Date: Wed, 13 Apr 2011 18:55:33 +0200 From: Lenny Bruce Subject: L'Estate di Lorenzo - 3nd installment DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Questa storia è già apparsa su MMSA (http://www.malespank.net/listAuthor.php?author=Lenny+Bruce) con una suddivisione diversa dei capitoli. La prima parte si ispira, molto liberamente, ad un racconto apparso su Nifty un paio di anni fa, scritto da Donny Mumford, presente nei 'prolific authors'. La storia è 'A submissive boy's story' (http://www.nifty.org/nifty/gay/college/submissive-boy/) Donny Mumford è un ragazzo, adesso 25enne, che vive nel New Jersey e alcuni dei suoi racconti sono autobiografici. Trovo che sia un bravo e promettente scrittore e non solo per chi ama questo genere. Capitolo secondo -- Ancora Raffaele Qualche tempo dopo, affrontai razionalmente e scientificamente ciò che mi era accaduto, scoprii che quell'estate Raffaele ed io avevamo vissuto quella che si definisce una 'relazione dominante/dominato o sottomesso'. Nel senso che ci sono persone che tendono a imporre le proprie decisioni e altre che non desiderano altro che lasciarsele imporre, volendosi annullare. Questo accade spesso nei rapporti gerarchici, dove si formano strane coppie, per esempio Raffaele ed io. Accoppiate in cui persone che tendono a sminuirsi si legano a individui dotati di un io sovradimensionato. Credo che l'io di Raffaele fosse molto più grande del suo cazzo. Questo fu esattamente quello che pensai quando lessi la definizione dell'io `sovradimensionato', approfondendo le mie conoscenze di psicologia e psichiatria. A questo punto devo anche ripetere che essendo un lettore vorace, sono anche veloce, almeno due pagine al minuto, anche per parecchie ore. La cosa strana e affascinante è che poi riesco a ricordare quello che leggo, organizzando a dovere le nozioni che acquisisco per utilizzarle nei miei processi induttivi. Sono un genio, no? Quando tutto accadde, però, non avevo un nome da dare a quello che Raffaele ed io facevamo, cioè che lui mi faceva ed io mi lasciavo fare. Sapevo solo che mi piaceva eseguire i suoi ordini, essere sotto il suo controllo. Mi dava una tale scossa, che tuttora sento una specie di tremolio alle gambe al solo ricordare quei momenti. E quel tremolio lo sento anche un po' più su delle gambe. Ho anche scoperto che, oltre alla nostra relazione dominante/dominato, Raffaele cercava di soddisfare un paio di proprie ossessioni, più esattamente feticci. Ho letto anche questo nelle opere di Freud. Allora però quella parola non l'avevo mai sentita e, anche senza saperlo e capire perché, a me piaceva tutto quello che mi faceva Raffaele. Ho una memoria molto chiara della mattina successiva al giorno in cui mi possedette per la prima volta. Mi svegliai molto presto e la mia prima preoccupazione fu per il mio culo. Sfiorandomelo cautamente con le dita, capii subito che stava bene e che non dovevo preoccuparmi. Era leggermente arrossato sulle natiche. I timori tornarono quando pensai che mi avrebbe fatto male da morire quando mi fossi seduto per fare la cacca, perché il buco si era allargato troppo e non sarebbe mai tornato a posto. Corsi nel bagno e mi misi alla prova. Non dovevo preoccuparmi del funzionamento del buchetto, anzi, usandolo sentii un piacevole pizzicore proprio lì, che mi fece stringere il culo. Misi le mani sulle natiche e le strinsi di più, me le accarezzai e, mentre lo facevo, mi ricordai che presto sarei stato il vice di Raffaele e di come sarebbe stato bello. Tranquillizzato mi misi a pensare e ripensare a quello che mi aveva fatto e, mentre le immagini della sera precedente mi sfilavano nella mente, il mio uccello diventò duro, non durissimo, ma piacevolmente rigido. Era una bella sensazione, poi mi passai la mano tra i capelli e mi ricordai del mio impegno. "Saluta la tua pettinatura da ragazzino, Lorenzo" dissi a voce alta "sarai un vice caposquadriglia e devi somigliare il più possibile al tuo capo." Era una logica contorta, ma utile a giustificare la mia debolezza. Allargai le gambe per controllare che non ci fosse qualche residuo della sborra di Raffaele e qualcosa c'era, scivolato fuori nella notte e che adesso si era asciugato all'interno della coscia formando una crosticina biancastra. Sfiorarla con le dita, mi fece ripensare al lungo uccello, all'erezione enorme, tutta infilata dentro di me e a quanta sborra era riuscito a schizzarmi dentro. A sedici anni se ne produce molta di più che a quattordici, evidentemente. Toccandomi ancora attorno al buco, scoprii che in un punto provavo dolore. Niente di troppo brutto, ma era là a ricordarmi di quanto e come me lo aveva allargato. E così tutte le sensazioni provate durante la penetrazione mi tornarono un'altra volta in mente, facendomi rabbrividire al ricordo di come e quanto era stato bello essere posseduti, sentirlo muoversi dentro, spingermi, allargarmi, violarmi. Le natiche erano pure sensibili dove mi aveva sculacciato più forte. Mi accarezzai e provai a darmi una sculacciata. Faceva male, ma l'uccello scattò diritto, duro verso l'alto. Avevo già il fiato corto, per una sculacciata che mi ero dato e il ricordo di quante me ne aveva date Raffaele. Forse si sarebbe seccato, se avesse scoperto quanto mi erano piaciute le cose che mi aveva fatto. Non pensai che forse era proprio quello che cercava. Che se ne sarebbe compiaciuto. In quel momento della mia vita non consideravo l'idea di essere finocchio, credevo invece, e in tutta onestà, di essere semplicemente precoce, di essere maturato più in fretta dei miei amici, tanto da essere capace di godermi in anticipo le gioie del sesso alla mia giovane età e non dover attendere ancora qualche anno. Poi ricordai qualcos'altro. Mi strofinai sul collo e odorai le dita. Eccolo, era là, il profumo, l'aroma di Raffaele. Di quando mi aveva messo il braccio attorno al collo per tenermi ferma la testa. Il suo sudore, forte, penetrante, com'era lui. Respirando più velocemente, mi strofinai ancora e aspirai il profumo, che era ancora più forte. Era come se mi avesse marcato con il suo odore, come fanno gli animali. Mi aveva marcato come il `suo ragazzo'. E l'aveva pure detto che ero il suo ragazzo adesso. A quel punto l'avevo ancora più duro, dritto, schiacciato contro l'addome. Me ne tornai a letto, mi misi a pancia sotto e comincia a fottere il materasso, con il cazzo duro e la faccia nel cuscino. Sentivo l'odore di Raffaele, perché per tutta la notte avevo posato il collo proprio su quel cuscino. L'uccello diventò così duro da farmi male, mentre inalavo esilarato quell'odore, finché ne fui come ubriaco. Ero il `ragazzo' di Raffaele, ma avevo anche bisogno, urgenza di sborrare, così mi voltai velocemente, mettendomi a pancia in alto e abbassati gli slip velocemente cominciai a menarmelo con furia. Era così bello, mi sentivo in paradiso, il pollice strusciava sul davanti della cappella, l'indice dall'altra parte. Un brivido mi corse lungo la schiena e finì al buco del culo, ricordandomi della sensazione unica dell'uccello di Raffaele che si muoveva dentro di me. Un altro tremito, più forte, ed io aumentai la velocità della mano, mi tesi tutto e sentii l'orgasmo avvicinarsi e me ne lasciai travolgere. Con la mano sinistra cercai di intercettare gli schizzi, ma uno sfuggì e mi colpì sulla faccia. Mi sentii improvvisamente stanco e mi riaddormentai. Anche adesso, ripensandoci, non ho nessun brutto ricordo di Raffaele, non ne ho mai avuti, neppure quando la sua idea di disciplina divenne