Date: Wed, 23 Jan 2013 22:37:09 +0100 From: Lenny Bruce Subject: Storia di Niki e Mauro - Chapter 6 DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Nifty needs your donations to provide these wonderful stories: http://donate.nifty.org/donate.html Questo è il sesto dei dieci capitoli che compongono questo romanzo. Cap. 6 Le persone importanti Prima di partire per l'Italia, Niki volle recarsi per l'ultima volta a trovare Stephan. Avvicinandosi al luogo dove era sepolto il cugino, provò un dolore fisico. Sentì qualcosa prendergli il cuore e stringerlo. Gli parve che il petto sanguinasse, per quanto gli fece male, ma riuscì a trattenere le lacrime. Non voleva che Mauro tornasse a preoccuparsi: aveva visto comparire un'ombra sul suo viso, quando aveva chiesto di visitare la tomba di Stephan. Ma doveva andare in quel posto tanto triste e freddo, perché una parte del suo cuore non accettava ancora l'idea di quella morte. Non aveva ancora trovato la forza d'ammettere che non avrebbe più parlato con Stephan: voleva vedere quella tomba, sfiorare la pietra che la copriva, leggere il nome inciso e la data della morte, esserne certo. Sperava che questo l'aiutasse. Negli anni della loro separazione, quel ragazzino lontano era stato l'unico compagno, il suo amico fantastico. Con lui aveva costruito dialoghi immaginari ed aveva trascorso molte ore della sua solitudine. Quando era stato solo, ed accadeva quasi sempre, ogni volta che, tra sé, aveva comunicato con qualcuno, era stato con Stephan, con il ricordo che aveva di lui. Aveva abbandonato questa consuetudine solo quando Mauro era entrato nella sua vita, anche se Stephan aveva continuato ad essere sempre presente nei suoi pensieri. La desolazione di quel cimitero colpì anche Mauro. La neve s'era posata sul prato come un gigantesco lenzuolo ed era ammucchiata ai lati della strada che l'attraversava. Mauro notò che, così com'era, la disposizione della neve riusciva a dare la misura di quanto i tumuli fossero stati curati negli ultimi giorni: da alcuni non era stata smossa e sotto di essa si potevano soltanto indovinare le forme delle croci e delle lapidi; da altre era stata accuratamente spalata e le tombe mostravano le loro pietre pulite e lucide per il freddo. Sentì un nodo alla gola ed ebbe voglia di scappare da tutto quel gelo, ma c'era Niki che lo precedeva e cercava affannosamente il luogo in cui Stephan era sepolto. Fece uno sforzo per resistere all'impulso di fuggire e d'abbandonare anche Niki. Non era mai stato in un posto come quello. Era andato, qualche volta, al cimitero con suo padre, in novembre, per la festa dei morti, quando tutte le tombe erano pulite e addobbate e lo sfacelo della morte era un po' mitigato, come sviato, dai colori dei fiori, dalle fiammelle tremolanti dei lumini, dalla gente che si muoveva fra le tombe. Quella mattina di gennaio, in quel cimitero così estraneo alla sua esperienza, dove tutto era bianco, di gelo o di marmo, e la solitudine accresceva il silenzio, quasi nulla rompeva la desolazione della morte e della neve che la nascondeva. Sapere che sotto il manto bianco ci fossero i corpi di tante persone, la certezza del loro disfacimento, lo terrorizzò oltre ogni dire. Non potendo scappare, s'avvicinò di più a Niki: tanta era la paura che provava, che per un attimo credette di essere al buio, sebbene fosse solo mattina. Finalmente Niki trovò la tomba di Stephan, quasi nascosta dalla neve caduta negli ultimi giorni, e il disagio che già Mauro aveva provato, s'impadronì anche di lui. Tornò ad aggredirlo l'idea del freddo che Stephan aveva sofferto, mentre moriva e del gelo che l'avrebbe avvolto per sempre: "Stephan resterà là sotto e starà sempre al freddo" parlò senza voltarsi, ripetendo a se stesso ciò che sapeva "A nessuno interesserà più di spalare questa neve! Nessuno l'ha aiutato quando era vivo e nessuno lo farà ora che è morto!" Si voltò verso il compagno che, di nuovo, gli lesse negli occhi la voglia di piangere e di sentirsi colpevole. Mauro allora scacciò i suoi fantasmi, felice di avere un buon motivo per farlo e soprattutto contento di riuscirci. Gli parlò con molta determinazione, non poteva rischiare che ricadesse ancora nella depressione e nell'apatia. Non lo voleva, per Niki e per se stesso. Non doveva accadere un'altra volta. "Non potevi toglierla tu la neve che lo copriva quando era vivo. Non ne avevi i mezzi e, comunque, a lui non sarebbe bastato. Non era da te che se l'aspettava: dovevano farlo suo padre e sua madre! Lo sai anche tu: non è vero? Adesso è tardi, anche per pensarci. Forza! Spaliamo via questa neve maledetta e andiamocene." Il tono di Mauro fu aspro, determinato e scosse un po' Niki: "Torneremo l'estate prossima, quando ci sarà il sole e farà più caldo! Ho freddo, Niki. Ed anche tu stai tremando! Facciamo presto!" Si diede subito da fare con la pala che avevano portato e Niki l'aiutò. Ripulirono velocemente la tomba dalla neve. Sistemarono i fiori e, quando ebbero terminato, Niki si strinse un'altra volta a Mauro che l'abbracciò: "Mauro, credo che, d'ora in poi, ogni volta che sentirò freddo, penserò a Stephan." "Ed io ti riscalderò. E quando penserai a lui, io lo farò con te." "Me lo prometti?" Se n'andarono stretti come per proteggersi dalla morte, il cui tocco sentivano ancora. Da quella tomba, dal cimitero partì la strada che li riportò in Italia, alla famiglia di Mauro che li attendeva per accoglierli nel proprio grembo e, se possibile, consolarli. Alla mamma e al papà sussurrò un 'a presto' all'aeroporto. Loro l'avrebbero raggiunto in Italia ai primi di febbraio e finalmente la vita sarebbe ripresa senza l'ansia della malattia e della morte incombente. Il nonno abbracciò Mauro ripetendogli quanto l'amasse, poi si commosse stringendo Niki che gli ricordava troppo Stephan. Finché i ragazzi non scomparvero oltre il cancello d'imbarco, continuò a gridare: "Ehi! Voi due, vi aspetto qua in giugno e chissà che non vi veda prima, che non vi faccia una sorpresa!" Durante la sua assenza, i genitori di Mauro avevano cercato di spiegare agli altri figli l'esatta natura del rapporto che univa il fratello minore a Niki e le reazioni dei due erano state molto diverse. Sergio non conosceva ancora Niki, ma, avendo provato sulla propria pelle l'essere considerato diverso, sorrise divertito ed incuriosito alla notizia che Mauro, il fratellino, l'aveva sempre chiamato così, si fosse scoperto gay ed ora fosse quasi sposato. L'idea gli parve subito accettabile e si dispose con grande curiosità a conoscere il ragazzo che aveva conquistato, in un modo tanto completo, il cuore di quel fratello eccezionale. Da quando era uscito dall'esperienza con la droga, oltre ad un disperato bisogno di non sentirsi solo, Sergio aveva avuto molte difficoltà nel tornare alla sua vita normale e soprattutto a studiare. Aveva perduto un anno a scuola ed era riuscito ad ottenere la maturità soltanto grazie ai molti sforzi fatti dai suoi genitori, oltre che all'aiuto ricevuto dai professori. La sua decisione di partire per il servizio civile era stata originata dal non aver sostenuto esami all'università, cui s'era iscritto più per tradizione di famiglia che per propria convinzione. La mamma aveva insistito parecchio perché assolvesse subito quell'obbligo e Sergio aveva optato per il servizio civile. Aveva fatto di tutto per essere assegnato ad una comunità di recupero per drogati che si trovava in una città molto lontana dalla loro ed aveva perseguito quell'idea con molta determinazione. Anche se la scelta avrebbe rappresentato un pericolo per lui, che era pur sempre un ex tossicodipendente. Era stato però irremovibile e i suoi genitori avevano avuto fiducia in lui, accontentandolo. Che il loro figlio cercasse di ottenere qualcosa con tanta energia, era stato, comunque, motivo di soddisfazione, perché il segno più preoccupante lasciato in Sergio dalla droga era stata la sua quasi totale passività verso ciò che gli accadeva attorno. Ed ora Sergio attendeva con curiosità il rientro dei due dall'America. Si disponeva ad amare Niki come un nuovo fratello, come aveva sempre fatto con Mauro. Michele, che già conosceva Niki, non aveva fatto alcun tentativo di nascondere una preoccupante verità: lo trovava insopportabile. Vivendo per un mese nella stessa casa, se l'era visto accanto molto spesso, in molti momenti della giornata e ed aveva scoperto di non poterlo accettare. Era riuscito in qualche modo a dissimulare la sua avversione e Mauro non ci aveva badato. Niki, invece, l'aveva subito notato, anche se in quei giorni la sua mente era volta a ben altri pensieri, per potersene realmente preoccupare. Anche la mamma s'era accorta di tutto, immaginando che la vera origine di quell'atteggiamento fosse da ricercare nella gelosia che Michele aveva sempre provato nei confronti di Mauro, più che nell'antipatia che poteva nutrire per Niki. E quello era un argomento molto difficile da affrontare con il suo secondo figlio. In ogni caso, pensava che la causa di quell'antipatia non fosse nell'omosessualità di Niki. Quando però gliene aveva parlato, Michele pareva saperlo già. Aveva scosso la testa e poi aveva mormorato abbastanza ad alta voce perché lei lo ascoltasse: "Quindi è un finocchio: l'avevo detto a quell'idiota di mio fratello!" Quel giorno aveva capito quali difficoltà avrebbe rappresentato il mestiere che sarebbe toccato, nei prossimi mesi e anni, a lei e ad Arleen, con i loro mariti: quello di genitori di figli gay. Alla complicazione di avere un figlio omosessuale, s'era poi aggiunta la tragedia di Stephan che aveva molto provato i due ragazzi. Ne aveva parlato con Arleen e sapeva che entrambi, al rientro in Italia, avrebbero avuto bisogno di riconquistare al più presto la propria tranquillità. La ripresa della scuola li avrebbe aiutati, ma ci sarebbe voluta anche molta pazienza e tanta armonia in casa. Ed era proprio quello che lei intendeva assicurare, anche a prezzo di qualche strattone al resto della famiglia. A casa, in ogni caso, li aspettavano tutti con impazienza. Per qualche settimana ci sarebbe stato anche Sergio che aveva ottenuto una licenza per convalescenza. All'aeroporto andarono a riceverli quasi al completo. Non ci andò il papà che era stato trattenuto a casa dalle indispensabili lezioni private, oltre che dalla mancanza di spazio in macchina. Nella confusione dell'arrivo, Mauro era raggiante, felice di tornare a casa, mentre Niki era solo educatamente contento, e c'era da comprenderlo. Nei suoi occhi si leggeva soltanto molta tristezza e la prima ad accorgersene fu la mamma di Mauro che l'abbracciò stretto: "Coraggio, Niki, sei a casa!" gli disse e il ragazzo le sorrise con riconoscenza. Poi Mauro, che aveva già abbracciato Sergio, attirò l'attenzione di sua madre: "Ehi! Ci sono anch'io. Sono tuo figlio, mi riconosci?" E, mentre madre e figlio si salutavano con tutto l'affetto di cui erano capaci, Sergio e Niki si scambiarono uno sguardo, poi si presentarono da soli. Il ricordo di Stephan, con tutta la sua tristezza, riassalì Niki, perché per lui, in quel momento, Sergio rappresentò ciò che avrebbe potuto essere Stephan se i suoi genitori l'avessero amato. Non riuscì a scacciare questa idea per tutto il viaggio di ritorno in macchina, sebbene tutti fossero molto contenti e Mauro, che era eccitatissimo, non facesse altro che bisbigliargli cose che l'avrebbero fatto ridere di cuore se fosse stato dell'umore giusto. Ad ogni modo, appena arrivati a casa, ci pensò il papà a fargli tornare il sorriso sulle labbra. Anche Sergio era stato molto turbato dalla storia di Stephan e quella disgrazia fu un motivo in più che ebbe per voler bene a Niki. Parlandogli, quella sera stessa, scoprì subito quanto potesse essere affascinante e Niki cominciò a considerarlo come una proiezione di Stephan, al di là della tragica fine che aveva troncato la vita del cugino. Michele, che già aveva guardato storto Niki all'aeroporto, continuò per tutta la sera a rivolgergli soltanto occhiatacce, ma rimase attaccato a Mauro, pendendo dalle sue labbra, mentre ascoltava il racconto della vacanza americana. La vita riprese in casa di Mauro, con la complicazione di un quarto letto arrangiato nel tunnel ad impedire definitivamente il passaggio, ma a fare comunque la felicità dei due, i quali, qualsiasi cosa accadesse nel mondo che li circondava, avevano ripreso a considerare quel mondo come uno scenario per il loro amore. E il constatare che i ragazzi avevano conservato intatta l'intesa che c'era fra loro, rasserenò soprattutto la mamma che aveva temuto di vederseli tornare come due bambini spaventati. Quelli, invece, avevano ripreso le loro abitudini, senza che il dolore per la perdita di Stephan incrinasse la specialità del loro rapporto e la serenità delle loro esistenze, almeno per quanto poteva parere. "Tu devi imparare l'inglese. Meglio, molto meglio. Devi imparare a parlare in inglese correttamente ed anche in fretta!" Niki terminò in un crescendo che preoccupò un poco Mauro. "Lo parlo già abbastanza bene" cercò di giustificarsi "e poi" protestò "non è giusto che io debba soltanto imparare e tu te ne stia comodo ad interrogarmi per controllare i miei progressi." "L'inglese ti servirà se vorrai essere ammesso in un'università americana. Ti sottoporranno ad esami molto severi: fanno così con gli stranieri. Me l'ha detto papà. E poi, quando torneremo a Boston, sappi che non ti farò più da interprete: se vorrai un gelato dovrai ordinartelo da solo! E i gelati a Boston sono così buoni..." Fece per leccarsi le labbra, ma Mauro l'afferrò ai fianchi e prese a fargli un solletico tremendo. Mentre lo manipolava, continuava a mormorargli parole che Niki ascoltava a stento: "Così impari a rifiutarti di farmi da interprete. Com'è che si dice solletico in inglese, signor maestro? Io potrei suggerirti la traduzione francese, ma voglio sentirtelo dire in inglese. Forte e chiaro, Waldner!" disse, imitando la voce del loro professore di latino e greco. Niki rise ancora di più e, non potendo proprio articolare parola, finse di soffocare per commuovere il suo torturatore. Mauro finalmente lo lasciò andare. "In francese fa 'chatouillement'. In inglese, invece?" e lo minacciò muovendo le dita che gli teneva ancora sui fianchi. "Tickle, si dice tickle!" si affrettò ad accontentarlo Niki "Mi è venuta un'idea: io potrei imparare il francese, giacché tu lo conosci così bene. Che ne pensi?" "Si, fantastico!" l'idea piacque a Mauro "Questa sarà corrispondenza biunivoca, anche se studieremo le lingue e non la geometria" terminò ridendo. Erano a casa di Niki, nel suo letto, sotto le coperte. Avevano preso l'abitudine di sgattaiolare via subito dopo pranzo, perché la casa di Mauro con la presenza di Sergio s'era ulteriormente affollata. Con la scusa di cercare un po' di tranquillità per studiare, se n'andavano in quella casa deserta e tanto tranquilla. Là, naturalmente, trovavano anche l'intimità di cui avevano un gran bisogno, visto che in casa di Mauro erano molto discreti ed attenti a non lasciare trapelare nulla della loro relazione. Anche quel giorno, certi di avere scrupolosamente studiato, chiuso l'ultimo libro, si erano guardati negli occhi, poi uno dei due era andato verso l'altro, l'aveva attirato a sé e si erano abbracciati. Ai baci erano seguite le carezze ed avevano fatto l'amore, poi erano rimasti sotto le coperte, a godersi il tepore del letto. Erano ancora nudi e abbracciati in quel caldo confortevole. "Dobbiamo studiare seriamente le lingue: è indispensabile che noi due impariamo a non esprimerci soltanto in italiano. È per non farci capire dagli altri" spiegò Niki ad un incuriosito Mauro "spesso facciamo discorsi un po' pericolosi: non credi? Sarebbe meglio che nessuno capisse quello che ci diciamo" Niki lo fissò con un cipiglio che subito si trasformò in un sorriso "D'ora in poi, fra noi, parleremo solo in inglese, oppure, quando l'imparerò, in francese. Ti va?" "Si può tentare." "Almeno finché io non sarò in grado di esprimermi correntemente in francese! Con te e tuo padre come maestri, non dovrei metterci molto." "D'accordo: ogni tuo desiderio è un ordine. Con buona pace di Dante, Petrarca, Manzoni e tutti gli altri. Sia onore ad Oscar Wilde e a Marcel Proust che ci guardano e certamente ci benedicono!" "Benissimo" Niki si schiarì la voce e fece la faccia seria di chi sta per fare un annuncio importante " The Italian language will be formally excluded from our relationship. >From now on: I'm not Italian any longer and, if you would to follow me, you have to learn english perfectly, Buddy!" "I am glad for the opportunity you are offering me" gli rispose prontamente Mauro con un tono altrettanto serio "but, I think, it would be better if we sometimes speak Italian or French. It's better for express my wishes." "No, Buddy, you must learn to express correctly" lo riprese Niki "and, for heaven sake, watcht out for the pronunciation!" "Oh, please, be reasonable and sympathetic. Before I learn to express correctly, you ought to teach me many other things, matter, objects. For example: what is the name of this thing?" e dicendolo, sempre con un tono serissimo, gli prese in mano il sesso e glielo strinse facendolo sobbalzare. Niki non se l'aspettava, ma il suo pene rispose prontamente a quelle sollecitazioni, perché Mauro aveva preso ad accarezzarlo con molta più dolcezza. "That's my cock, my dick, my peter, as you like. And I'm getting a hard-on or a boner... as you like!" disse Niki ridendo. "I'm getting a hard-on or a boner, too, Honey!" "Me 'Honey'? Where did you hear this expression?" Niki era incuriosito e parecchio insospettito. "Your Mum, sometimes, calls you so. I heard her say this word many times. Grandfather mimicked you and Mum. He glanced at me and we laughed!" poi aggiunse "Oh, a lot of times." "Did you and grandpa laugh at me and Mum, his daughter? How could have you done it at us?" Niki finse indignazione e con un movimento fulmineo si spostò sopra Mauro bloccandolo con il suo peso "It should cost you a blow-job!" concluse Niki per un'idea che gli era venuta su come insegnare a Mauro un gioco nuovo, appreso interpretando un enigmatico articolo di giornale, e che neppure lui aveva mai fatto. "What's a blow-job, Honey?" Mauro era sinceramente incuriosito, anche se aveva una vaga idea sui possibili sviluppi di quel dialogo. "It's a kind of sexual game performed, I think, with the penis in the mouth. And don't ever call me 'Honey'!" "Oh, my God! You mean... The penis, we are talking about, is your dick, and I'm supposed to performe the act with my mouth on your penis, am I right? 