Date: Sat, 26 Feb 2011 14:24:01 +0100 From: Lenny Bruce Subject: La Cura DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. La Cura In cui si racconta di ciò che avvenne quando la malizia incontrò l'ingenuità. E non fu un caso che accadesse... ...perché Vincenzo aveva solo tredici anni, poca esperienza della vita e riponeva una gran fiducia in Paolo, suo caposquadriglia negli scout. Per quanto il piccolo era candido ed ingenuo, tanto l'altro era scaltro e calcolatore, nonostante la giovane età. La vita di Vincenzo scivolò tranquilla fino ad un giorno di primavera in cui con i compagni di scuo- la andò a fare una partita di calcio al campo vecchio. Uno spiazzo oltre la ferrovia dove vent'anni prima c'era il vecchio stadio cittadino, poi smantellato. Adesso era una specie di spazio aperto, tra due strade e rasente una pineta. I ragazzi ci avevano ricavato due, a volte tre, quattro, campetti per giocare a gruppi, più o meno numerosi. E chi c'era per primo, prendeva il posto. Accadde che quel giorno Vincenzo e i suoi compagni arrivarono quando tutti i campi erano già oc- cupati. Dopo un po' di recriminazioni su chi fosse il colpevole del ritardo o su chi doveva arrivare per pri- mo ad occupare il campo, la maggior parte se ne tornò a casa e restarono in quattro, oltre a Vincenzo. Aspettavano che qualcuno se ne andasse, per fare almeno qualche tiro con il pallone, nel frattem- po cominciarono a scherzare e a rincorrersi. Dopo un po' tornarono a sedersi, in un angolo dello spiazzo, affannati ed eccitati dalla corsa. Una spinta e finirono uno sull'altro, poi uno dei ragazzi si ritrovò sotto e ad un altro venne l'idea di abbassargli i pantaloni. Quelli erano giorni di curiosità reciproche e tutte le occasioni erano buone per soddisfarle. Anche trovarsi in campagna, quasi al riparo da occhi indiscreti e con le tute da ginnastica che lasciavano già indovinare quel che c'era sotto, era eccitante. E poi essersi inseguiti, provocandosi, fino a stancarsi. Un attimo prima che il ragazzo finisse per terra sommerso dai compagni, nessuno immaginava quel che stava per accadere. Per miracolo l'idea venne ad uno e gli altri se ne fecero coinvolgere, bloccando braccia e gambe del malcapitato, cui furono abbassati, senza tanti preamboli, pantaloni e mutande, mettendo in mostra ciò che, in un certo senso, avrebbe dato una bella scossa alla vita di Vincenzo. Quell'anima semplice reggeva, con volenteroso vigore, una delle gambe della vittima, quando vide apparire un ciuffo di peli neri ed un uccello che, senza essere eretto, era grosso almeno il doppio del suo. Restò a bocca aperta a guardare quella virilità già matura, ad invidiarla, a fare un confronto menta- le con ciò che aveva in mezzo alle gambe. Se ne stette immobile a fissarla, finché i suoi amici, non lo strattonarono, decidendo che aveva guardato anche troppo e che per questo andava punito. E come, se non sottoponendolo alla stessa penitenza? Perciò Vincenzo si ritrovò in un attimo con le spalle a terra, nella posa di un crocefisso, mentre lo stesso ragazzo di prima gli abbassava le brache esponendo la sua implume virilità allo scherno di tutti. E furono risate. Vincenzo avvampò. Cercò di trattenere le lacrime, ma fu impresa vana. Gli arrivarono agli occhi in un attimo e gli colarono di lato, visto che era ancora, suo malgrado, supino. Solo allora si decisero a liberarlo, non senza prima avergli, con cattiveria tirato l'uccello. "E scommetto che non ti diventa neppure duro!" fu il commento più benevolo che udì, scappando da quei selvaggi. A lui diventava duro, eccome se diventava duro. E ci si divertiva pure, ma non aveva ancora provato un orgasmo vero, perché non riusciva ad eiaculare. Aveva notizie scarse e poco precise. Sapeva più o meno come funzionava una parte della faccenda, ma qualunque cosa fosse, a lui non accadeva, né se ne vedevano i segni. Come per esempio i peli. E non gli usciva neppure qualche goccia di quel misterioso sperma. La sborra, come la chiamavano i suoi compagni, doveva uscire dalla stessa parte della pipì? Ma quando? E come? Alternandosi, forse? E da dove arrivava? Se ne tornò a casa frastornato e infelice. Per la cattiveria dei suoi amici e soprattutto per il ritardo del suo sviluppo. Aveva già un sospetto che non tutto fosse a posto, ma ora che aveva visto l'uccello di Giuseppe, ne era più che certo. Da quel momento la sua vita cambiò. Ebbe la certezza di avere un lumachino davanti. Un vermicel- lo che sarebbe restato tale, fino alla morte, perché, forse, aveva perso il treno dello sviluppo. E dire che per il resto si era sviluppato e anche bene: portava la quarantadue di scarpe ed era alto un metro e settanta. Per avere tredici anni era, secondo il medico di famiglia, in pieno e perfetto svi- luppo. Tranne che lì. E quella cosa per fortuna il medico non gliel'aveva mai guardata. Andò a chiudersi in bagno, si denudò con furia, se lo guardò un'altra volta e scoppiò a piangere. Era disperato. Se fosse servito tagliarselo, fare una specie di potatura, perché crescesse più rigoglioso, l'avrebbe fatto. L'accarezzò, lo coccolò, s'ispezionò ogni millimetro di pelle attorno al pene per scoprire la nascita di un pelino che fosse uno, ma non trovò nulla. Sempre fra le lacrime, si fece una sega lunghissima, raggiungendo quella specie di orgasmo, un surrogato che in passato l'aveva divertito e che ormai odiava. E la punta dell'uccello rimase sconsolatamente asciutta. Duro, durissimo, ma secco. Alla fine uscì dal bagno e andò a buttarsi sul letto, con la faccia affondata nel cuscino. Si raccolse su se stesso e si addormentò, anche per proteggersi dai brutti pensieri che l'affliggevano. E in sogno gli balenò la soluzione: Paolo, il suo caposquadriglia agli scout. Era un ragazzo affabile e disponibile e Vincenzo decise di comunicare a lui le sue pene. Non gli a- vevano detto tante volte che gli scout sono tutti fratelli e che si dovevano aiutare in ogni situazione? Quale occasione migliore di quella? Più seria di quella? Paolo sarebbe stato la persona adatta, ma doveva promettere, anzi dare la parola scout, il giura- mento più solenne, che non ne avrebbe parlato con nessuno, per nulla al mondo. Si poteva fidare? Doveva. Doveva sapere e presto. Balzò giù dal letto e andò a cercare il numero di telefono dell'amico, lo chiamò, gli chiese