione, e aveva trovato un giovane portoricano nei bassifondi della città che gli procurava regolarmente delle pasticche chiamate "Brainroids" che servivano appunto a rendere più intelligenti o quantomeno a memorizzare le cose più in fretta. Gli effetti a lungo termine erano sicuramente negativi, ma per Carlos qualsiasi cosa era più importante, che tornare nel suo paese con un pugno di mosche in mano. "Li chiamano gli steroidi del cervello, e funzionano!" Mi disse Carlos con un sorriso. L'accordo fu presto fatto, lui chiamò Manuel, il ricettatore, che di giorno lavorava come cuoco in una bisteccheria nel quartiere latino americano della città. Gli disse che il prossimo barattolo l'avrebbe passato a prendere un amico, e gli diede il mio nome, chiedendogli di prepararne uno anche per me. Aggiunse qualcosa in spagnolo che non capii, e sentii qualche urlo al telefono, ma Carlos mi disse di non preoccuparmi, perché Manuel era un tipo un po' iracondo ma molto affidabile in quanto a qualità della roba. Così, la sera stessa, andai nel posto che mi era stato indicato. Il costo delle pasticche era proibitivo per me e mi avrebbe costretto a fare turni extra nel fast food dove lavoravo, ma credevo fosse l'unico modo per riuscire a superare gli esami così difficili all'orizzonte. Entrai nel locale, mi presentai come un amico di Manuel e mi indicarono la cucina. Lui era lì dentro, solo, un ragazzo giovane dalla carnagione olivastra, capelli rasta lunghi, più o meno della mia età, ma molto più alto e grosso di me, avrei detto anche abbastanza muscoloso se il suo fisico non fosse stato quasi interamente coperto da un camice da cuoco bianco molto ampio. Mi chiese, in un inglese peggiore del mio, dall'accento fortemente spagnolo, se fossi Giorgio, l'amico di Carlos, e se avessi i soldi. Io feci cenno di si e lui mi rispose guardandomi storto che avrebbe staccato nel giro di cinque minuti, di scendere nei garage e di aspettarlo lì. Feci come aveva detto lui, e mi misi ad aspettarlo nervosamente in un angolo del garage opposto rispetto all'entrata delle macchine, da cui si accedeva direttamente al sotterrano del locale. Dopo qualche minuto vidi la porta aprirsi e ne uscì Manuel, vestito con un jeans e una canottiera bianca molto aderente. Rimasi per qualche istante a bocca aperta. Aveva le spalle molto ampie, due bicipiti grossi e venosi anche ora che li teneva distesi e due pettorali molto sviluppati che tiravano ferocemente in avanti la canottiera, lasciando la parte sottostante immergersi nei jeans, intorno a una vita stretta come se stesse costantemente trattenendo il fiato. L'immagine complessiva era di potenza e arroganza al tempo stesso. I miei pensieri furono interrotti da un: "Cos'è, Carlos ha mandato il suo amico frocetto, perché non aveva coraggio di venire di persona?" non capivo, stavo soltanto guardando, ma non feci in tempo a rispondere che lui si avvicinò ancora e disse: "Dammi subito i soldi e poi magari ti faccio pure divertire, ragazzino" Io ero davvero imbarazzato, gli porsi i soldi e lui iniziò a contarli, ma quasi subito cambiò espressione, dicendo "Cos'è, pensate che io sia scemo?" Mi prese per il collo con una mano, bloccandomi la testa e spingendomi addosso al muro, io istintivamente portai le mani sul suo avambraccio per cercare di staccarlo, ma mi resi subito conto che sarebbe stato inutile, vedendo di quanto si era gonfiato il suo bicipite. "Questi soldi sono un terzo di quello che mi deve Carlos, cosa spera, che io non sappia dove abita? Ora ti rimando da lui con un paio di ossa rotte, frocetto, così vediamo se la prossima volta avete il coraggio di ritornare senza soldi" urlatomi questo in faccia, iniziò a sollevarmi tenendomi dal collo, io ero disperato, terrorizzato, mi mancava l'aria, se avesse continuato a stringere sarei morto soffocato, le mie gambe si muovevano all'impazzata ma anche quando lo colpivo sulle sue, sapevo che non stavo facendogli alcun male tanto ero debole, iniziava a girarmi la testa, e per giunta vidi che lui stava caricando l'altra mano per darmi un pugno in pancia, sgranai gli occhi dal terrore... Avrebbe potuto ammazzarmi con un pugno sferrato con quella bestia di bicipite... Tutto ad un tratto sentii una sirena, vidi con la coda dell'occhio una volante della polizia entrare sgasando nel garage, Manuel si girò di scatto e lasciò la