'Honey'!" "You're right! You have to suck my cock, dear! Let's start!" e, rigirandosi per mettersi supino, spinse la testa di Mauro verso il basso. Mauro era divertito ed eccitato dal gioco che Niki gli aveva proposto e del quale non osava immaginare la conclusione. S'avvicinò al pene di Niki e cominciò a odorarlo, poi lo prese in bocca come per assaggiarlo. Niki aveva già eiaculato non molto tempo prima e il suo seme s'era asciugato dando ora alla pelle un sapore e un odore un po' stucchevoli. Mauro leccò con molto zelo la punta dell'asta, poi scese fino alla base e continuò così, finché Niki non mormorò di piacere, rigorosamente in inglese. Mauro ritenne allora di poter accogliere in bocca il sesso eretto. Tentò d'ingoiarlo e si sentì toccare il retro della gola. Per un momento gli parve di soffocare e tossì un poco. Poi lo riprese in bocca e cominciò a muoversi lungo l'asta, bagnandola di saliva. Sentiva il pene caldissimo in bocca. Attraverso la lingua gli pareva di percepire le sensazioni che stava dando a Niki. Forse erano brividi di piacere, ma non ne era certo. Continuò a sollecitarlo e, quando lo sentì muoversi con più decisione per assecondare quei movimenti, capì che Niki gradiva molto quello che lui gli stava facendo. Continuò con sempre maggiore entusiasmo e, quando, dai movimenti del compagno, comprese che s'avvicinava il momento in cui avrebbe goduto, si fermò. Anche Niki si bloccò e l'attirò verso di sé, fino a mormorargli in un orecchio: "Mauro, wait. Can I... come into your mouth? " "Si... Yes! Buddy!" Mauro rispose con un soffio, quasi non comprendendo la domanda di Niki, un po' perché era in inglese e soprattutto perché si trattava di una cosa che non avevano mai fatto, proprio mai. Ma accettò comunque, perché così esaudiva il desiderio di Niki, perché così quel desiderio diventava anche suo, perché ciascuno aderiva sempre ad ogni richiesta dell'altro. Ritornò ad adorare quel dio di carne, un dio del quale, in quel momento, era schiavo. Lo riprese in bocca e i suoi movimenti si fecero più veloci finché non capì dal tremore di Niki che il piacere era vicino ed improvvisamente sentì esplodergli in bocca l'orgasmo dell'amante. Non s'aspettava quella potenza e non pensava che il piacere potesse risvegliare una forza come quella. Si ritrasse un poco, ma conservò in bocca il seme che Niki vi aveva depositato e continuò lentamente a sollecitare il compagno che rispondeva con gli ultimi movimenti. Quando Niki finalmente si calmò, Mauro trovò il coraggio di alzare lo sguardo verso di lui. E in quegli occhi che amava in un modo assoluto, vide amore e riconoscenza. Mentre la stava compiendo, aveva immaginato che quell'azione fosse una delle peggiori umiliazioni da infliggere ad un maschio, almeno a giudicare da quanto si raccontava nei discorsi proibiti fatti tra ragazzi. Poi, dopo che ebbe guardato Niki, pensò che, se il farlo al proprio innamorato equivaleva a regalargli sensazioni così belle, allora quello che gli aveva fatto era soltanto un altro dono, voleva dire offrirgli un'altra parte del proprio orgoglio. E se così fosse stato, era fiero d'averlo fatto, perché lui a Niki aveva già donato tutto di se stesso. Ingoiò il seme. Quel liquido aveva un sapore strano, una consistenza insolita. Si commosse, mentre, con la testa appoggiata sul ventre di Niki, pensava ai milioni di spermatozoi che scendevano nel suo esofago. Immaginò che fossero tutti in qualche modo somiglianti al compagno. E andavano verso la morte nel suo stomaco: se avesse potuto salvarne almeno uno. Soltanto per creare una nuova vita che fosse la sintesi delle loro coscienze. Quello era un pensiero nuovo: non avrebbero mai potuto avere figli che fossero realmente una loro espressione. Loro due erano belli, erano intelligenti e li univa un sentimento meraviglioso che si cementava ogni giorno di più. Mauro aveva una piena coscienza di ciascuno di quei doni, ma quel pomeriggio, per la prima volta, pensò che tutta quella ricchezza sarebbe finita con loro, perché i milioni e i miliardi di spermatozoi che si sarebbero scambiati per tutta la durata della loro unione, sarebbero morti digeriti nello stomaco, persi nel retto o asciugati sulle pance. Espresse in modo evidente il suo dispiacere, con un movimento della testa, perché Niki colse il suo disagio, comprese quel messaggio e l'accarezzò fra i capelli: "Un cent per i tuoi pensieri" Mauro non volle intristirlo con i suoi pensieri. Niki stava lentamente recuperando la serenità. "Ti ho assaggiato per la prima volta." "Allora, che sapore ho?" "È un po' strano: sei dolce e amaro insieme, amore mio. Ma molto più dolce, molto di più!" E gli si avvicinò perché potessero abbracciarsi. Si sentì terribilmente triste per il pensiero che aveva fatto prima. Niki lo baciò, cercandogli in bocca il suo stesso seme. Quando si staccarono Mauro aveva ancora negli occhi la malinconia che l'aveva sfiorato poco prima, ma non fece più parola a Niki di quell'idea. Alla ripresa della scuola, i due furono per un po' al centro dell'attenzione, perché erano appena tornati da un viaggio che tutti i loro compagni avrebbero voluto fare e poi perché s'era sparsa la voce che in America avevano vissuto un'avventura inconsueta. La notizia che il cugino di Niki fosse morto per strada a Boston e che i due s'erano trovati, in qualche modo, coinvolti in un'indagine da telefilm era troppo eccitante perché si badasse al riserbo e alla delicatezza. Tutti chiesero notizie e particolari che Mauro dispensò con generosità, conscio che soltanto parlandone avrebbero soddisfatto tutte le curiosità e le avrebbero sopite in molto meno tempo che se ne avessero fatto mistero. Suo padre gli aveva suggerito questa linea di condotta e Niki, sebbene fosse riluttante anche al solo nominare Stephan, aveva dovuto convenire che sarebbe stato meglio così. A dire il vero, la notizia era stata diffusa da Michele che, prima ancora di rendersene conto, aveva combinato il primo guaio a suo fratello e al povero Niki. Per questo fatto Mauro lo guardò storto per un po' e Niki ebbe un motivo in più per sentirsi imbarazzato dalla sua presenza. Per buona pace di tutti, quell'interesse s'affievolì dopo qualche giorno e i due furono semplicemente lasciati perdere e quasi dimenticati, almeno per un poco. Michele riprese a guardare storto Niki, senza sentirsi in colpa e Mauro si ritrovò a mediare anche gli sguardi che suo fratello lanciava al suo povero innamorato. Con i compagni di scuola andò tutto bene, finché qualcuno si ricordò di loro. Infatti non sfuggì per molto il loro guardarsi negli occhi, il linguaggio che avevano cominciato ad usare, i modi riservati e sempre più distaccati che avevano verso tutti gli altri, il fatto che arrivassero e se ne andassero sempre da soli. Quasi tutti notarono che Mauro non usciva più di sera per incontrarsi con gli amici, perché, sempre più spesso, rimaneva in casa con Niki ad ascoltare musica, oppure a parlare con il papà. Fino a poco tempo prima sarebbe stato inconcepibile che rinunciasse alla partita serale sulle pietre del lungomare, oppure che non si facesse vedere il sabato, dopo la scuola per organizzare la serata, andando in pizzeria o al cinema. Eppure era praticamente scomparso e con lui pure Niki. Continuavano solo a frequentare gli allenamenti e la squadra di calcio in cui anche Niki ormai militava. Accadeva sempre che, arrivati a scuola, continuassero a bisbigliare, in inglese, dopo aver salutato gli altri. Durante le lezioni erano, come il solito, attenti e discutevano cordialmente con i compagni e aiutavano tutti, come sempre, durante i compiti in classe. All'intervallo se ne andavano in un angolo e riprendevano a ridere e a parlarsi, sempre per conto proprio. Alla fine delle lezioni scomparivano, non perché scappassero, ma non riponendo alcuna attenzione al mondo che li circondava, vi occupavano così poco spazio che nessuno più badava a loro. Nessuno tranne quelli che sentivano più forte la mancanza di Mauro. I Cavalieri si aspettavano che, al suo rientro dall'America, Mauro desiderasse in qualche modo tornare ad uscire con loro. Speravano, anzi erano convinti, che l'amico avesse voglia di ritrovarsi con i vecchi compagni, che almeno provasse un po' nostalgia. Invece Mauro non tornò e l'ordine dei Cavalieri delle Sette Torri dovette prendere atto che il suo gran maestro aveva abbandonato la regola. Giacomo e gli altri cominciarono finalmente a parlarne. All'inizio l'avevano considerato un argomento impossibile da affrontare: i Cavalieri non avevano mai discusso fra loro del rapporto che si era creato fra Mauro e Niki. Quando Mauro s'era definitivamente staccato da loro per andarsene con Niki, ognuno per conto proprio aveva considerato quell'allontanamento come una fuga destinata a rientrare, ma ora, visto che Mauro era sempre più lontano, avevano trovato il coraggio di discuterne assieme. Enrico era il più sconsolato, ma anche Giacomino soffriva molto la perdita del suo compagno d'avventure. Nei giorni in cui i Cavalieri avevano preso a discutere, loro due passavano le giornate dividendosi fra la scuola e le loro case, soprattutto quella di Niki. Finché non tornarono i genitori, il grande appartamento fu a loro disposizione. Niki aveva programmato l'impianto di riscaldamento perché, dopo pranzo, potessero trovarvi un tepore sufficiente a consentire loro di studiare confortevolmente e, dopo lo studio, se ne avevano voglia, e l'avevano sempre, di fare l'amore ascoltando la musica. Mauro era diventato un ascoltatore attento ed esigente e Niki gli offriva ogni giorno autori e composizioni da scoprire e da amare. Le colonne sonore dei loro pomeriggi spaziarono da Bach a Brahms, a Mahler, limite oltre il quale Niki non intendeva spingersi considerando, in un'analisi molto riduttiva che Mauro cominciò subito a contestare, Gustav Mahler l'ultimo sinfonista e quelli che l'avevano seguito, epigoni senza troppe idee. Da parte sua, Mauro prese Niki per mano e l'accompagnò in passeggiate attraverso tutto il melodramma, fermandosi però a Puccini che non l'aveva mai troppo entusiasmato. Così anche Norma, Lucia e Violetta, assieme ai più seducenti Edgardo e Manrico, divennero compagni di strada in un percorso culturale che parve subito affascinante. Spesso se ne stavano abbracciati sul divano ad ascoltare i vecchi dischi a settantotto giri del nonno di Mauro, cambiandone uno ogni quarto d'ora. Quasi ogni giorno trasportavano, con un po' di fatica, a casa di Niki, i quindici, venti dischi in cui ciascuna opera era suddivisa. Naturalmente, così come Mahler era diventato l'autore preferito di Mauro, Donizetti divenne presto il favorito di Niki. Quei giorni trascorsero velocemente, consumati nel tepore del letto, con la musica che li avvolgeva e li illanguidiva. Furono giorni scanditi dalle telefonate di Arleen e del papà dall'America, con il nonno che ogni giorno voleva scambiare qualche battuta con Mauro per raccontargli dei suoi progressi nell'ascolto della 'Lucia di Lammermoor', ma anche per sentire quello che il ragazzo riusciva sempre ad inventarsi per distrarlo e, magari, farlo sorridere. Quelle giornate passarono anche attraverso i lunghi discorsi serali che Sergio, Niki e Mauro avevano cominciato a fare, accompagnati sempre dalle occhiatacce di Michele al compagno di suo fratello. La mamma di Mauro, infine, prese a rimproverarli bonariamente, perché non le piaceva che i ragazzi trascorressero tanto tempo da soli in una casa vuota. Chi, invece, li affrontò con atteggiamento molto meno comprensivo fu Giacomo: "Voi due! Chi vi capisce più... da quando avete incominciato a parlare in inglese. Già prima, guai a chi ci metteva un dito! Adesso poi, sembra che al mondo ci siate soltanto voi due!" Giacomo, quando s'esprimeva, lo faceva a scatti, trasmettendo a chi l'ascoltava tutta l'energia e l'ansia di parlare che c'erano dentro di lui. La sua intelligenza pronta l'aveva fatto subito diventare, dieci anni prima, il 'migliore amico' di Mauro, ed anche se a quella coppia si erano aggiunti Alex, Eugenio ed Enrico, Giacomo era sempre stato l'amico 'più amico'. A scuola, quella mattina durante l'intervallo, aveva attorno a sé tutti i Cavalieri e cercava di farsi ascoltare da Mauro il quale, invece, era tutto intento a seguire un discorso di Niki: "Giacomo, perché dici così? Io ti ascoltavo lo stesso!" "No, che non mi sentivi. Tu non senti più nessuno, da quando c'è quello lì!" e se ne andò, lasciando tutti a guardarsi. Enrico si avvicinò guardando storto Niki. Poi si rivolse a Mauro: "Perché fai così? Che ti abbiamo fatto noi?" e scappò, senza riuscire a dire più nulla. "Quelli sono i miei migliori amici. Noi siamo i Cavalieri. Forse li sto trascurando" tentò di spiegare a Niki "Sono dispiaciuti. È solo per questo che hanno parlato così." "E tu sei 'dispiaciuto'?" Niki aveva sottolineato l'ultima parola. Temeva un poco la risposta di Mauro, non perché dubitasse di lui, ma perché capiva che la loro situazione si stava facendo insostenibile nei confronti degli altri compagni di scuola e in particolare degli amici più intimi di Mauro. Quella stava diventando la loro più grande preoccupazione, visto che fortunatamente non avevano problemi con le famiglie. "Non sono dispiaciuto... se ci sei tu vicino a me" e gli prese la mano. "Qualcuno potrebbe vederci." Mauro non parve sentirlo e, stringendogli di più la mano, gli sussurrò: "Qua, e intendo su questo pianeta, nessuno mi può fermare dall'amarti e dal dirtelo in ogni momento" e finalmente gli lasciò andare la mano che Niki cercava di sottrargli "Niki, nessuno potrà mai farmi vergognare di ciò che siamo, di te, di noi due!" In quel momento si sentiva eroico ed orgoglioso del proprio amore. Anche Niki si sentì fiero per quello che Mauro gli stava mormorando, per il modo con cui glielo diceva e per la dignità che c'era nelle sue parole. La loro era soltanto una follia di adolescenti, ma anche una sfida al mondo che li rendeva, comunque, degli uomini coraggiosi. "Mauro, lo sai che il pianeta terra ha tanti altri nomi e ce n'è uno che io amo più di tutti. Sai qual è?" Mauro scosse la testa, perché non riusciva ad immaginarlo. "Gaia! Ci pensi? Gaia, Gaea, nella mitologia, la personificazione della Madre Terra!" "Gaia... ?" e lo disse come se vedesse un miraggio. Niki, forse, l'aveva spinto in un sogno e dovette richiamarlo alla realtà: "Mauro, la Terra potrà anche chiamarsi Gaia, ma noi non piaceremo mai per quello che siamo, a nessuno! E purtroppo avremo sempre bisogno degli altri. Non riusciremmo a vivere i nostri prossimi cent'anni da soli. Questo dovremmo saperlo bene, no?" Era insolito che Niki parlasse così: quella non era la sua parte, ma spesso si scambiavano i ruoli, fra chi sognava e chi restava con i piedi per terra, Mauro che cercava gli amici e Niki che temeva il contatto con gli altri. Questa volta era toccato a Mauro di volare lontano con la fantasia, sognando di poter fare a meno di tutto il mondo. "Lo so" disse, tornando in sé "ma non mi importa di loro, non mi importa lo stesso di nessuno." E gli riprese la mano per stringerla forte. Poi lo lasciò andare e lo seguì in classe. Se ne andarono intristiti da quel piccolo, grande problema. Nonostante fosse infuriato quando s'era allontanato, Giacomo aveva continuato a guardarli e continuò a seguirli con gli occhi, mentre si parlavano. Non riusciva a spiegarsi come fosse stato possibile in Mauro un cambiamento come quello: aveva la sensazione d'avere perduto l'amico di tanti anni e di tante avventure. Se a scuola erano sempre stati seduti allo stesso banco, d'estate, in campagna, alla villotta e in spiaggia erano stati una coppia fissa, inossidabile: avevano trascorso insieme, a giocare e a crescere, tutte le estati che lui riusciva a ricordare. Mauro era stato per lui il compagno di tutte, proprio tutte, le partite di calcio giocate sui lastroni di pietra, in quello spiazzo di fronte al porto, d'estate e d'inverno, con la tramontana che spirava battendo il piazzale del porto e alzando spruzzi dal mare. Mauro era stato sempre pronto a togliersi il cappotto per rincorrere il pallone. Giacomo ricordò tutte le volte in cui, d'inverno, Mauro non aveva esitato a saltare sulle barche ormeggiate alla banchina, balzando da una all'altra, per cercare di raggiungere un pallone che il vento aveva sospinto in mare. Mauro aveva mostrato in quelle occasioni molto più coraggio e decisione di quanta ne avesse mai avuta lui. E alla spiaggia, era sempre il primo a lanciarsi dal trampolino, a tuffarsi di testa, mentre la maggior parte di loro si buttava di piedi. Mauro era coraggioso, ne era convinto. Ed ora Mauro, il suo migliore amico, per due volte, aveva preso per mano Niki, mormorandogli qualcosa, con un'espressione che lui aveva visto solo in faccia a sua sorella. Mauro e Niki si stavano parlando come faceva quella con il fidanzato. Giacomino fu certo di una cosa: se Mauro non era più lui, la colpa era tutta di Niki, di quello lì, di quella checca, di quel finocchio, perché non c'era altra spiegazione: Niki doveva essere per forza omosessuale. E, chissà com'era riuscito, a convincere Mauro. Gli aveva fatto certamente qualcosa di brutto. L'aveva capito subito che di quello non c'era da fidarsi ed anche Mauro nei primi tempi era stato d'accordo, anche se non era mai riuscito a farlo ridere su qualche atteggiamento equivoco di Niki. Questo doveva ammetterlo! E poi era accaduto qualcosa che ancora gli sfuggiva: quei due erano diventati amici e se n'erano andati in America insieme, come in viaggio di nozze. Quest'ultima considerazione lo colpì. Era troppo malevola perché potesse accettarla. Lui era leale con gli amici ed aveva sempre avuto un debole per Mauro, fra loro c'era stata sempre onestà assoluta, si erano sempre detti la verità. E poi a Mauro non aveva mai negato niente, né aveva mai potuto resistergli. Quel ragazzo l'aveva sempre affascinato. Si sorprese a pensare che se Mauro fosse stato una donna, si sarebbe innamorato certamente di lui, ma scacciò quell'idea bislacca, perché non riusciva proprio a spiegarsela. Poi vide spuntare da dietro l'angolo del muro a cui era appoggiato le tette di Roberta e Mauro uscì momentaneamente dai suoi pensieri, almeno fino a quando durò la visione angelica della ragazza per la quale il suo cuore batteva in modo allarmante. Quando si fu ripreso, Giacomo decise che non avrebbe rinnegato la sua amicizia. Anche in questa avventura sarebbe stato alleato di Mauro, che lui lo volesse o meno. Qualunque cosa quei due fossero o stessero diventando. Ne avrebbe parlato ad Enrico e agli altri che certamente sarebbero stati d'accordo. Lui e i Cavalieri dovevano