Date: Sun, 20 Jan 2013 22:48:40 +0100 From: Lenny Bruce Subject: Storia di Niki e Mauro - Chapter 3 DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Questo è il terzo dei dieci capitoli che compongono questo romanzo. Cap. 3 Niki e Mauro Niki tornò da Boston, quando mancavano pochi giorni all'inizio della scuola. C'era una nuova città da conoscere. Doveva scoprire dov'era la scuola in cui suo padre l'aveva iscritto, quali libri comprare e tante novità alle quali era abbastanza abituato. C'era poco tempo per tutte quelle cose e, se farle l'aiutò a non pensare all'America e a Stephan, non lo difese da un'altra ansia: l'attesa di conoscere i professori e soprattutto i nuovi compagni. Quei giorni gli parvero ancora più lunghi e temendo quel momento, finì per aggrapparsi ancora di più ai ricordi della sua bella estate. Quello della nostalgia era il baratro nel quale si lasciava cadere quando non era con sua madre, o quando il libro che leggeva, la musica che ascoltava e suonava non riuscivano a trascinarlo lontano dalla realtà. Erano i momenti in cui sentiva di non poter più sopportare la malinconia che l'assaliva. Di Stephan non gli mancava l'appagamento fisico che il cugino era riuscito a regalargli, sospirava anche quello e in modo quasi doloroso, ciò che rimpiangeva era la presenza accanto a sé di quell'amico speciale. Dopo la partenza, durante la prima settimana, si parlarono per telefono ogni giorno, poi Niki avvertì come un disagio nei loro discorsi, un lento, graduale allontanarsi di Stephan. Era in America, ma a lui pareva che il cugino fosse su un altro pianeta, per come lo sentiva disamorarsi e divenire più distratto ad ogni telefonata. Percepiva, nelle frasi che si sforzavano di mormorarsi, una difficoltà che non era dovuta all'emozione. Se lui arrivava a commuoversi mentre gli parlava, l'altro cominciò a sembrargli annoiato, qualche volta imbarazzato da qualcosa che, dall'Italia, seimila chilometri lontano, lui non riusciva a cogliere o ad indovinare. Deluso da quell'inspiegabile disaffezione, arrivò a comprendere la propria incompiutezza: aveva quindici anni, era un uomo ormai, ma non aveva un solo amico, proprio nessuno con cui parlare, a parte i suoi genitori. E, per quanto a loro non avesse mai taciuto nulla di sé, non riusciva ad immaginare alcun modo per comunicargli quanto fosse grande l'angoscia che l'aveva assalito dopo l'ultima separazione da Stephan. Arrivò a disperare e a chiedersi se mai sarebbe stato capace di trovare la persona che cercava, di farsi un amico vero. Sentiva il bisogno d'avere qualcuno accanto, qualcuno disposto ad ascoltarlo, un ragazzo con cui parlare del libro che stava leggendo, della versione di greco, del suo amore per la musica, di quanta paura, arrivato a quel punto, avesse di crescere. Sapeva che quei pensieri erano comuni fra i suoi coetanei, ma era la sua diversità a spaventarlo. Come avrebbe fatto a trovare una persona, che fosse com'era lui, che potesse realmente completarlo, perché ormai si sentiva imperfetto, carente, mutilato. Nei giorni che precedettero l'inizio della scuola, quella solitudine che gli era stata sempre compagna, si trasformò in una condanna molto difficile da sopportare. Il padre li aveva portati, e lui sperava per sempre o, almeno, per più di un anno, in una cittadina vicina all'università che finalmente aveva messo a sua disposizione la cattedra tanto sospirata. Pareva che la famiglia, le cui uniche radici si trovavano oltre Atlantico, dovesse finalmente sistemarsi per qualche tempo in quella città che sembrava gradevole ed ospitale. Il buon clima rendeva il posto accettabile anche per la salute della mamma. Fu con grandi speranze e con la ferma volontà di farsi degli amici, che quel primo giorno si presentò a scuola a conoscere compagni e professori. Aveva deciso che là, in quella scuola avrebbe cercato, con molta più determinazione di altre volte, un compagno, un amico, qualcuno che dividesse con lui, se non tutta la vita, almeno qualche momento. La paura che aveva di rimanere per sempre da solo, lo induceva ad agire con una decisione che non aveva mai avuto prima. Era stato preceduto, presso i nuovi professori, dal suo brillante curriculum e da una speciale presentazione, fatta da un collega di suo padre all'insegnante di lettere. Le era stato presentato come un ragazzo di grandi doti, ma difficile da avvicinare e tendente alla solitudine. Lui, che sapeva anche di questa particolare attenzione, sperò con tutto il cuore che fosse d'aiuto e non gli attirasse, com'era già accaduto, la gelosia di ragazzi che neppure lo conoscevano. Quella mattina s'avviò verso la scuola pieno di fiducia e le prime impressioni che ebbe non furono cattive, notò che tutti gli studenti, attraversato il grande portone d'ingresso, passavano nell'atrio e lui li seguì. Si ritrovò un'altra volta all'aperto, in uno spazio molto ampio, delimitato su tre lati dalle ali di un edificio a ferro di cavallo. Là, sotto due palme molto alte e attorno ad un cedro enorme, vide tanti gruppi d'alunni che, come lui, attendevano il suono della prima campanella dell'anno. L'attrasse quel cedro che saliva ben oltre i due piani dell'edificio e che con i suoi rami riusciva ad ombreggiare buona parte dell'atrio. Solo in America ricordava di avere visto alberi tanto grandi. Gli italiani sapevano quindi piantare e far crescere gli alberi quanto i suoi connazionali. Questa conclusione, per quanto ingenua, fu un altro motivo d'ottimismo. Sapeva già di essere stato inserito nella sezione 'B', quella che, secondo le informazioni raccolte, aveva i migliori insegnanti e raccoglieva i ragazzi più promettenti. Tornò vicino al portone per capire quali fossero le regole per l'entrata, anche se ormai era un esperto del primo giorno di scuola in un nuovo istituto, avendolo vissuto per ogni suo anno scolastico. Le prime a muoversi furono le quarte classi del ginnasio, formate da ragazzini pigolanti e intimiditi dalla nuova scuola: solo un anno prima era uno di quei bambini ed ora si sentiva molto orgoglioso di frequentare la quinta. Mentre faceva questi pensieri e lasciava vagare lo sguardo fra tutti i ragazzi e le ragazze che si accalcavano attorno a lui, da dietro sentì emergere una voce allegra di uno di quelli ed immediatamente immaginò che il padrone della voce dovesse essere per forza molto bello. Si voltò e vide Mauro. Erano entrambi abbastanza attraenti da richiamare, più o meno inconsciamente, l'attenzione dell'altro, così si fissarono per un istante, poi insieme distolsero gli occhi, distratti da ciò che accadeva attorno. Proprio in quel momento, una professoressa piuttosto anziana e dall'aspetto severissimo, si affacciò al portone annunciando, con voce perentoria: "Liceo Ginnasio, classe quinta, sezione B! Dietro di me! In fila!" Niki si accodò a quelli che si muovevano seguendo quella signora dall'aspetto così burbero, quasi da strega. Tremava per l'emozione, ma, dentro di sé, riuscì a sorridere per un'idea che gli era venuta. A quella donna mancava solo una scopa di saggina, e di sicuro non avrebbe sfigurato per Halloween! Già, Halloween. Chissà cos'avrebbe fatto Stephan per Halloween. Mancava più di un mese. Agli italiani non piaceva quella festa, ma per lui e la mamma era molto importante, finché era piccolo l'avevano festeggiata insieme, aspettando che il papà tornasse e facendogli sempre qualche scherzo. Poi era cresciuto e da un paio d'anni mettevano, dietro una finestra, una candela in una zucca bucata che aveva i fori per gli occhi, il naso e la bocca. Il loro Halloween, ormai, era tutto in quella piccola zucca, sempre più malandata, ma per quell'anno dovevano inventarsi qualcosa di diverso. L'avrebbe proposto alla mamma. Fece quei pensieri lungo il percorso fino all'aula che li avrebbe ospitati per tutto l'anno. Quasi tutti i nuovi compagni si erano voltati a guardarlo con curiosità, ma Niki non aveva scorto in nessuno di loro uno sguardo di simpatia. Questo, si disse, era giustificabile e prevedibile, toccava a lui comportarsi in modo che quelle occhiate curiose diventassero gentili e disponibili. Lui doveva cercare amicizia e questa volta avrebbe fatto davvero ogni sforzo per riuscirci. I ragazzi e le ragazze occuparono subito i posti secondo uno schema che gli parve preordinato. Andò a sistemarsi in un banco aggiunto nell'ultima fila e messo lì certamente per lui. Gli piacquero la sistemazione e l'ordine che parevano regnare in quella scuola, pensò che tutto questo fosse molto consono al suo modo ordinato di concepire le cose. Si guardò intorno per valutare i nuovi compagni e pensò che fossero particolarmente di belle maniere. E, se le apparenze valevano, forse erano anche di cultura soddisfacente. Probabilmente aveva trovato la scuola che aveva sempre sognato di frequentare e, a quanto pareva, avrebbe trascorso quell'anno in compagnia di ragazzi di aspetto gradevole. Ce n'erano anche di bruttini, ma lui ne aveva notati sei o sette che erano davvero belli ed un paio che gli fecero venire subito dei pensieri che si affrettò a scacciare, almeno per il momento. Improvvisamente, si ritrovò ad essere molto ottimista sul proprio futuro. Fu certamente una fortuna, anche se non se ne avvide subito, che quell'anziana, burbera signora, la prima insegnante che conobbe, fosse la severa professoressa d'inglese. Appena entrata in classe e dopo aver borbottato un 'good morning', quella cominciò a scorrere la lista degli alunni, ottenendo miracolosamente un silenzio assoluto nell'aula. Niki non lo sapeva ancora, ma quella donna era da decenni il terrore del ginnasio. Era rinomata per le maniere molto spicce, ma anche per l'abilità nell'insegnamento e per la sua cultura. La mitologia del liceo raccontava che chi l'avesse avuta per due anni di seguito, non sarebbe più riuscito a scordare l'inglese che lei insegnava, perché si diceva che 'i segni che lasciava erano come cicatrici nella memoria'. La professoressa scoprì subito, in fondo all'elenco, il nome di Niki e volle vedere che tipo fosse il nuovo arrivato. Così, senza rivolgere la propria attenzione a nessun altro, lo fissò: "Waldner... Niki?" chiese in modo piuttosto ruvido "È tuo questo nome... insolito?" e sottolineò con la voce l'aggettivo, poi aggiunse "Sei italiano?". Niki scattò subito in piedi: "Io... non so-sono straniero" balbettò per l'emozione. "Cioè...?" "Voglio dire che sono italiano" spiegò, riacquistando subito la sicurezza "non sono tedesco, come potrebbe sembrare. Però sono per metà americano. Per parte di mia madre. Mio padre invece è proprio italiano." Ormai l'aveva raccontato tante volte che, superato l'imbarazzo iniziale, mentre tutti l'ascoltavano incuriositi, terminò quella specie di scheda personale. La classe mormorò alla notizia d'avere un mezzo americano per compagno. Tutti lo guardarono interessati, anche perché avevano ormai notato il suo accento leggermente straniero. La cosa, però, non impressionò la professoressa che, zittita la classe con un sollevare di sopracciglia, volle subito saggiare il livello di conoscenza linguistica del nuovo venuto: "Tell me something more about you!" Il tono con cui era stata posta la questione, esprimeva diffidenza da parte dell'insegnante ed era talmente perentorio che Niki se ne sentì intimorito, tanto che, con voce esitante, chiese: "In English?" "Yes, of course!" E lui la incantò subito con il suo inglese. La conquistò con i modi educati, con la gentilezza d'animo che la donna intravide subito in quel ragazzo e che le ispirò tanta tenerezza. Ed anche Niki che solitamente parlava poco di sé, fu commosso dal fatto che la professoressa gli avesse consentito di esprimersi in inglese. Poter parlare la sua lingua, aveva sempre un effetto miracoloso su di lui, perché lo riconduceva a momenti felici della sua vita e soprattutto a Stephan. I compagni osservavano la scena con un misto di curiosità, d'invidia e di riconoscenza, perché Niki aveva fatto breccia nel cuore della vecchia strega che continuava a parlare con lui e non aveva ancora cominciato a torturarli con le sue maledette domande, in inglese, su come tutti loro avevano trascorso le 'holiday' che erano come sempre durate troppo poco. Per qualche minuto tutti rimasero in silenzio ad ascoltare quel linguaggio poco comprensibile, ma che sembrava per lo meno musicale. La scena andò avanti, con la professoressa a porre domande sugli studi, sulla famiglia, sull'America e Niki a risponderle, ormai rasserenato, quasi divertito, raccontandole molto di sé e rivelandole, senza volerlo, anche come si sentisse disperatamente solo. A fingere, come quasi tutti, d'ascoltare c'era Mauro che viveva con eccitazione l'inizio dell'anno scolastico: per lui era motivo di gran felicità ritrovare gli amici e riprendere le vecchie abitudini. Se fino al giorno precedente la divergenza d'opinioni e di comportamenti fra il suo corpo e la sua mente, riguardo al sesso, lo sconcertava ancora, ora era là, dimentico di tutto, a godersi i compagni e la complicità di Giacomino. Erano, come sempre, seduti allo stesso banco e ogni tanto si mormoravano qualche sciocchezza sui compagni, più spesso sulle ragazze. Si guardavano e scoppiavano a ridere senza neanche badare a quello che s'erano appena detti. Dietro di loro c'erano gli altri due, Alex ed Eugenio, che, anche loro senza capire quello che Giacomo ogni tanto bisbigliava, ridevano ancora più forte. Enrico era seduto davanti e fingeva di seguire con attenzione l'insegnante d'inglese. Teneva le orecchie pronte a cogliere le battute degli altri e, se non rideva anche lui, era perché, prudente per natura, non avrebbe mai rischiato i fulmini della tremenda professoressa. Quella mattina, anche Mauro aveva notato Niki, anzi, se l'era mangiato con gli occhi, ed aveva già cominciato a fantasticare su di lui, ma aveva subito scacciato l'idea, com'era sua abitudine, pur sapendo che quell'idea sarebbe tornata durante la serata, in una situazione diversa. E sapeva bene quale uso ne avrebbe fatto. Niki, mentre discuteva con l'insegnante d'inglese, lasciando vagare lo sguardo fra i compagni s'era spesso soffermato su quella testa nerissima e svettante fra le altre, su quei capelli morbidi, un po' lunghi e aveva subito desiderato accarezzarli. Mentre raccontava dei suoi viaggi, aveva notato Mauro voltarsi a guardarlo. S'erano fissati per un momento che era durato più a lungo di prima, poi Mauro aveva distolto lo sguardo e ridendo aveva bisbigliato qualcosa a Giacomo. Erano scoppiati insieme a ridere facendo un po' di rumore. Temette che ridessero di lui. Giunse a quella conclusione, perché era troppo abituato allo scherno dei compagni, anche quando, come in quel caso, non ce ne sarebbe stato motivo. E poi aveva scoperto che gli sarebbe piaciuto diventare amico di Mauro. Questo lo intristì e la sua espressione si fece improvvisamente malinconica. La professoressa, oltre che essere proverbialmente severa, era anche un'insegnante sensibile e molto esperta: aveva già capito quale fosse la pena più intensa del ragazzo e, sempre in inglese, ma con molta più dolcezza, gli chiese la ragione di quell'improvvisa infelicità. E lui, con una leggerezza che poi si rimproverò, le riferì l'episodio, spiegandole anche quanto fosse abituato ad essere deriso dai suoi compagni. Dopo averlo rassicurato che in quella scuola si sarebbe inserito bene e che ci avrebbero pensato, lei e i suoi colleghi, a fare in modo che nessuno lo prendesse più in giro, l'insegnante, lo fece sedere e rivolse l'attenzione a Mauro ed ai suoi compagni di divertimenti. Li guardò ad uno ad uno con un cipiglio che li fece sobbalzare, poi fece cenno a tutti e quattro di alzarsi, graziando Enrico che evidentemente era riuscito a nascondere le sue risate. Li interrogò, torchiandoli sulle loro misere conoscenze d'inglese. I ragazzi naturalmente non fecero una bella figura e a Niki parve che tutti l'incolpassero della disavventura. Sentì crescere attorno a sé una specie d'insofferenza, mentre Mauro, ogni tanto, si voltava a guardarlo e non certo con benevolenza. Durante l'ora successiva, l'insegnante di lettere operò un cambiamento nella disposizione dei posti facendolo sedere accanto a Mauro, che fu così separato da Giacomo. Lo scambio non aumentò la simpatia della classe verso il nuovo arrivato e rese Mauro definitivamente ostile verso l'incolpevole Niki, il quale, senza neppure immaginarlo, aveva rotto la storica unità dei Cavalieri. Nei giorni seguenti, ogni tentativo che fece per instaurare un qualunque rapporto con Mauro e anche con gli altri compagni, fu frustrato dall'indifferenza e anche da una certa ostilità con cui gli rispondevano. Le ragazze, dopo un breve periodo di curiosità verso il nuovo venuto, visto lo scarso interesse mostrato nei loro confronti, cominciarono ad ignorarlo. Erano tutti con Mauro e con i Cavalieri che erano stati danneggiati dalla spiata. Come fossero riusciti a comprendere quello che lui e la professoressa d'inglese si erano detti, gli parve un mistero inaccessibile. Mauro, da parte sua e per motivi che non riusciva a