presa, io caddi a terra come peso morto, iniziai a tossire, mi tenevo il collo che mi faceva malissimo, Manuel mi diede un calcio e mi rivolse alcuni improperi in spagnolo, mi buttò addosso una scatolina di pillole gialle e poi fuggì via per la porta secondaria chiudendosela alle spalle. In un attimo, tre poliziotti mi furono addosso, mi immobilizzarono, uno raccolse le pillole, un altro cercò senza successo di aprire la porta, poi mi iniziarono a fare una serie di domande a raffica... Mi mancava ancora il fiato, mi sentivo molto debole, ero spaventato da morire, mi si iniziò ad annebbiare la vista e nel giro di qualche secondo persi conoscenza. Quando ripresi conoscenza, mi trovai in una stanza con le mura bianche, con due agenti della polizia davanti. Le mie braccia erano bloccate dietro la schiena e alle mani percepivo le manette. Ero ancora molto debole, e ebbi appena il tempo di schiarire l'immagine per iniziare a sentire uno dei poliziotti che mi diceva: "Sei stato colto in flagranza di reato per rissa, disturbo della quiete pubblica, e soprattutto per acquisto e uso di sostanze illegali e alimentazione del mercato nero e del traffico di stupefacenti. Sei in questo Paese per motivi di studio, e qui non tolleriamo che la fiducia che diamo agli stranieri nel farli studiare nelle nostre strutture sia ricambiata in questo modo. La polizia federale ha determinato che tu venga rimpatriato nel tuo paese con il primo volo militare disponibile, e da quel momento in poi ti sarà negato ogni ulteriore accesso negli Stati Uniti." Ero terrorizzato. Sentii una goccia di sudore gelato percorrermi la schiena. Avevo fallito. Ero un fallito. Sarei tornato a casa, come un perdente, quale sapevo di essere da sempre. Mi misi a piangere sommessamente, mentre venivo accompagnato in una cella. Nei giorni seguenti, mi venne detto che avevo il permesso di fare una telefonata. Parlai brevemente con mia madre, spiegandole che dovevo tornare in Italia definitivamente per dei problemi che erano sopraggiunti. Lei mi disse in tono freddo che sperava che non mi fossi cacciato nei guai, senza rispondere gli chiesi di poter tornare a stare a casa per il primo periodo, cosa che lei acconsentì. Dopo qualche giorno, venni imbarcato in un aereo militare che faceva scalo nella mia città prima di proseguire per una missione in medioriente. Venni fatto sedere in un posto in fondo, e vedendo il mio atteggiamento remissivo e pacato, mi vennero anche tolte le manette, ma sulla maglietta avevo attaccato un cartellino che spiegava il motivo del volo, il fatto che fossi un "ospite non desiderato che veniva rimpatriato" e i reati che avevo commesso. A poco a poco cominciarono a salire i militari, erano tutti ragazzi molto giovani, alcuni anche visibilmente più piccoli di me come età, ma tutti molto grossi, alti, ben piazzati fisicamente. Alcuni indossavano la divisa, altri solo la maglietta verde a maniche corte. Ad un certo punto ne vidi entrare uno che era molto più grosso della media, aveva delle spalle davvero enormi, quasi faceva fatica a passare nel corridoio tra i sedili e dalla magliettina aderentissima fuoriuscivano due bicipiti come ne avevo visti solo nei fumetti. Nessuno voleva farlo sedere vicino, visto che avrebbe occupato da solo quasi entrambe i sedili, finché uno dei soldati che mi aveva notato pochi istanti prima gli fece cenno di guardare nella mia direzione e gli disse di sedersi vicino a me, visto che ero talmente basso e magro che non avrei risentito della sua stazza. E così lui fece, si avvicinò alla mia fila di posti, e fece per mettersi seduto al mio fianco. Io fui costretto a ritirarmi vicino al finestrino, per non essere schiacciato dalla sua massa, era davvero enorme rispetto a me, continuando a guardare verso di lui man mano che si sedeva, mi trovai a fissare prima le sue cosce, poi la sua vita, poi il suo petto gonfio, infine dritto in una sua spalla che era grossa quasi quanto tutta la mia intera testa. Diressi lo sguardo in alto e lo vidi guardare in basso verso di me, entrambi ora seduti. Eravamo probabilmente coetanei, entrambi ventenni, ma le somiglianze tra noi finivano lì. Mi porse la mano, che strinsi con timore, notando come la mia fosse interamente presa all'interno del suo palmo. Lui sembrava divertito dal confronto mentale che stava avvenendo tra i nostri corpi e non mi rivolse