essere leali con Mauro e, se fosse stato necessario, anche con Niki, ma per quello lui non avrebbe mosso un dito. Non sapeva però quanto ancora avrebbe potuto difenderli, perché anche gli altri compagni avevano notato la freddezza che si era creata fra i Cavalieri e proprio tutti cominciavano ad accorgersi del comportamento di Mauro e Niki. Si conoscevano da troppo tempo, perché all'interno del loro gruppo qualcuno potesse staccarsi apparentemente senza motivo e senza fornire una completa e soddisfacente spiegazione. Giacomo ebbe un'idea su quale potesse essere l'interpretazione di quel comportamento. E pensò anche che, se quella era la giustificazione, Mauro non potesse darla facilmente. Decise perciò che i Cavalieri dovevano andare in fretta a parlargli. Lui voleva capire, essere certo e l'avrebbe fatto al più presto, perché, a Mauro, lui voleva davvero tanto bene, meno che a Roberta, naturalmente, e in un modo affatto diverso. Tornò perciò a fissare speranzoso quell'angolo di muro, confidando in una nuova apparizione dell'oggetto dei suoi desideri. La domenica successiva Niki fu costretto ad accettare un invito da parte di alcuni amici dei suoi genitori. Purtroppo nessuna di quelle persone così premurose immaginava che loro due fossero ormai tanto uniti da soffrire per qualunque separazione, perciò Mauro non fu compreso nell'invito. Furono così costretti a separarsi per tutta la giornata ed era la prima volta che un fatto del genere si verificava. Non era mai accaduto, negli ultimi due mesi, che si lasciassero per più di qualche minuto, vissero perciò quel distacco con stupefatta rassegnazione. Nei giorni precedenti, appena saputo dell'inevitabilità di quell'invito, Mauro aveva continuato a ripetere, a Niki, ed anche a se stesso, che alla lontananza, seppure per piccoli periodi, dovevano abituarsi: i genitori di Niki sarebbero tornati tra una settimana e la vita in comune alla quale s'erano così felicemente abituati, avrebbe subito cambiamenti inevitabili e qualche restrizione. Prima di tutto non avrebbero più dormito insieme, ma già progettavano di passare assieme almeno la notte fra il sabato e la domenica, in casa di Niki. Erano certi che i genitori non avrebbero ostacolato questo programma. Poi, non avrebbero più consumato insieme tutti i pasti, guardandosi e sorridendosi, come facevano, ad ogni boccone, ma anche per quello avevano dei progetti: per esempio, invitarsi a turno a pranzo o a cena, almeno qualche volta. Erano coscienti che il vivere in case diverse li avrebbe necessariamente allontanati, ma capivano di non poter pretendere che i genitori, pur con tutta la comprensione che avevano mostrato, accettassero di farli vivere insieme. Questo proprio non potevano chiederlo, almeno per qualche anno ancora, almeno fino all'università. Quando fosse giunto quel momento, ovunque avessero deciso di frequentarla, avrebbero arrangiato le cose in modo da vivere insieme, cercando di non restare mai separati, neppure per qualche minuto. Ma tra il ginnasio e l'università, c'erano più di tre anni, cioè buona parte di quella giovinezza che, terminando, doveva renderli uomini. Ma quella mattina, quando Niki, facendosi forza per non piangere, lo baciò sulla punta del naso, Mauro ebbe una stretta al cuore. Poi, sentendo la porta chiudersi alle spalle di Niki, sgranò gli occhi e si rese conto di non riuscire neppure a pensare, la qual cosa, per lui, rappresentava la peggiore delle punizioni. Rimase sul letto con gli occhi sbarrati a chiedersi cosa potesse inventare per fare trascorrere velocemente quell'enormità di tempo, quelle poche, tante, ore che lo separavano dal rientro del compagno. Calcolò senza difficoltà e, purtroppo, con grande precisione, quanti minuti e secondi lo separassero dal momento in cui era stabilito che Niki tornasse, ma il soffitto del tunnel, che lui continuava a fissare intensamente, gli annunciò l'esatta natura di tutti i suoi pensieri: cercava solo di prendere tempo prima di convincersi che Niki non era là a consolarlo, ad accarezzarlo, a farsi venire idee, a mettere in pratica quelle che a lui sarebbe venute se ci fosse stato. Ma non c'era, non per quel giorno, non per quelle ore. Capì, infine, che l'idea di dovergli restare lontano per tutta la giornata, era proprio insopportabile. E poi, il numero minimo e presunto di ore, minuti e secondi, pur diminuendo costantemente, come lui ben sapeva, era ancora troppo grande per poter essere di qualche consolazione. S'ingegnò a cercare un modo per accelerare il loro scorrere, ma sapeva che c'era un solo modo di farlo: distrarsi e quella gli pareva una via preclusa, almeno per il momento. Si sentì piccolo e solo: davanti a loro c'erano più di tre anni per crescere ed essere indipendenti e, soprattutto, per non incappare più in giornate come quella. Si rannicchiò, si raccolse tutto cercando da farsi coraggio. Ebbe un brivido, perché s'era un po' intorpidito a stare sul letto, senza coperte addosso. Guardò il soffitto e vi lesse ancora il suo destino: doveva attendere, se possibile rassegnatamente, il rientro di Niki. Davanti a sé, aveva ancora otto, forse dieci, ore prima di rivederlo e stringerlo fra le braccia. Più, di cinquecento minuti, venticinquemila secondi. Fatti i suoi calcoli, non gli restava che attendere che, un po' prima dell'ora di pranzo, Michele andasse a prenderlo per portarlo alla villotta in qualche modo. Prese un libro di grammatica inglese ed andò a stendersi sul letto di Niki. S'abbracciò al cuscino sul quale il compagno aveva posato il capo per tutta la notte, annusandolo per cercarvi il suo odore. Provò a concentrarsi nella lettura, ma la sua mente tornò ai pensieri di prima, rincorrendo una macchina che si allontanava, portandogli via l'innamorato. Mentre sgranava questo triste rosario, qualcuno suonò alla porta. Essendo solo in casa poteva fare finta di non esserci e continuare a leggere o a pensare, ma decise d'aprire: chiunque fosse, l'avrebbe almeno distratto per qualche momento. Dietro la porta c'erano Giacomo, Eugenio ed Alex. Fece scorrere lo sguardo da uno all'altro di dei Cavalieri, poi da dietro ad Alex, spuntò Enrico. Mauro era sbalordito: "Chicco, ci sei anche tu?" La presenza di Enrico lo stupì più di tutto, perché Chicco non aveva proprio l'abitudine d'andare in giro di domenica mattina. Capì perciò che nell'aria doveva esserci qualcosa di molto serio per costringere Enrico a convincere sua madre: in tanti anni che lo conosceva, non l'aveva mai visto in giro a quell'ora, e soprattutto di domenica mattina. Se non era a scuola, Chicco studiava: era la condanna pronunciata dai suoi genitori contro di lui. Poi, ancora sorpreso, Mauro disse quasi fra sé: "E voi che cosa ci fate qua?" Era stupito di vederli, ma gli faceva piacere che fossero là. Poteva finalmente parlare con qualcuno e distogliere la mente dai suoi pensieri, mentre Niki era così lontano. "Avanti, entrate, forza!" "Sei proprio solo? Non c'è Niki, vero?" chiese Giacomino, prima di muoversi per entrare. "Sono solo! Entrate... se volete" e si fece da parte per lasciarli passare. Immaginò che avessero aspettato quell'ora prima d'andare a cercarlo, per essere certi di non trovare Niki e questo lo innervosì. Dovevano avere capito, in qualche modo, che proprio quella mattina Niki si sarebbe allontanato. Quelli se ne andarono diritti verso il tunnel, a sedersi sui letti. Enrico saltò su quello più alto, Alex sulla branda di Niki, Eugenio accanto a lui. Mauro raggiunse Giacomo sul più basso, sedendosi di fronte a lui, in modo da guardarlo. Attese che iniziasse il discorso. Era certamente lui quello delegato a parlare. Da quando i Cavalieri erano senza un capo, Giacomino doveva essere diventato il loro nuovo portavoce. Ad ogni modo, ciò che stava per dirgli era già scritto sulla sua faccia emozionata e congestionata. Erano andati a trovarlo e ormai ne capiva il perché. Il motivo principale di quella visita, si disse aspettando che Giacomo trovasse il coraggio di cominciare a parlare, era che, qualunque cosa gli avessero detto o chiesto o pregato di fare, tutti loro gli volevano bene. Anche lui, ora, si rendeva conto di quanto gliene volesse, ma tutto continuava ad essere quasi nulla di fronte all'enormità del sentimento che provava per Niki, di questo era certo. Prima di decidersi ad andare da lui, i Cavalieri avevano discusso molto tra di loro. Giacomo aveva esposto agli altri i suoi dubbi ed aveva scoperto che tutti la pensavano più o meno come lui, anche se poi si erano ritrovati a trattare un argomento che non erano riusciti a circoscrivere ed interpretare. Anche ora non sapevano bene cosa aspettarsi da Mauro, da quello che erano andati a chiedergli, né sapevano bene cosa chiedergli. Ciascuno aveva avuto gli stessi sospetti, le stesse idee e se le erano finalmente comunicate, anche se con molte reticenze e quasi con vergogna. "Perché se quello non è un finocchio, io sono una donna!" aveva sentenziato Giacomo, prima che salissero. E per l'ennesima volta Enrico aveva balbettato: "Allora anche Mauro... Mauro è come Niki... " e aveva quasi pianto. Facendosi mille domande, su se stesso e su Mauro. Ma quelle erano cose che non poteva confidare a nessuno, neppure ai Cavalieri. Ora erano lì e speravano che Mauro gli desse una spiegazione, che li tirasse fuori dal dubbio che avevano. "Si può sapere che cosa ti è capitato?" Giacomo affrontò subito l'argomento, com'era sua abitudine "Voi due, tu e quello lì..." Come sempre con Giacomo, i discorsi partivano spediti, ma si arenavano, non perché gli mancassero gli argomenti, ma perché, preso dalla foga, si emozionava e si perdeva. Anche gli altri erano arrossiti e, non sapendo dove guardare, guardavano per terra. Fu Alex a riprendere a parlare: "Vi guardate in modo strano. E poi state sempre così appiccicati uno all'altro, in un modo che non piace a nessuno di noi. Mauro, non ti si vede più in giro, con nessun altro. Non esci più neanche con noi... Diccelo, per favore: che ti ha fatto quello?" Mauro sapeva che, se Giacomo si emozionava, se Alex, che non parlava mai, riusciva a dire tante parole tutte insieme, se Enrico era arrossito e se ne stava zitto, lui che parlava continuamente, se, infine, neppure Eugenio trovava una battuta sciocca per sdrammatizzare quel momento, se accadeva tutto questo, era perché tutti loro avevano molto a cuore l'oggetto della conversazione. Provò un moto d'affetto. Lo avevano cercato per capire, provando imbarazzo per quello che stavano facendo, forse anche per curiosità, ma l'avevano fatto soprattutto perché l'amavano, anche se in un modo estremamente diverso da come l'amava Niki. Decise che a quelle persone, le prime cui stava per rivelarlo, oltre che ai suoi familiari, doveva parlare con tutta l'onestà possibile, anche se con quest'azione avrebbe rischiato di rovinare l'amicizia che c'era sempre stata fra loro. Sperò con tutta l'anima che Giacomo e gli altri comprendessero davvero tutto quello che stava accadendo a lui e a Niki. S'augurò che continuassero ad essere suoi amici, ma capì anche che, per restarlo, dovevano diventare amici di Niki e questo sarebbe stato molto più difficile. D'altra parte, pensò, quello che stava per proporre era ormai l'unico modo per restare amici: lui era cambiato e si vedeva, perciò i suoi amici più cari non potevano continuare a far finta di nulla. "Ragazzi, mi è capitata una cosa molto strana e molto bella. Io sono innamorato..." Lo disse sorridendo, perché era felice, ma Giacomo lo interruppe: "Come 'innamorato'? E di chi?" Era evidentemente preoccupato, aveva paura della possibile risposta, e quel timore gli si leggeva in faccia. "Giacomino, quello che mi sta accadendo è la cosa più affascinante che mi sia capitata da quando sono nato. Mi pare di vivere in un film... ma come faccio a spiegarlo?" Mauro rise un po' nervosamente e strappò un sorriso anche a Giacomo che immediatamente tornò serio. "Ti sei innamorato di quello" era Alex a parlare "di un maschio? E com'è possibile? Non si può!" Alex andava sempre al cuore dei problemi, non conoscendo, né metafore, né mezze misure. "Certo che si può, a me è successo. Io amo Niki e..." Mauro fece una pausa. Si bloccò, perché non sapeva se parlare subito della dimensione anche fisica del suo innamoramento oppure aspettare che gli amici assorbissero la rivelazione che gli aveva appena fatto e che immaginassero da soli, quello che volevano. Decise di attendere e di chiarire a quattro ragazzi della sua stessa età un altra implicazione, non meno pericolosa, di quanto aveva già svelato: "A me non piacciono le donne! E non mi sono mai piaciute. Mi dispiace, ragazzi!" A pensarci bene, la parte più difficile della sua rivelazione era proprio quella, ma lui sperava che i suoi amici ammettessero anche solo l'esistenza del rapporto con Niki. In quel momento, la sua serenità gli consentì di non sottrarsi alle loro richieste, ma di restare a sostenere lo sguardo spaventato di Enrico, quello sbalordito di Alex ed Eugenio, l'espressione indecifrabile, assente di Giacomo. Era davvero addolorato di doverli deludere in quel modo, ma Giacomo, più che deluso, appariva disorientato. Mauro era stato il suo punto di riferimento in molta parte della vita. Molte sue scelte erano state condizionate dalle scelte fatte da Mauro. Anche se, adesso che ci pensava, Mauro con le ragazze era sempre stato molto meno intraprendente di lui. E lui l'aveva sempre attribuito ad una timidezza che in Mauro, in altre questioni, proprio non si notava. Quando tutti insieme ne parlavano, Mauro era sempre molto vago per quel che riguardava i suoi pensieri riguardo alle donne, i suoi interessi in merito. "Allora tu sei..." Giacomo non riuscì a dirlo, rimase, a bocca aperta, a guardare il suo migliore amico. Ma Mauro era Mauro e tra le sue regole di comportamento c'era l'onestà. Ed anche se, in passato, quella virtù non era stata abbastanza forte da fargli riconoscere e ammettere le proprie inclinazioni, gli aveva consentito, una volta incontrato Niki, di accettare subito e completamente il loro legame. Si alzò e andò ad appoggiarsi al muro, in modo da poterli guardare tutti negli occhi. Prima di parlare ricordò a se stesso che quei ragazzi non avevano il padre filosofo, né la madre eccezionale che lui aveva. E i loro genitori non erano americani e non avevano studiato nei college. Quei quattro erano figli di genitori normali che, come avrebbe detto suo padre, facevano solo pensieri normali e se ora erano andati da lui a chiedergli conto del suo comportamento, l'avevano fatto perché il sentimento d'amicizia che li univa era talmente forte che gli aveva fatto superare il disorientamento e tutti i sospetti provocati dal suo comportamento con Niki. E lui non voleva deluderli, né ingannarli, perciò decise di essere chiaro e di parlare in modo inequivocabile: "Si , ragazzi, potete dirlo: io sono gay, omosessuale, finocchio, frocio. Ho scoperto di essere tutto questo. Dovete sapere che io amo Niki e lui ama me. Ecco, ora l'ho detto anche a voi!" fece una pausa, li guardò uno per uno "Mauro è o-mo-ses-sua-le. Potreste chiamarmi in tanti modi diversi e più coloriti, ma io non mi offenderei, perché quella sarebbe soltanto la verità!" Mauro si riavvicinò a Giacomo e fece per prendergli una mano, poi si fermò "Giacomo, vorrei che noi due restassimo amici. Ed anche voi." Giacomo aveva gli occhi sbarrati, dal letto su cui era seduto guardava fisso il muro di fronte. Davanti a lui Mauro aspettava di vedere come avrebbe reagito a quella confessione. Ma era troppo difficile per Giacomo, troppo complicato da capire per lui, troppo lontano dal suo modo di pensare, dai suoi valori che erano quelli ereditati da una famiglia normale. Enrico sospirò rumorosamente e Mauro si voltò a guardarlo. Chicco gli sorrise e a Mauro sembrò stranamente felice. Giacomo pensò ad alta voce: "Non è possibile! Non si può! A te piace? È contro tutto quello che ci circonda, è contro natura. È un peccato mortale. La religione lo condanna. Il mondo è fatto perché gli uomini e le donne s'incontrino, perché abbiano dei figli. È fatto per quelli come noi e non per quelli come voi due! Il mondo..." Ma erano tutte obiezioni che affioravano scompostamente, come rottami dopo un naufragio. Mauro lo sapeva. Lo conosceva troppo per non capirlo. Giacomo non voleva offenderlo, ma era, in quel momento, per quello che concerneva la propria morale sessuale, come un naufrago che cerca d'aggrapparsi a qualunque cosa galleggi per non affogare. Mauro continuava a guardarlo e a fare di no con la testa, a fargli cenno che, se quello che lui diceva era vero, era altrettanto vero che esisteva un'altra possibilità. E Giacomo annaspava tra i dubbi che l'atteggiamento di Mauro gli generava. Alex si alzò e gli andò vicino: "Mauro, ragiona, per favore: come possiamo..." Lo interruppe. Doveva essere chiaro, subito. Doveva fargli capire una cosa essenziale: "No, ragazzi, voi non dovete sforzarvi. Niki ed io vorremmo rimanere vostri amici. Se anche voi lo vorrete, sarà così, ma non dovrete sforzarvi in nessun caso." "No, Mauro! No, io non lo farei mai. Io sarò sempre tuo amico" aveva parlato da dietro ad Eugenio che lo copriva con la sua mole. Il primo era stato Alex: doveva aspettarselo. Quello che aveva sempre le idee più chiare. Mauro capì che anche Eugenio stava per confermargli la sua amicizia e così fu. "Tu sei innamorato" disse Giacomo a bassa voce, come se stesse pensando. "Si, come un pazzo." "Niente ti farebbe cambiare idea: io lo so. Quando ti metti una cosa in testa, tu la fai. Tu non cambi mai idea. Non giri mai attorno agli ostacoli. Tu li abbatti. Mauro, questa volta è diverso. Sei davvero sicuro di quello che dici? Tu lo pensi veramente? Tutto questo, è proprio una tua idea... vero?" "So a cosa stai pensando, ma questa non è un'idea che mi è venuta. Io non mi sono convinto e Niki non mi ha plagiato. Era già tutto dentro di me..." e fu la volta di Mauro a distogliere gli occhi. Stava per dire a Giacomo qualcosa di molto imbarazzante, era il passaggio più pericoloso di tutto quel discorso. Era qualcosa che riguardava soltanto loro due e non tutti gli altri. "Potresti ancora cambiare idea... Lascialo perdere. È stato lui. È tutta colpa sua! " Giacomino gli diceva così, l'offendeva, insultava anche Niki, soltanto perché era preoccupato: teneva ancora a lui, a Mauro. Ma non aveva capito proprio nulla, Mauro se ne convinse e comprese che era giusto raccontare tutta la verità, rivelare a Giacomo e agli altri quello che aveva capito di sé da non molto tempo e che lo imbarazzava ancora. Non abbastanza per non volerne parlare. Loro due erano stati compagni d'avventure