spiegarsi, cominciò a provare verso Niki un inspiegabile imbarazzo. La sua scontrosità nei confronti del compagno di banco era originata più da questo disagio che non antipatia o animosità. S'era subito accorto di provare soggezione, perché aveva immaginato che Niki anche solo guardandolo riuscisse a leggergli dentro. Nelle sue fantasticherie arrivò ad credersi indifeso, disarmato davanti a lui, e quindi terribilmente vulnerabile col suo segreto. Aveva paura di guardarlo e di farsi guardare negli occhi, perché credeva che potesse intuire la vera natura di certi suoi pensieri. In quei giorni non gli rivolse mai la parola, arrivando a ignorarlo anche se Niki tentava di parlargli durante le lezioni. Si convinse di provare una profonda e motivata antipatia che non perdeva occasione di mostrare, arrivando persino a voltare la testa dall'altra parte, quando erano vicini. Al mattino, quando si vedevano ed alla fine delle lezioni, Niki lo salutava sempre con un sorriso e lui restava immobile. In quei giorni, il suo compagno di banco non esisteva e, se s'accorgeva della sua presenza, era solo per mostrare apertamente tutto il fastidio che quella presenza gli provocava. E poi entrarono in competizione, inevitabilmente cominciarono a confrontarsi in ogni materia. Questa rivalità diede finalmente a Mauro un motivo confessabile per detestarlo. E fece disperare Niki, sempre più bisognoso dell'amicizia non più di chiunque, ma di quell'amico-nemico, del suo compagno di banco, di cui era ormai perdutamente innamorato. Ne spiava i movimenti, ne coglieva le espressioni, si faceva piccolo per non infastidirlo. Per non inimicarselo arrivò a sbagliare di proposito un'equazione durante la prima esercitazione di matematica. Lo fece perché era disperato, perché proprio quella mattina l'insegnante di greco li aveva interrogati insieme. Mauro, coniugando un verbo, si era distratto ed aveva sbagliato. A Niki era scappato di correggerlo ed il professore, scherzando, aveva detto: "Hai visto, Mauro? Finalmente c'è qualcuno più svelto di te!" Mauro aveva abbassato la testa, ma poi l'aveva guardato tanto male, che a Niki era sembrato di ricevere uno schiaffo. Non riusciva a ricordare in quale preciso momento fosse accaduto, ma sapeva con certezza di amarlo. Già il primo giorno, quando s'era seduto al suo banco, non aveva osato alzare lo sguardo verso di lui, ma si era solo concesso di guardargli le mani. E poi per molti giorni quella era l'unica cosa che aveva fatto, fissare quelle mani grandi che certamente sapevano anche accarezzare. Dopo qualche giorno, si rese conto di non desiderare altro che di essere a scuola, accanto a lui, di attendere con ansia il momento in cui lo vedeva entrare in classe la mattina e poteva salutarlo. Sapeva già che Mauro non gli avrebbe risposto, l'avrebbe solo guardato di sfuggita, forse solo per evitare di schiacciarlo, pensava con amarezza. La fine delle lezioni, il momento in cui doveva lasciarlo era il più brutto: ancora un saluto senza risposta, quello sguardo indifferente, che a volte pareva cattivo, oppure scocciato. Mauro popolò i suoi sogni ed ogni momento della sua vita. La domenica, giorno in cui non poteva vederlo, trascorreva il tempo ad ascoltare musica o al pianoforte, a suonare per il suo nuovo, inconsapevole amore. E a scuola, se Mauro, forse odiandolo, neppure lo guardava, gli altri cominciarono a ridere di lui e ad insultarlo. Com'era già accaduto altrove, i suoi modi educati, il suo autocontrollo, il modo di parlare, non piacquero. Le offese furono le solite, gli insulti gli stessi che aveva già subito tante altre volte. L'unica consolazione per lui fu che Mauro non si unì mai agli altri. Non lo sapeva ancora, ma il suo compagno di banco era leale e generoso e mai avrebbe infierito su una persona, insultandola. Se il suo amato era presente e li ascoltava, lui soffriva per quegli insulti, se Mauro non c'era, li sopportava senza badarvi, essendo ormai abituato a quel trattamento e definitivamente rassegnato al proprio destino. In quei giorni d'ottobre, insolitamente caldi, fu angosciato dalla grandezza del suo amore, un sentimento che pareva senza speranza, così diverso da ciò che aveva provato per Stephan. Era una passione disperata. Pensò di confidarsi con la mamma, ma non lo fece, temendo di trasmettere anche a lei l'ansia, la smania che ormai lo possedevano. E non glielo disse anche per il pudore che ebbe nel rivelarle il suo primo, vero innamoramento. Con lei aveva parlato di Stephan. La mamma sapeva quanto lui si fosse sentito solo dopo averlo lasciato in America, ma non le aveva rivelato che erano stati amanti. Lei però doveva averlo immaginato, perché li aveva visti abbracciarsi, qualche volta anche baciarsi e la mattina li aveva trovati spesso nello stesso letto. Non se n'erano preoccupati molto, perché era una cosa che avevano sempre fatto quando erano piccoli, anche se a quindici anni si è già cresciuti. Mauro, dopo un paio di settimane trascorse a temere ed a cercare di odiare il suo vicino di banco, a guardarlo storto in ogni occasione, cominciò a chiedersi seriamente perché trattasse così male quel ragazzo e nella sua mente iniziò un lavorio che aveva Niki come principale oggetto. La prima conclusione cui giunse, con qualche fatica e molta autocritica, fu che ammirava la sua intelligenza e trovava piacevole quella parlata musicale, da inglese in Italia, pensava sorridendo. Dovette anche ammettere con se stesso che Niki era davvero tanto educato e d'animo troppo gentile per stare in mezzo a loro che erano barbari ed incivili. E il peggiore di tutti era proprio lui, pensò. Lui che era il suo compagno di banco, avrebbe dovuto e potuto aiutarlo ad inserirsi: la professoressa di lettere gliel'aveva fatto sedere accanto proprio per questo, l'aveva capito, e invece lo trattava come se fosse un animale, anzi peggio. Trattando male Niki, tradiva anche la fiducia dell'insegnante. Perché era così insensibile? Da dove proveniva quel risentimento? In tutta la sua vita, non si era mai comportato così male con una persona e quel poveretto non gli aveva fatto proprio nulla per meritare le cattiverie che ogni giorno lui gli faceva. Qualche volta era più svelto nel comprendere le spiegazioni, ma questo non doveva renderglielo antipatico. E, se Niki lo guardava in un modo che lo metteva a disagio, forse era perché cercava la sua amicizia e soltanto quella. Pensò con molta vergogna a cosa ne avrebbe detto suo padre, se avesse saputo di quel suo atteggiamento verso un compagno, uno che era come lui e che chiedeva, soltanto, di sentirsi meno solo. Comprese che quel contegno così sgarbato non poteva più giustificarsi con la disavventura del primo giorno, quell'ormai lontana e sfortunata interrogazione d'inglese e il cambio di posto. Quelle erano soltanto scuse che borbottava a se stesso. E allora, perché si comportava così? Gli sguardi che Niki gli rivolgeva lo mettevano a disagio, ma credeva davvero che potesse arrivare a comprendere il suo segreto? Era dunque per questo che lo odiava? Capì che, qualunque ragione portasse, non c'era giustificazione al suo atteggiamento. Ma perché Niki lo guardava sempre allo stesso modo? Lui lo trattava male, non rispondeva neppure ai suoi saluti e Niki continuava a sorridergli ogni volta che si vedevano. Lo salutava sempre, aspettandosi che lui gli rispondesse, non ricevendo altro che indifferenza e, qualche volta, pensò, vergognandosene fino ad avere i brividi, anche una smorfia di disprezzo. Poi l'idea che quel ragazzo potesse, in qualche modo, intuire il suo segreto, cominciò a delinearsi meglio nella sua mente. Probabilmente Niki possedeva un intuito, una coscienza particolare, forse c'era in lui qualcosa che li rendeva simili e quella sensibilità gliel'aveva fatto capire. Anche Niki parlava correntemente un'altra lingua: quel pensiero lo colpì. Niki era come lui che conosceva molto bene il francese. E poi, anche se non gli aveva mai parlato, era convinto che a Niki piacesse molto leggere e forse, anzi, certamente gli piaceva ascoltare la musica, qualcosa, però, che non fossero le canzonette che ascoltavano tutti i suoi amici. Sarebbe stato troppo bello, pensò, che quel ragazzo, che veniva da chissà dove, fosse andato a sederglisi accanto. Troppo bello per essere vero. Però poteva almeno sperarlo, immaginarlo, fantasticarci su. Perfino provare a chiederglielo. Un pomeriggio, mentre studiava, pensò, come faceva sempre più spesso, al suo compagno di banco. C'era qualcosa in lui, a parte il suo aspetto attraente, che l'aveva molto impressionato e che continuava a tornargli in mente: l'espressione sicura e serena che aveva in ogni momento. Conosceva bene la faccia incerta che facevano tutti i suoi amici ed anche lui stesso davanti a qualunque scelta si presentasse, nella vita come nel gioco, a scuola, davanti ad una versione di greco, oppure quando dovevano decidere cosa fare la sera. Niki, al contrario, per quanto lui aveva potuto costatare, non era mai esitante e agiva sempre con sicurezza, in ogni momento. Però non era sempre così. Pensò, con un certo disagio, al modo con cui Niki lo guardava, quando si credeva non osservato. In quegli occhi c'era qualcosa che non capiva ancora, che si sforzava di comprendere. Forse davvero Niki voleva guardargli dentro. Quella sera, prima di addormentarsi, si sorprese a pensare, che, se Niki gli avesse chiesto di farlo, a lui non sarebbe dispiaciuto, che guardasse pure quello che voleva, avrebbe capito tutto e sarebbe scappato ridendo, pensò. Proprio quella notte, invece, sognò Niki. Quello che fece fu un sogno completamente diverso dai pensieri cui ricorreva per eccitarsi, quando gli veniva voglia di masturbarsi, oppure da tutti i sogni che terminavano sempre allo stesso modo. Erano in classe e Niki lo guardava e forse gli chiedeva qualcosa. Ma lui non lo sentiva, anzi, si sforzava di non capire quello che l'altro tentava di dirgli. Si rifiutava di ascoltarlo. Niki lo guardava e lui continuava ad ignorarlo, proprio come accadeva nella realtà. Poi, nel sogno, Niki tendeva la mano fino a sfiorargli il braccio, come per accarezzarlo. Non era mai accaduto che Niki lo facesse. Quando sognò d'essere sfiorato da quella mano, un'ondata di piacere lo travolse. Sentì il grembo bagnato e si svegliò atterrito, temendo di non aver sognato, che tutto fosse accaduto realmente. Aveva avuto un orgasmo davanti a tutti i suoi compagni, tradendo il segreto, aveva goduto perché Niki l'aveva toccato. Quando fu abbastanza cosciente da capire dov'era, scoprì d'essere nel suo letto e sospirò di sollievo, aveva soltanto sognato. Gli accadeva spesso di svegliarsi bagnato, dopo un sogno eccitante, ma quella volta l'angustia che s'impossessò di lui fu più insopportabile delle altre volte. Non avrebbe cancellato quell'episodio dalla memoria, non sarebbe riuscito a fare come sempre. I compagni popolavano i suoi sogni, regalandogli momenti di piacere inattesi che faceva in modo di scordare alzandosi al mattino, questo sogno però non sarebbe scomparso, lo comprese dalla difficoltà che trovò, tentando di riaddormentarsi. E capì anche quanto avesse desiderato di fare un sogno come quello. La mattina dopo, a scuola, assistette ad un episodio che lo colpì. Nonostante l'attenzione delle insegnanti d'inglese e di lettere, spesso Niki era insultato dai compagni di classe. Quella volta, però, mentre erano in palestra Niki aveva avuto una reazione insolita: eseguivano degli esercizi, due ragazzi l'avevano insultato, sussurrandogli forse una frase offensiva e poi scoppiando a ridere. Niki prima aveva mosso le labbra, mormorando qualcosa, poi s'era voltato a guardarli e li aveva fissati con uno sguardo talmente annoiato che quei due avevano cambiato immediatamente espressione. Ed era tornato ai suoi esercizi. Lui era rimasto colpito dalla calma assoluta di quello sguardo ed aveva notato che, anche i ragazzi da cui era partito l'insulto, erano stupiti, disorientati da quella reazione. Quel giorno stesso, per la prima volta, rispose al saluto di Niki, non più con un cenno, come aveva cominciato a fare da qualche giorno, ma con un bel sorriso. Niki credette subito di sognare, ma non fu tutto, perché, quella stessa mattina Mauro arrivò anche a parlare con lui e divenne finalmente un vero compagno di banco, cominciò, insomma, a trattarlo con la stessa affabilità con cui trattava tutti gli altri. E questo a Niki bastava. Poi, qualche giorno dopo, l'insegnante d'inglese, che involontariamente li aveva allontanati, riuscì a farli diventare davvero amici. Quella mattina Mauro non s'aspettava d'essere interrogato e fu colto di sorpresa dalla vecchia strega. "Mauro De Marco!" Sentirsi nominare da quella donna e con quel tono, a cinque minuti dalla fine della lezione, lo gelò. La guardò implorante, ma quella continuò incurante. "Per chissà quale strana ragione, sono convinta che riuscirai a tradurre, in inglese... in inglese e non in francese come vorresti, una frase molto..." indugiò "molto impegnativa. Direi difficilissima!" Glielo disse fissandolo, sillabando col suo vocione, usando il tono sarcastico che da decenni terrorizzava gli studenti del ginnasio. E poi, pronunciando l'ultima parola, aveva improvvisamente alzato la voce e questo, come tutti sapevano, era il segno definitivo dell'estrema complessità della questione che stava per porre. Quello era un siluro, il colpo che affonda. Lo pensarono tutti, senza riuscire a spiegarsi perché venisse lanciato proprio contro Mauro che quel giorno se n'era stato zitto e tranquillo cercando, anzi, di non farsi notare. Mauro che, di tutti loro, era notoriamente il meno perseguitato dalla megera. E se era rimasto sempre in un silenzio quasi religioso, senza neppure alzare lo sguardo verso la professoressa, l'aveva fatto per un motivo grave e poco dignitoso. Non gli accadeva quasi mai, ma quel giorno era assolutamente impreparato. Giacomino l'aveva distratto, convincendolo ad uscire a metà del pomeriggio e a lui era rimasta quella lacuna, sapeva che la duration form era una regola sintattica della lingua inglese, immaginava che fosse un po' complessa, ma cosa esattamente disciplinasse e come lo facesse, era tutto un altro discorso. Si alzò tremante. La professoressa, insensibile, andò alla lavagna e scrisse la frase velocemente, graffiando con il gessetto sulla superficie liscia. Anche quel rumore sgradevole era una specie di vezzo in cui indulgeva. Serviva a spaventare, a dare i brividi e ci riusciva sempre. Scrisse: 'Se fossi stato più attento, non saresti caduto'. Poi si voltò a fissare Mauro con un mezzo sorriso. Quello sguardo fu eloquente e produsse in lui un tremito ulteriore. La strega sapeva, aveva compreso la sua debolezza. A Niki sfuggì un 'My God' a mezza voce, più di sorpresa che di spavento per la difficoltà della frase. 