se pote- vano parlarsi. "Dai, ci vediamo stasera, no?" tentò di svicolare Paolo. "No, non posso aspettare fino a stasera!" "E che cosa c'è? Che mi devi dire? Se è proprio urgente, fallo adesso per telefono, io non posso uscire. Devo studiare!" "È una cosa mia personale e non posso dirla davanti agli altri. Neppure per telefono!" insisté Vin- cenzo, cercando di non ricominciare a piangere. "Ho capito. Vieni dai..." concesse finalmente, più per curiosità, che con l'idea di aiutarlo "ma poi te e vai subito. Va bene?" E quello che Paolo si trovò davanti, aprendo la porta, era un ragazzo distrutto. Con le spalle basse e la testa china, gli occhi fissi a terra. Quasi se ne preoccupò. "Dai, entra!" Vincenzo lo seguì mogio. "Stavo studiando. Manzoni è una rottura." "Quanti anni hai tu?" "Io? Quindici la settimana prossima, perché?" "Sai quanti ne ho io? "Boh! Tredici, no?" "Fatti da sei mesi" quasi urlò Vincenzo, per il disappunto. "E allora?" Paolo stava per spazientirsi, credendo che l'altro lo stesse prendendo in giro, ma Vin- cenzo stava piangendo, due lacrime gli spuntavano già dagli occhi "Ehi, che ti è successo?" "Niente" gemette, scrollandosi la mano che Paolo gli aveva messo sulle spalle per consolarlo. "Senti, sei venuto qua per dirmelo. Se vuoi parlare, io ti ascolto, altrimenti, devo studiare, perché domani sarò interrogato!" "Si, hai ragione" disse il piccolo, fra le lacrime "scusami!" "E allora?" "Dammi la parola scout che non dirai niente a nessuno!" "Va bene. Parola scout!" e fece il saluto degli scout che, assieme alle due parole magiche, stava a significare che la sua bocca sarebbe stata come sigillata su quello che si sarebbero detti. "Paolo, io voglio sapere una cosa" e si bloccò a corto di parole "Senti, quando si diventa grandi" altro tentativo, altro approccio "quando è stata la prima volta che tu" a questo puntò avvampò, rendendosi conto che non avrebbe mai potuto continuare. "Che stai cercando di chiedermi?" disse Paolo con dolcezza, ma sempre più interessato alla cosa, perché, ovviamente, lui aveva già immaginato qualcosa di molto interessante, avvicinandosi parecchio alla realtà. Con un atteggiamento da fratello maggiore, lui che era un felicissimo figlio unico, gli mise una ma- no sulla spalla e l'accompagnò a sedersi sul letto. Gli si mise accanto, le teste a pochi centimetri. Doveva aiutarlo a parlare, perché ciò che stava per ascoltare doveva essere per forza interessante. Lui aveva come un sesto senso per quelle situazioni. "Chiudi gli occhi" gli mormorò a voce bassissima nell'orecchio, mentre gli fissava il davanti dei pantaloni, valutandolo con occhio esperto "tira un bel respiro e dimmelo a voce bassa, bassa, bassa!" E Vincenzo fece così: "Io" bisbigliò, come se si stesse confessando "io ho paura che... non sarò mai come gli altri!" "Eh?" strillò Paolo, rischiando di compromettere tutto. "Ho detto" ripeté a voce un po' più alta "che non so se sarò mai come tutti gli altri." "E perché?" chiese Paolo, sempre più concentrato sulla patta di Vincenzo che ormai fantasticava di poter esplorare quel pomeriggio stesso. Sempre per via di quel suo sesto senso. "Ce l'ho ancora piccolo e non ho peli! Niente, neanche uno!" disse finalmente il ragazzo, liberando- si del segreto e ricominciando a frignare. Paolo l'accarezzò sulla guancia che in effetti aveva la morbidezza del velluto ed era liscia come una pesca. Se non aveva peli davanti figurarsi la barba. Anche la sua faccia era ancora così, ma davanti, si che ne aveva di peli, e quanti! E poi non ce l'aveva per niente piccolo, anzi. E ne era giustamente orgoglioso. Per un momento, solo uno, s'intenerì a vedere lo smarrimento del ragazzo, ma la sua mente cominciò subito a lavorare. Poteva fare di Vincenzo il compagno ideale dei suoi giochi. Di fantasie ne aveva fatte a migliaia, ogni pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, si metteva sul letto e, mentre con le mani s'accarezzava e si dava piacere, con la mente costruiva scenari in cui tutti i suoi amici erano concupiti in rapporti di sesso sfrenato. E dire che non aveva mai toccato un uccello che non fosse il suo, né aveva mai letto o conosciuto altre idee che non fossero quelle partorite dalla sua fantasia. Ma ora aveva davanti a sé, in carne e ossa, un sogno che si era materializzato. Il primo obiettivo era di farlo spogliare volontariamente. E poi chissà! "I peli non sono una cosa indispensabile e poi crescono, comunque. Ma perché dici che ce l'hai piccolo?" "Oggi l'ho visto ad un mio compagno di scuola." "Oh!" fece Paolo, rammaricandosi di non essere stato presente. "Stavamo scherzando" si affrettò a spiegare "e gli hanno abbassato le mutande e l'ho visto! Ce l'ha più grosso e ha anche i peli! E lui è più piccolo di me!" Vincenzo pareva inconsolabile "Di qualche mese!" aggiunse, per spiegare meglio il suo disappunto. "Ma i peli ti cresceranno" fece l'altro, rassicurante "e sulle gambe ne hai?" s'informò. "Qualcuno." "Fammi vedere!" S'alzò subito i pantaloni fino al ginocchio, mostrando i polpacci dove c'era davvero qualche pelo che s'era scurito e diventato visibile. "La parte più importante" disse "però è quella all'interno delle cosce, se i peli stanno là, allora cre- sceranno pure più su. Vediamo!" e gli dette una pacca di incoraggiamento sul ginocchio. Con quella mossa si giocava la partita. Il ragazzino poteva rifiutare sdegnosamente, oppure ridere e andarsene scuotendo la testa, invece Vincenzo s'alzò un po' titubante e cominciò ad sbottonarsi i pantaloni, chiedendo con gli occhi l'approvazione di Paolo ad ogni centimetro che scopriva. Il primo a mettersi in evidenza fu l'uccello che, pur non essendo duro, sollevava eloquentemente il davanti degli slip, quasi fosse un paletto da tenda. Il paragone attraversò la mente di Paolo e lo colpì profondamente. Era uno scout e con le tende aveva spesso a che fare. Intanto Vincenzo si era abbassato i pantaloni fino alle ginocchia e s'era riseduto tenendo le gambe strette per nascondere il più possibile le pudende. "Non ti devi vergognare di me" l'incoraggiò "stai tranquillo" e gli accarezzò le gambe per fargliele allargare. Erano completamente glabre. La peluria che le copriva era finissima e incolore, all'interno solo un po' più fitta e leggermente più scura vicino all'inguine. "Vedi?" disse indicando quel