e confidenti in modo molto più profondo e, per come lo erano stati, era inevitabile che ora Giacomo dovesse rivedere tanti episodi della loro amicizia sotto una luce affatto diversa. "Giacomino, io guardavo i ragazzi da molto tempo prima di conoscerlo. Non è stato lui a farmi cambiare, né è stato per colpa sua che io sono diventato omosessuale. Lo ero già prima. A me... " si bloccò indeciso "come faccio a dirtelo? A me piacevano già i ragazzi, i maschi da molto prima di conoscere Niki!" tornò a sedersi accanto a lui "Io pensavo, speravo davvero, che, ad un certo punto della mia vita, le ragazze avrebbero cominciato ad interessarmi. Mi aspettavo di provare, come accade per voi, del desiderio per loro. Immaginavo che anche a me sarebbe capitato di prendermi una cotta e disperarmi se quella non mi avesse degnato neppure di uno sguardo. Proprio come voi, ma non mi è mai capitato niente di tutto questo. Ho continuato a guardare i ragazzi e... qualche volta... mi sono preso una sbandata per qualcuno." Giacomo finalmente capì: "Anche per me?" e lo chiese con un soffio di voce. Mauro cercò di guardarlo dritto negli occhi: "Si, è stato per te." Riuscì a dirglielo perché gli voleva bene e Giacomo era una parte importante della sua vita, una parte che non voleva perdere. "Anche adesso?" Giacomo si ritrasse istintivamente. Non poté farne a meno, se ne rese conto solo dopo averlo fatto, quando lesse la vergogna e la delusione nello sguardo Mauro. "No, Giacomo, no!" "E quella volta a San Martino, sulla torre?" Il dialogo si era ristretto a loro due, perché quegli episodi così esclusivi della loro amicizia non ne erano mai trapelati, anche nell'ambito ristretto dei Cavalieri. "Si, allora! Quella volta, si. Ma forse eravamo troppo piccoli." "Perché? Che vuoi dire?" "Che neanche io, in un certo senso, sapevo bene quello che volevo. Io cercavo... quello che ancora non sapevo. Però, è vero: mi ero preso una cotta per te. E di notte, qualche volta ho pianto, perché tu non badavi a me. Non ti curavi di me come avrei voluto io. Ma questo non ha mai influenzato il mio atteggiamento. Non ho fatto mai nulla che ti facesse del male. Tu non te ne sei mai accorto. Non è vero?" Giacomo era davvero sconvolto "Mi ricordo. Quel giorno fu tutto così strano, anche quando scendemmo..." e lo disse come se stesse parlando a se stesso. Quel giorno si erano masturbati in modo molto diverso. Quello che avevano fatto li aveva coinvolti più profondamente, poi non era più accaduto nulla del genere fra loro e non ne aveva più parlato. "Non ti ho mai fatto del male. Non credo, almeno" Giacomo non rispose "Resteremo amici?" E gli tese la mano. "Io non lo so se ce la faccio..." parlava lentamente, cosa molto insolita in lui "Non capisco..." Aveva davanti a sé la mano tesa di Mauro, quella mano che lo aveva tratto d'impaccio tante volte, sempre pronta ad aiutarlo, a scuola, come nella vita, giocando a pallone e al mare, dove l'estate precedente Mauro gli aveva salvato la vita. Si erano allontanati in po' troppo dalla riva, fidando solo sulle proprie forze, e quella stessa mano lo aveva afferrato mentre affondava, dopo che aveva visto l'acqua chiudersi su di sé. Le gambe gli si erano bloccate per un crampo e aveva cominciato a sbattere le braccia nell'acqua per cercare un appiglio che non c'era. Mauro si era accorto subito che lui era in difficoltà, l'aveva raggiunto e afferrato da dietro. Se l'era stretto al petto e avevano nuotato di lato, come avevano imparato al corso di nuoto, uniti. Non aveva mai raccontato a nessuno di quell'episodio. Ricordò la sensazione di abbandono che aveva provato a sentirsi avvolto nell'abbraccio di Mauro che lo salvava. Ma Mauro cosa aveva provato quando l'aveva potuto toccare, finalmente abbracciare? Aveva sognato tante volte di poterlo fare e quella volta ci era riuscito, senza che lui potesse opporsi: forse si era anche eccitato. Scacciò quel pensiero, perché era blasfemo: Mauro gli aveva salvato la vita e certamente non lo aveva fatto per toccarlo. C'era ancora quella mano davanti a lui. Per tutto il tempo in cui aveva pensato e combattuto con se stesso, Mauro non l'aveva ritirata. Lo guardava ancora e aspettava che lui la stringesse o se ne andasse. Giacomo lo abbracciò e lo strinse a sé: erano ancora amici. "Non vi capirò mai, voi due siete troppo complicati per me, ma posso essere vostro amico, questo posso farlo. Certo che resteremo amici!" gli mormorò in un orecchio, ma mentre lo diceva provò un disagio che durò finché non si allontanarono. Mauro era commosso e si voltò verso gli altri: Enrico era saltato a terra e si era avvicinato a loro. Mauro abbracciò anche lui. Era contento e commosso: gli amici non l'abbandonavano. Loro si conoscevano da tanto tempo che ritrovarsi improvvisamente senza i loro scherzi, le battute di Eugenio, i ritardi di Alex, i discorsi di Giacomo lasciati sempre a metà, con quelle parole che gli si ingolfavano sulle labbra. Restare senza l'affetto sincero di Enrico, sarebbe stato molto doloroso. Si conoscevano da più di dieci anni e, per dei quindicenni, dieci anni rappresentano i due terzi della vita. Fu felice di farsi travolgere dal vortice di parole che Giacomo stava riversando addosso a tutti loro. Nel frattempo si accorse che Alex ridacchiava per una battuta di Eugenio che lui aveva sentito solo a metà. Gli era sembrata, comunque, molto spiritosa, tanto da lasciarsi andare ad una risata allegra. Enrico riuscì solo di guardarli tutti con tenerezza, perché aveva voglia di piangere per la felicità. Sembrava che fossero tornati amici e così sarebbe venuto tempo per ciò che lui attendeva: per come era sempre andata la sua vita, si era subito abituato ad aspettare. Niki, con gran dispiacere suo e di Mauro, rientrò tardi e i ragazzi riuscirono a parlarsi solo quando andarono a dormire. Mauro, seduto sulla sponda della branda di Niki, gli raccontò della visita dei Cavalieri e di Giacomino. Niki fu felice quanto lui della rinnovata amicizia. Fu così felice che, messa da parte la riservatezza che aveva avuto da quando nella stessa camera dormivano gli altri fratelli, abbracciò Mauro e lo baciò sulla bocca. Il movimento non sfuggì a Michele che era già nel letto più in alto: "Non in questa stanza, non farlo più in questa stanza! Mi fai schifo!" disse rivolto a Niki, poi, come ripensandoci, guardò suo fratello e ripeté "Mi fate schifo voi due!" E, voltatosi dall'altra parte, finse di rimettersi a dormire. Mauro s'alzò di scatto. Niki cercò di fermarlo, ma Mauro si liberò con uno strattone dalla mano che tentava di trattenerlo. S'avvicinò al letto del fratello e appoggiando le mani sul letto sponda, cominciò a scuoterlo, gridando: "Io sono tuo fratello. Non ti posso fare schifo. Non ti posso fare schifo!" Niki lo guardava spaventato "Lui mi vuole bene e anch'io lo amo: hai capito? Noi non dobbiamo fare schifo a nessuno! Hai capito? Hai capito?" L'aveva preso per le spalle e lo scuoteva, senza che il fratello reagisse. Michele pareva non sapersi difendere, era spaventato dall'espressione che aveva visto in faccia a Mauro. Lui odiava Niki, ma di suo fratello, che pure era come quell'altro, non aveva mai avuto il coraggio neppure di pensare. Gli voleva ancora bene. Quelle grida fecero accorrere il papà che, immaginando quello che era accaduto, prese Mauro per le braccia, staccandolo di forza dal fratello e se lo portò in un'altra camera, quasi trascinandolo. Michele, con gli occhi ancora pieni di paura, si voltò verso Niki: "È tutta colpa tua! Hai visto quello che hai combinato?" In quel momento arrivò la mamma. Era seguita dal papà che prese anche Niki per mano e lo portò via. La mamma s'avvicinò al letto di Michele e cominciò a parlargli con un tono che gelò il ragazzo: "Vi abbiamo educati alla tolleranza e al rispetto della libertà degli altri, ma mi pare che con te non ci siamo riusciti molto bene. Hai detto a Niki e a tuo fratello quanto ti facessero schifo, dimenticando che Niki è nostro ospite, mio e di tuo padre, dimenticando che questa casa è di tuo fratello, quanto lo è tua. Non ti sei curato neppure del fatto che Niki ha perduto una persona molto cara. Ti sei scordato che è amico di Mauro e che a te non deve importare, non deve importare" la mamma accentuò la voce in un modo che fece rabbrividire Michele "quanto e come siano amici. Quello che fanno è affare loro. Ti deve bastare sapere che tuo fratello tiene a Niki. Tu sei libero d'avere le tue opinioni, purché queste non siano un limite per gli altri, soprattutto in questa casa! Sono stata chiara? E non intendo, mai più, tornare sull'argomento!" Il tono della mamma era stato gelido, come Michele non l'aveva mai sentito; non vi aveva notato neanche l'ombra dell'ironia che pervadeva tutti i rimproveri che loro tre avevano sempre ricevuto. Anche per le marachelle più gravi, la mamma li sgridava ed arrivava a tirargli qualche scappellotto, ma era sempre pronta a strizzare un occhio, ad accennare ad un sorriso per consolare il pianto. Da quando erano cresciuti, lasciate perdere le sgridate e gli scappellotti, i loro genitori erano stati sempre pronti e vicini ad assisterli nei loro momenti difficili. Avevano tirato fuori Sergio dalla droga letteralmente con la forza delle loro braccia, ma adesso, nello sguardo di sua madre, Michele non colse nulla di tutto questo. Il messaggio era uno solo 'non farlo mai più', senza alcun sorriso consolatorio. Michele si affrettò a raccogliere il suggerimento. "Mi dispiace, mamma. Chiederò scusa" mormorò. "È molto meglio che tu lo faccia. E cerca di farlo bene!" ancora quel gelo nella voce. Michele scese dal letto e andò nella biblioteca. Mauro si era immediatamente calmato: aveva incrociato lo sguardo di Niki e nei suoi occhi aveva visto, per un momento, lo stesso panico che c'era stato nei giorni in cui aveva perso Stephan. Era tornato calmo, aveva messo da parte tutto il furore che aveva dentro e, aiutato dal papà, cercava di distrarre Niki. Michele andò dritto verso di loro e si sedette in mezzo a loro: "Mi dispiace, Niki. Molte volte sono stato sgarbato con te" gli mise il braccio sulle spalle "spero che vorrai perdonarmi! Cercate di essere prudenti" cercava le parole per dire una cosa molto difficile "perché la gente potrebbe non capire o non accettare i vostri sentimenti. Come ho appena fatto io. Mi dispiace, ragazzi." Mauro lo accarezzò ancora. La mamma tirò un sospiro di sollievo, regalando a Michele quel sorriso che gli aveva, così efficacemente negato poco prima. Anche Niki gli sorrise, cercando di liberarsi del terrore che per un momento lo aveva riafferrato. E il giorno dopo durante l'intervallo, sull'onda delle riconciliazioni, agnizioni e riconoscimenti che avevano caratterizzato la domenica, Giacomo fece quattro passi tra Niki e Mauro: "Ragazzi, non riesco a crederci. Ci ho pensato tutta la notte" li guardò, poi, abbassando la voce, bisbigliò "Ma davvero non vi piacciono le ragazze? E come potete sopravvivere senza... pensarci in ogni momento?" la voce era tornata alta. Niki rideva, perché la parlata di Giacomo lo divertiva. Mauro, invece, fingendosi assolutamente serio, mormorò: "È un segreto, Giacomino. È un'antica pozione che io e Niki abbiamo scoperto. L'abbiamo preparata e poi l'abbiamo bevuta. Possiamo assicurarti che con noi ha funzionato benissimo: a quelle cose non pensiamo più. A dire tutta la verità, pensiamo ad altre cose... È una pozione che porterà all'estinzione della razza umana, e i prossimi a prenderla dovrete essere voi, perché avete accettato d'essere nostri amici. Anzi il prossimo a berla sarai tu, perché adesso stai passeggiando con noi." Giacomo gli si mise davanti e cadde in ginocchio, agitando le mani e disperandosi: "Pietà, pietà lasciatemi i miei sogni. Voglio continuare a farmi quelle cose, pensando quello che penso adesso. E poi voglio dei figli!" si bloccò a pensarci su per un momento e poi aggiunse "Ma prima voglio una donna!" Niki rise per tutta la sceneggiata di Giacomo, mentre Mauro, che pure ridacchiava, non poté fare a meno si chiedersi quanto di tutto quello, su cui Giacomino già scherzava, gli altri compagni avrebbero potuto capire e accettare o, almeno, tollerare, se ne avessero parlato liberamente. Finalmente arrivò il sabato sera: all'aeroporto c'erano tutti ad aspettare i genitori di Niki e, quando dall'aereo videro scendere anche il nonno, la sorpresa fu davvero grande. Non ne sapevano nulla. Anzi, fino al giorno prima, al telefono, il nonno aveva parlato con Mauro di lirica senza accennare al fatto che anche lui sarebbe venuto in Italia. Gli aveva finanche preannunciato il regalo che gli avrebbe mandato: era riuscito a trovare, in un grande negozio di dischi, la registrazione di un'opera molto rara di Donizetti che Mauro non aveva mai ascoltato. Ora invece affrontava fieramente il violento vento di tramontana che spazzava il piazzale dell'aerostazione, sorreggendo sua figlia. Nei dieci anni in cui Arleen ci aveva vissuto, il nonno non era mai stato in Italia, soprattutto perché si era sempre rifiutato d'ammettere che, lontano da Boston, lei potesse condurre una vita decente. Per questo la sua venuta era davvero un evento. Arleen cercò subito Niki fra le persone che attendevano all'uscita e gli corse incontro non appena l'ebbe individuato. Mauro provò un'emozione fortissima abbracciando il nonno. L'affetto che sentì di provare per quell'uomo lo sorprese: in America avevano sostenuto insieme una prova molto difficile, ma non avrebbe mai immaginato di riuscire ad affezionarsi, talmente ed in così breve tempo, ad una persona tanto anziana. E dopo essersi abbracciati, scoppiarono a ridere e si scambiarono un potentissimo 'gimme five' sotto lo sguardo allibito del padre di Mauro. Il professore, la cui formazione culturale era profondamente europea, mormorò sconsolato a sua moglie: "Il lato peggiore di tutta questa storia è che, dopo tanti sacrifici per istillargli i principi della nostra cultura, tuo figlio sia diventato uno yankee. Ti ha già chiesto di preparargli per colazione quelle orribili frittelle con la marmellata e fra qualche giorno vorrà indossare calzini arancione." Seguirono abbracci, baci e presentazioni. Il papà di Mauro, per dovere d'ospitalità e cortesia, dovette rispolverare l'inglese scespiriano appreso all'università e il nonno dette mostra d'aver acquistato, notevolmente per la propria età, una buona pronuncia italiana. Finiti i saluti, tirò fuori dalla tasca del cappotto un pacchetto che dette a Mauro. "Ho deciso di portartelo di persona, perché voglio ascoltarlo insieme con te. Quel tuo Donizetti è davvero in gamba!" poi aggiunse enigmaticamente "Questo è il primo dei due motivi per cui sono qui. Per il secondo c'è tempo." Mauro, con le mani che gli tremavano, aprì il pacchetto e vi trovò una registrazione dell'opera lirica che da tanto tempo desiderava ascoltare. Niki lasciò con rimpianto la casa di Mauro e la vita movimentata che vi si conduceva. Loro due, però, continuarono a vedersi in ogni momento e con ogni scusa, già a partire dal giorno successivo, quando, presto per essere una domenica mattina, ma in tempo per trovare la famiglia in casa, Niki tornò a riprendersi tutte le sue cose e con quelle era fermamente intenzionato a portare via anche Mauro, almeno per quel giorno. "Vieni via con me. Voglio rapirti. Non ho fatto che pensare a te stanotte" gli disse mentre riempivano uno zaino con i libri che doveva riportarsi a casa "Salta qui dentro, con un incantesimo ti farò diventare piccolissimo, nessuno ci vedrà. Ti prego vieni via con me. Stanotte non ho dormito, ho pensato continuamente a te. Beh, quasi sempre: un poco ho anche dormito." "Anch'io ti ho pensato. Davvero posso venire con te? Non vi darò fastidio? Mi vesto immediatamente. Resterete a casa?" "Vieni via così, con il pigiama verde: mi sembri un pisello." "Sembro cosa? Lo sai che il mio inglese non è perfetto. Sembro un fagiolo?" "A pea, not a bean, a pea, goofy, a pea" Niki rideva "My God! Can it be a green bean? " Mauro fece un'espressione serissima e gli disse, facendo un profondo inchino: "Mio dolcissimo maestro, credo di aver bisogno di una lezione d'inglese molto particolare. Proprio in questo istante ho avuto un'idea che ti piacerà e te ne parlerò alla prima occasione. Ma prima dimmi francamente cosa pensi del mio inglese?" "Fa proprio schifo. È appena sufficiente, considerato il mio valore e la fatica che ci metto ad insegnartelo. Che idea hai avuto?" "Non ora! Non qui!" Mauro continuò a parlare con il suo tono più serio, avendo dipinta in volto un'espressione molto solenne. Sapeva benissimo che comportandosi a quel modo non faceva che eccitare la curiosità di Niki. "Ti prego, dimmelo!" "Sei curioso!" gli disse, sorridendo con sufficienza. "Dimmelo. Dimmelo!" Niki cominciò a tormentarlo con i pizzicotti, Mauro tentò di fuggire lungo il tunnel e Niki prese a rincorrerlo. "Sei curioso! Sei curioso! Sei curioso!" lo canzonò Mauro, dimenticando che la propria curiosità era proverbiale in famiglia ed era certamente superiore a quella di Niki. "E tu hai paura del buio! Tu sei curioso! Tu sei curioso!" Mauro non si faceva raggiungere, mentre, usciti dal tunnel, si rincorrevano per la casa, creando scompiglio in tutti quei posti dove ce n'era già abbastanza. "Insomma basta!" l'urlo perentorio della professoressa di matematica, nelle vesti di mamma, partì dalla cucina e li raggiunse mentre si stavano praticamente soffocando per il solletico su uno dei letti del tunnel, fortunatamente disabitato in quel momento. Mauro era ormai seminudo, poiché i pantaloni del suo pigiama non avevano resistito alle sollecitazioni di Niki il quale solo un poco più composto, anche perché inappuntabilmente vestito, gli era sopra e gli bloccava le braccia. "Ti arrendi? "gli mormorò in un orecchio. Mauro fece cenno di no con la testa: "Se vuoi sapere qual è la mia idea perdi il tuo tempo. Puoi anche uccidermi" gli disse serio. "No, non ne vale la pena. In fin dei conti non può essere una buona idea e tu mi servi vivo!" e finse disinteresse rialzandosi dal letto. Poi, mentre Mauro si rassettava cercando disperatamente di rendersi presentabile, considerata l'erezione che gli spuntava sul davanti dei pantaloni del pigiama, Niki gli si mise davanti in ginocchio, parlando con voce piangente: "Ti prego, dimmelo. Non posso sopravvivere con questo dubbio che mi squarcia il cuore e mi attanaglia la mente." "Molto ben interpretato, Waldner! Non mi pare che a Boston ci sia mai stato l'Actor's Studio! Visto che sei così bravo, novello Amleto, vai a convincere mia madre a lasciarmi venire con te oggi. Ha già detto di no, perché, secondo