'La vecchia m'ha beccato' pensò Mauro furioso con la professoressa, con se stesso e, soprattutto, con Giacomino che l'aveva trascinato in quella situazione. Stava già pensando a cosa inventarsi per tirarsi fuori da quella situazione disdicevole, quando vide Niki scarabocchiare qualcosa su un foglio. Esitante, fingendo di pensare, lesse ciò che Niki scriveva, mentre l'insegnante lo guardava interessata. "If you paid more attention, you wouldn't have fallen" disse, inciampando nelle parole. "Bene la forma, corretti i tempi, ma scadente la pronuncia. Anzi, proprio da buttare via. Non lasciarti sfuggire occasioni per migliorarla. Siediti pure e rimettiti dallo sforzo che hai appena compiuto!" concluse lei, sorridendo un po' meno crudelmente. Mauro era incredulo per l'ingenuità della professoressa la quale, in passato, aveva cacciato senza pietà decine di suggeritori e di beneficiati, mentre ora pareva non essersi resa conto di nulla. Risedendosi cercò sotto il banco la mano di Niki, gliela strinse forte. Era il loro primo contatto fisico. A Niki non piaceva essere toccato, ma questa volta non ci badò proprio, sentendosi improvvisamente in paradiso. E come se lo vedesse per la prima volta, Mauro lo trovò affascinante. Gli teneva ancora la mano e continuò a fissarlo, ripensando all'insofferenza che aveva mostrato nei suoi confronti, agli sgarbi che gli aveva fatto. Si costrinse a ricordare quando, insieme con gli altri, l'aveva preso in giro, mai partecipando direttamente, ma arrivando anche a ridere di lui. Pensò a quante volte non aveva risposto al suo saluto, oppure l'aveva attraversato con lo sguardo, come fosse incorporeo o non esistesse. Nonostante tutto questo, Niki non aveva esitato un momento a rischiare una punizione pur di suggerirgli la frase esatta: Niki era un eroe e lui un vigliacco. Tutto qua. La campana che segnava la fine dell'ora, salvò tutti dalle complessità dell'inglese e da altre proibitive traduzioni, ma Niki non ebbe il tempo di pensare alla stretta di mano che aveva appena ricevuto, né di guardare ancora Mauro, perché la professoressa gli chiese di seguirla nella sala dei professori. In realtà, era accaduto che la donna voleva molto bene a Mauro e ne voleva anche a Niki, pur conoscendolo da poco. Aveva notato l'ostilità che s'era creata fra i due, poi li aveva visti diventare soltanto buoni vicini di banco, ma non abbastanza amici e si era convinta, osservandoli entrambi, che Niki avesse bisogno di un amico come Mauro, e che questo non avesse che da guadagnare dal diventare più intimo di Niki. Quel giorno aveva capito dallo sguardo sempre sincero di Mauro che il ragazzo non era preparato e perciò aveva pensato d'offrire a Niki l'occasione per guadagnarsi la riconoscenza del compagno, suggerendogli una risposta. "Ieri quel furbacchione non ha studiato" disse infatti, non appena furono soli "ti ho visto mentre suggerivi, ma non preoccuparti, non fa nulla. Spero che così diventiate amici. Veri amici. Tu sei un bravo ragazzo e meriti di essere il migliore amico di Mauro. Vedrai. Lui è in gamba! Ed anche tu lo sei" si fermò a guardarlo e poi aggiunse con il suo tono brusco "Mi sembra che a te serva proprio un amico e credo che anche Mauro ne abbia bisogno, perciò datti da fare!" Niki voleva saltarle al collo, abbracciarla e baciarla. Voleva rassicurarla: lo sapeva già che Mauro era eccezionale, perché lo amava. Ma si rese conto che non sarebbe stato corretto parlarne così apertamente alla professoressa. Pensò 'ti porterò sempre nel cuore, vecchia signora, per quello che forse mi hai regalato', e le disse soltanto: "Grazie, spero di riuscirci." "Adesso tornatene in classe e non dire a nessuno che ti ho visto suggerire, altrimenti" disse ridendo "ne soffrirebbe la leggenda della 'professoressa terribile'" poi, mentre Niki s'allontanava, tornò se stessa e gli gridò dietro "E non suggerire più, perché non avrai lo stesso salvacondotto per la prossima volta." Niki si voltò per sorriderle un'altra volta e per salutarla: "Non lo farò: non ce ne sarà più bisogno. Grazie ancora!" Mauro era solo in classe, preoccupato per l'assenza di Niki. Durante l'intervallo s'era improvvisamente sentito bisognoso del compagno, della sua presenza. Attendeva impaziente che tornasse: era rimasto là e non aveva seguito gli amici che erano corsi via come ogni giorno. "Niki" tirò un sospiro di sollievo quando lo vide tornare sorridente "Non ti ha punito, non è vero?" E in quella domanda Niki credette di sentire una trepidazione che era tutta per lui, il compagno che aveva rischiato. "Mauro" era la prima volta che pronunciava quel nome assolutamente certo di non ricevere una risposta seccata. Era sorpreso di ritrovarlo là, da solo, ad aspettarlo "Voleva farmi vedere dei libri che sono appena arrivati. Non si è accorta di nulla, non temere." Mauro gli prese un'altra volta la mano fra le sue, gliela strinse. Era incredulo. "Dici davvero? Mi aspettavo peggio, quella è una che non perdona. Poteva punirti. Perché hai rischiato?" in quel momento suonò la campanella. Dovevano tornare ai loro posti. "L'ho fatto perché volevo aiutarti!" "Allora grazie!" e gli mise un braccio sulle spalle, mentre con l'altra mano gli dava un colpetto affettuoso. Poi, con un movimento che Niki gli aveva visto spesso fare solo con gli amici più intimi, lo strinse a sé e gli mormorò, avvicinandosi fino a fargli sentire il fiato sull'orecchio "Sei un amico! Davvero!" Se l'avesse toccato ancora, pensò, con il cuore in gola, sarebbe svenuto, non s'aspettava tante emozioni in un giorno solo. La notizia che i due l'avevano scampata s'era già diffusa e la conclusione fu che la strega stava proprio invecchiando. Per il resto di quella giornata scolastica Niki contemplò Mauro e Mauro osservò Niki. I loro sguardi continuarono ad incrociarsi. Quel giorno, dopo la fine delle lezioni, si salutarono guardandosi in un modo molto diverso. Prima che fosse Niki, come sempre, a salutarlo, Mauro gli disse: "Ciao, io vado. A domani!" e gli sorrise. Dopo qualche passo, si voltò e, come ricordandosi di qualcosa, lo salutò ancora con la mano, sempre sorridendo. Non aveva mai fatto così. Niki si riscosse. Lui se ne sarebbe andato da solo, come sempre. "Mauro" lo chiamò, ma non c'era nulla che potesse dirgli, non ancora. Sentiva solo una dolcezza nuova nel chiamarlo, nel poterlo finalmente chiamare. "Si" Mauro era già sulla porta, ma si voltò sempre sorridendogli. Forse era impaziente di raggiungere gli amici che si erano già allontanati, quelli che Niki, fino a quel giorno, aveva invidiato con tutte le sue forze. "Niente. Una sciocchezza. A domani." Aveva finalmente un amico. Per la prima volta, gli pareva d'essere riuscito a conquistare l'amicizia di un'altra persona. Fino a quel momento, tutte le relazioni significative della sua vita erano sorte all'interno della famiglia, con i genitori, il nonno, gli zii, con Stephan. Nella stretta di mano di Mauro, nelle poche parole e negli sguardi che poi s'erano scambiati, aveva avvertito una tensione, un'ansia che gli pareva di non aver colto in nessuno, prima d'allora. Si sentì subito felice e pieno d'aspettative, ma al tempo stesso l'esperienza e il ricordo di quanto aveva patito, lo struggimento che ricordava d'aver provato in altre occasioni, lo spingevano ad essere prudente. Avrebbe voluto esserlo, ma non gli riuscì di farlo. Solo fino a qualche ora prima la sua vita gli pareva come un campo desolato ed ora era certo che Mauro vi avrebbe portato la vita. Per quanto lo desiderasse, per quanto temesse di restare deluso, non poté essere cauto ed assennato in un momento come quello. Rientrando da scuola, raccontò a sua madre la storia, tutta d'un fiato. Era sicuro che Mauro sarebbe presto andato a trovarli a casa, così com'era convinto che lui stesso avrebbe presto conosciuto la famiglia del suo nuovo amico. E tutti quei progetti erano troppo seducenti perché riuscisse a tenerli per sé. Così le rivelò qualcosa più di ciò che era accaduto quella mattina a scuola e la mamma comprese anche ciò che lui non le disse. "Ho un amico, mamma. È il primo della classe, cioè, lo era prima, perché adesso deve vedersela con me. Si chiama Mauro e siamo seduti nello stesso banco. Prima mi odiava, perché..." s'accorse di non averle mai raccontato quella storia "perché il primo giorno di scuola la professoressa di lettere mi ha fatto sedere vicino a lui, dividendolo da Giacomo che era il suo solito compagno di banco. Oggi, però, gli ho suggerito la traduzione di una frase in inglese ed è stato allora che mi ha stretto la mano: vedessi come l'ha fatto. Sapessi come mi ha guardato dopo. È come se m'avesse detto 'Vuoi essere mio amico?'. Non aspettavo altro. Mamma, io non desideravo altro. Vorrei che tu lo vedessi: è bellissimo!" Era insolito per lui esprimersi con tanta precipitazione ed anche il solo dire tante parole tutte insieme a sua madre, era fuori d'ogni sua abitudine. Quel pomeriggio, a casa, non stette fermo un momento, quasi non riuscendo a studiare. Arleen tentò di calmarlo, di attenuare quell'entusiasmo che avrebbe potuto volgersi molto presto in una delusione tanto cocente, quanto più grande era la speranza d'affetto che suo figlio aveva, ma tutti i tentativi che fece furono inutili. Quella notte Niki non dormì molto e attese con ansia che fosse ora di tornare a scuola. E, quando attraverso le persiane socchiuse della sua camera vide filtrare la luce dell'alba, attese con impazienza che facesse chiaro e poi sperò con tutto se stesso che quel sole assistesse alla nascita della sua prima, vera amicizia ed anche di qualcosa che non osava pensare. Mauro, già sulla strada di casa e poi per tutto il pomeriggio, continuò a chiedersi cosa ci fosse d'interessante in Niki, oltre un'affinità intellettuale che poteva giustificare solo in parte ciò che cominciava a provare per il nuovo amico. Ma l'unico pensiero compiuto che riusciva a formulare era che desiderava fortemente rivederlo, parlargli, conoscerlo meglio. Quel ragazzo lo affascinava: finalmente lo ammise a se stesso. Ed era bello. Pensò più volte a lui come ad un corpo da desiderare, ma ogni volta scacciava quell'idea con rabbia. Quell'amico era una persona, non un corpo, poteva rappresentare qualcosa di più, non doveva ricondurlo alle sue masturbazioni. Perché in quei giorni, più che mai, che dormisse o fosse sveglio, era perseguitato dai corpi dei suoi compagni di classe. Alcuni, rivisti dopo le vacanze, erano cambiati, gli erano apparsi più definitamente maturi, meno adolescenziali di come li ricordava. E tutti, proprio tutti, erano diventati desiderabili per i suoi sensi. Ma non voleva contaminare Niki con quei pensieri, né voleva spingerlo, anche solo nelle sue fantasie, ad abbassarsi ai suoi desideri. Quel pomeriggio, provò una smisurata vergogna di sé, per la natura dei suoi sogni. In quel cervello, che gli pareva fosse finito agli antipodi di dove avrebbe dovuto essere, cercò, senza molto riuscirci, di isolare il pensiero di Niki, ammantandolo di tutto il pudore ed il ritegno di cui fu capace. Il suo atteggiamento verso il sesso era diventato d'attesa. Aveva raggiunto una specie d'armistizio, di tregua, fra l'istinto e i pensieri. Se tutto il mondo lo spingeva verso le donne, il suo corpo gli inviava segnali che, ormai in modo definito, contrastavano con queste sollecitazioni. E lui aveva stabilito che, per il momento, le donne dovevano restare un mistero da non rivelare, che un giorno però, gli si sarebbe palesato. Sperava di non sbagliarsi e s'era anche convinto di poter attendere. Si sforzava di credere che i suoi fratelli fossero la proiezione di ciò che lui sarebbe stato in futuro e ne seguiva da lontano le vere o presunte storie d'amore, immaginando se stesso al loro posto. Per comprendere meglio il proprio presente, aveva accanto a sé gli amici più intimi che però gli parevano troppo diversi con le loro pulsioni così terrene, quei desideri, certe aspirazioni che non riusciva a condividere. Li osservava stupito correre come infatuati dietro a ragazzine, che lui trovava semplicemente sciocche, per strappare una carezza, e poi li vedeva vivere felici ed appagati per il resto della settimana. Aveva la sensazione che tutti, proprio tutti i ragazzi che conosceva, perfino i suoi fratelli, fossero diversi da lui. A quel punto, per consolarsi, suggeriva a se stesso che tutti quelli non sarebbero mai stati capaci di grandi amori e di travolgenti passioni perché nessuno di loro avrebbe mai fatto i suoi stessi pensieri. Per sé attendeva l'innamoramento entusiasta ed angoscioso di cui aveva letto nei grandi romanzi, sperava di provare i patimenti di una passione disperata, come capitava quasi sempre al tenore e al soprano di ogni melodramma. E, anche se sotto sotto sapeva che quella romantica attesa era solo un alibi, si sentiva davvero pronto a soffrire e morire per amore, piangere disperatamente, compiere azioni straordinarie, come gli eroi e le eroine del suo Donizetti. Sognava, questa era la sua illusione più ricorrente, che un giorno si sarebbe innamorato perdutamente di una donna, non ne immaginava l'aspetto o l'età, ma l'avrebbe adorata, ed anche lei l'avrebbe amato, quasi non conoscendolo, magari fino alla pazzia. In un'altra storia che immaginava, lui l'avrebbe venerata in segreto, perché lei, la donna dei suoi sogni, l'avrebbe allontanato con disprezzo, innamorata forse di qualche altro che certamente non l'amava. Se queste catene d'amori erano le fantasie che preferiva in quel periodo della sua vita, la realtà era popolata di storie più terrene e di stimoli che lo spingevano ormai inequivocabilmente verso i suoi compagni. Si era arreso a certe scoperte. Sapeva quanto dolci potessero essere le curve che si disegnano sul corpo di un ragazzo o di un uomo, quali promesse potesse mantenere o non mantenere un rigonfiamento al posto giusto, quanto fosse desiderabile un ventre piatto, segnato solo da una traccia di peli che si perdeva dentro il costume da bagno. E lì immaginava l'esistenza di un'aureola leggera ad incorniciare ciò che più di tutto desiderava vedere e finanche toccare. Ad ogni modo, se i suoi sogni divergevano dalla realtà sempre più netta e precisa delle sue concupiscenze, per fortuna, riusciva a non farne un dramma ed a tollerare quella parte dei suoi pensieri, aspettandosi di poterla rimuovere un giorno, per sostituirla con idee che fossero in maggiore sintonia con il suo mondo e soprattutto con i suoi amici. Quella mattina, però, era accaduto qualcosa di nuovo ed anche lui, dopo un pomeriggio ed una serata trascorsi a rimuginare su se stesso e sul suo compagno di banco, non dormì molto bene. Niki continuò ad affiorare nei suoi pensieri finché fu sveglio e attraversò i suoi sogni, che quella notte furono assolutamente casti, quando finalmente riuscì a prendere sonno. Si alzò con l'idea che Niki fosse diventato molto importante per la sua stessa sopravvivenza. Senza capirne il morivo, gli parve che quel ragazzo avesse compreso qualcosa che a lui ancora sfuggiva. Oppure, gli disse una vocina molesta che parlava da qualche parte nella sua testa o nel suo cuore, Niki poteva avere accettato qualcosa che lui negava disperatamente per sé. E poi pensò che sarebbe stato bello diventare amici, se anche a Niki fosse piaciuto e l'avesse voluto. Da qualche tempo aveva cominciato a considerare gli altri, i compagni di sempre, incapaci di dargli ciò di cui aveva bisogno. Non sapeva cosa stesse cercando, ma s'alzò con l'idea fissa che Niki l'avesse trovato e potesse aiutarlo. Si rese conto anche di non avere più paura che potesse leggergli dentro, perché a quel nuovo amico credeva di poter rivelare quasi tutto. E, se poi Niki, scoprendo il suo segreto, l'avesse deriso e allontanato? Scese le scale di corsa, cercando di farlo il più velocemente possibile, per evitare di dover dare una risposta all'ultima domanda che si era posto, proprio mentre beveva l'ultimo sorso di caffellatte. E poi aveva fretta di rivedere il suo nuovo, indispensabile amico. S'incontrarono all'incrocio, sotto casa. Erano nervosi e un poco in anticipo. Mauro, uscendo in strada, lo cercò con lo sguardo e lo raggiunse, mentre Niki, fermo davanti al suo portone, si guardava intorno cercando proprio lui. Fino al giorno prima, pur incrociandosi quasi ogni mattina, si salutavano in fretta, percorrendo strade diverse per andare a scuola. Quella mattina, invece, erano usciti di casa un po' prima, proprio per incontrarsi. Appena si videro, sospirarono entrambi di sollievo per non essersi mancati, ma subito l'emozione dell'incontro, la tensione vissuta nell'attesa, li resero timorosi anche di parlare. "Ciao" riuscì a dire Mauro in un sussurro, dopo qualche passo fatto in fretta. "He whispers" mormorò Niki, un po' meno nervoso e sforzandosi di sorridere "Egli sussurra: sei raffreddato?" "No!" gli rispose subito Mauro e tossì per schiarirsi la voce. Finalmente rallentò l'andatura, facendosi raggiungere da Niki che ormai gli correva dietro. Sentiva la gola stretta e gli pareva anche di respirare a fatica. Non sapendo che dire, disse la prima cosa che gli passò per la mente. "Tu abiti qua, non è vero?" e, senza aspettare risposta, continuò da sé "però... ho detto una cosa cretina!" poi cambiò discorso, per un'idea che gli era venuta all'improvviso "Ma tu vieni da Boston, vero? Allora, sei come Riccardo, il governatore." "Come chi?" S'erano fermati per guardarsi meglio, poi Mauro si mosse, sfiorandogli il braccio, perché s'incamminassero. "Riccardo" spiegò, contento d'avere trovato così in fretta un buon argomento di conversazione "è il protagonista del 'Ballo in maschera' di Giuseppe Verdi: è un'opera molto bella" poi pensò bene di dare qualche altro chiarimento "...intendo un'opera lirica. Sono un appassionato, anzi un melomane come mio padre e come il nonno. Mi piace molto Donizetti, ma anche Verdi non è male." "Anche a me piace la musica" Niki pensò soltanto che quest'affinità fosse un motivo in più per amarlo "io ascolto sempre la musica sinfonica, soprattutto Beethoven e Mahler. E poi, mia madre è una musicista: suona l'arpa. Sai, anch'io suono, anzi, strimpello il pianoforte..." "Davvero lo sai suonare? Deve essere grandioso potere trarre suoni da... un pezzo di legno e delle corde! A me piacerebbe molto saper cantare, però sono stonato. Lo sai che conosco i libretti di molte opere a memoria? Fin da quando ero piccolo, mio padre me ne ha fatte ascoltare tante e talmente tante volte che... ed io non mi annoiavo, anzi mi piaceva! E mi piace ancora! Le ascolto ancora, quasi ogni sera!" Niki era travolto dal fiume di parole che Mauro, nell'emozione, gli stava riversando addosso. Poi si sorrisero e rimasero improvvisamente zitti, non sapendo davvero più che dire, commossi da quell'incontro, dalla scoperta d'essere entrambi innamorati della musica. Che ci fosse quella passione ad unirli, parve a tutti e due davvero qualcosa d'importante. Camminarono per un po' senza parlarsi, poi Niki, per rompere il silenzio, gli chiese: "Anche tu abiti da queste parti, no?" "Da sempre. Sono nato qua" spiegò Mauro, indicando degli edifici che a Niki parve di conoscere già "in quella scuola ho frequentato le elementari e là ho fatto le medie." E Niki si rese conto di amare quel posto, quella piazza con i giardini pubblici