piccolo segno di virilità "stanno cominciando a spuntare." "No! A me non pare proprio!" obiettò Vincenzo, sempre più scoraggiato. "Ma non possono uscire tutti insieme" protestò Paolo, con gli occhi incollati all'uccello del ragazzo "a meno che..." e lasciò la frase a metà. "A meno che... cosa?" "Niente. Senti, fammi vedere a che punto sei. Ti va?" "Come?" chiese Vincenzo stordito. "Dai, fammi vedere il pisello, non ti vergognare. Sei venuto a cercare aiuto, no?" "Si. Ma tu lo vuoi vedere davvero? Non ti fa schifo?" "Schifo? E perché? Certo che lo voglio vedere! Così... per capire... dai!" E l'accarezzò ancora sulla coscia, avvicinandosi di più a ciò che desiderava guardare. Allora Vin- cenzo, tremando per l'emozione, si abbassò il davanti delle mutande, facendo scattare fuori l'uccello che ora non aspettava che di essere liberato. Era diventato quasi duro. A Paolo non parve piccolo per quell'età. Ricordando il suo sviluppo, pensò che il suo era addirittura più corto un anno e mezzo prima, ma si guardò bene dal dirlo. Si fece coraggio e decise di osare. Lo prese delicatamente tra due dita: "Non lo so" disse, fingendosi pensieroso "senti, dimmi la verità. Tu te le fai le seghe?" Vincenzo avvampò più di quanto già non lo fosse. "Si" mormorò, facendosi piccolo e abbassando di più gli occhi che già teneva incollati al pavi- mento. "Ma sono seghe vere?" chiese sempre tenendogli l'uccello tra le dita, guardandolo con espressio- ne competente. "Come?" "Voglio dire... ti viene fuori qualcosa quando te le fai?" e gli schiacciò la punta delicatamente. "Eh?" "Ti esce qualche goccia di sperma, di sborra?" Vincenzo fece la faccia di chi è stato scoperto a rubare e Paolo capì di aver colto nel segno. Gli accarezzò la testa e in quel momento provò l'ultimo piccolo scrupolo all'idea di circuirlo e fargli tutto quello che la sua eccitatissima fantasia riusciva a suggerirgli. Fu proprio l'ultimo, poi non ne avrebbe più avuti. Era là in mano aveva l'uccello implume di un ragazzo che gli era molto affezionato. Carpirne la fiducia era stato semplicissimo, approfittarne ancora non sarebbe stato difficile. E poi Vincenzo lo aveva sempre intrigato. Con quelle belle gambe lunghe, il culetto tondo e il corpo proporzionato era stato spesso un gradito ospite delle sue fantasie. "Niente, neanche una goccia?" insisté con in faccia una maschera di comprensione. Vincenzo scosse il capo, disperato. "È un bel problema" si finse preoccupato "ma si! Si, forse può essere una cosa" mormorò medita- bondo, continuando ad accarezzare con indolenza l'uccello del ragazzo "un ritardo..." "Che cosa?" chiese Vincenzo che, invece, era preoccupato davvero. Tanto che la sua erezione scemava visibilmente. "Potrebbe essere che tu abbia le ghiandole bloccate." "Quali ghiandole?" Paolo finse di esitare nel dare la risposta, poi fece la faccia di chi si decide, ma gli costa un po'. "Non lo sai che i peli crescono perché ci sono certe ghiandole che producono degli ormoni?" "Gli ormoni?" "Si, sono le sostanze che fanno funzionare il nostro corpo." "E tu come le sai queste cose?" Stava per rispondergli che l'aveva appena studiato in biologia, ma parlò diversamente: "Me l'ha detto mio cugino due anni fa!" "Tuo cugino?" "Si, allora faceva il primo anno di medicina e studiava proprio queste materie." "E che ti disse?" "Mi spiegò che le ghiandole producono gli ormoni e secondo lui alcune delle mie non ne produce- vano abbastanza. In particolare erano le ghiandole dello sperma che non lo emettevano e non facevano crescere i peli. Quindi il mio sviluppo poteva essere bloccato." Vincenzo trasalì. Paolo aveva avuto il suo stesso problema e forse l'aveva risolto. Si sentì molto sollevato. "In che senso bloccato? Perché anche a te... era così?" e nel dirlo si guardò davanti. Paolo abbassò la testa per non ridere e strinse le spalle. Il suo gesto poteva essere interpretato come un atteggiamento di pudicizia o vergogna a quella rivelazione e Vincenzo lo prese per tale, felice che fosse così. "Si" ammise Paolo, fingendosi emozionato "due anni fa ero come te. Anche più indietro." "Ma adesso non sei più come me, no?" "No, certo" disse orgoglioso. "E come sei? Sei..." ma si accorse di essere stato sfrontato e se ne vergognò tanto da sobbalzare "No, scusa, io volevo dire... adesso è tutto normale?" "Si, ma non è stato facile." Riuscì perfino ad arrossire, ma fu solo per l'idea pazzesca che gli si era delineata nella mente e per la forza che stava facendo su stesso per non ridere. "E come hai fatto? Sei andato dal medico?" chiese, ma la cosa lo spaventava un poco. "No, no..." "E come hai fatto? Me lo dici. Posso farlo anch'io?" "No!" "Perché no?" quasi pianse. "No, perché è una cosa... no, non posso!" "Ti prego. Come faccio, se non mi aiuti tu?" "Senti... non è una cosa bella quella che mi ha fatto mio cugino!" S'accorse che Vincenzo l'ascoltava con la bocca aperta e che era pronto a bersi tutto quello che lui si sarebbe inventato. Decise di provare. Per male che andasse, Vincenzo non avrebbe certo avuto il coraggio di andarlo a raccontare in giro. Se, invece, andava bene, ci sarebbe stato da divertirsi. E per un bel po' di tempo. Forse. "Ma ti è servito a qualcosa, no?" gridò il piccolo, esasperato da tutti quei misteri. "Certo, vedessi com'è ora! Anzi... lo vuoi vedere?" buttò là, sperando di non essere stato troppo frettoloso. "Davvero me lo faresti vedere?" chiese invece Vincenzo, stupito e affascinato "Non ti dispiacereb- be?" "Si, un poco, ma lo faccio solo per farti capire la differenza. Vuoi?" "Grazie!" Paolo indossava dei jeans e una felpa che sollevò subito, poi sbottonò velocemente i pantaloni e se li aprì davanti. Alzò la maglietta e tirò giù gli slip quel tanto che servì a mettere in evidenza un ciuffo di peli neri. Molti di più di quelli che Vincenzo aveva visto qualche ora prima sul pube del suo compagno. "Vedi quanti sono?" e si accarezzò, orgoglioso, il boschetto, sotto lo sguardo affascinato del ragazzo. Poi infilò la mano e tiro fuori a fatica un cannolo. A Vincenzo fece quell'effetto. Era grosso e lungo come un cannolo ripieno di crema. L'uccello di Paolo era più grande e più lun- go di qualunque cosa avesse mai immaginato potesse esistere. Ingoiò a vuoto diverse volte, ma non distolse gli occhi da quello spettacolo. "Mi è costato un sacco di