lei, dovrei rispettare la vostra privacy, visto che i tuoi sono appena ritornati e certamente non vorrete avere ospiti per casa." Niki si rialzò scoraggiato. Mauro non voleva saperne di rivelargli l'idea che aveva avuto e poi c'era il rischio di non convincere la coriacea signora a mollare quel figlio tanto prezioso per tutti. Così, appena ebbe finito d'impacchettare le sue cose, raggiunse la mamma di Mauro in cucina. Mentre quella potenziale e atipica suocera, a Niki scappò da ridere al pensiero d'averne già una, sbucciava patate ed imburrava un pollo, Niki cominciò i suoi tentativi di seduzione per convincerla a lasciargli portare via Mauro. Fra i due si svolse un gioco di sguardi divertiti, visto che entrambi sapevano bene che fra un momento sarebbe stata fatta una richiesta e quale ne sarebbe stato l'oggetto. Restava solo da vedere la forma e la natura delle scuse che sarebbero state accampate perché fosse onorevolmente accettata dalla mamma che non voleva deflettere dal suo ruolo di controllore. "Il nonno, Grandpa, mi ha chiesto di portarle i suoi saluti" disse Niki con la sua voce più dolce "E poi, mi ha incaricato di chiederle qualcosa." Niki tacque speranzoso, ma la mamma non parve minimamente incuriosita dalla sua pausa. "Al nonno, Grandpa, piacerebbe che Mauro fosse nostro ospite per pranzo." "Oh! Sarà un onore, per mio figlio, accettare! Per l'ora di pranzo ci sarà!" anche la mamma aveva parlato con tono soave "Se a tuo nonno, Grandpa, fa piacere, mio figlio vi raggiungerà per mezzogiorno. Pensi che al nonno, Grandpa, vada bene?" la mamma di Mauro sorrise amabilmente a Niki, il quale accettò la sfida. "For God sake, signora, il nonno, Grandpa, tiene tanto a che Mauro venga con noi nella visita alla città che stiamo organizzando per lui. Mauro conosce certamente meglio di me gli angoli più belli del vostro affascinante borgo antico." "Va bene, piccolo diavolo, hai vinto, ma bada che rivoglio indietro mio figlio per stasera, sono stata chiara? Lui deve dormire qua!" Niki si avvicinò a baciarle una guancia, mentre Mauro, spuntato da chissà dove, la baciò sull'altra. Sparirono di corsa, perché la mamma poteva ripensarci. Prima di lasciare la casa, però, andarono a salutare il papà. La vita riprese per tutti, con la presenza di quel nonno straordinario, che si rivelò, anche alla famiglia di Mauro, come una persona eccezionale. Una sera, a casa di Niki, c'erano solo i quattro genitori e il nonno. I piccoli erano stati mandati a mangiare una pizza da qualche parte. "Vorrei che Mauro diventasse mio nipote. Davvero! Vorrei fare qualcosa per lui. Voi avete un figlio meraviglioso: ma lo sapete già, non è vero? A Boston l'ho visto diventare amico di Stephan e cercare di fare qualcosa per lui, purtroppo senza riuscirci. Lui aveva capito che Stephan si drogava, prima ancora di vederlo, o che noi gliene parlassimo. Poi l'ho visto aiutare Niki, quando era disperato. Forse non dovrei parlarne, ma voglio che comprendiate perché mi sono tanto affezionato al vostro ragazzo. "Eravamo partiti per cercare di distrarre i ragazzi, in qualche modo e, mentre eravamo in viaggio, Niki cominciò a non parlare più con nessuno. Si chiuse in se stesso e non rivolse più la parola neppure a Mauro. Cominciò così: Niki era completamente assente, oppure all'improvviso capriccioso, intrattabile. E Mauro pareva non badare agli sgarbi che subiva in ogni momento, sia che Niki lo ignorasse quando lui gli parlava. Sia che gli urlasse qualcosa quando aveva quegli attacchi d'ira. E Mauro continuava ad assecondarlo in tutto. Quello che accadde e che vidi io, fu che il vostro ragazzo smise di mangiare" la mamma di Mauro sobbalzò "Durò tre giorni, vostro figlio non toccò cibo e bevve solo un poco d'acqua. Fingeva di mangiare, perché Niki ed io non notassimo nulla e non ci preoccupassimo. Ma Niki non lo guardava neppure e lui credeva davvero che non l'amasse più. Credo che Mauro avesse deciso di morire. "Sapete, a quindici anni è dura non mangiare per tre giorni, ma vi posso assicurare che non ingoiò che qualche bicchiere d'acqua. Poi, una mattina, non so come, Niki tornò ad essere il buon ragazzo che era sempre stato. Quel giorno scesero a colazione sorridenti e Mauro mangiò tutto quello che c'era sul tavolo. Niki lo guardava meravigliato, ma vostro figlio borbottò, con la bocca piena, che aveva sognato qualcosa, che aveva fatto un sogno strano e che tutta quella meraviglia gli aveva messo addosso una fame terribile e fece un cenno d'intesa a Niki. E allora anche a lui venne una gran fame. E mentre parlavano e mangiavano, non facevano che sorridersi. "Quel giorno si erano rappacificati, ma si erano anche ritrovati. Forse era accaduto che Niki aveva guardato dentro di sé ed aveva scoperto che là c'era Mauro ad aspettarlo. Ho accumulato abbastanza esperienza nella mia vita per capire che cosa leghi quei due. Credo che sia qualcosa che difficilmente potrà spezzarsi. Ma se mio nipote è un po' speciale, credo che il vostro ragazzo sia veramente straordinario. "È per questo che gli voglio bene e vi prego d'accettare il regalo che voglio fargli. Ma non consideratene il valore venale, quello non ha alcun significato." E parlò di un legato testamentario che aveva deciso di destinare a Mauro. Si trattava delle stesse disponibilità che, anni prima, aveva assegnato a Niki e a Stephan. Il colloquio si svolgeva in un misto d'italiano e inglese fra le proteste imbarazzate dei genitori di Mauro, ma il nonno non volle saperne. Si trattenne ancora per qualche giorno. Trovò il tempo di definire con uno studio legale i particolari della sua promessa, poi partì ricevendo da tutti promesse di visita a Boston per l'estate successiva. A quel punto la vita tornò realmente normale. Andato via lui, i ragazzi ripresero a studiare regolarmente, perché con il nonno per casa a fare domande, ad ascoltare musica, a farsi venire idee su come trascorrere il tempo, quei due avevano un poco trascurato lo studio. Questo, comunque, non aveva inciso sul loro rendimento generale, che era tanto elevato da permettergli di vivere di rendita per molto più di due settimane. Il pomeriggio prima della sua partenza il nonno li aveva chiamati e aveva posto una domanda piuttosto singolare: "Avete forse un desiderio impellente?" i due lo guardarono senza capire e lui, allora, puntando l'indice verso di loro, spiegò "Mi spiego meglio: c'è qualcosa che pensate sia per voi importante possedere in questo momento e che i vostri genitori non vi comprerebbero mai? Che voi desiderate più di ogni altra cosa e che il nonno può comprarvi, tanto domani parte e a seimila chilometri di distanza i vostri genitori non possono riempirlo di bestemmie?" I due, non credendo alle proprie orecchie per quanto avevano appena sentito, all'unisono risposero: "Il motorino!" "Ma non voglio che lo usiate sconsideratamente, non voglio sentire d'incidenti, mi basta avere perso un nipote. Sono stato chiaro?" All'accenno a Stephan, che il nonno non aveva quasi mai nominato da quando era arrivato in Italia, Niki si irrigidì e Mauro fu pronto a stringergli un braccio. "Ho parlato di Stephan perché comprendiate che la vita è preziosa e se si rischia di perderla si creano guasti tremendi, oltre che a se stessi, anche a chi si ama. Ci siamo capiti?" I due si profusero in rassicurazioni e trascinarono il nonno verso un negozio di motociclette per perfezionare l'acquisto nel minor tempo possibile, prima che i loro genitori potessero influenzare le buone intenzioni del vecchio. "È sufficiente comprarne uno solo" disse Mauro e Niki fu subito d'accordo "daremo meno nell'occhio, e poi a noi basterà." "Si, nonno, è meglio uno solo, per noi andrà bene così!" "Purché sia azzurro" disse Mauro. "Già" convenne subito Niki "deve essere proprio azzurro!" I ragazzi si sorrisero e il nonno li accontentò anche in questo. I loro genitori, invece, lo furono molto meno quando, al rientro dall'aeroporto, appresero dell'acquisto, ma anche a loro i ragazzi fornirono rassicurazioni di prudenza, moderazione e avvedutezza. Nessuno dei due, però, aveva mai guidato altro che la propria bicicletta. Fu Michele ad insegnarglielo sotto casa, quello stesso pomeriggio. Avevano scelto un motorino abbastanza comodo da starci in due e, non appena ebbero raggiunto una certa sicurezza a cavallo del mostro meccanico, caschi in testa e allacciati, avvolti in calde giacche a vento, volarono verso la libertà che per loro era rappresentata dalla campagna intorno alla città e dalla villotta che era un poco più lontana. I primi chilometri non furono facili. Niki s'era messo alla guida, mentre Mauro lo assisteva come navigatore in un rally particolarmente impegnativo. Avevano imboccato, su consiglio del più competente Michele, una strada di campagna diversa da quella che di solito percorrevano, in bicicletta, per raggiungere la villotta. Era asfaltata, abbastanza diritta e in piano, essendo le curve, le salite e le discese poco consigliabili per due neofiti come loro. Alla seconda sbandata, Mauro riuscì a prendere terra, lasciandosi sfilare il motorino da sotto. Così Niki si ritrovò da solo e senza sapere bene come rallentare. "Mi stai abbandonando. Non me l'aspettavo!" gridò disperato, mentre si allontanava. Poi riuscì a frenare e, miracolosamente, a fermarsi, senza cadere. Attese che Mauro lo raggiungesse e gli lasciò la guida, felice di poterlo fare. Ma se per uno erano sorte difficoltà, anche per l'altro non fu facile, perché neppure Mauro sapeva ancora controllare il motorino e un paio di volte andò molto vicino a perdere l'equilibrio. "Con la mia bicicletta sono anche salito al primo piano della villotta, poi mamma mi ha fatto scappare a piedi! Ma questo coso sembra muoversi da solo!" disse per giustificarsi, dopo l'ultima sbandata. "Questa non è una bicicletta, accidenti!" gli gridò Niki, spaventato. Poi pensò che fosse il caso di sdrammatizzare un poco "Ha un motore che si comanda con quella manopola che impugni con la mano destra. La mano dove non avresti l'orologio se ne portassi uno!" "Come?" disse Mauro un po' perplesso "E questa quando l'hai inventata?" riuscì a fermare il motorino e si voltò verso Niki "La mano destra è quella con cui ci si fa il segno della croce! Infedele!" "Lo sarà per te, che sei un bigotto!" Scoppiarono a ridere. Poi decisero di ripassare le regole auree per guidare un motorino, suggerite dall'esperto Michele: "Tuo fratello ci ha detto 'quando si sta accelerando, non si deve frenare' e tu hai fatto le due cose insieme." "Michele ha anche suggerito di non frenare in curva, di stare molto attenti a non provarci, per nessun motivo! E tu, poco fa, l'hai fatto ed è stato per questo che abbiamo sbandato. Stavamo cadendo." "Tu non sai guidare il motorino." "Tu non sai andare neanche in bicicletta, figurati sul motorino!" Erano andati a sedersi sul muro a secco che segnava il confine del campo, al margine della stradina di campagna. Se ne stavano lì, fingendo di litigare, a ridere sulla loro incapacità di guida, quando Mauro gli accarezzò una guancia con il dorso della mano. "Hai le dita fredde" mormorò Niki, tremando. Aveva provato un brivido al tocco di quelle mani gelate. Si raccolse su se stesso, per conservare il più possibile il calore del corpo e appoggiò il mento sui pugni chiusi. Teneva i gomiti sulle ginocchia e si sporse un po' verso Mauro, guardandolo diritto negli occhi. Mauro l'accarezzò ancora e percorse le sopracciglia dorate, gli sfiorò il naso, gli passò le dita sulle labbra sentendo sotto i polpastrelli la peluria morbida che gli copriva il labbro superiore. "Dobbiamo raderci" disse sorridendo "dobbiamo proprio farci la barba!" poi gli passò le mani fra i capelli. Avvicinò la bocca a quella di Niki e gli sfiorò le labbra con un bacio. Anche Niki l'accarezzò sulle labbra, coperte da una peluria più scura e più consistente della sua. "Tu più di me. Sei grande ormai." "Ma sei tu quello più vecchio e aspetto che mi dia l'esempio." Poi Mauro si alzò e andò verso il motorino per rimetterlo in moto. "Salta su, forza. Si riparte!" Questa volta, forti dell'esperienza dei precedenti errori, riuscirono a mantenere un'andatura decorosa, a controllare le sbandate e, dandosi il cambio alla guida, raggiunsero finalmente la villotta. Lungo la strada l'aria era gelida e sul motorino, a causa della velocità, pareva ancora più fredda. Quello che si trovava dietro si abbracciava al guidatore per riscaldarsi e tentare di riscaldarlo. Baci non potevano darsene, impediti com'erano dai caschi, ma si scambiavano continuamente carezze che valevano come baci. Erano partiti con l'idea d'arrivare alla villotta e fare l'amore, ma non avevano fatto i conti con la temperatura rigida di quel pomeriggio di febbraio e, come al solito, non avevano le chiavi per entrare. Parevano due gattini infreddoliti quando arrivarono davanti al cancello. "Il nonno doveva regalarci una macchina con l'autista. Mi sembra di essere un pesce congelato!" "Il tuo trisavolo poteva farsi costruire la villa più vicina alla città: io sto morendo assiderato. Al ritorno cercheremo di andare più piano, così forse farà meno freddo." Niki tremava e batteva i denti. Mauro lo abbracciò, tentando di dargli calore, ma tremava anche lui. Cercarono di calmare i brividi facendosi un poco riscaldare dal sole del pomeriggio. Entrarono nel recinto della villotta e andarono a sedersi sulle pietre della scalinata, uno accanto all'altro, vicini per difendersi dal vento. Poi Mauro pose la testa sulle ginocchia di Niki e lentamente si spostò appoggiando le labbra sui pantaloni del compagno. Scivolò lentamente verso il suo grembo, fino ad affondarvi completamente, aspirando il calore e l'odore di Niki dai suoi posti più segreti. "Che fai?" ridacchiò Niki "Sento il tuo naso gelato" e si spostò un poco per consentirgli di aggiustarsi meglio. Mauro lo fiutò come fosse un cagnolino. Scese a sentire quegli odori nascosti e sondò con la punta del naso l'erezione che Niki stava avendo nonostante il freddo che c'era. Passò più volte con tutta la faccia sull'asta irrigidita e ne saggiò la consistenza con i denti, lasciando tracce di saliva sul velluto dei pantaloni. Si parlavano raramente quando facevano l'amore, quando varcavano quella soglia. Non c'era mai stato bisogno di tante parole, poiché uno interpretava sempre la volontà dell'altro. Mauro si fermò e Niki lo sollevò fino alla sua faccia perché si baciassero, poi si guardarono. Gli occhi di Niki esprimevano desiderio, ma la sua faccia diceva anche, inequivocabilmente, che sentiva freddo. E Mauro gli pose la testa nell'incavo del collo, lo baciò come piaceva a tutti due, con le labbra socchiuse, lasciando umida di saliva la pelle morbida e delicata del collo. Una volta, dopo un bacio come quello, mentre erano in giro in campagna e tirava anche molto vento, Niki gli aveva detto: "Il vento ha continuato a baciarmi dopo che tu hai staccato le labbra ed io ti ho sentito ancora su di me". Mauro aveva pregato qualche dio perché gli fosse consentito di vivere ancora momenti di felicità come quello. Negli occhi di Mauro passò traccia di quei pensieri, mentre si baciavano ancora. Poi Niki si sciolse dall'abbraccio e si alzò. Tremava. "Andiamo via. Sento proprio freddo! Vieni?" la sua voce era quasi ritmata dai brividi che lo scuotevano. Mauro era ancora seduto sulle lastre di pietra coperte di muschio scuro e lo guardava dal basso, Niki gli parve un eroe greco: "Tu sei Patroclo!" Niki gli tese la mano e Mauro si sollevò, ma conservò negli occhi quell'immagine dell'amante, illuminata dal sole del tramonto, contro il cielo. Avrebbe conservato il ricordo di quei lineamenti, di quelle fattezze, per sempre: le guance arrossate dal freddo, gli occhi che in quel momento erano più azzurri del cielo, i capelli biondi spettinati, la bocca tesa nello sforzo di dominare i brividi, le mani allungate verso di lui per aiutarlo ad alzarsi. Pensò che avrebbe sempre avuto quelle mani davanti a sé per sorreggerlo e difenderlo. Niki lo guardava e lui si alzò, gli scivolò fra le braccia. Si serrarono in un abbraccio forte, fino a farsi male, con le teste accostate e spinte sulle spalle dell'altro, gli occhi chiusi, i pugni stretti. Trattennero il fiato, poi lentamente e insieme cominciarono a rilassarsi e poi si baciarono ancora. "Andiamo via, Achille, o ti mordo" disse ridendo il suo Patroclo. Il cambiamento di programma a causa del freddo non sarebbe stato un gran sacrificio per loro, perché quella notte avrebbero dormito insieme. Nella camera di Niki era infatti sempre pronto un secondo letto per accogliere Mauro la sera del sabato. Rientrando infreddoliti e affamati e dopo aver fatto merenda, si sistemavano ad ascoltare musica, a giocare col computer, qualche volta a guardare la televisione. Quando i genitori di Niki non erano in casa per la cena, i due avevano l'appartamento tutto a loro disposizione. Quel sabato non c'era stata la partita, perché la squadra aveva un turno di riposo nel campionato che stava disputando, ma i due, di ritorno dalla passeggiata in motorino, reclamarono ugualmente cioccolata calda e qualcosa da mangiare per calmare il freddo e la fame. Arleen fu felice di vederli tornare sani dalla prima gita su quel mezzo pericoloso. Dopo una telefonata a casa di Mauro per rassicurare i genitori che l'avventura in motorino si era conclusa bene, i due si organizzarono per passare la serata con buona musica per colonna sonora e giochi divertenti al computer. Ma, anche se i loro occhi erano puntati allo schermo per seguire l'ometto che cercava di sfuggire ad un verme famelico, le loro orecchie erano orientate verso i rumori provenienti dal resto della casa. E quell'attività segnalava soprattutto la prossima uscita di madre e padre, con destinazione casa d'amici in un'altra città. Questo voleva dire libertà per tutta la sera e parte della notte, senza contare la mattina della domenica. "Noi stiamo andando via. Non incendiateci la casa, non fate entrare nessuno, mangiate quello che c'è per cena, anche se quest'ultima raccomandazione mi sembra superflua a due idrovore come voi" il padre parlava appoggiato allo stipite della porta della camera di Niki sorridendo, come sempre "ripulite tutto e spegnete le luci prima d'andare a letto, ricordatevi di..." La mamma lo tirò via dalla porta ed entrò per baciare Niki e Mauro prima d'andarsene: "Forse faremo tardi. State attenti uno all'altro. Buonanotte, guys." Il clic della serratura fu il segnale, lo squillo di tromba della libertà conquistata. Un ometto finì stritolato nelle fauci del verme orrendo, ma nessuno se ne curò, perché Niki aveva circondato da dietro Mauro e, contorcendosi