e quei pini che erano cresciuti con Mauro, che l'avevano visto passare ogni giorno per andare a scuola. Amava quelle panchine, quelle pietre e le mura delle scuole che Mauro aveva frequentato. Ogni cosa che il suo innamorato avesse guardato o sfiorato lì attorno, lui l'amava. Camminarono in silenzio, poi Mauro si decise a parlare, con un imbarazzo insolito. Aveva qualcosa da dirgli, anzi, credeva di doverglielo. "Niki, è da ieri che penso a quello che hai fatto per me" disse tutto d'un fiato "io sono sempre stato ostile o indifferente verso di te. Anzi, spesso sono stato cattivo e maleducato, per giunta senza motivo. Ti chiedo scusa per tutto. Davvero! Mi dispiace di tutto! Mi dispiace..." Vedendo che non gli rispondeva, non parlò più. Era deluso e preoccupato: che fosse ancora offeso per il suo comportamento e non l'avesse perdonato, nonostante l'episodio di ieri? Niki, invece, era troppo emozionato per dire qualunque cosa. Era già tanto innamorato ed ora era sorpreso ed incantato dalla lealtà e dalla franchezza che gli aveva dimostrato. "Ti ho visto in difficoltà e ti ho aiutato" disse con voce esitante, quando riuscì a parlare "tu l'avresti fatto per me?" "Non lo so, forse si" Mauro esitò, poi ammise "No, no, non credo. Ieri non l'avrei fatto. Oggi, si che lo farei. Ma oggi, adesso, non avrebbe più valore, no?" Si era costretto ad essere leale fino in fondo, neanche sospettando come la sua sincerità stesse definitivamente conquistando Niki. "Forse no, ma se tu lo facessi, per me varrebbe lo stesso!" Non parlarono più, perché troppi pensieri giravano nelle loro teste. Se uno era già così innamorato da non riuscire neppure a pensare, l'altro non faceva che chiedersi da dove venisse e cosa fosse quel senso di abbandono e di felicità che lo stava avvolgendo da quando, sotto casa sua, aveva incontrato quella persona che, lui si ostinava a credere, era soltanto il suo compagno di banco. In uno dei molti momenti insonni della notte agitata che aveva trascorso, aveva convinto se stesso che tutti quei pensieri e le sue premure per quel ragazzo fossero originate soltanto da altruismo. Era pronto ad offrire la sua amicizia, solo perché Niki ne aveva bisogno. Ed ora attribuiva l'emozione che provava alla felicità di potergliela donare. Ma in fondo dei suoi pensieri, intuiva che Niki era un ragazzo tanto coraggioso da suggerirgli la traduzione di una frase, sfidando l'ira dell'insegnante d'inglese, perché cercava proprio la sua amicizia e quella di nessun altro. Arrivarono in silenzio davanti alla scuola. Erano in anticipo. Mancava ancora qualche minuto alla campana e si fermarono fuori dal portone. Niki sentiva l'emozione stringergli la gola, ma trovò ugualmente la forza per confidare a Mauro qualcosa, assolutamente certo che, se l'avesse taciuta, non ne avrebbe mai più parlato: "Mauro, io ho subito desiderato di diventare tuo amico." Lo disse lentamente e a voce molto bassa, per quanto era turbato. Guardavano tutti e due le palme, piantate nel giardino della scuola, e se ne stavano appoggiati alla cancellata di recinzione. Mauro non comprese subito quanto fosse stato difficile per Niki parlare in quel modo, pensò invece che stesse ancora alludendo al comportamento che lui aveva tenuto fino il giorno prima e, per una volta ancora, se ne sentì colpevole. Volle dirgli, un'altra volta, tutto il suo dispiacere: "Niki, finora mi sono comportato così male con te..." poi negli occhi di Niki lesse l'attesa, la speranza per la sua risposta e finalmente capì "davvero vorresti che fossimo amici?" "Si" fu un sospiro, un sussurro e fu anche la fine del buio, l'inizio di un nuovo tempo nella sua vita. Anche la vita di Mauro sarebbe cambiata. Nessuno dei due immaginava quanto ed in quale modo. Improvvisamente suonò la campanella e li strappò ai pensieri che attraversavano le loro menti. Nella testa di Mauro l'idea, il desiderio che aveva fin dal giorno prima, avevano finalmente preso corpo: voleva stare con Niki più tempo possibile, parlare con lui. Se ne convinceva sempre di più, perché Niki certamente sapeva già alcune cose che lui non aveva ancora compreso. E Niki si sentì felice. Gli parve di toccare il cielo con un dito, perché, se Mauro era ancora soltanto sconcertato dalla sua vicinanza, lui, che ne era già innamorato, se ne invaghiva di più ad ogni passo. "Adesso dobbiamo entrare, ma ti andrebbe di parlare ancora con me durante l'intervallo?" "Certo!" Trascorsero quelle ore a scrutarsi e fra loro si svolse un gioco di sguardi e di occhiate che sottrasse molte risorse intellettuali alle lezioni che si tenevano in quella giornata. Per fortuna gli interrogati furono altri e le spiegazioni di quel giorno riguardarono argomenti che entrambi conoscevano abbastanza. Niki guardava Mauro, per essere certo che il nuovo amico non avesse cambiato idea e lo guardava, un momento dopo, per essere sicuro di non aver sognato, di doversi svegliare per scoprire che Mauro era tornato a rivolgergli solo occhiate educatamente interessate, come era stato fino al giorno prima. Mauro si voltava spesso verso di lui e lo osservava con un misto di curiosità e d'apprensione: era curioso di capire chi e cosa fosse Niki realmente, di conoscerlo meglio, di diventare veramente suo amico. E poi era ancora preoccupato dalla possibilità che Niki non fosse particolarmente interessato a diventare suo amico. Temeva che la riservatezza che aveva notato non consentisse l'approfondirsi di una relazione fra loro. E se si giravano uno verso l'altro contemporaneamente, si scambiavano uno sguardo enigmatico, che terminava, in ogni caso, con un sorriso. Questo li rassicurava, fino al prossimo dubbio, alla prossima occhiata, qualche minuto dopo. Da tempo immemore, al ginnasio l'intervallo era programmato fra la terza e la quarta ora. Quelli erano quindici minuti durante i quali i ragazzi, dai più grandi ai più piccoli, si riversavano nei corridoi. La maggior parte di loro, quando il tempo lo permetteva, se ne andava sul retro dell'edificio, nello spiazzo all'aperto dove si svolgevano le lezioni d'educazione fisica. Al suono della campanella, Niki e Mauro corsero verso l'uscita e andarono ad isolarsi in un angolo, sotto il sole pallido d'ottobre. Dovevano parlare, se l'erano promesso, ma si conoscevano troppo poco ed erano ancora impacciati e turbati dalla vicinanza. Fu Mauro a rompere il silenzio. Era curioso ed anche spaventato da quella nuova amicizia e voleva conoscere meglio Niki. In quel frangente lo soccorse la sua familiarità nei rapporti con gli altri, una specie di spavalderia che aveva sempre posseduto, almeno fino a quel momento, fino a che non aveva conosciuto Niki. "Spostandoti da una città all'altra, sarà stato difficile per te farti degli amici." Niki gli fu molto grato, perché Mauro gli dava modo di confidargli subito tutta la sua triste verità, di parlarne una volta e poi di rimuoverla dal loro rapporto. "Mai, nessuno, nessun amico. Se vorrai, se non hai cambiato idea, tu sarai il primo!" Glielo rivelò, guardandolo diritto negli occhi e cogliendo uno sguardo che non lo deluse. Pensò che in quei momenti si stesse decidendo il suo futuro e questo gli diede il coraggio di restare, di non scappare. Mauro fu molto colpito da quello sguardo determinato. Niki lo fissava con occhi decisi, ma terribilmente tristi. Non ne aveva mai visti come quelli, né capiva bene quale effetto stessero avendo su di lui. Decise di non badarci, perché in quel momento si sentiva felice e lontano da tutti i crucci. Quello aveva, dunque, voglia di diventare suo amico e anche lui, da parte sua, non desiderava altro. Lasciò che quegli occhi lo ammaliassero. "Per me va bene! Se ti va di provare." "Si, vorrei essere tuo amico." "E sia! Siamo amici..." e gli mise un braccio sulle spalle, lo strinse a sé, come aveva già fatto il giorno prima. Niki cominciò davvero a sudare, sebbene non facesse per niente caldo. Tremò per l'emozione e temette che Mauro percepisse quel disagio. Allora si mosse quasi per allontanarsi, poi si voltò e gli tornò vicino, fino a sfiorarlo un'altra volta. "Tu ne hai tanti? Intendo... amici." "Si, ma non sono tutti importanti, interessanti. Cioè... non riesco a spiegarmi. Forse penso questo perché ci conosciamo da troppo tempo e ormai sappiamo tante cose uno dell'altro. Qualche volta mi sembra che non abbiamo quasi più nulla da raccontarci!" e poi gli sfuggì qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter dire "Niki, molto spesso io penso a cose che non riesco a dire a loro, ai miei amici. Sono cose delle quali non credo vorrebbero parlare. E poi ce ne sono altre che forse non vorrebbero neppure conoscere." Erano parole cariche di mistero per Niki. Le conservò nel cuore, intuendo, dall'espressione un po' smarrita di Mauro, che l'amico gli aveva appena fatto una confidenza molto difficile per lui. Gli sorrise e s'appoggiò al muro con le mani in tasca. "A me potrai raccontare proprio tutto!" "Ci conto" Mauro era già pentito d'aver parlato così, si sforzò di scherzarci sopra "Ma non immagini neppure quello che ti aspetta! Io ho una fantasia tremenda e so creare dei mostri raccapriccianti!" disse ridendo. Per un momento, solo per un momento, a Niki passò per la mente che Mauro non stesse scherzando, che loro due potessero essere uguali, che quelle idee che non poteva rivelare ai suoi amici, fossero i suoi sogni, che non potesse confessare che li desiderava, che fosse attratto da loro. Scacciò quel pensiero. Quella era solo una sirena che l'affascinava. Non poteva illudersi e non doveva farlo. Quello cui doveva aspirare, il massimo che Mauro potesse donargli, era un'amicizia leale e così sarebbe stato. E l'avrebbe accettata, perché da lui era disposto ad accettare tutto. Mauro si accoccolò, guardandolo da sotto. Si sorprese a pensare a quanto fosse bello. Provò una sensazione nuova, insolita, che non era di desiderio. In fondo ai suoi pensieri c'era anche quello, ne era certo, ma in quel momento riusciva benissimo ad ignorarlo. Niki era davvero bello. Ebbe improvvisamente voglia di fare qualcosa, qualunque cosa potesse avvicinarli, dargli occasioni per stare insieme di più e da soli e rendere più intima la loro amicizia. Parlò d'istinto, quasi senza pensare a quello che diceva: "Ti andrebbe di studiare con me? Di pomeriggio, ogni giorno." "Intendi per sempre?" chiese Niki, sorridendo, un po' incredulo. "Si, per sempre!" Mauro rispose d'istinto, anche se immediatamente si rese conto che lo stava forzando, che non era per niente educato chiedere ad un ragazzo che, fino al giorno prima, salutava appena, di studiare con lui 'per sempre'. Niki era sorpreso da quella proposta incredibile e ripeté a se stesso che non doveva illudersi. L'idea di poter divenire improvvisamente così intimo di Mauro, lo spaventò tanto da fargliela quasi rifiutare. "Non l'ho mai fatto. Ho sempre studiato da solo e non so come mi troverei a studiare con un'altra persona." Ma, quando voleva davvero qualcosa, Mauro non mollava facilmente ed in quel momento desiderava fortemente rendere più solida la sua amicizia con Niki e lo studiare insieme sarebbe stato un ottimo mezzo, ne era certo. Dovevano almeno provarci. "Anch'io non lo so" ammise candidamente "L'ho fatto solo qualche volta con Giacomo, ma quello faceva studiare solo me e poi copiava tutti i compiti." Niki rise: "Io non ho mai copiato!" "Lo immaginavo! Per questo penso che con te potrebbe essere interessante ed anche piacevole" gli confessò sorridendo "Io non ho mai avuto problemi con la scuola: l'hai notato? E, da quel che ho capito di te, ritengo che noi due abbiamo la stessa velocità d'apprendimento. E forse abbiamo anche altro in comune. Mio padre sostiene che l'amicizia è importante quando si vuole collaborare con qualcuno" poi disse qualcosa che affiorò da un angolo della sua mente, senza che, pur dicendola, la comprendesse appieno "Perché, Niki, io credo davvero che tu sia proprio come me. Io so che noi due capiamo tutto prima degli altri. Noi due siamo uguali, Niki!" Lo guardò fisso e sperò con tutto il cuore che quello che Mauro aveva appena detto fosse vero, in ogni senso, fino a dove non osava neppure sognare ed oltre e poi ancora di più. Cercò di calmarsi, di tornare per terra, perché gli pareva d'essere lievitato sul terreno, perché sentiva aumentare i battiti del proprio cuore ed aveva paura che Mauro potesse avvedersi della sua emozione, potesse, chissà come, intuire qualcosa e cambiare idea. Ci riuscì con uno sforzo e dette alla sua voce il solito tono tranquillo: "Lo dice anche papà. Secondo lui il lavoro d'equipe è più stimolante e proficuo. La sai una cosa? Potremmo provarci." "Davvero? Allora... già da oggi? Ti prego..." "Da oggi, perché no? Casa mia o casa tua?" "Io ho altri due fratelli e poi ci sono i miei genitori che danno lezioni private, perciò casa mia non è molto tranquilla. Ci sarebbe posto solo in cucina. Non so da te..." "Casa mia è fin troppo tranquilla. Vieni tu ed avremo tutto lo spazio e il silenzio che ci occorre ed anche di più." "A che ora?" "Alle tre?" "Alle tre! Alle tre!" Mauro cantò. Lo faceva raramente, perché sapeva di essere stonato e, che gli altri lo notassero, mal si accordava con il suo orgoglio, ma in quel momento era troppo felice per badarci. Sorprese anche Niki che lo guardò incuriosito: "Non sono impazzito! È sempre perché tu vieni da Boston. Te l'ho detto o no che tu sei come Riccardo? Nel 'Ballo in maschera', ad un certo punto, tutti si danno appuntamento nell'antro di una strega proprio per le tre del pomeriggio! Allora, alle tre?" "OK! Ma la mia casa non è un antro." "Certo! E tu non sei una strega. Tu sei Riccardo" gli appoggiò le mani sulle spalle e gliele strinse, guardandolo negli occhi, come per ipnotizzarlo. L'avrebbe anche baciato, ma riuscì a controllarsi "Tu non sei Ulrica..." disse con uno sguardo che a Niki parve scherzosamente spiritato, ma che era davvero esaltato "No, Niki, fortunatamente tu non sarai mai Ulrica... Gimme five!" gridò stendendo le braccia con le mani aperte e le palme rivolte verso l'alto, aspettando che Niki sancisse l'intesa battendo le mani sulle sue, ma Niki rimase fermo. Per un momento aveva rivisto Stephan, ne aveva sentito la voce e aveva ricordato il loro incontro all'aeroporto, la corsa in taxi, e poi tutto quello che c'era stato fra loro e le sensazioni che Stephan era riuscito a regalargli. Mauro non riuscì a spiegarsi il repentino cambiamento d'umore dell'amico ed abbassando lentamente le mani, lo guardò preoccupato. "Niki..." "Scusami. Mi sono ricordato di una persona in America. Quando stavamo insieme, fra noi facevamo sempre 'gimme five'. Qualunque cosa decidessimo di fare insieme! Siamo molto uniti: lui è mio cugino" Niki parlava lentamente e sua voce dava la sensazione fisica della distanza. Mauro si sentì inspiegabilmente escluso e triste "Siamo così lontani. Chissà cosa starà facendo adesso..." guardò l'orologio e parlò a se stesso "Là sono le cinque del mattino. Stephan starà dormendo!" si scosse e guardò Mauro "Ma scusami..." riuscì a sorridere, tirandosi fuori dalla malinconia che l'aveva colto. "Niki, mi dispiace, non immaginavo." Mauro era addolorato per avergli causato quella pena, ma provò un indecifrabile sentimento nei confronti di questo cugino cui Niki era così unito: pensò a lui come ad un rivale, ma rivale in cosa? Niki lo strappò ai suoi pensieri, a quelle idee che gli ronzavano in testa e che stavano assumendo contorni sempre più netti, certamente preoccupanti, ma anche seducenti. "Dai, smettila, finiremo per piangere uno sulla spalla dell'altro, poi ci sfideremo a duello, oppure cercheremo di stabilire, con il giudizio di dio, quale dei due abbia offeso l'altro e abbia quindi il diritto di scusarsi." Niki, la cui tirata era partita con una voce molto seria, terminò ridacchiando. Mauro, invece, rasserenato da quell'uscita, era quasi piegato in due dal ridere. Fermarsi non fu semplice per lui che aveva una risata devastante, ma coinvolgente, tanto che anche Niki, non troppo abituato a ridere, finì per sghignazzare senza freni. Ridevano per nulla, ma ridevano perché erano contenti di avere deciso di rivedersi e perché erano, senza capirlo bene, molto imbarazzati da come lo studiare insieme quel pomeriggio potesse preludere a chissà cosa. Ed erano felici, soprattutto felici di essersi trovati. "Mauro! Gimme five!" e alzò le mani aspettando che l'amico vi battesse le sue. Mauro non si fece pregare e si sentì ancora più felice, scordando quel cugino americano di cui, senza saperlo, era già diventato geloso. Si ricomposero e rientrarono in classe. "Mauro, posso confidarti una cosa?" Si preoccupò immediatamente, ma, nello stesso tempo, si sentì entusiasta d'essere ritenuto degno di accogliere una confidenza. "Prima, quando mi hai chiesto se mi andava di studiare con te, ho solo fatto finta di pensarci: non speravo neanche che tu volessi chiedermi qualcosa del genere. Ero così contento che..." e non seppe più che dire, ma Mauro si affrettò a rassicurarlo. "Non importa. L'essenziale è che anche tu ne avessi voglia e che mi abbia detto di si!" "E se ti avessi detto di no?" "Mi hai detto di si!" Perché a lui interessava solo di poterlo rivedere nel pomeriggio. Per la prima volta percorsero insieme la strada verso casa. C'era la solita compagnia d'amici e si lasciarono, senza riuscire a dirsi altro, all'angolo dove s'erano trovati quel mattino. C'era anche Michele, che per caso quel giorno aveva percorso la strada con tutti loro. Lungo la via del ritorno avevano perduto uno per volta i compagni di strada che avevano infilato ciascuno il proprio portone. Anche Niki li aveva appena lasciati e Mauro, prima che si allontanasse, gli aveva gridato ancora una volta: "Alle tre!" "È un po' strano quel ragazzo. A me sembra un finocchio!" disse Michele senza badarci troppo e cancellando Niki dai suoi pensieri. Quell'espressione fece però sobbalzare Mauro il quale non si aspettava che suo fratello si esprimesse in modo così offensivo verso Niki. "E perché dici una cosa del genere?" replicò intimamente offeso, come se il fratello avesse rivolto a lui quell'appellativo. Michele fu costretto a ripensarci e, quando gli rispose, erano già davanti alla porta di casa: "Parla in un modo strano e poi è troppo educato." "Lo è certamente se lo si confronta a te" ribatté Mauro prontamente, sfuggendo al pugno che Michele aveva cercato di assestargli. I piatti erano in tavola e lui aveva proprio fame, perciò non pensò più a quello che aveva detto suo fratello, eccitato com'era all'idea di correre da Niki nel pomeriggio. Si rividero alle tre nella grande e silenziosa casa di Niki. E quando, in perfetto orario, Mauro suonò il campanello, Niki già da mezz'ora, aveva cominciato a chiedersi come mai non fosse già là. Gli aprì immediatamente e, prima ancora che entrasse, gli disse: "You are welcome to join us!" Mauro lo guardò un po' sorpreso e Niki si affrettò a tradurre e spiegare: "Significa più o meno 'Sii il benvenuto fra noi!'