predominante nei nostri incontri e decise che ne avevo bisogno più di ogni altra cosa. Nessun brutto ricordo, perché mi è davvero piaciuto ogni singolo momento trascorso con lui. Mi svegliai un'altra volta due ore dopo essermi sparato quella sega così soddisfacente e tutto mi parve perfetto nella mia vita. Supino guardavo il soffitto, mentre con le dita mi sfioravo il culo e questa volta non trovai nessuna zona in cui provassi dolore, neanche attorno al buco. Anche le sculacciate erano dimenticate. Saltai fuori dal letto e corsi in bagno per fare quello che solitamente ci faccio ogni mattina. Mentre mi lavavo i denti, i miei pensieri tornarono a Raffaele, ero il suo `ragazzo', non nel senso di fidanzato ovviamente, ma mi piaceva il suono di quelle parole, ero il `ragazzo di Raffaele'. Dopo essermi vestito, ci misi un po' di tempo a pettinarmi nello stesso modo in cui mi aveva sistemato lui la sera prima e non vedevo l'ora di liberarmi di tutti i capelli che considerava in eccesso. L'arredamento del salone era malandato e vecchio, con tre grandi sedie di cuoio nero e i braccioli di porcellana bianca, le pareti di mattonelle pure bianche. I due barbieri erano anziani e i clienti avevano la stessa età. Là dentro era tutto vecchio ed era certamente un posto per vecchi, ma a me non importava, desideravo solo eseguire alla perfezione gli ordini di Raffaele e l'avrei fatto. Quando fu il mio turno, il barbiere più anziano mi fece cenno di sistemarmi sulla poltrona centrale. La seduta era enorme avremmo potuto metterci in due. L'uomo mi avvolse in una cappa di tessuto bianco che mi strinse al collo quasi soffocandomi. "Come vuoi che te li tagli?" "Corti e con le orecchie scoperte" dissi esattamente come mi aveva ordinato Raffaele, anche se non feci il suo nome. "Un taglio estivo?" "Corti e con le orecchie scoperte" ripetei, non volendo scostarmi dalle istruzioni di Raffaele. L'uomo grugnì forse già irritato dalla mia insistenza. "Lo so io che taglio andrà bene a questi capelli!" Prese una di quelle macchinette a molla, armeggiò un po' per regolarla e l'ultimo clic che sentii mi parve minaccioso, poi, senza tanti complimenti, mi abbassò la testa fino a farmi premere il mento contro il petto, tenendo la mano dov'era, come a dirmi che se mi fossi mosso anche solo di un millimetro mi avrebbe dato uno scappellotto. Infine mi posò la macchinetta gelida sul collo e diede inizio al sacrificio. Cercavo di capire i progressi, cogliendo il riflesso dei movimenti dell'uomo nello specchio e di lato vedevo cadere ogni tanto una ciocca di capelli. Il cuore mi batteva forte, ero nervoso, una gran quantità di capelli mi abbandonò la testa, finendo sul pavimento. Entrarono altre due persone. "Non ci metterò molto, sarò da voi tra cinque minuti!" disse il barbiere facendomi inquietare ancora di più. Tornò a lavorare di macchinetta, dandosi da fare su un lato della testa e tornando ogni tanto su quel poco che era rimasto attaccato dietro. Improvvisamente parve che avesse fretta e si precipitò a fare la stessa cosa dall'altra parte. Questo mi consentì di dare una guardata di sfuggita allo stato della mia testa e quello che vidi mi sorprese. Mi ero abituato a portare i capelli un po' lunghi e con la riga al centro. Lo facevo da quando avevo cominciato le medie ed era così che li portavano molti miei compagni. Adesso era tutto diverso, ero il vice caposquadriglia di Raffaele, il suo `ragazzo'' e quindi avevo l'aspetto che dovevo avere. Il barbiere aveva completato il suo lavoro in meno dei cinque minuti previsti e mi sentivo strano, provavo quasi una sensazione di malessere, poi sentii qualcosa tirarmi sotto lo stomaco, un po' più giù, qualcosa che si alzava all'idea che avevo eseguito gli ordini di Raffaele e quindi l'avevo fatto contento, anche se i miei capelli erano finiti tutti per terra ed ero sorpreso di averne avuti tanti e così lunghi. Ce l'avevo duro. Vidi che l'uomo finalmente posava la macchinetta e tirai un sospiro di sollievo, anche se ciò che vedevo nello specchio non mi piacque molto. Avvertivo una corrente d'aria da dietro che mi avvolgeva la testa che adesso era quasi completamente calva. Era una sensazione nuova e feci un profondo respiro, per cercare di calmarmi, anche se il mio uccello era duro e quella sensazione non era spiacevole. Ricordai un'altra volta a me stesso il motivo per cui ero là. Confrontandoli a quelli di Raffaele, i miei erano più corti e sperai che non si arrabbiasse con me per questo. Quando pensai che avesse finito, il barbiere prese le forbici e ricominciò a tagliare qua e là altri capelli scappati alla macchinetta. Ero stato su quella sedia per non più di cinque minuti ed era inspiegabile come quell'uomo fosse riuscito in così poco tempo a trasformare la mia testa in quello che adesso vedevo. Sulla sommità i capelli erano così corti che stavano dritti da soli, ai lati non avevo che un po' di peluria e il ciuffo sul davanti non era più un ciuffo, ma stava dritto anche lui. Sulla nuca non doveva esserci rimasto niente. A quel punto il barbiere si fermò e mi passò le dita tra quello che rimaneva della mia chioma, fissandomi con un sorriso compiaciuto. I nostri occhi s'incontrarono e il suo sguardo mi parve di sfida, come a chiedermi se avessi qualcosa da ridire. Abbassai velocemente gli occhi, sfuggendo il suo sguardo e questo mi causò una scossa all'uccello che parve muoversi da solo nei pantaloni. Per un momento temetti di sborrare, restare seduto là in quella posizione così sottomessa e senza lamentarmi, mi aveva ipnotizzato ed eccitato. Sentii qualcosa di liquido muoversi lungo l'uccello, ma forse lo immaginai soltanto. Allora non riuscivo a capire perché la cosa mi stimolasse tanto, quello che sapevo per certo era che non potevo permettermi di sborrare, mentre ero seduto sulla sedia del barbiere, perciò l'unica cosa che volevo era di andarmene prima possibile. Il ciuffo non voleva andare giù e lui non riuscì a domarlo, ma riuscì a farmi una specie di riga a sinistra come voleva Raffaele. "Mi pare che vada bene così" disse ammirando il suo lavoro, mentre mi scioglieva la cappa e la scuoteva facendo cadere tutti i miei capelli per terra "non far passare altri cinque mesi prima di tagliarteli un'altra volta, capito?" Io feci di si con la testa e lo pagai senza dire neppure una parola, spendendo buona parte dei miei risparmi. Appena arrivai per strada, cominciai a sfiorarmi la testa con le dita per sentire i capelli o quello che erano stati e non riuscivo più a fermarmi. Sulla nuca e fin quasi alla sommità della testa erano come carta vetrata. Solo sopra erano un po' più lunghi, anche se c'era il ciuffo ribelle che si alzava come un'antenna. Adesso dovevo farmi vedere da Raffaele, raggiungendolo all'officina e speravo che non si incazzasse. Guardai il mio riflesso in qualche vetrina, fissando con sguardo attonito il mio nuovo aspetto da `bravo ragazzo'. Avevo paura che si arrabbiasse vedendo il taglio di capelli, un po' diverso da come mi aveva detto di fare. Poteva pensare che volessi prenderlo in giro. Arrivato davanti all'officina, lo vidi in fondo allo stanzone che si lavava le mani in una bacinella. Entrai e mi avvicinai con una sensazione di ansia che diventava di piacere dalle parti del mio uccello che adesso si era indurito un'altra volta. Inconsciamente cercai di camminare diritto, e quando mi fermai ero sull'attenti. Vedendolo, riconoscendolo, non riuscii a controllarmi, mi presi l'uccello e me lo strinsi forte, mordendomi il