lo baciava sugli occhi, impedendogli di vedere. Mauro tentò di continuare a giocare, cercando di sottrarre un altro ometto al suo terribile destino, ma Niki lo tirò via dal computer. Erano padroni di se stessi e della casa e quella libertà li inebriò, poi Mauro spinse Niki fino a farlo sdraiare sul letto e gli sfilò lentamente la tuta, le calze, la maglietta e gli slip. Ebbe finalmente davanti a sé il suo amante, supino e completamente nudo, che lo guardava attento e curioso di conoscere quale sarebbe stata l'idea di questa volta. Avevano un modo sempre diverso e complementare di fare l'amore e, se ad uno venivano le ispirazioni, quasi sempre, l'altro le accoglieva e le sviluppava. Stavolta però c'era la misteriosa idea di Mauro da mettere in pratica e Niki attese speranzoso ed eccitato. "Ti ricordi? Ti parlai di una lezione su alcune speciali parole inglesi, alcuni vocaboli che non conosco ancora: mi riferivo a dei termini d'anatomia!" disse Mauro tutto serio "Ti toccherò e tu mi dirai il nome della parte che io sto sfiorando. Mi sembra un buon metodo per arricchire il mio vocabolario. Va bene?" Niki fece di si con la testa: "OK! Ma sarebbe meglio che io avessi bene in vista anche il corpo del mio allievo." "Oh, certo! Il discepolo non ci aveva pensato, ma provvede immediatamente!" E Mauro si tolse velocemente la tuta, naturalmente blu, che aveva preso l'abitudine d'indossare e si concesse così alla vista di Niki. Poi con l'indice gli sfiorò il piede, risalendo lungo il corpo, mentre Niki scandiva: " Foot, leg, knee, thigh, hip... danger, danger: whatch out, you're too close" Mauro aveva sfiorato il grembo di Niki, ma non era ancora il momento e si spostò riprendendo a toccarlo sulla testa e accarezzandolo ovunque "Hair, forehead, eyes, eyebrows, eyelashes, nose, mouth, lips, cheeks, neck" scese lungo il collo, fino al torace e sulle braccia "shoulders, nipples, arms, hands, fingers" poi più giù, fino al ventre "tummy... danger again." "I love you and... I love danger!" "Danger as you like: dick, prick, cock-head, balls" Mauro si era avvicinato ancora "Wanna inspect my back, now?" Niki mormorò queste ultime parole girandosi, Mauro continuò a sfiorarlo. Era quasi senza fiato ormai e lo lambiva soltanto con la punta delle dita "Back, loins, buttocks, ass, asshole... it's dangerous. S.o.s." Niki si voltò un'altra volta e lo guardò. Gli tese le braccia e Mauro capì che, per il momento, la lezione era al termine. Gli si stese sopra e, abbracciati, cominciarono a muoversi, sfregando i corpi finché non godettero. Stettero così ancora un poco, poi Mauro gli sussurrò in un orecchio: "Sei ancora innamorato di me? È vero che non ti ho stancato?" "No, non ancora! Ma sei pesante e sei un po' umido sulla pancia" e, dicendolo, abbracciò più stretto Mauro che voleva scivolare sul letto, per alleggerirlo, credendosi davvero pesante "e poi la tua barba comincia a pungere un poco. Ce la facciamo domani mattina? Che ne dici?" Quello della barba era un argomento ormai ricorrente nei loro discorsi, ed era stato già affrontato prima di partire per l'America. Sul labbro superiore di Mauro, ma anche su quello di Niki, era cresciuta una peluria più o meno morbida e ad entrambi il confine delle basette era sempre più sfumato. Era decisamente arrivato il momento che, almeno Mauro, cominciasse a radersi, ma anche Niki, con qualche sforzo e un po' di fantasia, per non essere da meno del compagno, per essere con lui anche in quella esperienza, avrebbe avuto bisogno di una ripulita sulla faccia. Mauro si mosse e lo baciò sulle guance, ma non rispose subito. Era un segnale di disagio. "Quando i miei fratelli hanno fatto la prima barba, è stato papà a spiegargli come dovevano fare. Adesso penso che vorrà farlo anche con me." "E credi che lo spiegherebbe anche a me?" Niki si sentì, per un momento, solo per un momento, escluso da qualcosa che apparteneva a Mauro. La sua bocca assunse un'espressione che ormai pareva aver dimenticato. "Certo!" lo rassicurò subito Mauro e lo baciò, finché Niki tornò a sorridere "Papà lo farà certamente, anzi ne sarà felicissimo" poi passò la bocca sul labbro superiore di Niki "La tua barba è così morbida: non sarai ancora troppo piccolo per un'esperienza così traumatica..." Ma non riuscì a concludere la frase, perché Niki, per vendicarsi di quell'insinuazione, gli fece il solletico ai fianchi, facendolo ridere fino alle lacrime. Quando finalmente si calmarono, Mauro fu preso da un pensiero: "Niki, ma a tuo padre non dispiacerà? Nella mia famiglia la prima barba è quasi un rito. Pensa che quando fu di Sergio in bagno c'eravamo tutti e cinque e, naturalmente, si stava un po' stretti. Papà lo insaponò, poi gli fece vedere come doveva reggere il rasoio e gli guidò la mano. Io tenevo gli occhi chiusi, perché avevo tanta paura ed ero certo che Sergio si sarebbe ferito, ad un certo punto li riaprii e quello scemo, proprio in quel momento, si tagliò davvero. Vidi il sangue che arrossava la schiuma bianca e scoppiai a piangere, senza capire perché, come uno stupido. Perciò ora ho un po' paura di tagliarmi. Pensi che faccia male? Non credi che possa essere pericoloso?" Niki fece decisamente di no con la testa: "No! Devi essere un uomo, altrimenti darai ragione a quelli che considerano i gay delle donnicciole!" e rise a quel pensiero. Anche Mauro sorrise. L'idea di poter essere considerato effeminato da chi conoscesse i suoi desideri, era una cosa che l'aveva sempre fatto ridere. Lui e Niki si erano sempre sentiti, con orgoglio, completamente uomini e come a due uomini pensavano di sé, come a due uomini che si amavano. "'La barba è una cosa seria. È la soglia oltre la quale si è uomini, e non più ragazzi. È il momento in cui si acquisiscono responsabilità precise nei confronti del mondo'" Mauro recitò con voce seriosa, imitando il tono di suo padre "Queste furono le esatte parole che disse papà a Sergio. A Michele non saprei perché non fu un avvenimento come per Sergio, ma mi pare che gli abbia fatto lo stesso discorso." L'attività fisica gli aveva messo fame un'altra volta, perciò si alzarono e indossarono i pigiami, cenarono e riordinarono la cucina. Giocarono con il computer per il resto della serata, godendosi la loro libertà, senza guardare l'orologio e quando decisero che s'era fatto tardi, si infilarono in uno dei letti. Erano avviluppati nel solito groviglio di braccia e gambe, in cui riuscivano a non intorpidirsi, ma a muoversi tranquillamente pur rimanendo allacciati. Stando così, discussero di musica: Niki aveva scoperto Puccini e ne era rimasto affascinato, ma Mauro lo odiava con tutte le sue forze. Stravinsky, invece, era antipatico a Niki, ma aveva conquistato Mauro. Finirono per chiacchierare su tutto e di tutti i loro compagni di scuola, come piaceva a Mauro che, secondo Niki, era decisamente pettegolo. Parlarono di calcio, della squadra in cui militavano, delle scelte dell'allenatore che a turno condividevano e contestavano per niente. Poi, mentre Mauro continuava a parlare, spiegandogli perché, a suo giudizio, qualcuno di loro conoscenza dovesse comportarsi in un certo modo, Niki parve assopirsi. Mauro gli sfiorò la fronte con le labbra: "Dormi?" "No, pensavo a Stephan. Dove sarà adesso?" lo disse senza riaprire gli occhi. Del cugino non parlavano. Niki non lo faceva mai di sua volontà e questa era certamente la prima volta che accadeva. Era naturale che in un momento d'abbandono e d'intimità come quello, fra le braccia del compagno, pensasse a Stephan, che se ne ricordasse, che desiderasse parlarne con la persona che amava. Mauro, però, sapeva che, se in quei mesi Niki non aveva più nominato il cugino, non era stato perché l'avesse dimenticato. Molte volte, infatti, l'aveva sorpreso con gli occhi persi a guardare lontano e con il pensiero in un luogo dove lui non era ammesso. Allora lo scuoteva, gli chiedeva dove fosse andato con i pensieri e Niki riusciva solo a sorridergli tristemente. E se Niki non ne parlava, era perché non voleva che Mauro si impensierisse o si rattristasse. Si sentiva ancora terribilmente responsabile per la pena che gli aveva arrecato in America, nei giorni successivi alla morte di Stephan. Ma c'era un altro motivo per cui non aveva più parlato del cugino: desiderava tenere per sé tutto il dolore di quella morte, come un pegno d'amore verso Stephan. Mauro non doveva sapere nulla di tutto questo. Gli piaceva pensare che quello fosse l'ultimo segreto che aveva con Stephan. E sarebbe stata anche l'unica cosa di sé che avrebbe tenuto nascosta al compagno della sua vita. Questa volta però non era riuscito a sopportare da solo il peso di quei ricordi ed aveva chiesto aiuto. Mauro tentò di rassicurarlo, mormorandogli qualche ragione. "È dove non soffre più, dove non piange. Lui è certamente fra gli angeli, perché era buono." Niki se ne stette un po' zitto, quasi a meditare su quelle parole: "Quando uno muore non gli si può dire più nulla. Non è vero?" Mauro l'accarezzò, non sapeva quali parole usare per consolare quel dolore. "... ed io a Stephan avevo ancora tante cose da dire. Ora non potrò più farlo!" "Non è vero! È in paradiso oppure in un altro posto e tu puoi parlargli. Puoi farlo se lo vuoi. Stephan è nel nostro cuore, perché gli volevamo bene!" "Ma tu ci credi al paradiso, alla religione, a tutte quelle cose?" "No, non molto. Adesso quasi per niente" Mauro fu felice, perché forse aveva trovato un argomento per strappare Niki a quei pensieri tristi. Vi si lanciò con entusiasmo "Prima ero religioso. Intendo dire prima di conoscere te! Sai, io sono sempre andato in chiesa e sono stato il più devoto membro di tutta la mia famiglia, da qualche generazione. Secondo papà più che devoto, sono stato bigotto. Ho frequentato il catechismo per la prima comunione, senza perdere neppure una lezione, ed ho anche preteso di essere cresimato, al contrario di Sergio e Michele che non ci hanno più pensato. E prima di incontrare te andavo a messa ogni domenica, mi confessavo, mi facevo la comunione e tutto il resto, ma poi ho smesso. Ed ora non ne sento la mancanza. Adesso ho capito che lo facevo soltanto perché lo facevano tutti i miei amici e, da quando sto con te, non ho più badato a loro." "Ma credi in dio?" "No. Penso di no: non ci credo più. E tu?" "Non sono mai stato educato a credere in qualcosa. Anzi, sono quasi certo di non essere stato neanche battezzato. Mio padre non me ne ha mai parlato ed anche se mia madre è cattolica, non si è mai fatta problemi con me" Niki se ne stette un po' zitto e Mauro lo lasciò pensare "Da un po' di tempo, però, mi chiedo cosa ne sia stato di Stephan: non credo nel paradiso, ma non riesco ad immaginare che Stephan possa non esistere più. Io, però, spero che ci sia una parte di lui ancora viva in qualche posto." Quella sera Niki era troppo triste e cercava una risposta che lo consolasse, che desse pace al fantasma di Stephan che si aggirava nei suoi pensieri. Si raggomitolò e l'abbraccio di Mauro si fece ancora più protettivo. "Niki, mio padre dice che i morti sopravvivono nella memoria dei loro cari e che quello è il loro inferno e il loro paradiso. Se è così, penso che Stephan sia davvero in paradiso" baciò i capelli di Niki, gli passò le labbra sul capo "se è qua è nel cielo più azzurro." "È vero: lui è sempre con me, nel mio cuore. Sempre, in ogni momento. Tu non sei geloso, vero?" "No!" "Uno come lui non può essere che in paradiso, perché era buono. È vero che non invecchierà mai?" Mauro lo strinse di più: " È come dici tu" gli mormorò, continuando ad accarezzarlo. Poi Niki si riscosse. Per ora, il ricordo di Stephan era placato. Guardò Mauro con occhi maliziosi: "Davvero hai smesso d'andare a messa per colpa mia?" "Certo che è stata colpa tua! Cosa volevi che andassi a raccontare al prete? Che avevo infilato la mano nei tuoi pantaloni?" Niki scoppiò a ridere "Quelle sono cose che non si possono confidare, neppure in confessione. Sto scherzando, non è proprio andata in questo modo. Al mio sacerdote che è davvero un tipo singolare, forse, avrei potuto dirlo, ma quella domenica mattina, quando decisi di non andare più a messa, avevo te in testa e alla messa non ci pensai proprio. Poi tu sei rimasto e la mia fede, se c'era davvero, se ne è andata. Sei proprio un pervertito che perverte." "Si, ti ho pervertito. Hai ragione" risero un poco, poi Niki tornò un'altra volta serio "Mauro, ma tu credi che, non incontrandomi, ti saresti ugualmente scoperto gay?" "Penso proprio di si. Anche prima d'incontrarti, le mie fantasie erano abbastanza definite: ho sempre pensato ai bei maschietti come te." "Anch'io!" poi gli venne un'altra idea "Tu ti sei mai chiesto perché sei omosessuale?" "Si, ma non ho ancora trovato la risposta: ma la troverò, stanne certo. Ho letto però che una madre o un padre possessivo potrebbero causare dei complessi al proprio figlio. Ma non ci credo. E tu?" "Beh, se ho interpretato bene un manuale di psicanalisi che ho letto quando ero in terza media, direi che la malattia di mia madre e la mia difficoltà a farmi degli amici, tutti i nostri spostamenti, assieme al poco tempo che mio padre mi ha sempre dedicato, hanno fatto di me un gay perfetto e molto convinto." Mauro non era d'accordo. Lui sulla propria omosessualità, aveva formulato un'idea molto suggestiva ed affascinante: "Niki, non potrebbe essere stata la nostra sensibilità, oppure la nostra particolare intelligenza? Non credi che noi due crescendo siamo diventati gay, perché eravamo già diversi, nel senso che siamo diventati troppo presto coscienti di noi stessi? Posso spiegarmi meglio: intendo dire che noi affrontiamo i problemi in un modo particolare. L'hai mai notato? Io credo che sia così, perché non posso pensare che i miei genitori, dopo aver educato Sergio e Michele ad avere desideri sessuali corretti, abbiano sbagliato tutto con me: non ti pare? Però, è anche vero che, io sono molto diverso da Sergio e soprattutto da Michele, almeno a quanto dice mamma." "Ma... tu dici che noi due siamo gay, solo perché più sensibili e intelligenti? Perché tu sei un genio?" glielo disse sorridendo, ma ne era anche fermamente convinto. L'aveva sempre pensato: all'inizio perché lo adorava come un dio e alla divinità non si può che riconoscere l'onniscienza, ma poi l'aveva constatato direttamente ed ora, oltre che amarlo, l'ammirava sinceramente. "Si, anche per quello. Niki, noi due abbiamo qualcosa in più, qualcosa che nessuno dei nostri amici avrà mai." Anche Mauro ammirava Niki, il suo autocontrollo, l'intuizione delle possibili soluzioni ad ogni problema. Era convinto che loro due si completassero sia nei sentimenti, perché si amavano, sia nella vita, in cui se lui era un sognatore impenitente e si abbottonava sempre tutto storto, Niki era in grado di prevedere gli sviluppi di qualunque situazione e sapeva scegliere i colori dei calzini. "E cosa sarebbe?" "Noi riusciamo ad intuire le cose prima degli altri. Siamo sempre i primi: non l'hai mai notato?" Niki si sollevò sul letto, quasi per pensare meglio: "Forse ho capito: siamo gay perché siamo più acuti e più intelligenti. Oppure siamo tanto intelligenti perché siamo gay?" "No, non lo so! Ma forse sono vere tutte e due le cose." "OK! OK! Risolvo velocemente ogni tipo di puzzle perché mi interessa qualche aspetto di te" lo accarezzò facendo correre le mani sul tutto corpo di Mauro e continuando a parlare "ma penso sempre a te e ti desidero in ogni momento, perché tradurre velocemente i frammenti di greco antico è estremamente eccitante!" "Si, credo che tu abbia sintetizzato correttamente il mio pensiero." Rimasero in silenzio per qualche secondo. Erano entrambi assonnati ed indecisi se addormentarsi o continuare a parlare. Si guardarono quasi consultandosi, valutando dagli occhi del compagno il grado di stanchezza. Poi Niki lo baciò sulla punta del naso e decise che non erano ancora sfiniti. Gli mormorò in un orecchio: "Qual è stato il tuo primo desiderio sessuale? Il primo che riesci a ricordare?" "Non lo so, fammici pensare" Mauro, di nuovo sveglio, finse di concentrarsi, cercando le mani di Niki e stringendogli i pugni attorno ai pollici "Forse è il ricordo di quello che accadde ad una visita medica fatta a scuola in terza elementare: ci facevano entrare due per volta e là le maestre ci abbassavano i pantaloncini. Credo che i medici controllassero il corretto sviluppo dei nostri genitali, oppure l'igiene personale. Non lo so proprio, ad ogni modo, dopo averci osservati davanti, ci facevano voltare e ci guardavano anche il sedere e non ho mai capito bene perché facessero una cosa del genere, né qualcuno me l'ha mai spiegato. È il mistero irrisolto della mia vita. "Io entrai con un ragazzino che poi, alla fine delle elementari, non ho più visto. Fummo afferrati dalle insegnanti che ci abbassarono pantaloni e mutandine senza pietà. Io mi sentii subito strano e, senza badare a quello che mi facevano, non staccai un momento lo sguardo dalle nudità che quell'altro stava esponendo. Sentii i medici mormorare qualcosa e poi ridere, ma io non ne capii proprio il motivo. "Restai imbambolato a guardare il mio compagno, non desiderando altro che di toccarlo, finché la maestra non mi aiutò a rivestirmi. Nei giorni successivi continuai a sognare quei momenti e quando ci pensavo mi sentivo un po' a disagio. Poi ne parlai con Michele, il quale mi spiegò, con tutti i particolari, perché mi fossi sentito così e perché i medici avevano riso: con ogni probabilità, in quel momento, avevo avuto un'erezione!" Niki lo guardava e sorrideva, allora Mauro gli chiese: "E tu? Qual è il tuo primo ricordo?" "Non ho ricordi particolari, ma credo d'avere sempre avuto curiosità verso i corpi dei miei compagni. Mi succedeva già in prima elementare di 'sentirmi strano', come dici tu. Io, però, non ho avuto nessuno che potesse spiegarmi cos'era quel 'sentirmi strano', e perché mi sentissi così, almeno finché non ne parlai con Stephan, ma anche lui non è che ne sapesse molto. Noi due abbiamo sempre dormito insieme" fece una pausa. Aveva l'occasione di raccontargli qualcosa che Mauro non conosceva ancora "È con lui che ho imparato a dormire nello stesso letto, senza darci fastidio. E così, stando insieme, dormendo sempre insieme, i nostri corpi non avevano segreti, ma non avevo mai desiderato Stephan prima di rivederlo quest'estate. Quando siamo stati separati, eravamo troppo piccoli per fare qualunque gioco che non fosse innocente, e quando ci siamo rivisti sapevamo già tutto. Ma questa storia tu la conosci già." Era passata nei suoi occhi un'ombra che inquietò Mauro. "Niki, se l'avessi inventata io, quella storia