. Questa è la frase che il nonno dice a quelli che per la prima volta sono ospiti nella sua casa di Boston. Entra! Dai, vieni!" Fu accolto anche da Arleen che si fece vedere solo il tempo necessario per fare la sua conoscenza e per salutare quel ragazzo che, ormai l'aveva capito, stava diventando una parte molto importante nella vita di suo figlio. Ne rimase impressionata, notò che Mauro era davvero un bel ragazzo, disinvolto, ma anche molto educato e gentile e poi le sembrò di capire che fosse buono. Anche lei piacque a Mauro, perché assomigliava a Niki e questo la rese bellissima agli occhi di quel nuovo ammiratore. I ragazzi andarono nella camera di Niki e Mauro fu subito attratto dalla quantità di libri che c'era nella stanza. Si avvicinò ad uno scaffale, ma fu subito affascinato dalla collezione di dischi e poi dai modellini di macchine che occupavano un altro scaffale. Ne accarezzò qualcuno, alzò il capo e vide altri libri che, in file ordinatissime, riempivano ogni spazio disponibile. Certamente anche Niki amava leggere, almeno quanto lui. Niki colse quegli sguardi e decise di sorprenderlo ancora un po', mostrandogli il resto della casa: "Se credi che qua ci siano molti libri, non hai ancora visto la camera dove studia e lavora mio padre! Vieni!" E se lo tirò dietro fin nello studio che a quell'ora era deserto. Là c'erano molti più libri, sistemati su scaffali più eleganti ed austeri; al centro della camera c'era una bella scrivania. Tutti quei libri erano solenni e, al tempo stesso, mostravano di essere utilizzati, studiati: in quella camera Mauro colse un'aria di scienza, di sapere, che quasi gli fece tremare le gambe. "Questo si che si chiama 'Épater le bourgeois'" disse ridendo e questa volta toccò a lui spiegare "In italiano significa più o meno 'stupire la gente normale'. E questo lo dice mio padre ogni volta che vede qualcosa che lo sorprende." Scoppiarono a ridere insieme. "Vieni di qua, ora! Sei pronto a vedere qualcosa che ti meraviglierà ancora di più?" E lo portò in una stanza molto più grande dello studio, nella quale, oltre a qualche mobile e a dei divani, c'erano un pianoforte a coda che a Mauro sembrò enorme, il più grande che avesse mai visto, e un'arpa, la prima che potesse osservare da vicino. Fece qualche passo e la guardò con deferenza, tese la mano e la sfiorò con la punta delle dita. "Mamma la suona spesso e lo fa anche molto bene. Sai, a Boston era nell'orchestra, poi ha conosciuto mio padre e sono nato io. Ma lei continua a suonarla: lo fa per me e per papà. Noi siamo i suoi ammiratori!" Mauro guardò il pianoforte e Niki si affrettò a spiegargli: "Quello provo a suonarlo anch'io, ma con risultati molto modesti! Allora, tutto questo ti ha... 'epatè'?" "No, non épater, ma épaté! Vuol dire stupito!" "A me sembra la stessa cosa!" "No, assolutamente: gli accenti sono proprio diversi!" "Se lo dici tu..." poi, come ricordandosi improvvisamente di qualcosa "Mauro, credo che dovremmo cominciare a studiare, altrimenti ci bocceranno!" disse ridendo. "Stai tranquillo! Non lo faranno mai, dovrebbero bocciare prima tutti gli altri! Ma forse è il caso che qualcosa la studiamo anche noi. Da dove si comincia e... come? Sono ai tuoi ordini!" Tornarono nella camera di Niki e si sedettero uno di fronte all'altro. Mauro attese che fosse Niki a scegliere con quale materia incominciare. Quanto al metodo da seguire, non aveva alcuna idea, perché non gli era mai capitato di trovarsi a studiare con qualcuno che fosse come lui, che non aspettasse la sua traduzione o i suoi suggerimenti per sapere come andare avanti. E poi, quel giorno, oltre che studiare, dovevano cominciare ad inventarsi la loro amicizia. Fino a ieri erano due estranei, invece oggi, avvicinandosi a quella casa sconosciuta, correndo, perché temeva di essere in ritardo, desiderava solo di rivederlo prima possibile. Si chiedeva cosa si sarebbero detti, come avrebbero superato l'imbarazzo dei primi momenti. Era davvero convinto che tutto avrebbe funzionato? Non sapeva nulla di Niki, a parte il fatto che era intelligente e preparato almeno quanto lo era lui. Ma sapeva, non avrebbe saputo dirne il perché, che anche a Niki interessava molto stare con lui. Si guardarono senza parlare per qualche momento, emozionati ed incerti. Poi Mauro sorrise, perché capì di essere davvero felice di trovarsi in quella casa, con Niki, seduto a quella scrivania. E Niki, che lo adorava con gli occhi, sentì il cuore balzargli nel petto. Aprirono i libri e cominciarono a studiare. Scoprirono subito che avevano compreso nella stessa misura le spiegazioni degli insegnanti e che ne ricordavano abbastanza per non dovere studiare le lezioni, ma solo ripassarle e controllarne qualche particolare. Tradurre le versioni di greco e di latino era già un gioco che resero ancora più avvincente perché decisero di gareggiare anche in velocità. Gli esercizi di matematica si rivelarono troppo semplici per due come loro. Infine costatarono che, se la memoria di uno era formidabile, quella dell'altro non era da meno. Dopo neppure un'ora capirono che la collaborazione nello studio sarebbe stata molto proficua ma in un tempo molto inferiore furono certi che la loro amicizia avrebbe spaziato ben oltre la scuola e lo studio in comune, perché ognuno poté leggere negli occhi dell'altro la felicità che provava per essersi trovati. La mamma di Mauro aveva accolto con un certo disappunto la novità dell'uscita pomeridiana del figlio, ma nel rispetto della sua autonomia e sapendo che negargliene il permesso ne avrebbe solo reso più forte la volontà, s'arrese all'idea, chiedendo soltanto maggiori spiegazioni e notizie sulla casa che l'avrebbe ospitato. Fu così che le mamme si conobbero, per mezzo di una telefonata indagatrice fatta, alle tre e mezza di quello stesso giorno, dalla madre di Mauro. L'esito della telefonata fu felice, perché una fu lieta di rispolverare il proprio inglese, appreso durante la sua permanenza negli Stati Uniti per una borsa di studio più di vent'anni prima e l'altra fu contenta per aver potuto finalmente conversare a lungo con qualcuno che non fosse suo figlio o suo marito. Nei giorni successivi l'amicizia fra i due progredì fino a coprire un ambito non scolastico, perché Mauro stava davvero bene con Niki che era sempre più innamorato. Mauro cominciò a crogiolarsi in quell'abbraccio affettuoso: NIki con la dolcezza del suo carattere, lo colmò di attenzioni, l'accarezzava con gli occhi e Mauro godeva intimamente l'ebbrezza che tutto questo gli dava, già amandolo senza ancora immaginarlo. A scuola, nella sorpresa generale, divennero inseparabili. Arrivavano insieme e se ne tornavano a casa insieme, qualche volta con gli altri amici, altre volte, più spesso, filandosela da soli per strade diverse. Avevano sempre qualcosa da raccontarsi e buoni motivi per riderci sopra: se Mauro era per natura un cuore allegro, a Niki non mancava l'ironia e in quei giorni riuscirono soprattutto a ridere molto, approfondendo la propria conoscenza attraverso tutta l'allegria e la felicità che poterono regalarsi. Una sola nube turbò, in quei giorni, la serenità di Niki: non riuscire a comunicare a Stephan almeno una parte di quella felicità. Dall'Italia telefonavano a Boston due o tre volte la settimana e spesso era il nonno a chiamare dall'America. Dopo essere partito, Niki aveva parlato con Stephan molte volte, poi il cugino era scomparso. Quando la mamma chiamava, oppure quando era il nonno a telefonare, Niki chiedeva sempre di Stephan e il nonno spiegava che il ragazzo non era a casa. Avrebbe voluto parlargli di Mauro, annunciare a lui per primo che il suo sogno stava per realizzarsi, ma non c'era ancora riuscito: da circa tre settimane pareva che il cugino fuggisse le sue telefonate. Dopo aver frequentato per qualche giorno la casa di Niki ed avendone già conosciuto i genitori, Mauro decise che anche per Niki fosse giunto il momento di incontrare il resto della sua famiglia. Il papà e la mamma di ciascuno, per Mauro anche i fratelli, entravano in tutti i discorsi che facevano, dato che avevano preso a raccontarsi ogni momento del tempo che non trascorrevano insieme. Di tutti i familiari il più nominato era il padre di Mauro che Niki ormai immaginava come un buffo signore sempre pronto alla battuta. Fu così che un pomeriggio, dopo che ebbero finito di studiare, Mauro gli propose di fare quella conoscenza: "Ti andrebbe di venire con me a casa? Papà è molto curioso di conoscerti, perché io gli ho molto parlato di te..." e non riuscì a dire altro, perché arrossì. Niki naturalmente accettò subito e solo mentre scendevano le scale Mauro tornò abbastanza sereno per riprendere a chiacchierare. "Ci sarà mamma e forse anche Michele, ma non badare a quello, perché potrebbe convincerti ad aiutarlo nella traduzione di qualche versione. Non importa quale, latino e greco per lui sono la stessa cosa!" e risero entrambi, perché Niki conosceva già la consuetudine di Michele a farsi aiutare dal fratello minore "Lo sai che l'anno scorso ho preso sette e mezzo ad un compito in classe di greco del secondo liceo classico, pur frequentando soltanto il quarto ginnasio?" Niki fece di no con la testa: era un episodio di cui non gli aveva ancora parlato. Mauro, ridendo, gli raccontò di un appuntamento furtivo fra Michele e Giacomino, nei gabinetti, durante la prima ora, della traduzione fatta da lui in meno di mezz'ora, durante la lezione d'educazione fisica, servendosi di un vocabolario nascosto per l'occorrenza negli spogliatoi della palestra. E, infine, del ritiro della versione tradotta, fatto da un complice di Michele, sempre nei bagni. "Quando papà l'ha scoperto, perché il professore l'ha chiamato per chiedergli cosa ne pensasse di un figlio che passava improvvisamente dal quattro al sette e mezzo, si è arrabbiato davvero e per la prima volta ci ha punito: non ci ha fatto uscire di sera per una settimana, a me e a Michele. La punizione peggiore, però, fu che lui e mamma non ci rivolsero la parola per qualche giorno. Fu proprio brutto e da allora non io ho voluto più farlo, ma Michele voleva riprovarci!" Niki rise per tutto il tempo, senza riuscire a controllarsi, ma si accorse anche di essere emozionato. Forse era una sciocchezza, pensò, ma lo commuoveva ascoltare le confidenze di Mauro che, come sempre, gli stava parlando di sé con un candore che l'inteneriva. E poi era molto eccitato dall'idea di andare a conoscere quei genitori che, Niki l'aveva capito subito, avevano fatto di quel ragazzo la persona più amabile, onesta e adorabile del mondo. Il professore era naturalmente nel suo regno, circondato dai libri, e cercava di insegnare il francese a due giovanotti che non ne avevano molta voglia. Il papà si alzò, rivelandosi parecchio più alto di Mauro e certamente più imponente. Niki dovette quasi alzare il capo per guardare quell'uomo grande e buono che gli sorrideva. Notò che aveva la stessa faccia di Mauro e gli stessi capelli un po' lunghi, che erano quasi bianchi, anche se incorniciavano un volto giovanile. "Finalmente ci conosciamo. Sono davvero contento, perché ero diventato curioso, Mauro non fa che parlarci di te." Suo figlio avvampò un'altra volta, imbarazzato, e si guardò con interesse la punta delle scarpe. "Anche Mauro parla molto di tutti voi, e mi ha raccontato moltissime cose di lei. Lo fa continuamente!" "So che è un figlio rispettoso e prudente, ma spero per lui che parli bene di me!" E scoppiarono a ridere. I due si piacquero certamente, con grande felicità di Mauro. Mentre parlavano Niki si guardava intorno, lanciando occhiate molto incuriosite alla biblioteca. E il papà di Mauro, notando il suo sguardo, l'invitò a tornare: "Niki, vieni ancora a trovarci, ma fallo in un momento in cui ci sia maggiore tranquillità. In questa stanza, tra questi libri, sono conservati alcuni tesori che aspettano solo di essere rinvenuti e sono certo che a te piacerebbe cercarli!" Poi i ragazzi se n'andarono nel tunnel e lì gli occhi di Niki brillarono ancora di più: vedere il letto di Mauro, il cuscino su cui posava il capo ogni notte e le coperte che l'avvolgevano quando vi si adagiava, lo commosse. Mauro gli mostrò i suoi libri: "Questi non sono che una piccola parte dei libri che ho già letto, perché quelli francesi sono nella biblioteca grande. Di là ce ne sono alcune migliaia ed io ho intenzione di leggerli tutti. Anche se papà dice che sono matto!" Poi gli fece vedere la divisa della squadra di calcio nella quale militava e, molto velocemente e con qualche imbarazzo, gli fece sbirciare nella sua parte di stiva del catafalco. "Queste sono le mie ricchezze. Sei la prima persona, oltre a mia madre, alla quale consento di guardare qua dentro!" Niki avrebbe voluto piangere per la felicità che tutto quello gli dava: mostrandogli la sua vita, gli oggetti di tutti i giorni, i suoi vestiti, Mauro gli stava rivelando la sua intimità e questo per Niki era emozionante. Riuscì ugualmente a sogghignare e a parlare con noncuranza: "In effetti ci vuole un po' di coraggio." Nell'armadio, infatti, c'erano buttati, in mezzo ad oggetti di ogni genere e giocattoli ormai in disuso, tutti i vestiti di Mauro. Niki s'intenerì davanti a quella disarmante dimostrazione di confidenza e d'affetto e, com'era spesso accaduto in quei giorni, provò il desiderio abbracciarlo, di baciarlo, si stringerlo, ma si controllò, limitandosi a dargli una pacca sulla spalla: "Se dovessi avere bisogno di aiuto per rimetterlo in ordine, conta pure su di me. Credo che tutta una domenica sia sufficiente!" Mauro scoppiò a ridere: "Grazie!" disse restituendogli la pacca "Lo terrò presente! Davvero gentile da parte tua." Passò un'altra settimana prima che decidessero di fare una passeggiata insieme. Era l'ultimo giorno d'ottobre, vigilia d'Ognissanti, e per quel pomeriggio non avevano molto da studiare. A Mauro venne l'idea di andare a fare un giro in bicicletta e Niki ne fu subito contento, perché per la prima volta avrebbero fatto insieme qualcosa che non era strettamente legato alla scuola. E poi sarebbero rimasti davvero soli per un po' di tempo e questo bastava ad emozionarlo. Niki possedeva una mountain bike nuova e molto colorata. Lui l'aveva utilizzata soltanto poche volte, per qualche passeggiata solitaria. A Mauro, invece, era pervenuto di terza mano, essendo stati i suoi fratelli i precedenti proprietari, un biciclo d'epoca e colore indefinibili, molto provato dagli sgarbi cui era stato sottoposto, durante una vita già prolungata con mille accorgimenti. Pedalarono lentamente fino ad allontanarsi dalla città, percorrendo strade di campagna che erano note soltanto a Mauro. Gli sarebbe piaciuto portare Niki alla villotta, perché quello era il posto che più di tutti avrebbe voluto mostrargli, ma non potevano allontanarsi troppo. Quando erano partiti era già tardi, ed entro un'ora il sole sarebbe tramontato. Dovevano accontentarsi d'un giro attorno alla città. Durante i primi giorni della loro conoscenza, si erano raccontati molto delle proprie esperienze e di quanto c'era nel passato di ciascuno che potesse interessare l'altro o che fosse