labbro. Cosa stavo provando in quel momento? Non mi riconoscevo più. Lui indossava una tuta blu da meccanico, di quelle tutte intere, e la sua espressione era come sempre seria e concentrata, la stessa che usava durante le riunioni agli scout. A me sembrò bellissimo e il mio uccello vibrò. Sentendomi arrivare si voltò a guardarmi, poi strizzò gli occhi quasi per scrutarmi, mentre si asciugava le mani. Arrossii immediatamente e mi sentii imbarazzato per il mio taglio di capelli. Cercai nervosamente di lisciarli, aggiustandomi il ciuffo sulla fronte, ma senza successo. I miei occhi erano spalancati e già pronti a piangere, la bocca semiaperta. Avevo paura di quello che mi avrebbe detto. "Vieni qua" mi fece cenno di avvicinarmi, usò il suo tono ufficiale e la postura che assunse m'intimidì. Quando gli fui accanto, mi misi sull'attenti e lui con una mano mi ravviò il ciuffo che rimase dov'era. Lui lo ravviò ancora, schiacciandomelo sulla testa con un gesto un po' scocciato. I capelli tornarono a raddrizzarsi. Raffaele mi guardò, ma non era arrabbiato. Prese una sigaretta senza tirare fuori il pacchetto dalla tasca della tuta e la accese, poi, lasciandola tra le labbra, mi fece correre le mani sulla testa per saggiare la lunghezza dei capelli. Assentì un paio di volte, mentre mi controllava la nuca. Socchiuse un occhio per evitare che il fumo glielo facesse lacrimare. Il suo odore era più forte che mai, misto a quello del grasso che gli sporcava la tuta. "Fammi indovinare " quasi sorrise, sempre tenendo la sigaretta tra le labbra "te li ha tagliati Antonio, quello più anziano, vero?" "Si, Raffaele!" "Questo non era il taglio che ti avevo detto di fare" disse lui scuotendo la testa "La prossima volta dobbiamo andarci insieme, così potrò dare istruzioni dirette al barbiere. Devo portarti per mano al barbiere, eh? Così non scappi via come se fossi un bambino di quattro anni?" Mi sembrava più esigente di quanto non fosse la sera prima e sentii i miei occhi inumidirsi per quello che mi stava dicendo. Io odio piagnucolare, perciò mi morsi il labbro cercando di distrarmi e di ignorare il rimprovero di Raffaele. Quando voleva era capace di guardarmi davvero storto, questa volta però notò il mio disagio e la sua espressione si ammorbidì. "Cazzo, non preoccuparti, Lorenzo, non è un problema!" Questo mi fece subito sentire meglio. Raffaele mi girò attorno, giusto per farsi un'idea della mia nuova testa, poi tirò fuori dalla tasca lo stesso pettine del giorno prima e cominciò a pettinarmi, cercando di abbassare, senza riuscirci, la cresta che si era formata sulla mia testa. Provò in tutti i modi, finché si spazientì. La faccia gli diventò rossa ed io me ne stetti là fermo, senza emettere neppure un suono. Muovevo solo gli occhi per strizzarli e difendermi dal fumo della sua sigaretta che adesso ci circondava entrambi come una piccola nebbia. Dopo un ultimo tentativo, lasciò perdere. I miei capelli avevano una volontà propria, il ciuffo ritornava sempre dove voleva essere. Non era colpa mia, pensai e sperai che lui fosse d'accordo con me. "Sai che c'è, Lorenzo? Che questi tuoi capelli mi piacciono così come sono. Sono corti e vanno bene. È la pettinatura adatta al mio vice caposquadriglia, perché dimostra che tu prendi seriamente i miei ordini. Perciò direi che hai fatto un buon lavoro. Questa sarà la tua pettinatura d'ora in poi. Te li taglierai ogni dieci giorni come fanno i soldati!" Oh dio, pensai, ogni dieci giorni e i soldi dove li trovo? A parte questo, mi godetti il complimento che era proprio inatteso. Cercai di non sorridere. "Grazie, Raffaele. Io non volevo, ma quello tagliava." "Ne parleremo dopo!" taglio corto lui e andò verso la porta a vetri che chiuse, poi appese un cartello `torno subito'. "Seguimi" disse passandomi accanto. Gli andai dietro nel piccolo bagno dell'officina che era davvero molto pulito, più di quanto mi aspettassi. Chiuse la porta a chiave. "Mio padre se n'è andato via un po' prima oggi" disse con il fiato corto "e l'altro operaio è andato recuperare una macchina. Abbiamo qualche minuto per noi." Gettò la sigaretta nel cesso e cominciò ad accenderne altre due. "Abbassati i pantaloni" disse mentre si infilava una delle sigarette in bocca "e fumati questa." "Vuoi dire che noi due adesso..." provai a dire io. "Spicciati e non fare domande" tagliò corto lui "a te devo sempre ripetere le cose!" disse spazientito. Pensai solo che poco prima mi aveva fatto un complimento e adesso ero riuscito a farlo incazzare un'altra volta, perciò mi affrettai a prendere la sigaretta, me la misi tra le labbra e mi abbassai velocemente pantaloni e mutande fino al ginocchio, come avevo fatto la sera precedente. Raffaele mi sbuffò in faccia tutto il fumo che aveva nei polmoni. "Quel pompino che mi hai fatto ieri sera, Lorenzo, mi ha incasinato tutto e tu capisci perché, non è vero?" Mi prese le palle con una mano facendomi sobbalzare. Il piccolo bagno si riempì subito del fumo delle due sigarette. Io cercavo di tossicchiare il più discretamente possibile, ma questo non m'impediva di sentire la mano di Raffaele stringermi le palle e l'uccello muoversi liberamente nell'aria, duro come non mai. Il fumo e l'odore forte di Raffaele erano una miscela pericolosa per me. Lui fumava la sigaretta con lunghe tirate che poi esalava lentamente e, tra una carezza e l'altra, ogni tanto mi stringeva più forte le palle, come se fosse incazzato con me. Io sospirai, fu quasi un lamento che generò una stretta più potente, chiusi gli occhi, strinsi i denti e cercai di sopportare il dolore, il disagio, cercando di stare sempre sull'attenti, a sua disposizione. Quando riaprii gli occhi, lui mi stava fissando, esalò lentamente l'ultima boccata di fumo attraverso le narici. "Che vuoi farne di quella sigaretta, Lorenzo? Pensi di fumarla, oppure solo di tenerla tra le dita?" chiese lui facendo un'altra tirata "Mettiti la sigaretta in bocca" ordinò ed io lo feci "girati adesso e reggiti al lavandino" ma prima che lo facessi mi fermò mettendomi una mano sulla spalla "prima sfila una gamba dei pantaloni, così puoi allargare bene le gambe." E mentre io mi affrettavo a ubbidire, lui si abbassò la cerniera della tuta tirando fuori il grosso uccello, duro come il mio. Me lo fece scivolare tra le chiappe e questo mi fece arrapare ancora di più, per l'attesa di quello che sarebbe accaduto tra un momento. Feci una lunga boccata della sigaretta che adesso tenevo tra i denti. Cercavo disperatamente di non inalare il fumo, aspiravo ed emettevo nuvolette di fumo da un angolo della bocca. Ogni tanto tossicchiavo, cercando di fare meno rumore possibile. "Ti muovi troppo, hai bisogno di un po' di disciplina" fece allora Raffaele spazientito"non fai mai come ti dico. Hai bisogno di essere sculacciato spesso per comportarti bene. Sei d'accordo, Lorenzo?" "Si, Raffaele!" dissi io istintivamente, cioè senza pensarci troppo. "Sei pronto?" "Si, signore!" Mi dette una sculacciata fortissima, mentre io cercavo di sollevare il più possibile il culo, anche alzandomi sulle punte. Quella sculacciata mi colse di sorpresa e gridai. Il fumo della sigaretta mi andò in gola e cominciai a tossire. Lui mi sculacciò altre cinque o sei volte. Il sedere mi bruciava, ma il mio uccello diventava sempre più duro. La sigaretta mi cadde nel lavandino. Forse è una cosa da pazzi, ma anche con la severità che lui stava usando in quel gabinetto, le sculacciate e tutto, in quel momento lo ammiravo con tutto me stesso, per come mi stava