si sarebbe conclusa in modo diverso" l'accarezzò fra i capelli e Niki, facendo uno sforzo, tornò a sorridergli. "Dai, racconta tu. Raccontami ancora qualcosa. Sei tu quello che ha avuto tutte le esperienze: quando sei diventato più grande che hai fatto?" Mauro si rimproverò per aver rivolto a Niki domande sul suo passato. Non voleva che pensasse a Stephan e fu felice di poterlo distrarre con le sue chiacchiere. Si ripromise di stare più attento e non chiedergli mai più di raccontare qualcosa in cui potesse riaffiorare il ricordo di Stephan. "Ho fatto tanti sogni con bei ragazzi come te. E tante fantasie ad occhi aperti. Poi ci siamo incontrati e allora..." gli accarezzò il sedere "niente più sogni!" aggiunse a voce bassa "ma solo la realtà, che è anche molto tangibile" lo accarezzò anche davanti "ed è sempre molto dura da affrontare!" scoppiarono a ridere. "Davvero? Raccontami un sogno. Fammi un esempio. Raccontamene almeno uno." "Sei proprio sicuro? Non vorrei che diventassi geloso!" "Lo sono già. Lo sono sempre, in qualunque momento. Ma tu racconta lo stesso!" e si aggiustò, si mise più comodo, nell'abbraccio di Mauro, aspettando la storia che stava per ascoltare. Il talento di Mauro nel raccontare, catturando l'attenzione, era stata una piacevole scoperta: Mauro era in grado di trasportarlo ovunque con le sue storie. Eugenio, proprio qualche giorno prima, gli aveva confermato questa capacità, in uno dei suoi rari discorsi. Anche se Niki aveva già compreso quanto Mauro fosse bravo. "Sapessi i libri che conosco benissimo senza averli mai letti" gli aveva confidato Eugenio "Era sufficiente che Mauro ce li raccontasse. E poi, quante volte, di sera alla villotta, davanti alla Madonnina, seduti in cerchio sotto l'edera, Mauro inventava per noi storie di spettri, di fantasmi, oppure di fantascienza e ci faceva tanta paura. Intendo a noi e soprattutto a se stesso. Certe volte eravamo tutti così spaventati dai suoi racconti che rimanevamo bloccati lì dalla paura. Avevamo timore anche solo a muoverci, non dico a guardarci dietro le spalle. Una volta eravamo tanto spaventati che abbiamo cominciato a gridare per chiamare i nostri genitori, perché venissero a prenderci e ci accompagnassero dove c'era più luce. Mi vergogno ancora, ma quella sera, quello lì ci ha raccontato delle cose tremende" Eugenio rideva ancora al ricordo che dei ragazzini di dodici o tredici anni avessero avuto bisogno della mamma per attraversare una zona buia del giardino. Da allora Niki, che già sapeva quanto Mauro fosse bravo con le parole, non perdeva occasione di sollecitarlo per poi lasciarsi trasportare dove a lui piacesse di portarlo. Mauro lo accontentò subito: "Posso raccontarti di un sogno che ho fatto spesso, anzi un sogno ad occhi aperti, perché era un vedere e rivedere, con qualche variazione, quello che era realmente accaduto. "Fu quella volta in cui Giacomo, alla fine di una partita di calcio alla pineta, mi abbassò per scherzo i pantaloncini. Io, allora, lo rincorsi per tutto il campo finché non lo afferrai. Rotolammo per terra ed io l'immobilizzai sotto di me. Gli altri ci raggiunsero e incominciarono a gridare per scherzo 'Sangue, sangue, vogliamo il sangue!'. Improvvisamente mi scoprii eccitato e, visto che bloccavo Giacomo sotto di me e che l'avevo in mio potere, gli feci quello che aveva fatto a me, ma, abbassatigli i pantaloni e le mutande, non riuscii a fermarmi e cominciai a sfregargli con le mani tutta l'attrezzatura. Hai già visto l'effetto del solletico su quello là. Continuai finché non gli vennero le convulsioni e, quando lo lasciai andare, anche lui era eccitato, come quasi tutti gli altri e come lo ero io, forse più di tutti. Ero quasi sul punto di bagnarmi. "Se fosse accaduto, sarebbe stato difficile da spiegare agli altri, perché fosse finita così. Ho passato molti giorni pensando e sognando come sarebbe stato bello se, a quel punto, tutti ci fossimo spogliati e avessimo fatto..." lo accarezzò dovunque, scoprendolo eccitato com'era lui "non so neppure cosa!" Ma Niki non era soddisfatto, si aspettava un'altra storia: "No, io voglio una storia completa, eccitante come quello che facciamo noi due!" "Non mi è mai capitato di sognare o d'inventare niente che sia una storia come quella che vuoi tu. Prima che mi capitasse con te!" "E allora inventala. Tu sei bravo. Ti prego! Ti prego!" Niki riprese ad accarezzarlo sul collo, sulla faccia, lo abbracciò, gli si strusciò addosso, finché Mauro non finse di cedere. Avrebbe certamente inventato qualunque cosa per distrarlo. Partendo da un canovaccio di sogno o di idea che aveva già avuto, ma, sapendo ciò che Niki si aspettava, l'avrebbe infiorettato con quegli elementi che, lui sapeva, piacevano a tutti e due. Strizzò gli occhi, mostrando di concentrarsi, mimò, a suo beneficio, tutta la scena di chi su uno scaffale cerca disperatamente il libro giusto: "Ah, finalmente! L'ho trovata. Non ti ho mai raccontato la storia del 'rito dell'ombra'?" Niki fece di no con la testa "Sei pronto?" "Si!" e Mauro lo baciò sulla punta del naso. "Il 'rito dell'ombra' era un trattamento molto speciale, riservato a quelli che volevano entrare a far parte del nostro gruppo. Consisteva in una serie di prove che chi voleva diventare nostro vero amico doveva affrontare. "Il 'rito dell'ombra' era spaventoso, ma era anche un gran divertimento per tutti quelli che ci avevano partecipato sia come vittime, sia come carnefici. Ci era venuto in mente in un pomeriggio alla villotta, dopo che quella mattina, in spiaggia, uno dei ragazzi con cui giocavamo ci aveva schizzato mentre entravamo in acqua e il fastidio era stato maggiore, perché quel giorno tirava vento e faceva freddo. E poi quello lì ci aveva anche tenuti sott'acqua tentando di farcene bere un poco. E, alla fine, come se non bastasse, ci aveva infilato un po' di sabbia dentro i costumi da bagno. Avevamo deciso tutti insieme che era necessario dargli una lezione..." Niki lo interruppe: "A giudicare dalla reazione che sto avendo" e si strusciava contro di lui "questo, come hai detto che si chiama? 'Rito dell'ombra' deve essere proprio una cosa interessante. Continua..." Mauro gli agitò il dito sotto il naso, ammonendolo: "Stai molto attento: se mi interrompi ancora, invece di raccontartelo soltanto, te lo somministro. Sic et simpliciter!" "Tremo tutto. Lo senti?" e ridendo gli prese la mano per portarsela nel posto dove Mauro avrebbe voluto sempre tenerla, il centro della sua passione, quella parte del suo corpo che mostrava inequivocabilmente quanto Niki gradisse il racconto e come lo trovasse eccitante "Voi tre, chi?" chiese ancora sfidando il compagno. Mauro riprese a parlare, ma gli rivolse uno sguardo truce: "Fossi in te, starei molto attento. Non sai quello che rischi interrompendomi. Noi tre... e basta! Non posso dirti di chi si tratta: la storia è troppo compromettente. Puoi soltanto sapere che il ragazzo che ci aveva infastidito era bello, alto quanto me e biondo e poi era cugino di uno di noi. Posso solo dirti che ogni anno veniva da un'altra città per trascorrere qui l'estate. Sapevamo, perché l'aveva confidato a suo cugino, che ci giocava quegli scherzi soltanto perché cercava di diventare nostro amico. Così decidemmo di prenderlo con noi, ma prima volevamo divertirci un poco. Perciò stabilimmo che la mattina dopo ce lo saremmo portati dietro le baracche di legno che servivano da cabine alla spiaggia e gli avremmo fatto qualcosa. Già, ma cosa? "I pareri erano divergenti, perché c'era chi gli voleva riempire la bocca di sabbia, oppure farlo morire dal ridere per il solletico. Un altro, proprio suo cugino, propose di legarlo e imbavagliarlo lasciandolo tutta la mattina sotto il sole, per vedere se poi aveva ancora voglia di diventare nostro amico. Ma niente ci convinceva, finché ebbi, anzi, feci finta d'avere un'idea che invece mi era venuta quando l'avevo rivisto all'inizio dell'estate. Io volevo proprio esaminare qualcosa che ancora non avevo visto bene. Insomma, quel forestiero così bello mi piaceva proprio ed io volevo vederlo nudo, toccarlo e farci anche qualcosa di più, ma non potevo ovviamente parlarne così apertamente ai miei compagni. Potevo però agire in modo che decidessimo insieme di fargli ciò che io desideravo. "'Ragazzi, che ne direste se lo sottoponessimo alle prove d'iniziazione?' Tutti furono subito accordo. Ma quali prove? E io risposi pronto: 'Ho un'idea per la prima prova: prendiamolo a sculacciate e diamogliene una per ogni volta che ci ha rotto le scatole!' Ed erano davvero tante nel breve tempo che era trascorso da quando era tornato, pur condonandogli il fastidio che ci aveva procurato negli anni precedenti. Tutti naturalmente accettarono l'idea e dietro quella vennero le altre. Passammo il resto del pomeriggio piuttosto eccitati a predisporre ogni momento del rituale e l'idea iniziale, man mano che ne parlavamo, si perfezionava, adattandosi alle nostre esigenze ed eccitandoci, tanto che quella sera, tornati a casa, ognuno dovette calmarsi per conto proprio. Ne sono certo perché io lo feci. "La mattina dopo, arrivammo in spiaggia con un certo anticipo e aspettammo con impazienza l'arrivo di quel poveretto che, ignaro, venne a consegnarsi ai suoi aguzzini e fu perfino sorpreso dalle attenzioni che per quel giorno pareva gli volessimo accordare. Gli comunicammo subito quali fossero i suoi diritti e i suoi doveri che si riassumevano essenzialmente in un dilemma: sfuggire alle prove che avevamo deciso per lui e da quel momento perdere in modo inappellabile la nostra amicizia, oppure subire in silenzio quello che avevamo deciso di fargli, senza tentare di sottrarsi, e soprattutto, senza alzare mai la voce, né gridare. Solo dopo aver superato queste prove, gli spiegammo, sarebbe diventato nostro amico a tutti gli effetti, cioè avrebbe potuto essere il quarto della gang. E solo allora avrebbe avuto diritto di farci tutti gli scherzi che voleva, quando voleva, subendone naturalmente le conseguenze. Ma soprattutto ci avrebbe sempre avuto come complici e sostegno per tutto quello che avrebbe voluto architettare a danno di chiunque altro. Lui poteva vederla, insomma, come pena per quello che ci aveva fatto, oppure come quello che era e cioè un rito d'iniziazione, oppure come un prezzo da pagare per entrare nel nostro gruppo. Se poi aveva le mie stesse idee, pensai e sperai, doveva essere ben contento di subire quelle prove. "Devo dirti però che quella mattina non fummo per niente onesti con lui, perché non gli rivelammo nulla di quello che stava per subire. Gli annunciammo ambiguamente che, per diventare nostro amico, avrebbe dovuto provare il dolore, il riso ed il piacere. E lui accettò subito, senza tentennare, né domandare altri particolari. Dichiarò eroicamente 'Sono pronto' e ci precedette dietro le baracche di legno, già immaginando dove dirigersi. "Entrammo in una specie di corridoio non più largo di un metro, con la parete di fondo delle cabine da un lato e la roccia spiovente dall'altro, alzando lo sguardo si vedeva solo una striscia di cielo azzurro, interrotta dai cespugli che crescevano lungo il costone di roccia. Quelle baracche erano alte più di tre metri ed avevano le pareti piuttosto spesse. Noi avevamo fatto delle prove e se all'esterno si parlava con voce normale, da dentro non si sentiva proprio nulla, ma, se si gridava, si era inevitabilmente scoperti. "Andammo a sistemarci in fondo al passaggio, sotto un grande albero di fico che, avendo messo radici nella pietra, si alzava verso la luce, nascondendoci anche a chiunque si fosse affacciato dalla strada che correva proprio sopra alla spiaggia. Quindi, a meno che non lui avesse gridato, e aveva dato la sua parola che non l'avrebbe fatto, nessuno poteva scoprire dove eravamo e soprattutto capire quello che stavamo facendo. "I miei due compagni lo presero per le braccia e io gli proposi per una volta ancora di andarsene ed abbandonare per sempre l'idea di essere nostro amico, ma lui pareva davvero un duro, così gli comunicai quale sarebbe stata la prima prova. Solo allora si rese conto del guaio in cui era capitato e strabuzzò gli occhi. Cavallerescamente io gli offersi l'ultima opportunità di sfuggirci, ma lui ripeté il 'sono pronto!' di prima e io non potei fare a meno d'ammirarlo. Beh ammirai di più quello che stavamo per toccare..." "Eravate davvero cattivi" l'interruppe Niki, imprudentemente "quello voleva soltanto diventare vostro amico! Se penso a quello che volevate fargli..." "Ti avevo avvisato e adesso lo faccio a te!" e cominciò a fargli il solletico ai fianchi, finché Niki non fu esausto e parve soffocare per il troppo ridere "Chiedimi perdono per avermi interrotto, chiedimi perdono!" Ma Niki non ce la faceva neppure ad articolare le parole, non combatteva più e non cercava di difendersi. Solo quando ebbe ripreso fiato in qualche modo, riuscì a balbettare: "Ti prego... basta, perdono. Ti prego" cercò faticosamente di riacquistare una respirazione normale, poi disse incautamente "continua" e Mauro naturalmente riprese a fargli il solletico "No!" gridò "continua a raccontare, scemo! Basta!" gli gridò. "Alla prossima interruzione sarà peggio" disse Mauro, tornato serio e imperturbabile. "Sissignore!" e tornò a raggomitolarsi nell'abbraccio di quel burbero affabulatore. "Lo facemmo piegare e, a turno, lo sculacciammo senza abbassargli il costume. Ad ogni colpo gli ricordavamo gli scherzi subiti, ma lui non disse una parola e trattenne il fiato per tutto il tempo. Quando finimmo era tanto eccitato che il costume da bagno gli si sollevava sul davanti e anche noi eravamo nelle sue stesse condizioni. "Per la seconda prova avevamo pensato di farlo morire dal ridere, con il solletico. Mentre due lo tenevano, l'altro lo sottoponeva alla tortura, ma la sua risata era terribilmente contagiosa e finimmo tutti per ridere a crepapelle, ancora più eccitati, perché, mentre ce lo passavamo uno con l'altro, ne approfittavamo per palparcelo tutto. "Quando ci fummo calmati, passammo alla terza parte del programma e qui le cose si fecero molto più interessanti. 'Adesso noi ti esploreremo e tu non potrai opporre alcuna resistenza' gli ricordai. Ci sedemmo per terra, uno accanto all'altro e lo facemmo stendere, a pancia sotto, sulle nostre ginocchia. Fu allora che gli abbassammo il costume da bagno e cominciammo a toccarlo tutto. Io, naturalmente, ero al centro e, mentre gli altri due si divertivano a toccarlo e strofinarlo dovunque, dai capelli alla punta dei piedi, io mi godevo la sua parte più interessante. Avevo davanti a me qualcosa di molto interessante che cominciai subito a toccare. Il suo bel culetto tondo e ancora un poco arrossato dal nostro trattamento di poco prima pareva sorridermi. L'accarezzai delicatamente e gli tirai qualche pizzicotto leggero, poi ripresi a toccarlo, insinuando le mani in tutte le pieghe, senza però avventurarmi dove tu stai già pensando. "Notai allora che lui cominciava a muoversi sulle mie gambe e mi venne voglia di vedere a che punto eravamo sul davanti. Lo facemmo voltare e vedemmo che là c'era un attrezzo veramente pronto all'uso, sviluppato e molto ben fatto. Anche gli altri due, perso interesse per le parti del corpo che gli erano state assegnate si accostarono e cominciarono a toccare. "La nostra vittima fu presto molto vicina a godere. Lo capivamo da come aveva preso a muoversi. Ma non era ancora il momento e lo facemmo voltare un'altra volta per finire l'esplorazione con una attenta visita da quell'altra parte. Mentre i miei amici gli allargavano il solco, io lasciai scorrere un dito sul fondo della sua valle incantata..." Mauro si fermò a guardare Niki che teneva gli occhi chiusi. Li aprì immediatamente per capire il motivo dell'interruzione: "E allora?" "Niente: mi sto solo chiedendo se questo racconto ti interessi ancora." "Si, è bello!" ma pareva che Niki lo dicesse con convinzione. "Niki, non mi va più di raccontare! E poi quello che ti stavo dicendo non mi è mai capitato, amore mio, e non so se mi sarebbe piaciuto. Cioè, non so se mi avrebbe reso felice come è sempre stato con te" lo baciò sulla fronte e, in quel momento, capì un'altra cosa di sé e subito la annunciò al suo innamorato "perché io adesso non so se sarei in grado di fare l'amore e di provare le stesse sensazioni con un'altra persona, con qualcuno che non sia tu." Niki si spostò per guardarlo negli occhi, era al tempo stesso spaventato e appagato da tutte le implicazioni di quell'affermazione: "Non puoi saperlo. Tu non hai mai provato. Un giorno potresti incontrare qualcuno e desiderarlo e potrebbe piacerti. E allora..." Niki non continuò, perché quell'idea lo precipitò nella tristezza. "Ma non accadrà, non a me, né a te. Ne sono certo. Non è vero?" "Non puoi saperlo" Niki si fece forza, perché parlare di quelle cose lo immalinconiva, anche se sapeva di essere nel giusto e capiva che era Mauro a sbagliare, a farsi confondere dall'affetto e dalla passione "Potrebbe accadere a te, a me, oppure a tutti e due insieme..." "E allora io sfiderò a duello il tuo audace pretendente!" Niki allora si mise a ridere, si tirò su e lo baciò sulle labbra. Quella di cui discutevano era un'eventualità troppo lontana in quel momento. "E se ti innamorerai di un altro io gli offrirò una mela avvelenata. Ma ora non pensiamoci: portami nella tua valle incantata, mio dolce principe, e lasciami seguire il tuo sentiero." Fece scorrere il dito fino ad infilarsi nei calzoni del pigiama di Mauro. Tutto questo li eccitò un'altra volta, ma il sonno e la stanchezza li colsero mentre avevano ripreso ad accarezzarsi e baciarsi. Si addormentarono coricati su un fianco, con le gambe intrecciate, le mani sui sessi eretti, le bocche vicine come a scambiarsi un bacio che, come accadeva ogni volta che dormivano insieme, sarebbe durato tutta la notte. Niki si svegliò due volte. La prima molto più tardi, per un rumore fatto dai genitori che rientravano. Mentre Mauro continuava a riposare, lui sentì i passi leggeri della mamma che veniva a controllare che stessero dormendo. Percepì il suo profumo, quando Arleen si affacciò alla porta che poi richiuse. 