soltanto divertente. E anche durante la passeggiata continuarono a dirsi quelle cose così importanti per la loro amicizia. Tornarono a parlarsi delle loro vite, degli incontri che avevano fatto, delle avventure vissute, dei tanti amici di Mauro, mentre Niki poté soltanto dirgli di tutti i posti che aveva visitato, delle città in cui aveva vissuto, dell'America, del nonno e di Stephan, quando era stato con lui. In quei giorni avevano parlato anche delle letture fatte, scoprendo che spesso avevano letto gli stessi libri, anche se uno l'aveva fatto in inglese e l'altro in francese, talvolta entrambi in italiano; ed avevano scoperto che i loro percorsi musicali erano molto simili. In tutte quelle scelte erano stati condizionati dai propri genitori, ma lo scoprire tante somiglianze li aveva divertiti e stupiti. Quel giorno il tempo passò velocemente e il tramonto giunse troppo in fretta. Niki si sentì improvvisamente triste, perché la passeggiata, quel tempo tanto speciale e tutto per loro, stava già passando e di lì a poco sarebbero tornati a casa. Erano stati insieme, avevano parlato, s'erano detti tante cose, ma nulla era cambiato. Entro pochi minuti, ciascuno sarebbe tornato alla propria vita, Mauro a casa dalla sua famiglia, lui alla sua solitudine. Cercava qualcosa in Mauro. In quei giorni l'aveva visto felice, ma, dopo tutti i discorsi che s'erano fatti, gli era venuta un'idea. Non sapeva bene se fosse soltanto una fantasia, un desiderio o qualcosa di più reale. Gli pareva che in fondo al suo cuore Mauro avesse una porta chiusa, dietro cui nascondeva tenacemente un altro mondo, un segreto che doveva fargli paura. Fantasticava su quello che poteva esserci oltre quella soglia, e al di là della gentilezza, delle premure, dell'affetto che Mauro gli dimostrava in ogni momento. Aveva anche notato che molte volte era arrivato sul punto di dirgli qualcosa, di fare qualche domanda, ma si era fermato. Altre volte era stato lui a bloccarsi, prima di manifestare qualcosa che potesse turbarlo, perché aveva notato che l'altro sembrava a disagio. Pedalavano, ciascuno perso dietro ai propri pensieri e pareva che avessero, per il momento, esaurito tutti gli argomenti. E se il tramonto aveva già reso triste Niki, anche per Mauro la luce declinante era stata motivo di malinconia. Pedalava e anche lui pensava che di lì a poco si sarebbero lasciati, che non avrebbe visto Niki per tutto il giorno successivo e questo era già sufficiente a rattristarlo, perché la lontananza l'avrebbe ricondotto ai suoi pensieri, a quelle idee su di sé che lo spaventavano tanto. Quando gli era accanto, tutti i crucci sparivano, nel momento in cui lo vedeva apparire i timori e le ansie che lo tormentavano si dissolvevano, per tornare intatte solo quando si lasciavano, dopo la scuola, oppure la sera dopo che avevano trascorso il pomeriggio a studiare. In silenzio, sulla via del ritorno, senza saperlo, facevano lo stesso pensiero, che stare insieme li rendeva felici. Ed avevano anche la stessa speranza, di diventare sempre più amici, essere più intimi. Erano contenti che il loro legame si facesse ogni giorno più forte. Avevano cominciato ad aver paura di restare da soli, lontani uno dall'altro. Niki, che in quel momento lo precedeva, si voltò a guardarlo e si chiese ancora se, dietro gli sguardi che Mauro gli rivolgeva, ci fosse davvero un qualche segreto. Sapeva bene in quale modo lui avesse sempre guardato in quegli occhi neri ed ora gli pareva che gli sguardi che si scambiavano fossero ogni giorno più simili, che Mauro lo guardasse con gli stessi occhi innamorati. Ma questo non doveva neppure sperarlo: se lo ripeté, per l'ennesima volta. Lo disse quasi ad alta voce, poi alzò lo sguardo e vide il sole che calava, le ombre degli alberi che si allungavano, prima di confondersi fra loro. In autunno i tramonti sono sempre tristi e fu perché sentì di non poter più sopportare la malinconia che trovò il coraggio di rivolgergli quella domanda: "Mauro... tu... tu vuoi bene a qualcuno?" Pedalando dietro di lui, Mauro non poté scorgere l'attesa e la speranza che c'erano negli occhi di Niki. "Non lo so, forse a Roberta..." buttò là senza pensarci "a Carnevale ci siamo quasi fidanzati. Lo so, sembra uno scherzo, ma è proprio vero!" La replica era stata automatica, come la risposta che tante volte aveva dato agli altri suoi amici. Per tutte le volte in cui glielo avevano chiesto, le solite parole dette per convincere anche se stesso. Ma nel ripeterle capì che questa volta, con Niki, poteva essere diverso. forse poteva finalmente confidarsi. Si stava lasciando andare. Si scosse. Parlarne a Niki? Per dirgli cosa? Non riusciva neppure ad immaginare come l'avrebbe presa quello là se gli avesse rivelato il suo segreto. Soltanto di una cosa poteva dirsi certo, che a Niki non interessavano le ragazze, almeno non particolarmente, non come agli altri Cavalieri, per esempio. Questo non ci aveva messo molto a capirlo. Poteva essere la timidezza, oppure una certa immaturità, a far sì che Niki si comportasse a quel modo. Questo gli suggerì la sua prudentissima coscienza e lui decise di ascoltarla. Perciò, anche se la voglia di confidarsi era grande, preferì essere cauto, non poteva rischiare di rovinare quella nuova amicizia confessando ad un ragazzo della sua età, che conosceva da poco, d'avere respinto le proposte di quella quasi fidanzata, perché ne aveva provato ribrezzo. Oppure raccontandogli che si masturbava, immaginando di toccare i propri compagni di scuola e, da qualche giorno, sognando proprio lui, il suo compagno di banco. A quest'idea si sentì avvampare, come se, invece di pensare, avesse parlato ad alta voce, e poi, assieme al rossore, si accorse che il suo corpo aveva risposto nel consueto modo. Ebbe terrore che Niki potesse, chissà come, notarlo e questo, per il momento, parve allontanare i suoi propositi di scoprirsi. Pensò di ripetergli la solita storia, raccontata e rievocata mille volte ad uso di tutti quelli che non dovevano sapere. Una storia che si concludeva sempre con la solita frase. "...lei non mi guarda neanche più, ed io non so se le voglio davvero bene." Avrebbe voluto, ma non ebbe il coraggio di ripeterla anche a Niki. Così continuarono a pedalare in silenzio, uno in attesa che l'altro parlasse. "Sai, Niki" disse dopo un po' "in questo momento non credo di voler bene a nessuno!" E gli parve, ma non ne fu sicuro, d'aver detto una cosa alquanto inesatta, oltre che molto avventata, gli suggerì la sua coscienza. L'apprensione e i dubbi erano tornati nella mente di Niki. Mauro non era legato a nessuno, c'era speranza che gli si affezionasse, che potesse addirittura corrispondere al suo amore? Ma in quale modo? Che cercava, che s'aspettava in fondo? Che anche Mauro, come Stephan, arrivasse a sacrificare il proprio corpo per dargli piacere? Oppure gli sarebbe bastato che restasse soltanto e sinceramente suo amico? L'avrebbe accettato e ne sarebbe stato felice, pensò, esaltandosi per il sacrificio. Senza comprendere l'assurdità di quel proposito, giurò a se stesso che l'avrebbe accettato e sarebbe vissuto di ciò che Mauro gli avrebbe concesso, anche se quella privazione fosse durata per tutta la vita. "Secondo te si può voler bene a chi non lo sa, a chi non l'immagina neppure?" chiese allora, perché quella specie di giuramento l'aveva reso ancora più triste. "No, non credo proprio!" Poi fu la volta di Mauro a porre una domanda, perché si scoprì improvvisamente, irresistibilmente curioso di sapere. "E tu? Vuoi bene a qualcuno?" poi aggiunse "Veramente?" E Niki chi amava? Forse quel cugino di cui gli aveva parlato qualche volta, anche se, ricordò a se stesso, quello era un maschio e due uomini non possono amarsi! E lui, allora, che era arrivato a piangere per amore solo leggendo un libro? Ma, se fosse stato possibile, se nella realtà accadevano cose del genere, lui si sarebbe certamente innamorato di Niki! Se fosse stato possibile. Pedalavano lentamente ed erano affiancati. Niki mise un piede a terra per fermarsi ed anche lui bloccò la sua bicicletta. Si guardarono e videro negli occhi dell'altro lo stesso sguardo d'attesa e d'apprensione per ciò che stavano per dirsi. "Non lo so, forse..." fece Niki fissandolo, poi abbassò gli occhi "...e vorrei capirlo" ora toccava a lui non sapere cosa dire e se dire qualcosa "ma credo che non si possa amare davvero chi non sa di essere amato. Non sarebbe vero amore!" Detto questo, si rimise in equilibrio e pedalò con decisione distanziando Mauro, per non fargli vedere il turbamento che quelle parole gli avevano procurato. "Ma se non fosse così? Se invece quella persona lo sapesse?" gli gridò Mauro da dietro, bloccandosi subito. L'aveva detto automaticamente e quasi per scherzo. Che gli era saltato in mente? Di cosa, di chi stavano parlando? Quelle domande gli erano venute da quella piega nascosta della sua personalità, da dietro a quella porta, dove si stava elaborando un'idea che ora lo spaventava. Doveva stare attento. Doveva ignorarla, perché era certamente pericolosa. "Non lo sa. Non ancora!" fece Niki voltandosi a sorridergli, perché sentiva che il ghiaccio che avvolgeva il suo cuore si stava sciogliendo lentamente. L'affabilità di Mauro, il suo smarrimento, la sua disponibilità a parlare, ed ora quelle parole, tutto ciò che si stavano dicendo, lo stavano finalmente riscaldando. Forse l'inconcepibile stava accadendo. Mauro era ormai irrimediabilmente incuriosito dalle parole di Niki. Con i Cavalieri avevano spesso parlato dell'amore, ma lui, dopo la storia con Roberta, s'era tenuto prudentemente lontano da quei discorsi, non volendo rischiare di farsene coinvolgere, ma ora gli pareva di poter finalmente discutere con qualcuno almeno una parte dei problemi che temeva di dover affrontare da solo. C'erano tante domande che faceva a se stesso e che finora non aveva mai potuto rivolgere a nessuno. Decise di mettere da parte la prudenza con cui aveva sempre affrontato quell'argomento, l'urgenza di sapere lo spinse ad un'audacia che non sapeva di possedere. "Che cos'è l'amore, Niki?" "Tu non lo sai?" voleva già dirglielo, ma non lo disse, voleva essere certo di non sbagliarsi. "No! Sto cercando di capirlo, ma non ci riesco. Dimmelo tu, se lo sai!" Gli stava chiedendo d'aiutarlo, istintivamente comprese l'inquietudine e così gli confidò il modo in cui l'avrebbe amato e sperava che lui l'amasse. "L'amore è quando due persone vivono l'una per l'altra. L'ho capito guardando i miei genitori. In ogni momento della loro vita, uno tenta di esaudire i desideri dell'altro. E poi so che mi amano o tentano d'amarmi allo stesso modo, anche se qualche volta non ci riescono. Spesso è per colpa mia, ma io so che ce la mettono tutta. Questo per me vuol dire amare." Mauro ci pensò su e gli parve di averlo sempre saputo. "Hai ragione, anche per papà e mamma è così. È vero: loro si amano e cercano di renderci felici. Anche noi..." poi si riscosse e rise con nervosismo, perché provò spavento per quello che stavano facendo, temeva davvero di dire troppo, che potessero sfuggirgli parole che non avrebbe saputo giustificare "Basta... stiamo parlando di cose troppo..." ed agitò le mani, quasi mimando un disagio per qualcosa che non riusciva a dire "...cose troppo grandi per noi!" Ma Niki era ormai infervorato e doveva dirgli ancora qualcosa. "Non è vero, siamo abbastanza grandi, potremmo avere dei figli. Lo sai, no? Se fossimo nati in India, oppure nel Medio Evo, forse saremmo stati già sposati. Mauro, io..." e si bloccò. Stava per dirglielo, voleva confidargli il suo amore, dirgli finalmente 'io posso amare e ti amo', ma non trovò il coraggio. "Noi possiamo già amare!" disse e gli parve poco e troppo insieme. Sentendolo parlare così, Mauro provò paura, smarrimento ed anche dispetto, perché gli parve che Niki gli stesse dando una lezione, mostrandosi realmente più maturo di lui. "Dai, andiamo" disse brusco "E basta con tutte queste scemenze! Corri! È tardi!" gridò "Non vedi che s'è quasi fatto buio?" e scappò via, pedalando furiosamente. Scomparve dietro una curva, lasciandolo indietro, da solo. Si sentiva offeso, ferito nell'orgoglio, perché Niki gli aveva fatto avvertire tutta la sua inadeguatezza. Così pensava mentre s'allontanava tanto in fretta, credendo d'aver reagito a quel modo per troncare il discorso davanti alle ragioni dell'altro. In realtà, scappava da lui. Dal turbamento che quella vicinanza gli dava. Lo comprese dopo poche, furiose pedalate. Rimasto solo nella penombra del tramonto, Niki ebbe, per qualche momento, difficoltà ad orientarsi. Quella della paura non era una condizione che vivesse spesso, ma si trovò improvvisamente da solo e quasi al buio, su una strada di campagna che non conosceva. Provò una crescente sensazione di panico, temendo soprattutto che Mauro fosse fuggito da lui. Era terrorizzato dalla possibilità che avesse capito tutto e, per non ridergli in faccia, fosse scappato. Forse spaventato di ritrovarsi da solo con uno come lui. Tentò di raggiungerlo, ma Mauro pareva scomparso. Lo chiamò, mentre cercava di pedalare più velocemente possibile. "Mauro, aspettami!" gridò, poi fra sé, a voce più bassa "Ho bisogno di te! Come faccio?" E Mauro, sentendosi chiamare, udendolo, tornò finalmente in sé, provando vergogna per la propria reazione. I veri motivi per cui era scappato parevano rincorrerlo e più li comprendeva, più era certo di non poterli mai confessare, né credeva di poter affrontare Niki in quel momento, né mai. Capì che cercava di fuggire non da Niki, ma da quello che gli aveva fatto intravedere. Che alla loro età potevano amare, era questa la verità da cui cercava di fuggire. E poi Niki gli aveva anche svelato che l'amore si compie rendendo felici. Stava prendendo coscienza di questa realtà, ma continuava a correre, cercava ugualmente di sfuggire alla responsabilità di questa consapevolezza, perché credeva di essere ancora impreparato, inadatto a quel ruolo. Niki lo intravide in fondo al rettilineo e lo chiamò ancora, con tutto il fiato che aveva in gola, lui sentì quella voce e la pena che c'era dentro e solo allora si fermò per farsi raggiungere. Scese dalla bicicletta e si sedette, affannato, su un muretto. Si fermò e si fece raggiungere anche da quella parte di sé da cui cercava inutilmente di fuggire. Tutto questo, anche se non l'immaginava ancora, gli avrebbe portato una gioia infinita, perché fermandosi aveva deciso di crescere e maturare, di capire e di affrontare tutti i problemi che erano sorti negli ultimi due anni della sua vita. Era pronto a cercare una risposta esauriente a tutte le domande che si era posto fino ad allora e in questa ricerca voleva farsi aiutare da Niki che, ora ne era certo, di risposte doveva conoscerne molte. Niki gli si avvicinò guardandolo diritto negli occhi. Per un momento si fissarono e credette che volesse colpirlo, tanto intensamente lo guardava. Avrebbe accettato tutto da lui in quella circostanza, purché lo perdonasse. "Mi dispiace di essere scappato" riuscì a mormorargli e Niki, invece di colpirlo come lui s'aspettava, gli si avvicinò ancora. Mauro istintivamente gli mise un braccio sulle spalle, attirandolo a sé. Poi, senza badare a ciò che diceva, cercò di giustificarsi "Ho avuto paura del buio" mormorò mentendo "non so che cosa m'abbia preso. Mi dispiace, ho pensato solo a scappare e ho preso a pedalare senza più voltarmi." Si pentì subito della sciocchezza che aveva detto. Niki l'avrebbe giudicato un'altra volta infantile e avrebbe riso della sua paura, a quasi quindici anni scappava ancora come fosse un bambino spaventato. Ma non poteva confessargli il vero motivo di quella fuga, forse l'avrebbe fatto, quando si fossero conosciuti meglio, ma non in quel momento, non se la sentiva proprio. La sua lealtà, quella di cui andava tanto fiero, soprattutto con se stesso, non era tanto grande da consentirgli di confessare la verità all'amico, a quell'amico cui cominciava davvero a tenere, quel ragazzo che per aiutarlo aveva avuto l'audacia da sfidare la professoressa di inglese. E se quella bugia fu per Mauro un carico di vergogna e di rimorsi che lo portò a odiarsi, per Niki rappresentò una spiegazione che fu felice d'accettare e d'accogliere nel cuore come un segreto da custodire gelosamente. Gli ispirò un'infinita tenerezza e fu felice di credergli. Lui s'era avvicinato timoroso di essere respinto, invece Mauro l'aveva perfino abbracciato per rincuorarlo e gli importava solo che non fosse scappato da lui, dalla sua diversità che, temeva, poteva essersi avvertita nei suoi discorsi. Erano quasi abbracciati e questo andava oltre ogni suo desiderio. In quei momenti, a Mauro parve che il tempo si fermasse. Distinse il palpitare di un cuore che non era il suo, perché anche Niki era affannato per la corsa fatta, poi sentì quel cuore calmarsi e la serenità avvolse anche lui. Il candore di Niki nell'accettare la bugia lo commossero e giurò a se stesso e a Dio che mai più gli avrebbe mentito, mai più l'avrebbe ingannato come stava facendo in quel momento. Lo