trattando. Lui sapeva quello che stava facendo, ne ero certo, e sapevo che era per il mio bene. Era giusto, necessario, che fosse severo con me, in modo che io diventassi più forte. E poi lui frequentava quell'istituto privato, una specie di caserma, in cui era addestrato a essere energico e anche rigoroso con quelli come me. Sapeva quello che faceva, ma ero anche contento che per il momento avesse smesso di sculacciarmi. Per quello che riguardava l'inculata, anche a quattordici anni capivo che era una cosa umiliante, ma l'altra volta mi aveva regalato sensazioni incredibili e non pensavo proprio all'umiliazione che mi avrebbe inflitto ancora. Raffaele lanciò la sua sigaretta nel cesso, io avevo chinato la testa dentro il lavandino, con le mani strette ai bordi. Lo sentii accarezzarmi il collo e la nuca. "Mi piacciono i tuoi capelli" disse e dal tono capii che sorrideva "lo sai che hai un bel corpo, Lorenzo?" Mi fece davvero piacere che me lo dicesse, anche se il culetto mi bruciava. Mi accarezzò le natiche e mi sculacciò, una carezza e una sculacciata. Fece così per quattro, cinque volte, non le contai, ma sapevo di avere il culo in fiamme. Poi lo sentii armeggiare con la mano destra, si mosse nello spacco cercandomi il buco. Lo trovò e spinse infilando una falange. Mi fece male ed io mi lamentai. "Non riesci a sopportare il dolore, Lorenzo. Che farai quando ti farò davvero male?" Rabbrividii a quel pensiero, ma l'uccello mi diventò più duro. Mi mise sotto il naso il dito che aveva infilato nel culo. Capii che era quello perché l'odore era inconfondibile. "Bagnalo" ordinò ed io lo feci immediatamente, senza pensarci, anche se il sapore era orribile In bocca. Me lo rinfilò nel culo, tutto dentro fino alle nocche, lo tirò fuori e spinse ancora. Dai rumori e dai movimenti che fece capii che si stava bagnando l'uccello di saliva. "Adesso cerca di sollevare questa cazzo di fichetta. Ricordati sempre che io sono più alto di te e che la devi alzare il più possibile. Quello che faccio per te è una cosa eccezionale. Ti educo, di correggo e tu ancora non riesci a capirlo" e mi dette altre due sculacciate, se possibile più forti di prima. Mi strinse i fianchi poi, senza altre esitazioni, appoggiò la punta della cappella sul buco e spinse. Mi fu subito dentro di un paio di centimetri. Cercai di reggermi come potevo al lavandino, perché questa volta il dolore fu forte. Per fortuna il suo uccello era bagnato quando aveva cominciato a spingere. Questo aveva aiutato, ma non mi aveva impedito di avvertire un bruciore orribile e di sentirmi completamente aperto. Centimetro dopo centimetro me lo infilò tutto, fino a che sentii le palle e i peli contro il culo, poi lo tirò fuori, lasciando dentro solo la cappella. Ci mise un minuto a rinfilarlo ed io sospirai e farfugliai a ogni movimento, ma non piansi. Il mio obiettivo era che lui dopo mi elogiasse. Volevo solo compiacerlo. "Si, Raffaele, tu sei il maschio" lo sentii borbottare "cazzo, scopala forte questa troietta, scopala forte, rompigli il culo" diceva ad ogni colpo che mi dava. Questo fu quello che capii, ma disse anche altro che non ricordo, parolacce sporche che non compresi. Pensai che stesse incoraggiando se stesso e me a fare un buon lavoro. Dopo tutto il nostro obiettivo comune era di correggere, il mio comportamento deviato, sanare il guaio che avevo combinato a entrambi facendogli quel pompino o qualcosa del genere. Quella scopata mi faceva male e finalmente mi scappò un lamento dalle labbra. Raffaele non disse niente, invece si fermò per un momento e mi sculacciò forte su una natica. E quello mi fece ancora più male. Non potevo credere che una sculacciata potesse procurare tanta sofferenza. Strinsi i denti e riuscii a non lamentarmi più, ripresi a fare brevi respiri attraverso il naso per cercare di controllare il dolore e la respirazione. Mentre ce l'aveva tutto dentro, lo tirò fuori improvvisamente e poi me lo infilò daccapo, tutto d'un colpo. Entrambi i movimenti furono veramente dolorosi, ma riuscii a controllarmi ancora. I colpi successivi furono più semplici da sopportare, forse perché mi stavo adattando all'intrusione. I suoi movimenti si fecero regolari, andava dentro e fuori di una quindicina di centimetri e la cosa cominciò a piacermi. Dovetti stringere i denti un'altra volta e non per sopprimere i lamenti, ma per non emettere sospiri di piacere. Le sensazioni nel culo, in tutto il mio corpo, nell'uccello, nelle palle, ovunque, diventarono ad ogni botta più piacevoli. Lui mi teneva fermo per le spalle, con entrambe le mani, per fare più forza e potermi infilare di più e meglio. M'inculava sbattendomi con potenza, schiacciando ritmicamente il pube contro le natiche. Il rumore era lo stesso della sera prima ed io stavo sbuffando un'altra volta a ogni colpo che mi dava. Era fantastico. "Si, Raffaele" borbottavo, accompagnando i suoi movimenti "si, Raffaele, si Raffaele." Ad un certo punto si bloccò, quasi cadendomi addosso, poi cominciò a darmi una serie di furiosi, brevi colpi contro il culo e dopo poco gli sfuggì una specie di urlo soffocato. La sborra cominciò a uscirgli, riempiendomi il culo e scivolando verso il basso, fino a colarmi lungo le cosce. Avevo capito che sborrava tanto, ma tanto più di me. Raffaele faceva suoni soffocati con la bocca e pensai che cercasse di essere meno rumoroso possibile, perché eravamo nel bagno dell'officina e dall'altra parte della porta poteva essere arrivato qualcuno. Si calmò e riprese a pomparmi il culo con movimenti più calmi. L'unico suono che si sentiva era il rumore liquido della sua sborra dentro il mio culo, mentre lui faceva scorrere il suo grosso cazzo dentro e fuori. Quel rumore che nasceva dentro di me, la sensazione dei suoi movimenti che ormai non mi facevano più male, mi mandarono in estasi e sborrai anch'io un fiume di sperma, anche se non quanto lui. Ma me ne uscì tanto che pareva pisciata, solo che era sborra e fu terribilmente eccitante. Come l'altra volta, mi bruciava la punta del pisello per quanto ero eccitato. I miei schizzi finirono direttamente sul coperchio alzato del cesso e cominciarono a scivolare verso il basso. Quella fu la più erotica sensazione che avessi mai provato e non riuscii a sopprimere una serie di sospiri e squittii che risultarono troppo rumorosi. "Abbassa la voce, cazzo!" bisbigliò Raffaele, dandomi un'altra forte sculacciata come a sottolineare il suo pensiero. La sculacciata produsse ancora più rumore, ma non glielo feci notare. Piagnucolai quietamente per il dolore al culo e non potetti non pensare che anche lui sborrando aveva strillato a voce non meno alta. La sborra di Raffaele mi stava colando all'interno delle cosce e sentivo caldo, in particolare al culo, forse per le sculacciate che avevo ricevuto, mi bruciava anche il buco, ma ero lo stesso contento per aver goduto così tanto e anche perché Raffaele mi aveva fatto suo un'altra volta. "Cerca di comportarti da uomo quando ti sculaccio, Lorenzo" mi sussurrò Raffaele "non devi fiatare e se proprio devi parlare, cerca di tenere sempre la voce bassa, capisci?" e fece una pausa aspettando la mia conferma. "Si, Raffaele!" "A parte queste due cose, per il resto ti sei comportato bene anche questa volta. Ci eserciteremo ancora!" "Grazie, Raffaele. E scusami se ho gridato, ma per favore, non mi sculacciare più, ti prometto che starò zitto." Mi parve che sogghignasse, ma di sicuro mi dette un altro schiaffo sulla coscia che mi fece sobbalzare per il dolore. Vidi le