'Mamma, sei eccezionale!' pensò e gli piacque immaginare che sua madre avesse chiuso per conservare la loro intimità l'indomani mattina. Si riaddormentò subito e più tardi, quando dalla finestra filtrava già la prima luce dell'alba, Mauro si mosse un poco, e Niki si svegliò un'altra volta. Nel sonno il compagno gli era terminato fra le braccia, un poco più in basso e sempre coricato sul fianco. Mauro stava sognando, ma di chi sognava? La bocca pareva atteggiata al sorriso, la fronte era distesa, il suo sogno doveva essere piacevole. Niki lo sentì avvicinarsi di più e stringerlo in un abbraccio lieve. I movimenti di Mauro erano come filtrati dal sonno. Avvertì il suo sesso eretto contro la gamba. Mauro lo cinse con un braccio: il suo sogno era sereno e la sua espressione si fece ancora più dolce, più quieta. Poi nel mondo in cui era Mauro accadde qualcosa. Lui fece un movimento brusco, come può esserlo la reazione ad un torto, la bocca gli si corrucciò. Niki lo sentì stringergli il braccio, percepì un gemito lieve. Qualcuno, in quel mondo, stava facendo soffrire Mauro, gli stava facendo qualcosa di brutto. Mauro accennò ad un diniego con la testa: Niki lentamente provò a stringerlo, con un braccio, come per proteggerlo, chissà che quel movimento non condizionasse il sogno e ne rendesse la storia più felice. Mauro rispose all'abbraccio e si calmò. Tornò a dormire tranquillamente. Niki si riaddormentò appagato, non sapendo per quale motivo in particolare, ma la sua letizia era totale. Gli era capitato più volte in quei giorni di raggiungere, fra le braccia del suo innamorato, una specie di beatitudine. In quegli anni che, sapeva, potevano essere tormentati, durante l'adolescenza che era considerata il periodo più difficile nell'esistenza di un essere umano, lui aveva trovato Mauro che era la sua sponda, era la spalla sulla quale aveva pianto, la sua protezione, il suo modello, l'oggetto del suo desiderio, la fonte d'ogni suo piacere. Fare tutti quei pensieri lo trascinava ogni volta nella condizione di assoluto appagamento. Ma se Mauro era ottimista, lui non riusciva ad esserlo. La sua indole volgeva spesso in senso contrario ed ogni volta che quei pensieri lo travolgevano dolcemente, non poteva fare a meno di chiedersi per quanto tempo ancora questa vita così idilliaca sarebbe potuta durare. Anche quella volta, passando dalla coscienza al sonno, si chiese quanto tempo dovesse passare prima che nelle loro esistenze accadesse un'altra tragedia come quella di Stephan, forse meno grave, ma sempre qualcosa che arrivasse a turbarli e a sconvolgere il loro mondo: forse avrebbe avuto un incubo per quei pensieri, ma riuscì a riaddormentarsi. Non chiudevano mai gli scuri della finestra nella loro camera, lo facevano per potersi svegliare un po' prima che fosse ora decente per presentarsi in cucina per la colazione. La sera del sabato facevano sempre finta, uno con l'altro, di dimenticarlo, perché così la mattina della domenica avevano una buona scusa per svegliarsi, ritrovarsi nel letto insieme e fare l'amore. La luce del sole passò attraverso le persiane e riempì di riflessi verdi la stanza rivolta a levante. Andò a lambire gli occhi di Mauro, svegliandolo. Niki, durante la notte, si era voltato dall'altra parte e quindi non fu raggiunto dalla luce: fu per questo che non si svegliò anche lui. Mauro lo cinse con un braccio e Niki istintivamente si raccolse su se stesso, cercando di dormire ancora, ma fra loro due c'era quasi l'accordo per ritrovarsi a giocare, appena svegli. Mauro lo baciò sul collo e fece correre la mano lungo la sua schiena, la insinuò sotto il pigiama e gli accarezzò la pelle nuda della spalla. S'era svegliato eccitato e con il desiderio di accarezzare Niki. Adattò il proprio corpo a quello del compagno, ponendogli le ginocchia nell'incavo delle gambe e il viso contro la nuca. Niki rimase immobile. Era sveglio anche lui, ma se ne stava fermo, tranquillo, abbandonato nel languore che il sonno lascia quando se n'è appena andato: "Usa il mio corpo, amore. Il mio corpo è tuo!" gli mormorò. Sussurrò queste parole che colpirono Mauro per la dolcezza e la serenità con cui furono dette. Rimase adagiato sul fianco, con la testa appoggiata ad un braccio e le gambe leggermente piegate, accomodandosi meglio contro di lui, offrendosi docilmente all'amante, a Mauro che lo baciò sulla nuca, aspirando l'odore dei suoi capelli. E Mauro gli slacciò i pantaloni del pigiama, facendoli scendere lentamente, quasi senza spostarlo, scoprendogli il corpo. Poi, muovendosi il meno possibile, si denudò anche lui allo stesso modo. Posò il pene lungo il solco e l'accarezzò. Cercò con la mano il foro attraverso il quale l'avrebbe penetrato. Tentò di lubrificarlo con la saliva che raccolse in bocca, con le dita dell'altra mano. Se ne passò anche sul pene. Tutte le volte in cui lo penetrava, nel momento in cui appoggiava la punta del sesso nel centro del suo piacere, su quella porta oltre la quale c'era il godimento proprio e dell'amante, Mauro provava una paura irrazionale di ferire il suo Niki, di fargli male. Il dolore che aveva provato la prima volta in cui Niki era entrato in lui, rimaneva vivo nella sua memoria, anche se era stato sommerso subito dalle ondate di piacere che Niki gli aveva provocato, cominciando a muoversi dentro di lui. Quando si avvicinava con il pene eretto all'apertura, alla soglia oltre cui loro due diventavano una persona sola, Mauro temeva d'infliggergli quella stessa sofferenza. Anche quella volta, come sempre, quasi leggendo nei suoi pensieri, Niki si mosse, mostrandogli d'aspettare che lui gli desse il piacere. E Mauro si convinse, una volta di più, che non poteva essere dolore quello che l'altro attendeva con tanto ardore. Lentamente, tornando indietro, e avanzando ancora, lo penetrò fino a sentire un sospiro. Allora cominciò a muoversi dentro di lui, adagio, cercando di conservare quella sensazione per più tempo possibile. Per un poco ci riuscì, rallentando i movimenti, sentendosi sempre più sull'orlo del precipizio. Tentò di sporgersi nel vuoto, inebriandosi della sensazione di piacere che gli saliva dal centro del corpo. Si ritrasse e provò ancora, tornando a sporgersi. S'affacciò oltre la soglia che alla sua fantasia, ubriaca di piacere, parve quella dell'infinito. Ma, distratto proprio da quell'allucinazione, non fu più in grado di resistere. Con Niki che accompagnava i suoi movimenti, perse il controllo di sé e scivolò dolcemente cadendo in quell'abisso di piacere rappresentato dal corpo di Niki. Godette dentro di lui, mentre il suo compagno, continuando a muoversi, già bagnava la mano con cui lui lo stava accarezzando. Niki aveva immediatamente goduto con lui, travolto dallo stesso incanto che aveva sopraffatto il compagno. S'era chiesto spesso perché godesse nello stesso momento in cui Mauro esplodeva dentro di lui, ed aveva notato che anche Mauro bagnava la sua mano quando lui penetrandolo arrivava all'orgasmo. Non aveva saputo trovare altra risposta che non fossero l'amore e l'ormai perfetta coincidenza delle loro emozioni. Stettero immobili ad aspettare che l'eccitazione e l'affanno si calmassero, che i loro cuori, mentre ciascuno ascoltava il proprio e quello dell'amante, riprendessero a battere in modo normale. Niki continuava a pensare alla perfetta sincronia dei loro orgasmi: non poteva essere, si ripeté, che i loro corpi fossero uguali. Due persone, anche due adolescenti, sono sempre diversi. Doveva essere, piuttosto, l'intesa speciale che esisteva fra loro a farli vibrare nello stesso, identico modo, un'affinità che andava oltre la sua comprensione e il suo molto sviluppato senso pratico per collocarsi in una sfera che era più consona alla sconfinata immaginazione di Mauro. Poi si mosse lentamente nell'abbraccio che lo stringeva ancora e si spostò perdendo da dentro di sé quel contatto che poco prima l'aveva portato a sognare e poi a godere. Voltandosi, si raggomitolò contro il compagno che teneva ancora gli occhi chiusi. L'infinito che Mauro aveva intravisto l'affascinava ancora. Le spirali seducenti che l'avevano avvolto, mentre viveva i momenti di piacere dei lori corpi uniti, erano ancora nei suoi occhi e non voleva riaprirli. "Te lo dicevo davvero prima: il mio corpo è tuo. Puoi usarlo quando vuoi. È tuo perché tu possiedi la mia anima." "E tu hai la mia e anche tu puoi usare il mio corpo" lo baciò e si riaddormentarono, stretti e raggomitolati, per darsi più calore. Il sonno di Mauro non fu profondo, perché era già mattina e presto si sarebbero alzati. Durante quel dormiveglia fece molti sogni e tanti pensieri. Ma cosa fosse stato sogno e quali fossero stati i suoi veri pensieri, una volta svegliatosi, non avrebbe saputo dirlo. Una sola idea gli rimase quando, alle nove, i rumori della casa e il movimento di Niki che s'alzava lo svegliarono definitivamente. Gli era tornata in mente una promessa carica di mistero fatta a Niki tanto tempo prima. L'estrema dolcezza con cui s'erano amati quella mattina, l'abbandono di Niki fra le sue braccia, il senso d'annullamento delle loro personalità quando si univano anche nei corpi, tutto l'aveva riportato, in quel breve periodo di dormiveglia, a pensare e fantasticare, oppure a sognare, che erano già sposati o che dovessero farlo quanto prima. Ritrovò l'idea in cima ai suoi pensieri aprendo gli occhi, mentre Niki s'alzava in silenzio, per non disturbarlo. "Niki, vuoi sposarmi?" "Si" era con la mano sulla maniglia della porta e si voltò. Tornò di corsa verso il letto e ci saltò sopra. S'inginocchiò davanti a lui "Come tu vorrai e in qualunque momento. Perché hai aspettato tanto per chiedermelo ancora?" "Io... non ci avevo più pensato..." Mauro era sorpreso. Non immaginava che Niki potesse ricordare ancora quella promessa bizzarra. "Avevi detto che ci saremmo stati solo noi due e che tutto sarebbe accaduto davanti alla porta del mondo misterioso, nel centro delle Sette Torri. Me l'avevi promesso, come potevo dimenticarlo?" "Lo faremo presto. Non l'avevi dimenticato!" disse come a se stesso "Perdonami." Niki lo baciò come facevano sempre fra loro quando uno tentava di scusarsi con l'altro per qualcosa. Se ne andò di corsa e Mauro rimase a guardarsi le mani, un po' spaventato. Non avrebbe dovuto esserlo, tante volte s'era ripetuto che vivere come una persona sola, quando si è in due, è un carico notevole di responsabilità, ma Niki lo spaventava sempre quando gli si mostrava così indifeso. La sua paura maggiore era di commettere qualche leggerezza che potesse arrecargli dolore ed ogni sua cura era nel cercare di non ferirlo mai, in nessun modo. Proteggerlo dagli altri, dal mondo, poteva non essere sufficiente, se una sua imprudenza in qualche modo poteva addolorarlo e farlo soffrire. Si ripromise di stare più attento e questa volta non l'avrebbe dimenticato: si sarebbero giurati quell'amore che già si scambiavano e l'avrebbero fatto alla prima occasione. Doveva inventare qualcosa di indimenticabile. Durante la settimana successiva si svolse la cerimonia della prima barba. Fu di pomeriggio, dopo che ebbero finito di studiare. La officiò il papà di Mauro, nel bagno di casa, sotto gli occhi amorevoli e commossi delle due mamme e quelli insolitamente emozionati del padre di Niki, che era giunto inaspettato per assistere a quel rito d'iniziazione. I ragazzi erano divertiti ed eccitati dalla novità e nei giorni precedenti avevano preparato con cura tutti i particolari della liturgia. Entrambi indossavano una T-shirt bianca: 'una vera e propria veste virginale', aveva insinuato Mauro. S'erano sistemati davanti allo specchio, non molto grande, posto sul lavabo e se ne stavano dritti e impettiti, attendendo gli ordini del gran sacerdote. Il papà s'era così calato nel ruolo che entrò in bagno per ultimo, si lavò le mani con cura e non volle neppure chinarsi a prendere l'asciugamano, aspettando che sua moglie glielo porgesse. Davanti alla porta erano schierate le signore e dietro di loro si scorgeva la testa dell'altro padre che assisteva defilato, ma partecipe. Dei fratelli era presente solo Michele, il quale, seduto sul bordo della vasca da bagno, s'era ritagliato la funzione di suggeritore ed assistente per lo smemorato officiante. Nei giorni precedenti avevano discusso sul mezzo da utilizzare e s'erano scontrate due scuole di pensiero. Naturalmente era stato consultato anche il padre di Niki e il professore, già studente negli Stati Uniti, aveva subito chiarito la sua propensione per il rasoio elettrico. Il padre di Mauro, più all'antica e già educato da suo padre al pennello e al rasoio di sicurezza, aveva proposto, cedendo ai suggerimenti dei figli maggiori, d'utilizzare la schiuma in bomboletta e un rasoio automatico, una novità diabolica, addirittura un 'bilama' con ammortizzatori e pretensionatori del pelo. Le due scuole avevano dibattuto e alla fine era prevalsa la tradizione innovata proposta dai fratelli di Mauro. Ed ora erano davanti allo specchio, un po' tremanti, con le guance inumidite dall'acqua tiepida. Il papà reggeva la bomboletta e i due ragazzi avevano le mani sinistre protese, per raccogliere lo sbuffo di schiuma, e le orecchie aperte, per ascoltare tutti i consigli del saggio. "Cospargendovi la schiuma dovrete, prima di tutto, massaggiarvi la faccia per prepararla al trauma della rasatura" i due eseguirono passandosi la schiuma anche dove non dovevano, coprendosi le narici e la parte inferiore dei lobi. Qui scoppiò la prima risata. "Attenzione!" li richiamò il papà "Regola aurea: non si deve mai ridere quando ci si rade; esaurite quindi l'ilarità durante l'insaponatura. Il motivo di questo precetto lo comprenderete fra poco." "Papà, questi due ridono anche quando traducono le versioni dal greco" sentenziò Michele con aria di compatimento. "Non dimenticare, figlio mio, che i primi autori comici sono stati greci. È evidente che hai colto il sorriso dei due giovanetti, mentre traducevano Aristofane o qualcuno come lui: ti sono, per caso, tutti ignoti?" detto questo, il 'gran sacerdote' proseguì nel rito e non gli badò più "Il rasoio" continuò rivolto verso Mauro e Niki "va impugnato con un gesto morbido, ma saldo. Dovete posarlo sul punto da cui intendete partire. Io incomincio sempre a tagliare dalla basetta destra, ma non mi offenderei se uno di voi iniziasse da quella sinistra. Allora" pausa per raccogliere le idee "appoggiate il dito sulla basetta e schiacciando eliminate la schiuma, quindi posate il rasoio sul punto dove si esauriscono i capelli. Sentite il tocco della lama sulla pelle?" cenno d'assenso dei ragazzi "Spostatela verso il basso. Dovete avvertire il taglio dei peli, ma solo di quelli. Percepite? Tutto bene?" I due eseguirono con diligenza tutte le istruzioni e, dopo la prima passata di rasoio della loro vita, si guardarono allo specchio, soddisfatti e già orgogliosi del risultato. "Questa era la parte più facile. Ora continuate delicatamente e senza spingere. Il vostro movimento deve volgere sempre verso il basso. Risciacquate spesso il rasoio. Il vostro fine è quello di eliminare tutti i peli dalla faccia, ma dovrete toglierli anche dal rasoio." Niki continuò con calma. Mauro era solo un poco più nervoso, ma entrambi giunsero in fondo senza danni, liberando la parte superiore della faccia dalla schiuma e da quasi tutti i peli. Il papà seguiva le operazioni e dava suggerimenti specialmente a suo figlio che gli pareva meno sicuro nei movimenti. La gola fu, naturalmente, tutto un altro discorso, perché il maestro dovette introdurre il concetto del contropelo. "Quella che avete tagliato fino ad ora, è la parte di peli che generalmente sono rivolti verso il basso. Se continuaste così anche sulla gola sforzereste i peli che vi crescono e li costringereste a cambiare il loro verso: questo non gli piacerebbe e si irriterebbero parecchio per il trattamento gli state riservando. Perciò dovrete partire dal basso, con ancora più delicatezza e risalire verso le orecchie. Avanti: cercate di farlo senza tagliarvele, perché vi serviranno ancora!" Eseguirono compunti, senza neanche un piccolo taglio, un arrossamento, senza che un solo pelo esprimesse disappunto per il trattamento stava subendo. Avevano finalmente terminato la rasatura e il risultato era davanti ai loro occhi. Niki si guardò per un poco allo specchio, poi si voltò a guardare Mauro che incrociando lo sguardo con l'amico si coprì la faccia con le mani: i loro visi erano tornati quelli di due bambini, su corpi adulti e con espressioni solo un poco più consapevoli. Fu uno choc per loro che non se l'aspettavano. Erano abituati alle loro facce vissute, nascoste dalla peluria che lentamente gli aveva coperto le guance e apparentemente le aveva scavate. Come in un sapiente maquillage, quella specie di trucco aveva donato ai loro visi un'età che ancora non avevano raggiunto. L'effetto era molto più evidente in Mauro che pareva essere tornato un paffuto tredicenne, mentre la faccia di Niki sembrava solo più fresca. Il rito era terminato, risciacquati e aspersi di lozioni rinfrescanti si concessero alla gioia degli spettatori. Le mamme li baciarono sulle guance, assaggiando, loro malgrado, il terribile dopobarba già usato dagli uomini di casa e anche i papà, lasciandosi trasportare dall'affetto e dalla tenerezza, baciarono i figli. Michele se ne restò per un po' sulle sue, ma alla fine abbracciò il fratello e tese la mano a Niki che lo guardò e gli sorrise, poi gli fece di no con la testa. Allora Michele capì ed abbracciò anche lui. Lo strinse e gli sussurrò in un orecchio: "Sei in gamba anche tu e non l'avrei mai creduto, se non l'avessi visto!" e poi aggiunse "E non lo dico solo perché ti sei fatto la prima barba senza tagliarti!" Quella era un'altra amicizia cui Niki teneva molto, dopo aver conquistato quella di Sergio con molta più facilità. "Ormai siete uomini e avete le vostre responsabilità!" Il papà di Mauro riuscì a dirlo, anche se gli scappava da ridere. I cenni d'assenso che giunsero dal resto dei genitori, furono ugualmente venati d'ironia e così tutta la sacralità della cerimonia, com'era giusto che fosse, finì in una risata collettiva. "Noi due andiamo a rivestirci." Si chiusero nel tunnel e si baciarono, prima sulle guance leccandosi un altro poco di dopobarba, poi sulla bocca, un poco più a lungo. Si accarezzarono, accostando le guance. "Sei diventato il mio bambino, il mio fratello minore" Niki accarezzò delicatamente Mauro. "Mi brucia tutta la faccia! Anche tu sei bellissimo. Sapessi quanto sei liscio!" Mauro passava la punta del naso sul volto di Niki "Sei tenero come un germoglio di bambù." "Purché tu non sia un panda" disse Niki ridendo e Mauro, naturalmente, gli morse un orecchio. Fu il segnale d'inizio della battaglia, si rotolarono sul letto più basso e finirono per terra. Nessuno prevaleva sull'altro, poi la stretta si trasformò in un abbraccio e la grinta della lotta in uno sguardo sognante: si baciarono ancora e tornarono in fretta alla normalità, prima che fosse troppo tardi per ricomporsi. Erano felici del loro amore. 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