giurò sulla propria vita. Si sciolsero da quella specie d'abbraccio, un poco imbarazzati di ritrovarsi così. Erano tornati entrambi in sé, dopo essere stati con i loro pensieri e s'erano scoperti uno fra le braccia dell'altro. Mauro s'allontanò con un segreto nel cuore e il suo proponimento sarebbe stato osservato religiosamente, perché, assieme a qualche difetto, possedeva molte qualità e fra queste la coerenza occupava un posto importante. A costo della vita non avrebbe più mentito a Niki. Niki aveva vissuto quei momenti come in sogno, lasciandosi cullare, sempre più sereno sul proprio futuro. Scuotendosi, intravide le luci della città dietro la curva e capì di essersi spaventato per nulla. Sorrise di sé e della sua piccola ingenuità e anche della paura di Mauro. In quel momento si ricordò che quella era una notte davvero speciale, almeno per lui che era americano. Aveva deciso di fare qualcosa di speciale per questo Halloween e ci era davvero riuscito. "Lo sai che questa è la notte di Halloween. Trick-or-treats?" disse, afferrandogli improvvisamente i polsi. Era la prima volta che prendeva lui l'iniziativa di toccarlo. Lo fece provando un brivido di emozione. "Come? Che hai detto? Halloween? Quando voi americani vi travestite e poi mettete le zucche dietro alle finestre? Le zucche con dentro le candele?" "Sure, I couldn't agree more! Halloween, 'All Hallow Even', the day God is glorified for all his saints, known and unknown! La notte di Ognissanti, insomma. You are talking about a lantern made from a hollowed pumpkin with a carved face, it's 'jack-o'-lanterns' " glielo disse sorridendo, perché sapeva che a Mauro piaceva sentirlo parlare in inglese. Poi si fece improvvisamente triste "Se fossimo stati in America, questa sarebbe stata la notte più importante dell'anno. Beh, noi due siamo un po' grandi ormai, ma questo Halloween, forse, avremmo trovato il coraggio di farlo, anche se sarebbe stato proprio l'ultimo." Mauro vide la malinconia che gli si era dipinta sul volto e provò un moto di affetto. Si liberò una mano e gli scompigliò i capelli, quasi accarezzandogli la testa. "Ti dispiace di dover vivere in Italia?" e tornò a farsi prendere i polsi da Niki che li riafferrò subito, felice che a Mauro non dispiacesse di essere toccato. "I primi tempi sono stati i più brutti, ma fortunatamente ero ancora troppo piccolo, poi ci ho fatto l'abitudine. Noi torniamo abbastanza spesso in America, dal nonno, da Stephan... ma Halloween mi è sempre mancato. Stanotte ai bambini sarà consentito proprio tutto. Se fossimo stati lì, ci saremmo travestiti da fantasmi, da cadaveri, da scheletri o vampiri e cose simili e poi saremmo andati casa per casa nel quartiere a chiedere a tutti 'Trick-or-treats?', dolcetto o scherzetto?" continuava a tenerlo per i polsi e si godeva la sensazione che gli saliva dalle mani al tocco della pelle di Mauro "Avremmo minacciato scherzi in cambio di dolci che tutti ci avrebbero dato, poi, finito il giro dei conoscenti e dei vicini, ce ne saremmo tornati a casa con il mal di pancia." "Voi americani siete tutti matti!" "Il mio ultimo Halloween l'ho fatto quando avevo cinque anni, poi non sono più stato a Boston in ottobre" il suo sguardo era perduto negli occhi di Mauro "Se ci avessi visto, a me e Stephan. Io ero vestito da fantasma e lui da scheletro. Inciampavo continuamente nel lenzuolo che mamma mi aveva sistemato addosso. Eravamo bellissimi!" distolse gli occhi e guardò più lontano, poi tornò a sorridere all'amico e lo strinse più forte "E allora? Trick-or-treats?" Mauro esitò, poi disse: "Treats?" "No, goofy!" Niki scoppiò a ridere e gli scosse le braccia fingendo disappunto "Non hai dolci da darmi! Sei tu che devi darli a me per non subire i miei scherzi! Voi italiani non lo capirete mai! E poi non ho petardi in tasca, né fiori che spruzzino acqua per vendicarmi. Quei tempi sono passati e non credo che potrei venire ad insaponare i vetri di casa tua. Tua madre non apprezzerebbe l'idea. I ragazzi più grandi facevano anche questo, sai? Forse ti giocherò un altro scherzo!" tornò improvvisamente triste e gli lasciò andare i polsi "Andiamo? Adesso s'è fatto veramente tardi!" poi lo guardò con occhi furbi "Non ci si vede quasi nulla" fece ridendo "Sei con me adesso, non hai più paura, vero?" "No! Scemo!" rispose Mauro con il suo tono più serio, per poi scoppiare a ridere. Pensò che accanto a Niki non avrebbe mai più avuto paura di nulla, neanche del buio. Risalirono, ridendo, sulle biciclette e presero a pedalare. La strada era in leggera discesa, un dolce pendio che aiutava i pensieri. Nella mente di ciascuno, c'era l'altro ed entrambi lavoravano alla stessa idea: volevano essere certi che la loro amicizia avesse fatto un altro passo avanti. Mauro fu il primo a parlare. "Ho deciso!" disse "Sarà il nostro primo segreto: tu sai che io ho paura del buio." "I nostri segreti sono due!" lo corresse. Non sapendo a cosa si riferisse, ma immaginandolo, Mauro ripartì pedalando forte. Lo lasciò un'altra volta indietro, per fermarsi poco più in là, davanti alle sbarre chiuse di un passaggio a livello. Pensò che non avesse più senso scappare, che Niki aveva ragione, quello che s'erano detti era davvero importante. Lui ora lo sapeva, anzi, era certo che Niki conoscesse molte altre cose. E poi aveva scoperto che si trovava bene con lui, non s'era mai sentito come si sentiva in quel momento. Quando era con Niki, si sentiva felice, protetto, sapeva di potersi esprimere liberamente, di non dover più fingere, di non dover alzare schermi che impedissero di guardargli dentro. Niki lo stava raggiungendo, pedalando tranquillamente e lui l'accolse con il suo miglior sorriso, con un'espressione sincera e serena. "Hai ragione, abbiamo un altro segreto, sappiamo cos'è l'amore!" Niki lo guardò e gli sorrise in un modo che Mauro non avrebbe più scordato. "Se io fossi rimasto in America" disse lentamente "non ti avrei mai conosciuto! Adesso non sono più dispiaciuto di essere venuto a vivere in Italia! Sai, questa è la prima volta che lo penso!" Mauro scoprì di essere felice, tanto come non lo era mai stato. Gli parve di poter piangere, per quanto era contento. Attesero che il treno passasse, con tutto il rumore e l'aria che sollevò. Ma questo non li scosse. Erano troppo persi nei loro pensieri. Non parlarono più, se non per salutarsi, poco lontano dal passaggio a livello, a quell'incrocio male illuminato che era diventato il punto d'incontro il mattino per andare a scuola. S'allontanarono lentamente, portando le biciclette a mano, ognuno per la strada di casa, ciascuno serbando nel cuore qualcosa di quel pomeriggio passato assieme. Niki aveva scoperto che Mauro riusciva ad essere ancora più amabile di quanto immaginasse e che pareva contento della loro nuova amicizia. Mauro, invece, sentiva di provare qualcosa di diverso, un sentimento che non aveva mai provato per nessuno e desiderò dare un segno di questo struggimento. Sapeva che alla sua età tutte le sensazioni sembravano nuove, questo l'aveva capito osservando i suoi fratelli e anche suo padre aveva cercato più volte di spiegarglielo. Ma in quel momento sentì d'avere dentro qualcosa di cui non riusciva a dare una soddisfacente spiegazione. Forse ne aveva letto sui libri ed era per qualcosa di simile che quella volta aveva pianto. Mentre faceva questi pensieri, improvvisamente, si voltò, lasciando cadere la bicicletta, e corse verso Niki che si stava allontanando. Lo raggiunse e lo baciò sulla guancia. Scappò, prima che Niki potesse reagire. Raccolse la bicicletta e corse verso casa. Niki non reagì, non poteva, non voleva provare altre sensazioni che s'accavallassero al sentirsi sfiorare la guancia da quelle labbra morbide, da quel bacio leggero, dall'eco che quello schiocco leggero aveva prodotto nel suo corpo. Rimase fermo per qualche momento, poi proseguì senza voltarsi a guardare Mauro. Si sentì felice come non lo era mai stato, neanche con Stephan, durante le loro notti d'amore. Quella che stava provando era una letizia che, ne era certo, preludeva ad un sentimento più completo che sarebbe stato anche appagamento fisico, ma soprattutto doveva essere quell'amore di cui avevano parlato durante la loro passeggiata. Niki credeva d'avere finalmente trovato la persona che cercava da tanto tempo. Decise che per quella notte non avrebbe pensato a Mauro: sarebbe stato difficile riuscirci, ma ci avrebbe provato, perché Mauro meritava quel sacrificio. Tornando a casa pensò ai sacerdoti dei culti pagani, alle loro vittime, e pensò di immolare tutti i suoi pensieri per propiziarsi un dio di qualche olimpo lontano. Mauro invece era completamente disorientato e stordito dal suo gesto: perché aveva baciato Niki? Cosa ne avrebbe pensato l'amico? Poteva rivelargli che era stato per il desiderio improvviso e insopprimibile di farsi perdonare una bugia? Ma non era per quello, c'era dell'altro in quel bacio, una cosa che capiva tanto bene da non avere il coraggio di spiegarla neppure a se stesso. Ricordava molto bene di aver desiderato quel contatto, d'averlo cercato e di non avervi resistito. Così come ricordava nettamente la sensazione di ripugnanza che aveva provato staccandosi da Roberta, rammentava ora l'irresistibile desiderio di baciare Niki e l'appagamento che aveva provato dopo averlo fatto. Tornato a casa, nella sua mente e nel suo cuore scoppiò una bufera di sentimenti: s'erano scatenate tutte le forze della sua natura energica. Da quando era entrato nella pubertà, suo padre aveva preso a chiamarlo 'tempesta ormonale' per la forza e la vigoria del suo sviluppo, ma quella che stava vivendo in quei momenti era una tempesta di sentimenti. Quella sera nella sua mente continuava a ripetersi una sequenza di immagini e di sensazioni che lo turbavano e lo commuovevano: continuava a pensare a come fosse fuggito davanti alla maggiore maturità dell'amico e a come Niki avesse chiesto la sua protezione. Ricordava una ad una le parole che si erano detti e, infine, il bacio che aveva gli dato. Fu un po' assente a tavola quella sera, tanto che la mamma più volte lo richiamò alla realtà. Entrambi trascorsero una notte agitata, perché Mauro continuò a pensare a Niki e Niki cercò disperatamente di non pensare a Mauro. Nel giorno di Ognissanti non si incontrarono. Non erano ancora abbastanza in confidenza per cercarsi senza un motivo e in ogni caso non si sarebbero trovati, perché Mauro era alla villotta con tutta la famiglia. Niki, invece, rimase a casa e riuscì ad ascoltare quasi tutte le sinfonie di Mahler. La mamma lo raggiunse nel pomeriggio sul divano dove pareva essersi assopito: "A chi è dedicata questa impresa? Non credo che Mahler, componendo le sue sinfonie, abbia mai immaginato che qualcuno potesse ascoltarle tutte in una volta. A che numero sei?" Niki aprì gli occhi e accennò ad un sorriso. "Alla settima e non dirmi che non l'hai riconosciuta. Mi hai raccontato di averla suonata, a Boston, con l'orchestra. E poi lo sai bene che per me ascoltare la musica non è un sacrificio." "Lo so, lo so, ma le prime sette sinfonie di Gustav Mahler durano complessivamente" si fermò a calcolarne la lunghezza "quasi nove ore: è un tempo esagerato, anche per uno che ama la musica. Oggi non hai letto i giornali, non sei uscito con la bicicletta, non hai fatto ginnastica, non hai suonato neanche un poco il pianoforte e soprattutto non hai parlato con nessuno, tanto meno con la tua povera mamma." Niki le voleva bene e si rese conto di doverle una spiegazione. La fissò, strizzando un poco gli occhi. "Mamma" disse con solennità "sto pensando a Mauro, oggi voglio pensare soltanto a lui e la musica mi aiuta a concentrarmi." "Ti trovi bene con lui?" gli sfiorò la fronte con la mano "Siete diventati molto amici, vero?" Niki fece di si con la testa, molto lentamente. Rivedeva e sentiva Mauro, mentre avvertiva il tocco di sua madre. Non poté fare a meno d'associare quelle sensazioni. Nella carezza della mamma credette di riconoscere lo stesso affetto che Mauro aveva messo nel suo bacio. Perché Mauro l'aveva davvero baciato, non era stato un sogno. Non faceva che ripeterselo. "Mamma, sapessi com'è buono e gentile con me. A scuola stiamo sempre insieme. E adesso nessuno mi prende più in giro, perché lui sta con me e mi protegge. È il mio primo amico... credo, non c'è mai stato nessuno come lui!" poi aggiunse "A parte Stephan." "Sono contenta. Ma tu promettimi che starai attento" non sapeva come dirglielo, mentre lui la guardava senza capire "promettimi che cercherai di non rimanere deluso." Voleva dirle 'No, mamma, questa volta non resterò deluso, perché Mauro mi ha baciato', anche se per un momento ne dubitò. E se Mauro l'avesse baciato solo per un moto d'affetto e non per ciò che lui aveva creduto di capire. Scacciò quell'idea, perché sarebbe stato orribile svegliarsi e rendersi conto d'avere sognato. Sarebbe stato come gli stava dicendo ora la mamma, ma non sarebbe accaduto, non poteva essere, ne era certo. E si rifiutò anche di pensarlo. "No!" disse e le prese la mano "Mamma, sono certo che non mi deluderà. Lui è buono!" La giornata di Mauro scivolò via, più prosaicamente, nella raccolta delle olive che gli alberi centenari della villotta producevano. Quelle olive, poche, ma pregiate, venivano, a seconda della qualità, trasformate in finissimo olio, oppure preparate, conservate sotto sale, in acqua, cotte nella soda, fritte in padella: si trasformavano comunque in prelibati bocconi e tutta la famiglia contribuiva alla raccolta. Aveva trascorso il tempo arrampicandosi agilmente sugli alberi della villotta per recuperare le olive che crescevano più in alto. E, mentre saliva e scendeva, mentre trascinava i sacchi pieni di frutti, continuava a chiedersi come avesse reagito Niki agli avvenimenti di Halloween. Sebbene durante la passeggiata avessero fatto discorsi importanti, la maggiore parte dei suoi pensieri era rivolta al bacio che gli aveva dato. Forse l'aveva offeso e chissà Niki cosa aveva pensato di lui. Doveva essere impazzito per dare un bacio al suo compagno di banco. L'ultima volta che l'aveva fatto era stato in prima elementare, quando lui e Giacomino, appena diventati amici del cuore, si baciavano continuamente e ridevano per il resto del tempo. Il ricordo di quel bacio, però, più che realmente preoccuparlo, lo trasportava in una dimensione di letizia che lo faceva tornare al pensiero di Niki. E quel pensiero gli dava una sensazione imprevista, non di eccitazione, come temeva, ma di ebbrezza, di appagamento. Per tutta la giornata non fece pensiero che non lo riportasse a Niki. Sorrideva pensando a lui, all'americano, e riprendeva a fantasticare su quello che si sarebbero detti il giorno dopo, incontrandosi. La sua reazione era stata d'estasi e di felicità, ma anche d'attesa per gli avvenimenti futuri. Niki era diventato una parte importante della sua vita. Tutto quello, persone o cose, che durante la giornata circondò la sua esistenza, riuscì solo in parte a distrarlo dal pensiero fisso che aveva e la stanchezza accumulata contribuì quella sera a farlo addormentare come un sasso, non appena ebbe appoggiato il capo sul cuscino. Forse sognò del compagno, ma, se lo fece, il suo sonno fu così profondo che non riuscì a ricordarlo. Niki, invece, passò un'altra notte a voltarsi nel letto, pensando a lui, combattendo un'eccitazione che prima di essere fisica era mentale. Mauro l'aveva baciato e quel pensiero non smetteva di entusiasmarlo. Se quella notte dormì, fu solo per sognare di lui, immaginare di accarezzarlo, baciarlo e poi lasciarsi stringere e sfiorare ancora dalle sue labbra. Non si era mai permesso di sognare che Mauro gli si potesse avvicinare e quella fu la prima volta in cui, seppure in sogno, si arrese al desiderio e lo lasciò libero, per farsene travolgere. Non attese molto che ciò accadesse, perché da troppo tempo lo desiderava. Quella mattina l'aspettò al solito angolo. Un posto divenuto diverso e ancora più importante da quando si erano salutati due sere prima. Lo vide arrivare e gli andò incontro un po' incerto. Questa volta Mauro non lo baciò, ma per Niki fu come se l'avesse fatto, tanto dolce fu il sorriso che il compagno gli rivolse. Si scambiarono uno sguardo che rassicurò entrambi, ciò che era accaduto due sere prima non li aveva turbati e, soprattutto, non era frutto di un caso o della commozione di quel momento. Senza dirselo, decisero di non parlare a scuola di questioni tanto speciali e di certi segreti, avrebbero avuto tutto il tempo per spiegarsi. Solo mentre tornavano a casa, Mauro raccontò della sua giornata in campagna, rivelandogli anche, con tutta la sua spontaneità, quanto spesso l'avesse pensato. "Mentre salivo e scendevo dagli alberi, non facevo che ricordarmi di quello che mi hai detto. Lo sai che sei diventato un incubo? Sai salire sugli alberi? Che hai fatto ieri?" Niki fu molto vago su come avesse trascorso la giornata di vacanza, perché la sua mente era occupata da qualcosa di troppo affascinante per essere reale. "Non sono uscito, sono rimasto in