problemi" disse Paolo "ma mio cugino mi ha aiutato. Da chi sarei andato altrimenti? Come avrei fatto?" "Ma quello che lui che ti ha fatto" chiese esitante "non potrebbe farlo anche a me?" disse tutto d'un fiato. "Lui studia fuori adesso. Non sta più qua" e, mentre fissava il ragazzo, non smetteva di massag- giarsi l'uccello. "E io come faccio?" "Ti posso aiutare io. So quello che mi ha fatto lui." "Davvero?" ma si capiva che era un po' dubbioso. Non insospettito, ma certamente timoroso di affidarsi ad una persona inesperta. "Ehi, se non ti va, faccio finta che tu non mi abbia detto niente!" "No, no. Aspetta!" Vincenzo si scosse, diede un'altra occhiata all'uccello di Paolo, poi guardò il suo che era tornato ad alzarsi, ma pareva una sigaretta a confronto di un sigaro, di quelli grossi. Paolo lo teneva ancora fuori, conscio che rappresentasse la migliore pubblicità per il suo metodo. "Allora?" chiese. "Ma che ti ha fatto tuo cugino esattamente?" "Lui mi ha spiegato che le ghiandole dello sperma stanno sotto" e si indicò qualcosa in mezzo alle gambe "tra il buco e i testicoli, proprio in mezzo" lo guardò e vide che s'era un po' perso "tu sai di che cosa sto parlando, vero?" "Si, quasi..." "I testicoli sono le palline e stanno nel sacco. E il buchino hai capito qual è?" "Si" ammise Vincenzo, riprendendo ad arrossire perché erano delle quali non immaginava si do- vesse mai parlare con qualcuno che non fosse la mamma, ma fino ad una certa età. "Le tue ghiandole quindi stanno là in mezzo e forse sono bloccate come lo erano le mie. Potrebbe essere sufficiente un massaggio. Una leggera pressione per sbloccarle." "Davvero?" "Si. Possiamo provare, se vuoi." "Adesso?" "Certo!" "E se non funziona?" "Allora bisogna fare un'altra cosa." "Di che genere?" "Se il massaggio esterno non è efficace, dobbiamo provare con un massaggio interno." "Interno?" "Si, ma non devi preoccuparti. Lo so fare, non fa male. Mio cugino me l'ha fatto diverse volte e ho imparato..." "Ma interno dove?" e la voce gli si fece tremolante. "Dentro, con le dita" disse Paolo, mimando il gesto con la mano, in modo inequivocabile. Vincenzo rabbrividì, ma la sua curiosità era lungi dall'essere appagata. "E con te ha funzionato?" "No, non molto, perché dopo mi son dovuto fare una cura." "Che genere di cura? Non sono iniezioni, vero?" "No, non sono iniezioni, stai tranquillo. Non pensarci. Proviamo prima con i massaggi e dopo ne ri- parleremo." "E dici che funzioneranno?" fece ancora Vincenzo, dubbioso. "Forse, ma se non proviamo, non lo sapremo mai!" Paolo alzò un po' la voce, fingendosi spazientito e sperando che il ragazzino non cambiasse idea sul più bello "Dai, spicciati, stenditi sul letto!" gli ordinò, per mettergli fretta e non farlo pensare troppo. Mentre Vincenzo, sempre un po' esitante, si mise supino sul letto, lui si coprì, ritenendo che un medico dovesse essere credibile e non lo era certo con l'uccello duro di fuori. "Adesso devo toccarti e forse ti farò un po' di solletico. Tu non fare casino! OK?" "Si" disse "ma tu fai piano e non mi fare male. Va bene?" "Non ti farò male: è solo un massaggio!" E dicendolo gli accarezzò le palle e scese a toccargli la parte che avrebbe sollecitato. Pensò a co- me si toccava tutte le volte che si faceva una sega e cominciò a massaggiarlo da sopra alle mutande. "Abbassatele" gli ordinò e Vincenzo eseguì senza fiatare, mettendo in mostra il suo inguine senza peli con l'uccello che svettava tesissimo. Gliele abbassò fino alle caviglie, per avere una migliore visuale e ciò che vide lo stava per portare all'orgasmo, tanto gli piaceva il ragazzino. Ma si controllò. Gli riportò la mano in mezzo alle gambe e riprese il massaggiò che presto fece dimenare Vincenzo, non per il solletico, come aveva temuto, ma per un orgasmo, o ciò che era, senza l'aiuto di tutte le ghiandole che stava cercando di risvegliare. Si dimenò, sospirò, gemette, più di quello non fece e ovviamente non gli venne fuori nulla. I due si guardarono negli occhi, uno deluso del risultato, l'altro rassicurato sulla prosecuzione del divertimento. Una sola goccia, un umidore, forse gli sarebbe stato d'ostacolo, ma quell'ostinata siccità lasciava sperare bene. La disperazione avrebbe certamente spinto Vincenzo a rassegnarsi a più d'un sacrificio. "Non va, eh?" "No cazzo!" "Non dire parolacce, dai!" ebbe anche la sfacciataggine rimproverarlo. "Si, scusa, ma è che... uffa!" "Senti, ma come ti sei sentito? Non si muoveva niente là?" e con una mano gli prese l'uccello, mentre con l'altra gli toccava le palle. Fece arrivare le dita ovunque, non ci fu più un centimetro quadrato in quell'area che non avesse esplorato, come alla ricerca di un tesoro che ancora non esisteva. "No, niente. Tutto come al solito! Mi piaceva, ma come al solito!" ammise Vincenzo, un po' a disa- gio per le manipolazioni che stava subendo. "E allora dobbiamo provare quell'altra cosa." "No, aspetta. Che cosa vuoi fare?" "Te l'ho detto prima, dobbiamo provare il massaggio dall'interno!" "E cioè?" "Con queste due dita" e gli rifece il gesto di prima "ti devo fare da dentro quello che ho fatto da fuori." "No, non voglio!" e si alzò di scatto, recuperando pantaloni e mutande, rivestendosi fulmineamen- te. "OK, OK non importa" anche Paolo s'era alzato ed era veramente arrabbiato, perché vedeva sfu- mare tutto il divertimento "abbiamo solo perso tempo. Dai, adesso però vattene, perché devo studiare." "No, aspetta, Paolo, io ho paura!" "Se hai paura, non lo dobbiamo fare!" "Ma con te ha funzionato?" "Neanche quello ha funzionato, perché io ero molto indietro nello sviluppo, ma mi ha aiutato. Però con te non sappiamo. Possiamo solo provare. Hai capito?" "E se non funziona?" "Lo vuoi sapere davvero?" "Si!" "Dobbiamo fare una cura con il mio sperma." "Come?" "Quando lo sperma non viene prodotto, l'unica soluzione è di metterne sulle ghiandole, perché favorisca la loro maturazione." "Oh! E da dove lo prendo io lo sperma?" "Te lo posso dare io. Mi dovrei fare le seghe e metterlo dove serve, cioè proprio sulle ghiandole. È come fanno i donatori di sangue. Lo sai, no?" a questo punto gli scappò da ridere. Era troppo? Si vergognò di se stesso, ma l'uccello duro che teneva dentro ai pantaloni, l'aiutò ad andare avanti. "E tu me lo doneresti?" "Certo, tutto quello che serve!" "Grazie" gli