Date: Mon, 5 Nov 2012 20:20:54 +0100 From: G. Plain Subject: IL FRATELLINO part 1 IL FRATELLINO CAPITOLO 1 LA MIA FAMIGLIA Non avevo nessun ricordo di mio padre, ma sapevo bene di aver ereditato moltissimo da lui: la mia bassa statura, intorno ai 165cm, il mio aspetto ancora molto adolescenziale nonostante i miei diciotto anni compiuti, persino il mio carattere abbastanza infantile e immaturo. Di lui mi rimaneva solo una foto, in cui sorrideva con una punta di tristezza nello sguardo, insieme a mia madre Anna che mi teneva in braccio a pochi giorni dal parto. C'era anche una breve frase scritta sul retro dell'immagine: "Anna e Giorgio, scusatemi, non vogliatemi male, non sarei stato un buon marito e un buon padre per voi, anche se vi ho voluto bene". Crescendo avevo saputo da mia madre, che mi aveva tirato su da sola nei miei primi anni di vita, che mio padre se ne era andato perché aveva "scoperto" di essere gay, e ora viveva in un qualche paradiso tropicale in compagnia di un ricco uomo d'affari che lo aveva voluto con sé e al quale non aveva saputo dire di no, nonostante il matrimonio e il figlio appena nato, cioè me. Dal mio punto di vista, avevo da sempre accettato la cosa senza troppi problemi: non avere di fatto un padre e sapere di essere il figlio di una persona a dir poco non maschile di aspetto, come lui appariva dalla foto, era la mia normalità da sempre. Quello che facevo un po' più fatica ad accettare, era il fatto che mia madre, dopo alcuni anni di vita da single, si era risposata con un uomo che era, forse proprio per una forma di compensazione psicologica, l'esatto opposto di mio padre: un ufficiale dell'esercito di nome Franco, alto, molto atletico fisicamente, molto fermo di carattere, assolutamente uomo dalla cima dei capelli fino alle unghie dei piedi. Franco, pur non avendomi mai maltrattato nè fatto mancare nulla dal punto di vista materiale, semplicemente mi considerava come un estraneo con il quale doveva per forza di cose convivere, ma al quale non intendeva dare la benché minima confidenza, oltre che per il fatto che non ero suo figlio, anche per via del mio aspetto fisico, del mio carattere, della mia fisicità, così delicata, debole, assolutamente poco maschile, che per lui rappresentava una sorta di obbrobrio vivente. Anche mia madre con il passare degli anni aveva assunto, forse condizionata dal marito che amava alla follia, un atteggiamento a dir poco distaccato nei miei confronti. Tutto l'opposto di quello che invece avevano nei confronti del mio fratellastro Giulio, nato poco dopo la loro unione, cinque anni dopo di me, che era il centro dell'attenzione della casa, e sul quale riversavano un affetto ed un calore straordinari. Nonostante tutto, comunque, la mia fanciullezza trascorse in modo abbastanza sereno, anche grazie al fatto che il mio fratellino era un bambino prima, e un ragazzino poi, davvero buono, espansivo, affettuoso, e io col passare degli anni mi andavo affezionando sempre più a lui che al resto della nostra particolarissima famiglia. Ad esempio spesso dormivamo abbracciati, cosa che nostro padre (o per meglio dire "suo" padre) non gradiva molto, e spessissimo giocavamo insieme, trascorrendo praticamente tutto il nostro tempo libero tra di noi. Per me erano indimenticabili le giornate estive in cui venivamo lasciati da soli, io tredicenne incaricato di fare il padrone di casa, ore intere passate all'aperto nel giardino dietro casa, su insistenza di Giulio, alla fine delle quali eravamo entrambi inzaccherati di fango dalla testa ai piedi. Puntualmente io mi beccavo delle fragorose lavate di capo dai miei per il fatto di non aver saputo gestire la situazione, ma non mi importava: non ce la facevo proprio a dire di no al mio fratellino quando mi chiedeva qualcosa, e lui chiedeva spessissimo di giocare all'aperto, di fare attività fisiche per me massacranti, ma si sa, mentre