stelle, ma non mi sfuggì un lamento. Quelle sculacciate mi fecero perdere lo stupore dell'orgasmo, ma servirono a ricordarmi che le scopate erano per suo beneficio e non mio e che era giusto che lui mi punisse. Le sculacciate servivano anche a non farmi provare troppo piacere quando lui m'inculava. Raffaele sapeva quello che faceva, ripetei a me stesso, mi stava allenando, istruendo a non provare piacere come un finocchio, mentre un altro maschio m'inculava. Questo pensiero me lo fece ammirare ancora di più. Capire perché mi sculacciava, era tutto a mio beneficio. E in tutto questo, se riuscivo a capire queste cose, forse stavo anche maturando. Questo è un altro esempio di quanto ero coglione a quattordici anni. La sborra mi colava fuori e Raffaele mi sedette di forza sul cesso. "Sforzati" mi disse "vedi di farla uscire tutta, così non la coli da dietro fino a casa tua." Lo guardai inorridito. "Da dove la fai la cacca, eh?" Abbassai la testa, diventai tutto rosso. Stavo per piangere, la vergogna che provavo era insopportabile. "Se non mi fai vedere che cachi tutta la sborra che ti ho pompato nel culo, prima di farti uscire, ti infilo un tappo di sughero. Vado a prenderlo in officina!" e fece per aprire la porta. "No, no, Raffaele, ti prego, adesso ci provo!" Allargai le gambe e mi sforzai. Il bruciore che provai fu terribile, ma alla fine, dopo qualche scorreggia che mi umiliò ancora di più, sentimmo il rumore liquido della sborra che cadeva nel cesso. Mi sforzai e piansi per il bruciore e per la vergogna, mentre lui mi accarezzava la testa, incoraggiandomi, alla fine mi porse un pezzo di carta igienica e mi pulii. Mi baciò sulla fronte prima che mi alzassi. Ed io fui orgoglioso anche delle mie scorregge. Ci rivestimmo velocemente senza più parlare. Raffaele pareva stanco e lo capivo con tutta la sborra che mi aveva schizzato nel culo. Non credo di averne mai fatta tanta, anche a sedici anni. Quel giorno ero stanco anch'io, probabilmente a causa di tutte le emozioni che avevo provato. Essere scopati da Raffaele, subire i suoi modi dominanti, era una fatica emotiva, oltre che fisica. "Lo sai che mi stanca istruirti ed è uno spreco che io debba sottrarre tempo al lavoro per farti un favore, ma ho promesso di rimettere tutto a posto fra noi due e lo farò. E se sono un po' troppo duro con te qualche volta, Lorenzo, lo faccio per il tuo bene e per fare tutto prima possibile. Capisci?" "Si, signore, cioè, si, Raffaele!" "Adesso vai a prendere la bicicletta e vedi di non metterci più di un quarto d'ora. Altrimenti ti sculaccio un'altra volta." Mi avviai verso casa e, mentre correvo, mi sentivo le natiche appiccicose e riuscivo perfino a distinguere il rumore viscido che facevo camminando. Era un'illusione, perché mi ero asciugato con la carta igienica. Appena a casa, per sicurezza, corsi a cambiarmi le mutande. Feci in tempo a tornare in un quarto d'ora con la bicicletta, come mi aveva ordinato lui. Raffaele si mise subito al lavoro con me che lo assistevo porgendogli gli attrezzi quando servivano. In un'oretta me la riparò e così me ne tornai tutto contento, salvo che stare seduto su quella sella era un po' una sofferenza, perché il mio sedere era molto sensibile, a causa dell'inculata e delle sculacciate. Ripensando a quei giorni, a quei momenti, ricordo che proprio tutto mi sembrava meraviglioso, importante, soprattutto quelle cose di sesso che mi parevano così mature, adulte. Poi avevo riavuto la mia bicicletta, riparata senza spendere un soldo e presto sarei diventato vice caposquadriglia, perché ero il `progetto personale' di Raffaele, come aveva detto lui. Ero il suo ragazzo. Tutto era perfetto per me quattordicenne e il merito era di Raffaele. Ne ero semplicemente rapito, amavo essere dominato da lui, adoravo il suo odore e mi piaceva ancor di più sentirlo su di me. Decisi che non mi sarei lavato per qualche giorno pur di conservarlo. Guardandomi nello specchio del bagno mi resi conto che quello che restava de miei capelli era tagliato in modo abbastanza simile a quelli di Raffaele. Io avevo gli occhi marroni e non blu, se solo ci fosse stato un modo di scheggiarmi l'incisivo. Non sarebbe stato bello, io e lui con lo stesso dente scalfito? Pensare a Raffaele mi fece sperare di essere già a lunedì sera, alla riunione degli scout, la mia prima riunione come suo vice. E pensavo anche a quello che sarebbe accaduto dopo la riunione, che Raffaele avrebbe ritenuto di dover fare per il nostro progetto. Il mio uccello si mosse. Prima la disciplina e poi l'inculata. Provai a imitare il sorriso un po' obliquo di Raffaele, mentre pensavo ai miei compagni che sarebbero rimasti semplici scout, a come sarebbero stati gelosi della mia promozione. Il lunedì sera, in apertura della riunione, Raffaele fu di parola e davanti a tutti mi nominò suo vice. La riunione era ufficiale, cioè eravamo tutti in divisa, e Raffaele ne approfittò per spiegare a tutti come andava indossata. Ovviamente prima della riunione si era assicurato che la mia fosse perfettamente in ordine. Dopo la mia nomina, quindi, mi fece mettere sull'attenti davanti a tutti e indicando con un righello ogni particolare, spiegò come voleva che ci vestissimo, come dovevamo infilare la camicia nei pantaloni e a che altezza andavano i pantaloni e un'altra dozzina di particolari. Mentre parlava mi toccò più volte col righello la patta, facendo ridacchiare gli altri. Io sentii anche qualche commento, finché Raffaele non minacciò di farci fare cinque giri di palazzo. Infine indicò il mio taglio di capelli, spiegando come desiderava che tutti portassimo i capelli e quale fosse la giusta lunghezza per un bravo scout. Parlando mi lisciò i capelli con le dita, abbassandomi la cresta, ma quella ritornò dove voleva stare e Raffaele fece la faccia disgustata. Verso la fine della riunione spiegò il modo con cui dovevamo rivolgerci a lui e agli altri capi. Mi fece dire un sacco di volte `si, signore', sempre stando sull'attenti. Qualcuno ridacchiò o borbottò, ma senza conseguenze. Raffaele li mandò tutti a casa e mi spiegò che non capiva perché ci fossero stati quei commenti alla fine. A me era abbastanza chiaro, ma non mi parve opportuno spiegarglielo, perché, anche se gli altri della squadriglia non sapevano che Raffaele era il migliore, per me lui lo era, in assoluto. Ce ne andammo nella cambusa, lui si sedette alla piccola scrivania e cominciò a elencarmi una serie di compiti che avrei svolto in futuro. Non era niente di speciale, dovevo controllare che la sede fosse pulita e a posto prima e dopo la riunione, dovevo arrivare sempre prima degli altri, anche prima di lui. Certe volte era così pomposo quando dava istruzioni, tanto che qualcuno avrebbe potuto credere che fosse un po' stronzo, ma era proprio quel comportamento arrogante ad eccitarmi e farmelo venire duro. Durante le riunioni mi chiedeva di fargli piccoli servizi, che io eseguivo immediatamente, ma che producevano commenti e sorrisini tra i miei amici. A me non poteva importare di meno, perché amavo tutto quello che aveva a che fare con lui, anche andargli a prendere un fazzoletto dalla tasca della giacca, oppure allacciargli una scarpa, mentre lui parlava. E amavo di più tutto quello che ci coinvolgeva, me assieme a lui, quando eravamo soli. Non lo amavo in senso romantico, questo no, perché non l'avrei capito. Per me era il mio capo che avrei seguito dappertutto. Lo rispettavo e onoravo il suo ruolo con il mio rispetto. Dopo un paio di riunioni avevo assunto un