disse Vincenzo commosso e probabilmente anche arrapato un'altra volta, mentre lui si sentiva ignobile come mai gli era accaduto nella vita. Ignobile e arrapato, come mai. "Beh, se lo faccio è per aiutarti" decise di ritornare alla dura realtà del momento. Perché per quel pomeriggio voleva infilargli le dita nel culo. Assolutamente. "Si, lo so!" "Allora, lo vuoi provare il massaggio? "Si!" "Forse ti farò un po' male adesso. Va bene?" Le dita in culo, in fretta, prima che il ragazzo ci pensasse troppo. Alla donazione di sperma avreb- bero pensato quando fosse venuto il momento. "Va bene" disse Vincenzo, mentre gli lanciava uno sguardo insieme spaventato, rassegnato e spe- ranzoso. "Senti, io mi siedo sul letto e tu ti devi mettere sulle mie ginocchia. Hai capito?" E Vincenzo lo stava già facendo, ma lui lo fermò: "Aspetta, spogliati prima, togliti i pantaloni e le mutande, perché poi devi allargare le gambe." "Si, ma io" esitò un'altra volta, l'ultima, poi incrociò lo sguardo minaccioso del suo caposquadriglia e finalmente fece quello che gli era stato chiesto. Andò a mettersi in grembo, a pancia sotto. "Bene" fece Paolo con voce che si fece improvvisamente tremolante "adesso vediamo se" e gli posò entrambe le mani sul culo. Quel movimento lo tradì. Sebbene sacrificato dentro ai jeans, il suo uccello aveva ricevuto troppe sollecitazioni per restare soltanto eretto, anche se duro come una pietra. Il penultimo stimolo era arrivato dalla pressione che il cazzo nudo e duro di Vincenzo gli stava facendo sull'inguine. Ma toccare la pelle vellutata del ragazzo, accarezzargli il culo, l'idea di quello che stava per fargli, era stato fatale, ed era ve- nuto nelle mutande, riempiendole di sperma. Questo lo fece bloccare, ansimante, con le mani sul sedere di Vincenzo che si voltò per cercare di capirne il motivo. "Che c'è? Non ti senti bene?" l'aveva sentito tremare e non ne aveva certo capito il motivo. "No è che... mi dispiace, Vincenzo!" "Che cosa?" "Sono venuto." "Come venuto?" Decise di rischiare, piuttosto che dire parole. "Alzati, guarda" si spostò indietro e s'aprì i pantaloni. Apparvero gli slip bagnati davanti. "Ti sei pisciato addosso?" fece ridendo Vincenzo che era balzato a terra e ora lo guardava incuriosito e alquanto eccitato. "No, scemo, ho sborrato! Vedi?" Si abbassò anche gli slip per mostrargli l'uccello che stava già ammorbidendosi, ma che era soprattutto cosparso di una sostanza biancastra e appiccicosa, d'un orgasmo che aveva sporcato anche i peli, impiastricciandoli. "Questo è lo sperma. L'avevi mai visto prima?" "No! Lo sperma? Posso toccarlo?" Non attese la risposta e allungò la mano, sfiorando l'uccello. Ne raccolse un po' col dito che portò al naso per odorarlo. "Davvero non l'avevi mai visto?" "No!" "Non ci credo!" "Te lo giuro!" insisté "Senti, ma ti esce così ogni volta che ti fai la sega?" "Si. Vedi quant'è?" e se ne spalmò anche sulla pancia "Se non fosse stato per mio cugino..." Vincenzo lo guardò con invidia: "E prima niente?" "Proprio come a te!" Quest'affermazione fu conclusiva e lo convinse definitivamente. Senza una parola, gli tornò in grembo, incurante di bagnarsi di sperma. Si accomodò in modo che il suo uccello trovasse alloggio fra le gambe dell'amico e non si fece scrupolo di strusciarsi sul ventre umido. "Dai, fammi il massaggio, proviamo!" Paolo avrebbe preferito aspettare un po', visto che la sua eccitazione era vistosamente scemata, ma si rese conto che Vincenzo era al punto giusto di persuasione e sarebbe stato davvero un peccato sprecare quell'opportunità. Quanto alla sua eccitazione, sapeva che l'avrebbe recuperata abbastanza in fretta. Gli rimise le mani sul sedere e questa volta andò avanti: gliel'allargò completamente, finché non lo sentì sospirare. Vide il buco che avrebbe preferito chiamare bocciolo, ma sempre un buco era. Tenendo- lo aperto con una mano, appoggiò un dito sulla fessura e spinse leggermente. L'entrata della prima fa- lange fu accompagnata dal gemito sommesso di Vincenzo che si era mosso mostrando tutto il suo disa- gio. "Ti fa male?" "Un poco." Si passò il dito in bocca e sparse un po' di saliva anche sul buco. L'idea della lubrificazione gli era venuta l'anno prima, una volta in cui stava facendosi una sega e accarezzandosi ovunque era arrivato da quelle parti. Aveva provato ad infilarsi un dito e, diversamente da altre occasioni in cui la pelle era umida, l'aveva trovata particolarmente asciutta. Bagnarsi la mano con la saliva era stato un gesto istintivo che aveva ripetuto molte altre volte. E il buco di Vincenzo diventò subito molto più accogliente, tanto che l'indice entrò facilmente e cominciò il promesso massaggio alle fantomatiche ghiandole ritardatarie. Il ragazzino non aveva più protestato e, anzi, si stava apertamente godendo la penetrazione, stru- sciandosi senza pudore contro il grembo di Paolo. "Non muoverti troppo" l'ammonì "potrei farti male" poi insisté spietato "e adesso ti devo infilare un altro dito". Queste parole fecero immobilizzare Vincenzo che s'irrigidì, stringendo il buco e bloccando il dito. "Calmati, non ti farò male" lo blandì "ora lo sfilo e poi faccio come prima, così piano che non te ne accorgerai neppure, non ti preoccupare." Lentamente sfilò l'indice e ci fece cadere sopra un po' di saliva, bagnando anche il dito medio. U- mettò il buco e tornò a penetrare Vincenzo. Questa volta fu più complicato. Il primo dito scivolò dentro facilmente, ma quando l'altro fece per seguirlo, Vincenzo si mosse, apertamente a disagio, come per sottrarsi. Allora Paolo lo tenne più stretto, forzando il buco, e riuscì ad infilargli l'altro dito. Dopo qualche protesta, più che altro mormorata, l'intrusione fu tollerata. Paolo gli massaggiò l'interno, sentendogli aumentare il ritmo dei movimenti e poi calmarsi. Solo allora, lentamente, sfilò le di- ta, prima uno, poi l'altro e restò a massaggiare i labbri della fessura. Gli era tornato duro ed era eccitato un'altra volta. Vincenzo lo guardava aspettando che gli desse spiegazioni: aveva avuto un altro dei suoi orgasmi, nonostante le dita dentro e il cosiddetto massaggio interno. Gli si era messo a sedere accanto e lo fissava con occhi tristi, anche se gettava parecchi sguar- di all'uccello duro che svettava dal grembo di Paolo. "Ci ho messo molto tempo prima che mi