io ero stremato fisicamente, lui, come tutti i ragazzini di otto o nove anni, era sempre al colmo delle energie sprizzando vitalità da tutti i pori. Un altro aspetto indimenticabile della nostra fanciullezza era la lotta: alla minima occasione di disputa o di decisione da dover prendere, il mio fratellino lanciava l'urlo "LOOOTTA! LOOOTTA!" e si precipitava verso di me, iniziando una furibonda lotta greco-romana artigianale. Per me era semplice, con cinque anni di differenza, parare i suoi colpi, e tenerlo sotto controllo. Il contatto fisico mi faceva molto piacere, mi faceva sentire molto in intimità con lui, e in quei momenti ero davvero felice. I combattimenti finivano quasi sempre con me sopra di lui, con le mie gambe a bloccare le sue e le mie mani a tenere ferme le sue braccia fino all'inevitabile sua sottomissione, allora io iniziavo a chiamarlo per gioco gnometto, puffo, moscerino, e gli intimavo di arrendersi altrimenti l'avrei schiacciato sotto di me, e di fatto questo era l'unico modo per farlo stare buono o per fargli accettare una mia decisione, ad esempio su quale programma si dovesse guardare in televisione, a quale gioco giocare, o altre cose del genere. Man mano che cresceva, iniziai anche a farlo vincere ogni tanto, simulando degli attacchi di debolezza improvvisa, o semplicemente quando ero troppo stanco per sostenere l'ennesimo attacco. A quel punto lui iniziava a andare in escandescenza dalla felicità, saltando, urlando, in una vera esplosione di gioia per essersi dimostrato il più forte e poter decidere lui cosa fare per quella volta. Il tempo passava, il mio fratellino cresceva e diventata ogni giorno più amabile, un ragazzino via via sempre più aggraziato e di bell'aspetto: dalla nostra mamma aveva ereditato gli occhi azzurri, i capelli biondi, dal suo papà i lineamenti del viso regolari, la mascella volitiva, e il fisico slanciato e scattante. Gli piacevano molto le attività fisiche, ed in particolare era molto attivo come scout, cosa che i miei avevano provato a far fare anche a me ma senza successo, perché mi facevo male in continuazione nelle gite fuori città e mi dimostravo molto impacciato nel sapermi gestire e organizzare. Il mio fratellino invece sembrava nato per portare a compimento le avventure degli scout ed era anche molto portato in tutti gli altri sport, nuoto in particolare, che i miei genitori gli facevano praticare con soddisfazione. Ma questo senza che impattasse sul suo rendimento scolastico, infatti nonostante l'età era molto serio sullo studio e sapeva organizzarsi bene riportando sempre ottimi voti a scuola. Nel tempo libero continuavano le nostre giornate di gioco insieme, le nostre lotte, e sempre più spesso poteva accadere che lo facessi vincere anche per il fatto che, diventando più grande, sebbene fosse ancora abbastanza più basso di me, a partire dagli undici anni iniziò a tirare colpi più forti, che certo non faticavo a parare, ma che a volte mi lasciavano un po' indolenzito. Gli dicevo con tono bonario che lo Gnometto stava crescendo e stava diventando un "Grande Puffo", oppure che il moscerino si stava evolvendo, e quando ammettevo che nonostante fosse una pulce mi aveva fatto male, lui sorrideva e mi chiedeva scusa in modo molto gentile guardando verso l'alto e fissandomi dritto negli occhi, poi spesso aggiungeva: "Fratellone Giorgio, scusami, ma io voglio diventare sempre più forte, se ti faccio male ti devi arrendere!!!". Poi faceva scattare uno dei suoi sorrisi aperti e gioiosi per i quali io andavo matto e faceva una posa di doppi bicipiti che risultava a dir poco ridicola visto che le sue braccia erano ancora degli stuzzicadenti di un ragazzino undicenne. Arrivarono ad un certo punto i miei diciotto anni, e pur essendo diventato maggiorenne, il mio carattere introverso e timoroso mi aveva frenato fino a quel momento su molte cose, non solo nelle amicizie, ma