la parola, ma notai che lesse sul mio cartellino il nome e le altre scritte che mi qualificavano. Il viaggio fu abbastanza tranquillo, anche se io ero nervoso per il fatto di stare seduto a fianco di un colosso del genere. Non potevo evitare di guardare la massa dei suoi muscoli, i bicipiti flettersi ad ogni più piccolo movimento come il bere un bicchiere d'acqua, i quadricipiti anche da sotto i pantaloni gonfiarsi quando si stirava i muscoli delle gambe, i pettorali che guizzavano quando inspirava per prendere una boccata d'aria o i tricipiti che si inturgidivano quando cercava di stapparsi un orecchio dall'effetto della pressurizzazione dell'aereo. Ero molto attratto da lui, dalla sensazione di potenza, di forza che emanava, dal confronto con il mio corpo insignificante che avrebbe potuto spezzare senza nemmeno accorgersene... Dopo l'atterraggio, accadde una cosa che mi lasciò sbalordito. Mentre la cabina si stava già svuotando, dopo avermi ignorato per tutto il tempo, si voltò verso di me, e guardando in basso in modo da centrarmi negli occhi mi disse: "Mi spiace che sei stato beccato per uso di droghe... Sai ti confesso che anche io ne ho fatto uso, ma nel mio caso almeno sono servite... ah ah ah." E detto questo, vedendo che diventavo rosso, si avvicinò con il bicipite sinistro verso la mia faccia, lo contrasse in modo da far venir fuori il muscolo enorme, a forma di palla, e lo mosse in direzione della mia testa, in modo da piazzarmela tra il bicipite, il pettorale e il deltoide, praticamente sotto e all'interno della sua ascella. Io istintivamente indietreggiai, poggiando la testa sul poggiatesta del sedile, ma lui si avvicinò ancora, fino a pressarmi le testa da ogni lato con i suoi muscoli e schiacciarla all'interno della ascella... Io mugugnai qualcosa, ma lui rispose "Non dirmi che non ti piace, ho visto che mi hai fissato tutto il tempo... ah ah ah" Io ero frastornato, il mio naso premeva sull'innesto del bicipite sulla spalla, e mentre lo contraeva ne sentivo la durezza a dir poco eccezionale, era come marmo coperto da un sottile strato di pelle calde e vellutata... Le mie guance erano entrambe strette l'una dalla parte centrale del bicipite, dove si concentrava la maggior parte della massa, l'altra dalla parte laterale del suo pettorale, che era anch'esso un pezzo di marmo... I miei occhi erano per metà all'interno della cavità che si era formata e per metà fuori, e tutto quello che riuscivo a vedere era la massa rotonda e enorme del suo deltoide che incorniciava in alto la sua spalla. Cercai di aggrapparmi esternamente con le mani al suo braccio, non so se nel tentativo di allontanarlo da me o se per sentirne meglio lo spessore e la forza... mi trovai ad ansimare e mi accorsi che, dopo mesi di astinenza, il mio cazzetto era durissimo e mi faceva quasi male dall'eccitazione. Istintivamente tirai fuori la lingua, l'accostai all'interno della ascella e ne leccai con timore la pelle umida, ne sentii il sapore acre, il viaggio era stato lungo e il sudore non mancava... Ansimai ancora leggermente, sentii un paio di spasimi dal cazzetto e un paio di fiotti caldi mi bagnarono le mutande sotto i pantaloni. Ero rossissimo dalla vergogna e dall'eccitazione... Lui se ne accorse e mi disse: "Hey, non prenderci troppo gusto eh! Ciao ragazzo!" E detto questo si alzò in piedi e avanzò per uscire dall'aereo che nel frattempo si era quasi del tutto svuotato. Io avevo il respiro grosso, mi guardai intorno, nessuno sembrava aver notato la scena che aveva avuto luogo pochi istanti prima, e che in effetti era durata solo qualche secondo. Mi avviai anche io verso l'uscita dall'aereo. Alla dogana, venni ufficialmente accompagnato alla polizia italiana, che però mi rilasciò subito visto che il consumo di droghe leggere in modica quantità non era reato nel nostro paese. Dopo poco più di un paio d'ore d'autobus, ero di nuovo di fronte casa, ormai definitivamente di ritorno, da fallito e umiliato, in attesa di vedere come sarei stato accolto questa volta, e in attesa di incontrare di persona dopo quasi due anni il mio fratellino Giulio. FINE CAPITOLO 4 [Se il racconto ti e' piaciuto puoi inviare un commento a: one_plain_guy@hotmail.com oppure iscriverti al gruppo Yahoo: http://it.groups.yahoo.com/group/adoroimuscoli/ dove troverai altri racconti a tematica muscolare in italiano.]