uscisse la prima goccia di sperma" tentò di tranquillizzarlo "Mio cugino mi fece il massaggio interno per una settimana di seguito. E non ottenemmo niente!" "Per una settimana?" "Ogni pomeriggio!" "E tu glielo facevi fare?" "Certo! Vuoi che ti confidi un segreto?" "Dimmelo." "Dopo la prima volta mi accorsi che un po' mi piaceva." "Oh! Boh, io non so se mi piace. Certo, è una cosa strana. Mi sono sentito in un modo" ma la sua attenzione era ormai tutta concentrata sul cazzo di Paolo che pareva vivere di vita propria per i movimenti improvvisi che lui gli faceva fare. "Anche a te diventerà così, ne sono certo" disse Paolo che, cogliendo quegli sguardi, aveva aumentato gli ondeggiamenti del suo cazzo. "Lo pensi davvero?" "Vuoi vedere come sborra?" "Me lo fai vedere davvero? Adesso? Ma se hai appena sborrato?" "Che importa? Guarda!" E cominciò a menarselo lentamente, scappellandolo e ricoprendolo. Allungandolo, mettendo a nu- do la cappella arrossata e poi tornando a foderarla di pelle. Dovette lavorare e muoversi parecchio, ma alla fine fu vicino all'orgasmo. Fece un poco di scena e accentuò i gemiti a beneficio del suo spettatore, sussultò, si dimenò e finalmente esplose in due o tre schizzi, neanche tanto abbondanti, ma orientati sapientemente sulle gambe nude di Vincenzo che lo guardava affascinato. Il ragazzo si ritrasse quando i getti caldi di sperma gli colpirono la coscia. Li osservò atterrare e poi andò a toccarli per saggiarne la consistenza. "Che ne dici? Ti piacerebbe fare anche tu così?" "Certo che mi piacerebbe, ma... vedi?" e si indicò il lumachino che sempre duro non faceva davve- ro una bella figura in quel momento. "Allora? Crescerà, vedrai! Tu prova stasera, se ti esce qualcosa, altrimenti domani pomeriggio fac- ciamo un altro massaggio e vediamo!" "Va bene." "E adesso vattene che devo studiare!" Quella sera stessa Vincenzo incrociò lo sguardo di Paolo non appena questi arrivò nella sede de- gli scout. Gli fece cenno di dovergli parlare in privato. "Ho provato un'altra volta a casa, ma niente ancora!" gli disse, appena furono soli. Paolo sentì come una scossa che gli irrigidì l'uccello. Decise di non resistere al desiderio e pensò di prendersi un altro po' di divertimento quella sera stessa. "Senti, proviamo con un altro massaggio? Che ne dici?" Vincenzo lo guardò un po' spaventato, ma anche interessato a quella possibilità. "E come? Dove? "Quando ce ne torniamo a casa, aspettami. Facciamo la strada insieme e troviamo un posto. Tanto devo solo infilarti la mano nei pantaloni. OK?" "D'accordo" disse Vincenzo, già con il fiato corto per l'eccitazione. Sgattaiolarono via prima che potevano, senza attirare l'attenzione e corsero eccitati. Abitavano vicino e per raggiungere casa dovevano passare attraverso un giardino pubblico che offriva molti angoli riparati. Conoscevano bene quel posto per averci giocato tante volte e sapevano dove andare per non essere osservati. Si rintanarono in un angolo, poi scomparvero alla vista di tutti perché s'infilarono dietro ad un gruppo di siepi. Là dentro erano al sicuro, potendo vedere, senza essere visti. Era il posto da scegliere se si giocava a nascondino, oppure in tempi più recenti, era diventato un buon posto per spiare le cop- pie che si scambiavano effusioni sulle panchine che erano attorno alle siepi. Ma questo lo faceva solo il più grande dei due. Appena dentro Paolo gli mise una mano sul culo e una sull'uccello, strofinandoli. Vincenzo abboz- zò una protesta, ma si lasciò subito convincere. Le mani di Paolo lo massaggiavano sapientemente. "Sbottonati i pantaloni" gli sussurrò in un orecchio, a voce bassissima, perché le siepi difendevano dalla vista, ma lasciavano passare tutti i suoni. Vincenzo eseguì e lui gli infilò prontamente la mano dietro, abbassandogli le mutande quel tanto che serviva a raggiungere il buco. Trovò facilmente la strada e, aiutato dal sudore per la recente corsa, penetrò subito il ragazzo. Vincenzo si mosse, come per adattarsi all'intrusione e lui insisté, spingendo fino a infilargli tutto il dito. lo tirò fuori, strappandogli un sospiro. Poi ricominciò e dopo uno infilò l'altro dito, scopandolo, mentre il ragazzo gli aveva appoggiato il capo sulla spalla e mugolava contento. "Fai piano, piano... ahi!" disse dopo un po' che Paolo gli aveva spinto dentro tutte e due le dita. "Si, ma tu non alzare la voce!" Paolo lo penetrò, finché ne ebbe voglia e solo allora gli sfilò le dita e si rivestirono. "Stasera prova daccapo e vedi se esce qualcosa. Domani mi dici. E speriamo bene!" gli disse quando stavano per separarsi. "D'accordo!" "Ti aspetto domani pomeriggio a casa." "Va bene. Ciao e grazie!" "Non dire grazie" protestò Paolo, che sentiva qualcosa rimordergli "sai, a dirti la verità, mi sto divertendo anch'io" affermò con un moto di sincerità che sperò di non dover rimpiangere. "Perché ti diverti?" gli chiese infatti Vincenzo, senza capire, deluso che la sua disgrazia fosse un passatempo per l'amico. "No, dicevo divertirmi, soltanto perché mi diventa duro e che invece di farmi la sega da solo, quando ti faccio quelle cose, sono eccitato. È solo in questo senso! Hai capito?" E sperò di non aver peggiorato le cose, ma Vincenzo già non gli badava più, desideroso solo di andarsene a casa a provare un'altra volta, dopo il massaggio. Quando se lo vide arrivare a casa il giorno dopo, il ragazzo era di umore nerissimo. "Né ieri sera, né stamattina e neppure adesso, prima di venire qua!" "Te l'avevo detto che non potevi aspettarti nulla in un giorno, no? E poi a me c'è voluto quasi un mese!" "Un mese? Ma io non voglio fare più niente, se devo aspettare un mese" gridò, scoraggiato e già con le lacrime agli occhi. "Senti, non mi pare che tu stia tanto indietro. Hai solo bisogno di una spinta. Quando mio cugino cominciò con me ce l'avevo più piccolo del tuo. Te l'ho detto, no? E hai visto adesso com'è?" Ma Vincenzo piangeva seduto al letto, inconsolabile. Paolo provò una stretta al cuore per quello spettacolo e andò a sederglisi accanto. "Dai, non fare così. Adesso riproviamo, vuoi?" Vincenzo non gli diede retta, ma gli si avvicinò per farsi abbracciare e lui gli mise il braccio sulla spalla attirandolo a sé. Continuò il movimento, spingendolo fino a farlo abbassare. Si spostò un po' indietro e così Vincenzo poté stendersi sul