atteggiamento che, adesso capisco, era molto servile nei suoi confronti. A ogni suo ordine abbassavo la testa, anche perché mi piaceva l'idea di essere sempre e comunque ubbidiente, qualunque cosa mi avesse chiesto di fare. Lui considerava con molta severità il mio aspetto e pretendeva che la mia divisa fosse sempre perfettamente stirata. Naturalmente la complessità dei miei compiti e i particolari del mio comportamento continuarono a evolversi a ogni riunione. Inizialmente Raffaele mi affidava compiti che mi facevamo pensare che stesse solo provando la mia capacità di eseguirli e la mia lealtà nei suoi confronti. Una sera, dopo aver elencato i miei compiti futuri, mi sorvegliò mentre mettevo a posto il materiale. Quando ebbi finito, oltre a noi non c'era più nessuno ed io andai davanti a lui e mi misi sull'attenti, proprio come mi aveva detto di fare. Lui si alzò e mi girò attorno, senza togliermi gli occhi di dosso. "Stai così" disse e continuò a fissarmi, mentre già cominciavo a preoccuparmi "adesso controllo quello che hai fatto e come lo hai fatto. D'ora in poi, quando avrai finito, ti presenterai a me e a un mio cenno ti abbasserai pantaloni e mutande e ti metterai piegato sulla scrivania, finché io non avrò controllato il tuo lavoro." Io rimasi là immobile sull'attenti, eccitato all'idea di quello che comunque stava per accadere. "Che aspetti?" fece lui già infastidito. Mi affrettai a ubbidire, abbassatomi velocemente pantaloni e mutande, mi misi con i gomiti sulla scrivania, la testa tra le mani e il culo all'aria in attesa delle sculacciate che sarebbero certamente arrivate. Il mio uccello era già duro e in attesa fiduciosa. Quando tornò aveva un'espressione severa e un po' incazzata, mi mise la mano sinistra sulle reni per tenermi fermo contro la scrivania e con la destra cominciò a sculacciarmi. Erano colpi forti e mirati a una natica e all'altra, alternati con una sculacciata più forte mollata al centro. E poi ripeteva il ciclo di colpi dati con la mano aperta, con l'intenzione di fare male, che mi fecero subito piangere e lamentarmi, pregandolo di smettere, finché non cercai di fermarlo mettendo una mano dietro. Mi bloccò il braccio, me lo piegò dolorosamente, poi si appoggiò su di me in modo che la mia fronte premesse sul ripiano polveroso della scrivania. Le sculacciate che seguirono furono ancora più forti e dolorose. Ero riuscito a spostare un po' la testa in modo da poter sbirciare dietro di me e guardare Raffaele con il mio occhio sinistro. Il davanti dei suoi pantaloni rivelava l'uccello duro che spesso mi sfiorava il fianco sinistro. "Adesso rivestiti" disse dopo avermene date ancora per un paio di minuti "ti ho sculacciato, perché hai combinato una gran confusione negli armadi." Avevo le guance tutte bagnate di lacrime, mentre assentivo distrattamente al suo rimprovero. Non ero incazzato con lui, come sarebbe stato chiunque altro dei miei amici. Ce l'avevo con me stesso per averlo deluso. Raffaele notò le mie lacrime e scosse la testa in disapprovazione. "Io non voglio farti male, Lorenzo" disse "non se non sono costretto. Le sculacciate bruciano, ma considerale una punizione alternativa a fare i giri di palazzo. Capisci?" Io feci di si con la testa e dissi: "Si, signore, Raffaele!" e tirai su con il naso, lui sorrise. "Tu mi piaci, Lorenzo, mi piaci davvero." Fece un'espressione strana, come se quelle parole avessero sorpreso anche lui. Per conto mio gli fui quasi grato di avermi sculacciato. "Vai nel bagno e sciacquati la faccia" disse cambiando completamente tono ed espressione "Hai del muco sul labbro superiore. Spogliati completamente e mettiti sull'attenti, verrò a incularti fra un po'. Stasera non abbiamo più niente da dirci, tranne che sono molto deluso per come ti sei comportato." Me ne andai piangendo e strascicando i piedi per quello che mi aveva appena detto. Mi fece aspettare dieci minuti nel bagno, nudo e sull'attenti, poi finalmente la porta si aprì ed entrò lui con la sigaretta tra le labbra. Senza una parola, mi voltò e mi abbassò contro il solito pisciatoio. Sentii il rumore della cerniera che scendeva e poi la punta del suo uccello che mi premeva contro il buco. Me lo infilò a forza, anche se sono convinto che non volesse farmi male, comunque spinse e si ritrasse, finché la cappella non scivolò dentro e poi entrò tutto il resto, sfruttando quel poco di sudore che avevo tra le natiche e il liquido che lui aveva sulla punta. Bruciava da morire, ma lui mi afferrò per i fianchi e cominciò a scoparmi. Il suo odore e il fumo della sigaretta flottavano attorno a noi in ugual misura, ma quella sera non riuscivo a godermi quelle sensazioni, perché ogni volta che il suo pube mi colpiva le natiche me le sentivo bruciare per le sculacciate che avevo avuto. E dentro al buco sentivo il suo uccello raschiarmi qualcosa. Solo dopo un certo numero di colpi questa sensazione fu sostituita da una di puro piacere e assecondai i movimenti che faceva dentro di me, fino al suo violento orgasmo, seguito subito dal mio. Sborrai lanciando il mio sperma contro il pisciatoio, urlando come una troia in calore. "Rivestiti e vieni fuori, ti aspetto. Ci fumiamo una sigaretta e parliamo di una cosa che devo dirti." Quando fummo fuori, lui era un'altra volta del suo umore migliore. Fumammo due sigarette ciascuno, mentre lui mi spiegava il motivo della mia punizione e di come mi aveva trattato in generale e soprattutto di come tutto questo avrebbe portato un grande beneficio alla mia educazione. In quel momento e nel modo in cui la stava mettendo, a me sembrò che tutto avesse un senso, ma la vera ragione di quella chiacchierata era che voleva darmi indicazioni su come raggiungere casa sua. "Questo mi consentirà di sottoporti a un nuovo addestramento e dio sa se non ne hai bisogno, Lorenzo. Tutte le sere in cui non abbiamo riunione, verrai a casa mia e aspetterai nel portone, alle sei e mezza in punto" così disse e mi soffiò una boccata di fumo in faccia, mi fissò e mi afferrò uccello e palle stringendomi tra le gambe. Mi stava sorridendo ed io non sentivo dolore, solo un senso di disagio che fu subito sostituito da una specie di eccitazione, perché lui mi stava toccando. "Verrai, Lorenzo?" disse stringendo la sigaretta tra le labbra. "Si-i... si, Raffaele, si-signore, i-io" balbettai io "ho detto giusto Raffaele? Non siamo dentro, siamo fuori ed io ho detto sia Raffaele sia signore." Lui mi rassicurò con un sorriso e una carezza sulla testa ed io mi compiacqui con me stesso. Ci incamminammo verso casa, tutti e due contenti. Anche il mio sedere stava meglio, poi Raffaele mi bloccò il collo un'altra volta costringendomi a camminare piegato. Quello era evidentemente l'unico suo modo per dimostrarmi affetto, credo. Arrivammo al punto in cui le nostre strade si dividevano, era una zona poco frequentata e non c'era proprio nessuno per strada, perciò gli parve normale mettermi la mano sul culo e stringermi le chiappe. Io ero ancora un po' sensibile da quelle parti, ma riuscii a non irrigidirmi e non mossi un muscolo per non indispettirlo. Il suo odore era forte, tenendomi il braccio attorno al collo fui avvolto da ondate del suo effluvio che mi affrettai a inalare. Quando ci dividemmo, camminando da solo ero tutto eccitato all'idea di andare a casa di Raffaele già la sera dopo e non feci altro che ripetermi il suo indirizzo nella mente, cercando mi memorizzarlo. L'indomani, alle sei e mezza, ero davanti a casa sua. Abitava in una palazzina piuttosto