anche nelle mie esperienze sessuali, che erano praticamente nulle, limitandosi a poco più che a delle fantasie. Nel mio intimo infatti sapevo da sempre che mi piaceva il contatto fisico non con donne, ma con uomini, magari forti e muscolosi. Non so se dipendesse dal fatto che il mio patrigno mi aveva da sempre ignorato, ma era questo tipo di cose che mi faceva segretamente eccitare, sebbene sapessi di non essere molto dotato nè molto maschile, e quindi di non eccitarmi comunque molto rispetto agli altri ragazzi della mia età. Non sapevo nemmeno se considerarmi del tutto gay, visto che, essendo così introverso e timido non avevo mai avuto nessuna interazione sessuale con nessuno, ragazzi o ragazze, e praticamente non avevo del tutto esplicitato nemmeno a me stesso questo lato del mio carattere. Anche a scuola ero molto timido e impacciato e non ero mai stato una cima, avevo ottenuto la maturità per il rotto della cuffia e ora mi trovavo a dover scegliere che università fare, il che avrebbe comportato necessariamente un allontanamento dalla piccola realtà cittadina in cui avevo vissuto fino a quel momento. Parlando con mia madre, lei mi fece capire che ormai ero maggiorenne, e che sarebbe stato meglio se me ne fossi andato all'estero, per acquisire maggiore autonomia, cercandomi un lavoretto per arrotondare la somma che mensilmente loro mi avrebbero garantito e scegliendo una facoltà non troppo difficile. La vidi come una gentile richiesta da parte di mia madre di uscire dal nucleo familiare, che si andava sempre più stringendo intorno ad Anna, Franco e Giulio, e che sempre più mi vedeva escluso ed emarginato da loro, tranne che dal mio fratellino ormai tredicenne che continuava ad essere espansivo e buono come sempre nei confronti di tutti e anche verso di me. Così, per alcuni giorni mi dedicai ad una ricerca su Internet e scelsi di andare il più lontano possibile e iniziare una nuova vita. Mi piaceva l'arte e mi piaceva in particolare l'arte applicata all'architettura moderna, così all'inizio del mese di settembre mi trasferii a Chicago a studiare Architettura, nella città che era stata la culla degli sperimentatori di nuove tecniche di costruzione di grattacieli durante la prima metà del novecento. Quando venne il momento di salutare il mio fratellino, a momenti mi misi a piangere tanto ero commosso, sapevo che non lo avrei rivisto per molti mesi ed in effetti lui era l'unica persona che mi stesse a cuore veramente e che mi dispiaceva molto lasciare. Lui mi strinse ricambiando il mio abbraccio, notai, come mi capitava spesso nell'ultimo periodo, che nonostante i cinque anni di differenza erano ormai solo pochi i centimetri di altezza che ci separavano, e lui mi disse in modo abbastanza maturo per essere solo un ragazzino di tredici anni: "Non ti preoccupare fratellone Giorgio, starai bene in America, ma sappi che se non ti alleni duro quando torni ti batterò sempre nella lotta! E senza che tu mi faccia più vincere!" Strizzò l'occhio e sgranò uno dei suoi sorrisi ammalianti prima di darmi un bacio affettuoso su una guancia e di correre via. Rimasi di stucco. Non solo si stava trasformando rapidamente in un adolescente bellissimo e atletico su cui di lì a poco tutte le ragazzine avrebbero sbavato, ma era anche molto più sveglio e maturo di quello che avessi potuto immaginare... Infatti aveva sempre fatto finta di non accorgersi dei miei aiuti nei nostri giochi di lotta, e del fatto che ero io a farlo vincere, ma in realtà ne era assolutamente consapevole, e così io che pensavo di ingannarlo bonariamente ero stato invece gabbato a mia volta da un ragazzino di tredici anni! FINE CAPITOLO 1 [Se il racconto ti e' piaciuto puoi inviare un commento a: one_plain_guy@hotmail.com oppure iscriverti al gruppo Yahoo: http://it.groups.yahoo.com/group/adoroimuscoli/ dove troverai altri racconti a tematica muscolare in italiano.]