letto a pancia sotto, finendogli sul grembo. L'accarezzò sulla spalla e lentamente scese sul sedere. Lo massaggiò con dolcezza e poi un po' più energicamente, pas- sandogli le dita nel centro, scavando nel tessuto morbido della tuta da ginnastica. "Vuoi che continui?" "Si." Infilò la mano dentro ai pantaloni e scese in fondo a cercare le rotondità che aveva toccato prima. L'accarezzò a lungo, poi passò la mano nel solco, saggiando la resistenza del buco che subito cedette al suo tocco. Mentre con le dita esterne della mano allargava le natiche, con il medio penetrò il ragazzo, affondando nel buco, già un po' umido. Vincenzo trasalì, ma accettò subito l'intrusione, godendosela con i movimenti che faceva. "Ne infilo un altro?" "Dai" accettò subito. E Paolo lo fece. Con meno facilità e qualche sospiro, un gemito, ma senza saliva. A quel punto gli premeva di spogliarlo. Gli sfilò con cautela le dita e tirò fuori la mano, madida de- gli umori del ragazzo. "Sollevati un po', voglio spogliarti." E Vincenzo si alzò sulle punte dei piedi per farsi abbassare mutande e pantaloni. L'uccello gli bal- zò fuori, come liberato dalla prigionia degli slip. Paolo gli sfilò anche la felpa e la maglietta, poi gli fu subito addosso per riprendere a penetrarlo e a fare i suoi presunti massaggi. Intanto, per conto suo, sentiva l'eccitazione crescergli dentro. Quando capì di avere quasi raggiunto il massimo sopportabile, sfilò le dita. "Devo spogliarmi anch'io, altrimenti mi bagno come ieri. Ti dispiace?" "No" lo guardò, poi sorrise "anzi, mi piace!" Paolo, in un momento di lucidità, prima di lasciarsi andare un'altra volta, si chiese che ne fosse stato dell'innocenza di quel ragazzino. Della sua non si preoccupava più da tempo. Vincenzo gli si sedette accanto e lui si spogliò con movimenti lenti. Attento a non sfiorarsi l'uccello che era veramente pronto ad esplodere. Restò nudo, destando la meraviglia e l'aperta ammirazione di Vincenzo. "Lo vuoi toccare?" E il ragazzo allungò la mano, ma lui lo bloccò: "Stai attento, sto per venire. Non ti spaventare. Non lasciarmi l'uccello, mentre sto venendo, potrebbe essere pericoloso. Hai capito?" Il ragazzo gli fece di si con la testa e lui gli guidò la mano verso il cazzo. Vincenzo glielo prese in mano con le cautele e la gravità di chi sta maneggiando esplosivo. Quando la mano si fu richiusa attorno all'asta, gli disse: "Stringilo e tiralo e poi torna indietro, ma piano" poi non parlò più, perché raggiunse l'orgasmo. Vincenzo, come ipnotizzato, non smise di stringergli e strattonargli l'uccello. "No, aspetta" urlò Paolo "fai piano! Piano!" Finì che si ritrovò con l'uccello indolenzito, ma la vera ricompensa fu che Vincenzo lo guardava af- fascinato, come assorto in contemplazione per ciò che aveva visto. Non desiderando altro che di poterlo provare di persona. Era il momento dell'affondo e Paolo lo capì. Nonostante non ne avesse voglia, non dopo quella sega memorabile, capì di dover approfittare anche di quel momento per raccogliere in seguito i frutti. "In quel mese mio cugino mi ha fatto i massaggi per una settimana e poi anche quell'altra cosa che ti dicevo" e si fermò per incuriosirlo. "Quale? Ah, si mi ricordo. Mi hai detto che lui ti ha donato lo sperma, ma come ha fatto?" Paolo si guardò l'uccello e rimpianse di non potergli comandare di tornare duro, perché quello sa- rebbe stato il momento buono. "Lui veniva qua ogni pomeriggio, proprio come stai facendo tu. Io andavo ad aprirgli e poi correvo in questa stanza, mi facevo trovare sul letto, con i pantaloni abbassati. Lui mi faceva il massaggio, ester- no ed interno. Poi gli venne l'idea dello sperma. E allora lo facemmo." "Ma cosa?" "Me lo infilava!" E Vincenzo dapprima non capì, poi lentamente comprese il significato delle parole che aveva udi- to e a Paolo parve che si spaventasse. "Faceva piano" insistette "e io non sentivo nessun dolore. Me lo teneva dentro il più possibile, poi quando non si poteva più frenare, lasciava uscire lo sperma e solo allora lo tirava fuori. Ed io me lo tene- vo dentro finché potevo." Lo guardò dritto negli occhi, per valutare l'impatto di quelle parole, ma Vincenzo era ormai convin- to che la sua salvezza passasse attraverso quel sacrificio, per quanto spaventoso dovesse sembrargli. "E quando possiamo farlo?" chiese stoicamente, conscio che per quell'atto particolare occorresse un uccello ben duro. Paolo ne fu deliziato. "Domani pomeriggio!" rispose pronto. "Non stasera?" "No! Quando ci ritiriamo, ti faccio il solito massaggio. Per infilartelo dobbiamo stare a casa. È la prima volta e non si deve fare in fretta." "E quante volte dobbiamo farlo?" "Tutte quelle che serve" disse Paolo, ma pensò che l'avrebbe inculato fino a che ne avesse avuto voglia. E, al momento, gli pareva che non si sarebbe mai stancato. Il culo di Vincenzo era incantevole, tondo e un po' sporgente e a lui pareva di non aver mai desiderato altro che di poterlo toccare e possedere in tutti i modi. Era cinico. E allora? Per quel culo lo sarebbe diventato chiunque, pensò per consolarsi. Intanto l'uccello gli era tornato duro, ebbe la tentazione di penetrarlo lo stesso, ma preferì aspettare, riservando- si di rendere tutto più solenne l'indomani. Lo mandò a casa, a provare un'altra volta. Per conto suo pregò che Vincenzo non maturasse pro- prio quel giorno. Il passaggio nella siepe fu come quello della sera precedente, con la variante notevole che Vincen- zo, prima di essere penetrato con le dita gli chiese: "Posso toccarti?" E Paolo fu felice di acconsentire. Così, mentre lo penetrava con indice e medio, Vincenzo, con in- sospettabile perizia, cominciò a fargli la sega. Quando fu vicino a venire, l'avvisò e Vincenzo orientò gli schizzi verso terra. Finalmente arrivò l'ora in cui ragionevolmente si aspettava di vedere arrivare Vincenzo, ma l'ansia di Paolo non si placò, anzi aumentò, fino a diventare insopportabile, perché il ragazzo era in ritardo. Giunse solo dopo una mezz'ora, trafelato. "Mamma non voleva farmi uscire. Voleva sapere che ci vengo a fare ogni giorno qua. Lei sa che tua madre non è mai a casa. Poi le ho detto che ci veniva anche qualche altro e che era per gli scout!" "Hai fatto bene!" "Beh... che facciamo?" "Sei pronto?" "Si... ma ho paura!" "Non devi averne. OK?" "Si, è facile per te." "Senti, per