vecchia, ma in buono stato. Appoggiai la bicicletta al muro e per prima cosa aprii il pacchetto di sigarette che avevo comprato venendo e mi accesi la mia prima sigaretta da solo. "Dammene una, Lorenzo. Ho lasciato le mie nella tuta in officina" fece lui scendendo le scale. Presi la sigaretta dal pacchetto e gliela porsi. Mentre gliel'accendevo, pensai che adesso eravamo davvero amici, compagni di sigarette. Lo guardai e notai che aveva i capelli ancora bagnati. Era appena uscito dalla doccia ed era per questo che non avevo ancora colto il suo odore. E questo m'indispettì un poco. Raffaele fece una lunga tirata. "Stasera i miei genitori non escono, perciò lavoreremo nello scantinato." Si diresse verso una porta che era in fondo al portone. Entrammo in una specie di corridoio con diverse altre porte. Raffaele raggiunse la penultima in fondo e la aprì con una chiave che tirò fuori dalla tasca. Era una specie di ripostiglio in cui tutto era assolutamente pulito e in ordine, con un bancone da lavoro che occupava tutta la parete cui erano appesi diversi attrezzi, dall'altra parte c'erano alcuni scatoloni accatastati e niente di più. Non si vedeva un granello di polvere, quel posto era assolutamente ciò che ci si poteva aspettare da uno come Raffaele. La luce morbida del tardo pomeriggio filtrava dai finestrini che c'erano in alto su una delle pareti. "Spogliati nudo e siediti sul banco da lavoro" ordinò lui ed io ubbidii togliendomi velocemente i vestiti e saltando sul ripiano. Poi mi prese la gamba destra per il polpaccio e me lo annusò. "Questo è un modo per dimostrare fiducia verso una persona, mostrandogli che sei disponibile a fare tutto per lui e a ricevere tutto" e, sollevando la gamba dal tallone, pressò la faccia contro la pianta del piede. Quel movimento mi costrinse a spostarmi indietro, fino ad appoggiare la spalla al muro e a reggermi sui gomiti. Niente avrebbe potuto sorprendermi di più, che Raffaele si mettesse in faccia la pianta sudata del mio piede. Restò così per qualche secondo, poi strofinò il naso contro l'arco del piede per un paio di volte prima di allontanarlo. "Questo è un esempio di quello che può fare un capo per il suo uomo" disse lui con il tono saccente che usava quando voleva insegnarmi qualcosa. Avevo gli occhi spalancati, non credendo a quello che vedevo. "Eh?" feci quasi istintivamente. Lui allora mi fissò e stringendomi forte la gamba al polpaccio, mi dette uno schiaffo sulla coscia, lasciando la traccia delle cinque dita. "Eh? Tu dici `eh?' A me?" "Ahi! Si, cioè, scusami, si, Raffaele, cioè mi dispiace, Raffaele!" Sempre usando il suo tono pedante mi raccontò di una guerra in cui faceva così freddo che i soldati di fanteria dovevano mettere le mani sotto le ascelle dei compagni e i piedi in mezzo alle gambe per evitare che si congelassero. Lui non ricordava se fosse stata la prima o la seconda guerra mondiale, io sapevo che era accaduto durante la campagna di Russia nella seconda guerra mondiale, ma non glielo dissi. "Lo sto facendo con te per darti un esempio di quello che un giorno potresti dover fare per un tuo compagno. Non sappiamo cosa ci porterà il futuro." Riprese ad annusarmi il piede e, incredibilmente, me lo leccò, arrivando a succhiarmi le dita, a una a una poi si spostò lungo la gamba, leccando e odorando, passando da una gamba all'altra e salendo fino alle cosce. Tutto durò tre o quattro minuti, mentre io lo guardavo incredulo. Alla fine mi sfiorò l'inguine, annusandomi la punta dell'uccello. "Tu lo farai a me, quando saremo tranquilli nella mia camera e potremo usare il letto. Quando toccherà a te, anch'io sarò nudo e tu potrai succhiarmi l'uccello, proprio come facesti la prima volta. Sarà una specie di, come dire, ricompensa per esserti comportato così bene nel programma di addestramento. Cosa mi dici di tutto questo?" Stavo per dire un altro `eh!', ma mi bloccai perché non volevo che mi desse un altro schiaffo. "Si, Raffaele" dissi invece, anche se non riuscivo a comprendere questa incredibile attività. Per non dire che lui considerava un premio per me il fatto di farmi succhiare il suo uccello. Come poteva essere giunto a quella conclusione? Forse ero troppo giovane per capire, forse era una cosa che facevano quelli più grandi. Quello che volevo, comunque, era di fare contento Raffaele e provargli che anche un quattordicenne era in grado mantenere il passo dei suoi pensieri e comprendere i suoi insegnamenti, perciò non gli chiesi di spiegarmi il suo modo di fare bizzarro. Consideravo un premio qualunque cosa facesse con me e per me. "Scendi per terra, adesso viene la parte più difficile, ma tu stai attento, così ti sarà più facile ricordare come deve essere fatto!" Ubbidii e lui mi abbracciò. Il mio uccello era già duro ebbe come un guizzo e per un momento credetti di avere sborrato, tanto che mi toccai la punta con la paura di sentirla bagnata. Infastidito dal mio movimento, Raffaele mi dette due sculacciate con la mano che mi teneva sul fianco. "Se non stai fermo, ne avrai molte di più di quelle che prenderai prima che la serata sia finita!" La minaccia mi dette un'altra scossa all'uccello e questa volta stavo per sborrare davvero. Il suo abbraccio si tramutò in una stretta potente che mi face sospirare e poi quasi lamentarmi per il dolore e la paura di essere schiacciato da quelle braccia potenti. Poi Raffaele cominciò a leccarmi dovunque, sul collo, nelle orecchie, sul petto. Mi succhiò i capezzoli più volte, facendomi sospirare. Ero come avvolto in una nube di odore del suo sudore misto con quello della saliva che mi evaporava addosso. A un certo punto credetti che stesse cercando di mangiarmi, buona parte del mio corpo era madido di saliva. Se è vero che la prima parte della digestione avviene in bocca con la commistione del cibo con la saliva, pensai, per distrarmi, Raffaele si stava preparando a ingoiarmi. Sapevo un sacco di cose già allora, ma ero ugualmente un coglione. L'idea che lui mi volesse mangiare mi colpì violentemente. Nel frattempo mi si era inginocchiato davanti e mi stava leccando i peli del pube, tenendo il mio uccello in mano, per scostarlo e non doverlo toccare con la bocca. Adesso so tutto di eros e thanatos, del desiderio di cibarsi del proprio partner, di tutte quelle stronzate sulle pulsioni messe insieme da Freud, ma quel giorno l'idea di poter essere io stesso il cibo di Raffaele, mi parve l'ovvia sconvolgente conclusione della nostra serata. Chiusi gli occhi e mi vidi avvolto in un bozzolo, ridotto a cibo per la crisalide. Conoscevo anche la biologia. Il desiderio mi sopraffece e, prima che me ne rendessi conto, stavo sborrando schizzando di seme la mano e anche il mento di Raffaele. Mi si piegarono le ginocchia. L'orgasmo era stato travolgente. Raffaele mi sorresse, poi si alzò e senza dire una parola mi porse la mano sporca di sborra. Come in trance la leccai, poi abbassò la testa avvicinandomi il mento alle labbra e leccai anche quello, ripulendolo per bene. Lo stavo quasi baciando e questo bastò a darmi nuovi motivi di eccitazione, la mia erezione non si ritirò, l'uccello era sempre duro, anche se gocciolante di sborra. "C'è tanto lavoro da fare con te" disse Raffaele, con un tono che se non fosse stato per l'evidente eccitazione che rivelava, sarebbe stato sconsolato. A quel punto sapevo quello che mi aspettava e infatti Raffaele mi fece voltare e abbassare contro il banco da lavoro, con una guancia schiacciata contro il ripiano, poi mi accarezzò il culo. Sapevo che mi