convincerti che non fa male, c'è un solo modo. Vuoi farlo prima tu a me?" "Eh? Io a te cosa?" "Infilalo tu a me e poi te lo faccio io. Per vedere che non mi fa male, no?" "E tu davvero vuoi che io... me lo faresti fare davvero?" Con quell'offerta l'aveva sbalordito, spiazzato: si congratulò con se stesso per l'idea. Prendersi nel culo il cazzetto di Vincenzo non sarebbe stato certamente un problema per lui che era abituato a infilarsi oggetti ben più consistenti. Da qualche mese ci metteva di tutto, prima uno, due e fino a tre dita, poi le candele e gli ortaggi della forma giusta. Ma non aveva mai provato niente di vivo e Vincenzo, seppure alla sua prima esperienza, sarebbe stato perfetto. Dopo, con calma, gliel'avrebbe fatta pagare con gli interessi. Tanti interessi. "Certo... ma ora ci dobbiamo spogliare. Vuoi?" "Si... io non lo so, ma... se poi io... Sei sicuro di volere che io..." "Si, spicciati!" E l'attirò a sé, sfilandogli la tuta, la maglietta, poi lo buttò sul letto e gli abbassò d'un colpo i pantaloni e le mutande. Si bloccò per le scarpe, ma riuscì a slacciargliele e poi gli tolse anche i calzini. Lo guardò. Era tutto nudo, supino sul letto in attesa, sorpreso dal suo impeto. Lui si spogliò con più calma e quando l'ebbe fatto gli si stese accanto. Si voltò a pancia sotto. "Adesso bagnatelo con la saliva e poi mettiti sopra di me" ordinò. Vincenzo gli andò addosso. Erano quasi della stessa altezza ed ogni parte dei loro corpi si trovò a cambaciare. Le ginocchia contro le ginocchia, il naso contro la nuca, il ventre contro le reni e l'uccello andò ad adagiarsi nello spacco. "Sollevati un poco" glielo prese puntandoselo sul buco "adesso abbassati. Fai piano. Stai entrando in me. Lo sai? Lo senti?" "Si" sussurrò Vincenzo che ancora non credeva a quello che stava provando. "Spingi. Si, più piano. Spingi, adesso entra ed esci. Fai così!" Vincenzo imparò presto e d'istinto lo scopò, finché affannato, si calmò, pesandogli addosso con tutto il corpo. Fu allora che l'abbracciò, da dietro e Paolo si commosse per quel gesto. Ma era troppo arrapato per non continuare col suo piano. "Hai visto? Non mi hai fatto male e ti è piaciuto, no?" "È stato forte!" "Adesso levati da sopra e mettiti come ho fatto io. Tocca a me e devo prima massaggiarti." Gli accarezzò il culo, l'aprì e massaggiò, come se fosse davvero utile, ogni più piccola superficie tra le palle e il buco, poi si bagnò l'indice e l'infilò, forzando l'apertura. Vincenzo si mosse a disagio, ma lo lasciò fare. Gli tenne dentro il dito per molto tempo, poi infilò lentamente anche il medio. Lo scopò con metodo, infilando e sfilando le dita. Lasciando ogni volta il buco più aperto. Quando fu certo che era sufficientemente rilassato, gli si stese sopra e cominciò a puntargli l'uccello contro l'apertura. Quello era il punto d'arrivo della sua esperienza erotica, cominciata due anni prima con una sega fatta su istruzioni di un suo compagno di scuola e proseguita con il quotidiano esercizio di piacere, sem- pre alla ricerca di nuovi stimoli. La fantasia era stata sua complice e lui l'aveva alimentata con la lettura dei giornaletti porno circolati a scuola. Le varie prestazioni, sempre tra uomo e donna, erano state adattate al suo immaginario, rigorosamente omosessuale, ed era stato così che aveva imparato tutto sulla penetrazione. Quanto ad essere gay, quello non era mai stato in discussione, non che lui ricordas- se. Il buco di Vincenzo, che finalmente poteva violare, cedette facilmente alla sua spinta e l'uccello en- trò di qualche centimetro. Vincenzo strillò per il dolore. Nella concitazione del momento, Paolo aveva dimenticato di inumidir- si l'uccello. Lo fece, non smettendo di accarezzare il ragazzo, cercando di calmarlo. Quando tornò a spingere. Vincenzo pareva acquietato, tanto che lo sentì rilassarsi sotto di lui. Questa volta riuscì a penetrarlo e si fermò quando il cazzo era entrato per metà. Lo tirò fuori e ri- cominciò. Spinse per fare entrare la cappella, poi lasciò che l'uccello scivolasse dentro. Lo tolse e rien- trò. Ad ogni manovra Vincenzo sospirava, ma si era ormai assuefatto a quella specie di intrusione nel suo corpo. L'accettava e sicuramente ne godeva, perché si muoveva assieme, assecondando tutti i movimenti. Paolo riuscì a trattenere la propria eccitazione fino al momento in cui gli parve di aver raggiunto il fondo di quello che poteva forzare. Naturalmente non era così, ma quando immaginò, in uno dei suoi as- salti, d'avere toccato l'ultimo limite, cominciò ad eiaculare. Vincenzo avvertì gli spasmi dell'orgasmo dentro di sé e s'immaginò inondato di quel fiotto caldo di liquido. Provò a muoversi, ma Paolo lo serrava da dietro, impedendogli di alzarsi. "Stai così, non muoverti. Tienitelo dentro. Deve restare più tempo possibile." "Mi fa male!" "Resisti, devi resistere" mormorò, mentre continuava a muoverglisi dentro, per sfogare le ultime contrazioni del più lungo, bello e memorabile orgasmo della sua vita. "Paolo, mi fa male." "Aspetta ancora un poco, ti prego!" "No, no" e cominciò a dimenarsi. Solo allora Paolo si sfilò, scivolando di lato. "Come va? Tienilo finché puoi adesso..." "Ma ho lo stimolo. Devo andare nel bagno!" "No! Aspetta." "Non posso." Lo bloccò, tenendolo fermo, sotto di sé. Era importante che resistesse, che si disciplinasse. Se voleva continuare a divertirsi, doveva controllarlo. A cominciare da quel momento. "Tu resti qua. Va bene? E aspetti! Sennò abbiamo fatto tutto per niente!" "Si" e inaspettatamente si voltò verso di lui, tanto che Paolo si rese conto che non lo stava più im- mobilizzando, ma quel blocco si era trasformato in un abbraccio. Vincenzo gli si accoccolò in grembo e gli pose il capo nell'incavo del collo. `Adesso mi bacia' pensò Paolo, ma non accadde. Ciò che sentì invece fu il respiro regolare del ra- gazzino che gli si era quasi addormentato tra le braccia. "Quante altre volte dobbiamo farlo?" gli chiese invece, parlandogli con voce assonnata. "Tutte le volte che vuoi, finché non ti uscirà la sborra." "E dopo?" "Dopo cosa?" "Quando potrò sborrare come te, che cosa accadrà?" "Non lo so, dipende da te." "Mi farai ancora la cura di sperma?" "Se tu vorrai." "E sarà com'è stato oggi?" "Anche meglio!" "Se dipenderà da me, forse questa cura non finirà mai!" FINE lennybruce55@gmail.com