avrebbe punito e mi preparavo ad essere sculacciato, lui invece si era inginocchiato un'altra volta e mi stava leccando il culo. "Tu mi farai anche questo che è un altro modo per dimostrare fiducia verso una persona, fargli vedere che sei disposto a fare proprio tutto per lui!" disse, poi mi allargò i glutei e sentii il suo naso contro il buco. Ero inorridito, emozionato, eccitato. Mi stava leccando il buco, quello della cacca. Poi si alzò, con la coda dell'occhio vidi che apriva un cassetto del bancone, prese qualcosa e un momento dopo il culo mi esplose di dolore. Feci per alzarmi, per guardare, ma lui mi tenne abbassato e mi dette un'altra frustata e un'altra ancora. A quel punto stavo già gridando per il dolore. "Mi hai sborrato in faccia, lo capisci?" disse lui con quella voce calma che mi spaventava tanto. "Mi dispiace..." Me ne dette dieci in tutto e mi fecero molto male. Piansi per tutto il tempo, gridando i miei `ahi' ad ogni colpo, ma lui non mi permise di muovermi, finché non ebbe finito. Quando mi sollevai, mentre Raffaele mi accarezzava il culo e me lo massaggiava dolcemente, vidi che mi aveva colpito con una striscia di cuoio nera, di quelle usate dai barbieri per affilare i rasoi. Chissà com'era finita in quello scantinato, mi chiesi, incongruamente. Il mio culo intanto era tutto rosso, di un rosso così vivo che pareva dipinto. Quei dieci minuti furono i più strani, inaspettati minuti della mia vita fino ad allora. L'uccello di Raffaele tendeva con molta evidenza il davanti dei suoi pantaloni e non capivo perché non se lo aggiustasse, pareva che avesse dentro un paletto da tenda. Mi accarezzò l'uccello che era sempre inspiegabilmente duro e poi un'altra volta il culo, io aspettavo l'ordine di girarmi per l'inculata, lui invece non la smetteva di accarezzarmi, poi si tirò fuori l'uccello e me lo mise in mezzo alle gambe, come se avessi avuto una fica e volesse scoparmi. Con mio grande dispiacere, pensai, non avevo buchi utili davanti. Il mio uccello finì di lato quando lui mi strinse e cominciò scoparmi, mettendomi le mani sul culo, facendomi trasalire per il dolore. Come posizione era abbastanza erotica, ma sfortunatamente il mio uccello non partecipava alla festa. Era scivolato fuori dai nostri due corpi ed io non osavo rimetterlo in mezzo, anche perché Raffaele era tutto preso e forse stava per sborrare. Accadde in pochissimo tempo, venne, schizzando dietro di me, chissà dove, neppure bagnandomi, perché il suo uccello era abbastanza lungo da passarmi tra le gambe e uscire dall'altra parte. Quando si calmò, mi posò la testa nell'incavo del collo e, chissà perché, mi aspettavo che mi baciasse, ma non lo fece. E a me, che ero proprio stupido, venne quasi da piangere. Quando tornò a respirare regolarmente,mi ordinò di rivestirmi e di andarmene. Era esausto. Ovviamente nulla che facesse Raffaele poteva sembrare sbagliato ai miei occhi di allora, anche se quella sera ero parecchio confuso da quello che era accaduto. Arrivato a casa corsi in bagno e controllai lo stato del mio culo. Era arrossato e dolorante. Forse il fatto che non mi avesse inculato era positivo, anche se il mio uccello la pensava in modo diverso. Mi masturbai con furia, ma quello che feci non fu minimamente soddisfacente, rispetto quello che avrebbe potuto farmi Raffaele, se l'avesse voluto. La riunione successiva andò meglio, perché non fui al centro dell'attenzione. Alla fine, fortunatamente, Raffaele non si scordò di incularmi. Temevo che non fosse più previsto dal mio addestramento, ma non era così. Lo facemmo nel gabinetto, con me nudo e a quattro zampe. Disse che lo stavamo imitando il modo con cui si accoppiavano i cani. Per me era la prima volta e diventò la mia posizione favorita. Questa volta Raffaele mi sputò abbondantemente sul buco, prima di infilarmelo. "L'ultima volta mi sono quasi raschiato l'uccello a incularti" spiegò "devo ricordarmi di portare un po' di vasellina la prossima volta per lubrificarti la fichetta, così va più liscia. Adesso alzala, Lorenzo, fallo per me. Bravo bambino, hai il culetto come una fichetta!" A gambe larghe Raffaele dovette accoccolarsi parecchio per mettersi all'altezza della mia fichetta, cioè del mio culo. Con me a quattro zampe, mi tenne per i fianchi per bloccarmi e per reggersi. Posò la punta della cappella sul buco e spinse infilandomi d'un colpo. E la cosa gli venne più facile dell'ultima volta. Sentivo il suo uccello dentro di me, poi improvvisamente sfiorò qualcosa là in fondo che mi fece rabbrividire e cominciai a sussurrare il suo nome, sempre più forte, finché non schizzai tanto lontano da colpirmi il mento con la sborra. Fu il migliore orgasmo della mia vita e la prima volta che sborrai prima di Raffaele che però mi seguì immediatamente strillando anche lui. Avevo visto letteralmente le stelle, mentre sborravo, gli occhi chiusi stretti e tutti i muscoli così contratti da farmi male, una sensazione meravigliosa. Dopo, mentre eravamo seduti fuori, fumammo e non parlammo del sesso che avevamo appena fatto. Prima che uscissimo Raffaele mi aveva fatto pulire tutta la sborra che avevo addosso e che avevo sparso sul pavimento. Mentre lo facevo lui si strofinava l'uccello con un'espressione compiaciuta. Dopo aver sborrato, quando lo aveva tirato fuori, mi aveva dato anche cinque o sei sculacciate che interpretai come giocose, anche se pungevano e facevano male come le altre. Ero piegato a cercare di pulire e la prima sculacciata mi sorprese, mi voltai a guardarlo, ma lui mi sorrise e sempre sorridendo me ne dette qualche altra. Lui mi sorrideva e che potevo fare io? Me le godetti e mi stava quasi tornando duro. Lui però si raddrizzò e tornò a strofinarsi l'uccello. Che era diventato lo stesso un po' duro. Durante la nostra seconda sigaretta mi disse che il giorno successivo voleva che andassi prima a casa sua. I genitori sarebbero stati fuori tutta la sera e avremmo avuto tutto il tempo di fare le nostre cose. Raffaele si era messo sulla panca a gambe incrociate, come gli indiani, ed io mi ero seduto accanto a lui cercando di assumere la stessa posizione. Non fu facile all'inizio, perché lui era più allenato di me, ma alla fine riuscii a incrociare la gambe piegando le ginocchia. E la difficoltà non proveniva solo dalla posizione, ma anche dal fatto che tenere la gambe così larghe mi causava un altro disagio. La sborra di Raffaele mi stava lentamente scivolando fuori dal buco, impiastricciandomi le natiche e soprattutto bagnando i pantaloni. Nonostante questo restai fermo dov'ero, perché mi pareva che essere scopato da Raffaele e poi sculacciato valesse qualche leggero inconveniente. E poi sedendogli vicino speravo che lui notasse il mio odore, ormai simile, almeno nei miei pensieri, al suo. Un odore che coltivavo evitando di farmi la doccia. Tutto questo mi faceva davvero sentire un piccolo `Raffaele', la sua versione minore, ma lui non lo stava certo notando. Feci dondolare le gambe in modo esagerato, sollevai le braccia quasi scoprendo le ascelle, sperando che il mio odore lo raggiungesse, ma Raffaele semplicemente ignorò tutti i miei sforzi. Era uno di quei suoi momenti di calma che duravano anche molti minuti. Attesi che mi dicesse che era ora di andare a casa. Per me stare con lui era sempre speciale. "Hai il culo bagnato" disse quando ci alzammo "domani ti devo mettere un tappo" aggiunse serio. Camminammo insieme fino al solito punto, poi ci dividemmo, Raffaele andò a sinistra, io a destra. TBC lennybruce55@gmail.com