casa tutto il giorno con mamma e papà. E ho ascoltato molta musica" quella fu l'unica cosa che riuscì a dirgli, poi rispose ad un'altra delle domande di Mauro "E non so salire sugli alberi! Non ci ho mai provato." "Vuoi che te l'insegni? Vedrai, è facilissimo!" E quella, pensò Niki, almeno, era una certezza. Ma Mauro lo guardò anche con una tale delusione negli occhi che lui non poté fare a meno di consolarlo un po'. "Beh... anch'io mi sono ricordato di te. Una volta è stato perché non riuscivo a tradurre una frase della versione di greco" aggiunse ridendo "ma è stato soltanto per questo che ti ho pensato e che ho sentito la tua mancanza. E poi ho trovato due errori nel tuo tema" terminò con la massima serietà, anche perché sentiva crescere la commozione e il turbamento per quello che Mauro gli aveva confidato. "Davvero ti sei ricordato di me solo perché non riuscivi a tradurre la versione?" gli chiese, con un tono di voce così affettuoso che commosse Niki. Mauro era davvero deluso. Aveva immaginato che, come lui, anche Niki gli confidasse d'averlo almeno qualche volta pensato, e rimase molto male per quella mancanza di sensibilità che a lui parve quasi freddezza. Ma era un distacco solo apparente, perché Niki era sul punto di piangere per l'emozione e la gioia. Non riusciva a crederci, forse Mauro s'era innamorato di lui. Come poteva essere accaduto? Ma se davvero l'aveva pensato quasi ininterrottamente, non era perché erano soltanto amici, voleva dire che il bacio di Halloween era stato un bacio d'amore, il suo primo, vero bacio d'amore, non un semplice moto d'affetto. Non si pensa tanto ad una persona se non la si ama e, soprattutto, non glielo si dice tanto apertamente. Mauro era innamorato. Il cuore prese a battergli come non aveva mai fatto e il fiato si fece corto. Si disse che doveva calmarsi, che non doveva forzarlo, che doveva attendere, avere pazienza, perché Mauro forse l'amava e questo era tutto, tutto di tutto. Finalmente s'accorse che Mauro lo guardava incuriosito e fiducioso, cercando di decifrare la strana espressione che lui aveva in faccia, per quell'emozione che non riusciva più a contenere. "E va bene" gli disse allora "ti ho anch'io pensato, almeno quanto l'hai fatto tu! Sei contento?" "Ci vediamo alle tre, vero?" fece Mauro come in sogno e scappò via, senza attendere la risposta. Si sarebbero visti e forse entrambi avrebbero capito. In casa Niki indossava sempre una tuta da ginnastica. Le sue tute erano azzurre ed anche se erano comode, lasciavano indovinare le forme che coprivano. Le spalle, il torace, la vita snella, le gambe lunghe e sottili. A Mauro era subito piaciuta quella tenuta, proprio perché il tessuto elastico disegnava molto chiaramente il corpo di Niki e soprattutto la protuberanza sul davanti che era la fonte dei suoi sogni proibiti. Lui, invece, non aveva l'abitudine di indossare la tuta né in casa né fuori e il suo abbigliamento abitualmente consisteva in un paio di jeans, una camicia e sopra il maglione o la felpa, di varia pesantezza a seconda della stagione. Quei vestiti e perfino le scarpe rendevano l'idea di un decoroso riciclaggio, essendo stati smessi dal padre e dai fratelli maggiori. I jeans in particolare, che il papà di Mauro chiamava 'di lungo corso', mostravano le fatiche alle quali i fratelli li avevano sottoposti. Erano sempre consumati e scoloriti, qualche volta sfilacciati alle tasche. Quel giorno, appena entrato, Mauro se ne andò verso la camera dove solitamente studiavano, si sedette al suo posto e, senza alzare gli occhi, cominciò ad aprire i libri. Si sentiva terribilmente imbarazzato, si vergognava per quello che aveva detto mentre tornavano da scuola e ancora di più si vergognava a ricordare il bacio che aveva dato, temeva che Niki potesse chiedergliene conto. Sentiva come addensarsi sul capo gli effetti della sua imprudenza. Quel repentino cambiamento d'umore era dovuto ad un pensiero fatto mentre pranzava, quando s'era convinto tutto a un tratto che Niki avesse capito o stesse per capire tutto e quindi potesse allontanarlo, liberarsi di lui. Come aveva potuto essere tanto imprudente da baciarlo e, come se non bastasse, quella mattina, gli aveva rivelato di aver trascorso due notti e un giorno pensando solo a lui? Gli erano sfuggite parole così avventate! Si era per caso innamorato di Niki? Di un ragazzo, di un maschio? A Niki doveva essere sembrato ridicolo che si comportasse così. Però, aveva ricordato a se stesso, Niki non aveva fatto cenno al bacio. Forse l'aveva scambiato per un impulso, un gesto istintivo, una dimostrazione d'affetto. Doveva aver pensato qualcosa del genere e, per non imbarazzarlo, non ne aveva più parlato. Era andata sicuramente così. Doveva essere per forza così. Se però lui avesse baciato, in circostanze simili, Giacomo o qualunque altro ragazzo suo conoscente, educazione e delicatezza non avrebbero contato molto e quello gli avrebbe dato una spinta per allontanarlo e poi anche un pugno in faccia. Di questo era certo. Ma perché Niki non aveva reagito? E non si era messo a ridere, quando lui, con quella vocina sciocca, gli aveva confessato che non aveva fatto che pensarlo. Anche Niki, prima di scappare verso casa, gli aveva rivelato di aver pensato a lui per tutto il tempo. Forse davvero non era come gli altri, forse Niki era come lui, com'era lui con il suo segreto. Quello che gli sfuggiva, che, con tutta la sua fantasia, non riusciva a figurarsi, era la conclusione di quel possibile incontro fra il mostro che credeva di essere e un'altra creatura che forse era come lui. Che avrebbero fatto insieme? L'amore doveva essere un'altra cosa. Così pensava. L'amore non era per quelli come lui. E poi che c'entrava Niki con il suo segreto? Doveva stare attento, non doveva rischiare. Capiva di volergli bene, ma non come se fossero solo amici, non in quel senso. Doveva essere, perciò, in un altro modo che non riusciva ancora ad indovinare. E questo lo opprimeva, perché non lo capiva e perciò lo rendeva nervoso. Era soltanto rattristato, ma a Niki parve risentito. Fecero i compiti con la solita velocità e quasi senza guardarsi negli occhi. Studiarono con una concentrazione insolita. Uno, con tutti quei pensieri che gli turbinavano nella testa, era stato attento a non dire cose che potessero tradirlo ancora. Aveva parlato solo per ripetere le lezioni. L'altro, invece, era preoccupato dall'insolito silenzio, dall'espressione turbata del compagno. Finirono troppo in fretta e parlarsi fu inevitabile. "Devo andare!" "No, ti prego... resta ancora un poco! Giochiamo a qualcosa? Ti va il Monopoli?" buttò là Niki. "Solo un poco... poi vado!" concesse. Era un gioco che divertiva entrambi, ma quella volta non andò molto bene, perché Mauro era distratto e sbadato, almeno quanto era stato concentrato durante lo studio e Niki era altrettanto svagato, preoccupato dal chiaro malumore del compagno. Cercarono di giocare, ma commisero errori incredibili per due campioni come loro. Quel diversivo, però, il gioco distratto e spensierato che stavano facendo, riuscì a sviare Mauro dai suoi pensieri. Il suo animo allegro ebbe il sopravvento e, per scherzo, cominciò a rimproverare Niki per una mossa tanto sbagliata, da sembrare autolesionista. "No! Non puoi giocare così! No!" disse, alzando la voce. "Pensa a come hai giocato tu, fino ad ora!" reagì Niki, contento del diversivo. "No, non posso continuare. Ho deciso, me ne vado!" Si alzò e finse davvero di andarsene, ma si diresse improvvisamente verso Niki, lo prese per le spalle, l'afferrò e quasi lo sollevò di peso dalla sedia. Un po' facendogli il solletico, un po' stringendolo, lo bloccò. Niki smise subito di lottare, perché fu travolto da una risata incontenibile a causa del solletico che Mauro stava solo minacciando di fargli. "Arrenditi!" "Si, mi arrendo, mi arrendo! Si! Si!" e non smetteva di ridere, stretto contro la sedia da Mauro che adesso gli stava davvero facendo il solletico ai fianchi. "Va bene! Ti sei arreso e allora devi pagare pegno! Qua si usa così, la legge è questa e devi pagare pegno anche per avere commesso tanti errori giocando a Monopoli." "Va bene, va bene! Lo pago il pegno, ma tu lasciami andare! Ti prego!" Era esausto per la risata e soprattutto felice per avere visto allontanarsi le nubi che gli oscuravano lo sguardo e i pensieri, il quale pareva essere tornato l'allegrone di sempre. Stringendolo da dietro, Mauro lo guardò con malizia pensando a quale penitenza fargli subire in cambio della libertà e per la sua imperizia nel gioco. Gli vennero parecchie idee, una più maliziosa dell'altra, ma le sue fantasie non erano per Niki, a lui avrebbe voluto dare solo baci. E provò un tuffo al cuore, dimenticando d'un colpo tutti i ragionamenti che s'era fatto e la prudenza che si era raccomandato. Lo stava abbracciando, sebbene per gioco. Desiderò che quel gioco non finisse mai. Eppure doveva trovare in fretta una penitenza da fargli fare e si ricordò allora di quel gioco un po' sciocco imparato ad una festa con gli amici. Là si era annoiato da morire, ma questa volta con Niki non sarebbe andata così, anche perché aveva pensato d'inserire una piccola variante. "Ho deciso! La penitenza che ti tocca è questa: devi mangiare una mela appesa ad un filo, ma devi farlo senza toccarla con le mani e anche stando steso per terra. È un gioco che facciamo alle feste, ma stando in piedi. Tu dovrai stare steso per terra perché devi pagare due pegni in uno!" "D'accordo! D'accordo!" Niki procurò una mela. Non dovette spiegare niente alla mamma, perché quel giorno Arleen non era a casa. S'apprestò a pagare il pegno stendendosi sul tappeto. Dopo qualche tentativo, addentò il frutto che Mauro gli reggeva a pochi centimetri dalla bocca. Ebbe qualche difficoltà, ma poi i morsi si susseguirono veloci e della mela non rimase che il torsolo, legato al filo e appeso al dito indice della mano destra di Mauro, la cui mano sinistra, invece, per un motivo molto preciso, era nella tasca dei jeans ad accarezzare e soprattutto a cercare di nascondere l'erezione che gli era venuta. Era eccitato dal momento in cui l'aveva stretto in quel suo abbraccio rude. Quando poi Niki si era steso, da sotto la tuta era comparso, come per miracolo, il disegno netto del suo corpo, in ogni particolare, visto o immaginato. E l'eccitazione era aumentata, non aveva potuto farne a meno, per quanto provasse un'enorme vergogna e il terrore che Niki potesse accorgersene. Ma quel rigonfiamento sul davanti della tuta, sotto il tessuto, si era stagliato troppo netto e preciso, perché non fosse irresistibile ai suoi sensi così ardenti. Mentre Niki era concentrato ad addentare la mela, lui aveva continuato a guardare l'oggetto del desiderio che si muoveva e sobbalzava ai contorcimenti dell'amico. Lui guardava e si accarezzava. Pagato il pegno, tornarono al tavolo e ripresero a giocare. Niki era semplicemente entusiasta. Aveva capito che Mauro non ci aveva ripensato, poco prima era solo nervoso, turbato da quello che stava accadendo fra loro, ma ora gli era passato tutto. A Mauro, invece, l'eccitazione provata aveva fatto definitivamente scordare tutte le precauzioni, ma era anche accaduto che Niki aveva accettato di tornare a scherzare con lui, senza alcuna remora e quindi non era offeso o spaventato e forse accettava che lui fosse com'era. Oppure non aveva ancora capito nulla, nonostante tutte le imprudenze che aveva commesso, ma era così contento di trovarsi dov'era ed in quella situazione che decise di smettere di pensare. Continuarono a guardarsi e a sorridersi, cercando di giocare. Fu la volta di Mauro a sbagliare, e lo fece in modo ancora più clamoroso di Niki. "No, non è possibile. Adesso me lo paghi tu il pegno!" Niki aveva voglia di rivincita, ma, prima che riuscisse a bloccarlo, Mauro saltò via dalla sedia. "Se sei capace, vieni a prendermi!" gli gridò, sfidandolo. Niki non si fece pregare e lo raggiunse immediatamente. "Certo che ti prendo. Voglio solo avvisarti che con mio cugino mi sono spesso allenato a wrestling." "Whaat's wrestliing?" disse Mauro storpiando la pronuncia e cercando di imitarlo. Ridendo si afferrarono per le braccia in una presa che pareva di lotta greco-romana. Cercarono di spingersi, poi Mauro, con una mossa veloce, lo cinse alla vita e, sfruttando la sua maggiore forza, lo mandò a terra scivolando sopra di lui. Aveva, però, sottovalutato l'agilità di Niki che sfuggì alla presa e lo bloccò, rigirandolo e mettendolo di spalle contro il pavimento, mentre con le mani gli serrava i polsi. Con la forza delle braccia Mauro lo sollevò, anche se Niki si era buttato di peso su di lui. Rotolarono ancora sul tappeto. Quando con un sforzo stava per rigirarsi e bloccarlo, questa volta senza scampo, Mauro percepì il corpo di Niki contro il proprio e si lasciò immobilizzare sotto di lui. Ai rumori e alle risate della lotta seguì il silenzio rotto da Niki che in un soffio gli chiese: "Ti arrendi?" Erano per terra e Niki lo stava bloccando con il bacino. I loro corpi si toccavano per la prima volta. Una gamba era fra le gambe di Mauro che aveva le braccia immobilizzate. Passò qualche secondo e durante quei momenti, infinitamente lunghi, si scambiarono sguardi che non riuscirono ad interpretare. "Allora, ti arrendi?" lo incalzò Niki. "Si." "E mi pagherai un pegno?" "Si" ripeté Mauro senza fiato, con il cuore in gola, perché si era reso conto d'avere un'erezione e per un momento aveva provato l'impulso di ritrarsi. Poi sentì che anche Niki era eccitato, ma lui in quel momento desiderava solo fuggire e nascondersi per la vergogna che provava a farsi cogliere dall'amico in quelle condizioni. E sarebbe davvero scappato, se Niki non fosse stato sopra di lui e non lo avesse bloccato con il suo peso e, soprattutto, se la sensazione che stava provando non fosse stata così radicalmente nuova ed esaltante. E anche Niki era eccitato e se non scappava, se non l'aveva ancora schiaffeggiato, colpito, se non s'era alzato ridendo di scherno, voleva dire che anche a lui piaceva trovarsi in quella situazione. Non aveva mai avvertito l'eccitazione di un altro premere contro la propria e questa sensazione lo sconvolgeva tanto che non riusciva più a muoversi. E poi gli occhi che lo guardavano e la bocca, così vicina alla sua, gli davano brividi sconosciuti. Niki, solo un po' più calmo, aveva scoperto con emozione che Mauro si era eccitato e vedeva realizzarsi un'altra parte dei suoi sogni. In quel momento ebbe paura di forzarlo e rimase anche lui bloccato, senza sapere come far superare a Mauro l'imbarazzo e il panico che gli leggeva negli occhi. Potevano continuare giocare, fare finta di credere che fosse un gioco e non la realtà. "La tua penitenza sarà..." In quel momento sentirono aprirsi la porta di casa. Era Arleen che rientrava. S'alzarono, si ricomposero e tornarono al tavolo dove era nato il gioco che, per il momento, dovevano interrompere. Mauro era sconvolto dall'esperienza di poco prima, tremava e lentamente riuscì a calmarsi. Sorrise a Niki che lo scrutava intimorito e curioso. Quello che ne poteva seguire era solo rimandato. Lo pensarono entrambi e poterono confermarselo con gli sguardi che si scambiarono. Insieme stavano conducendo un sfida in cui profondere tutta la fantasia e il sentimento che sentivano nascere, assieme all'ardore dei sensi che quella coscienza aveva risvegliato. Niki aveva sognato tante volte qualcosa di simile ed attendeva che finalmente gli accadesse nella realtà. Mauro, che non l'aveva mai neppure immaginato, stentava a riconoscere, in quel gioco seducente, l'origine di quel sentimento che solo qualche mese prima l'aveva fatto piangere. Sarebbe stata una partita difficile per lui, avrebbe dovuto combattere contro tutto ciò che lo circondava per accettarsi e farsi accettare. E sarebbe stata insidiosa anche per Niki che avrebbe dovuto lottare molto, perché l'evidenza di quell'amore s'affermasse nel compagno. Era veramente cambiato qualcosa e cominciarono a guardarsi in modo diverso. Il gioco si era interrotto prima di turbarli troppo, dando a ciascuno una diversa consapevolezza di sé e del compagno. In quei giorni era Niki il più intimidito da ciò che avrebbero potuto costruire insieme. E se Mauro non sapeva bene di cosa potesse trattarsi, lui, che vedeva i propri sogni avverarsi, era certo che questo gli avrebbe portato tanta felicità. Il suo pessimismo gli faceva disegnare scenari di insormontabili difficoltà e la peggiore di tutte, il suo incubo, era che Mauro una mattina non l'accogliesse con il solito sorriso, ma lo respingesse o, peggio, lo trattasse con freddezza. Quando faceva questo sogno, che tornava ogni notte, si svegliava con gli occhi pieni di lacrime e faticava a convincersi che nella realtà non era accaduto nulla e che, di là a poche ore, al loro angolo, Mauro l'avrebbe raggiunto, correndo come al solito. E poi ridendo, gli avrebbe raccontato tutti i sogni fatti quella notte, se riusciva a ricordarli, oppure l'avrebbe preso a braccetto per dirgli della cena e di come il papà li aveva fatti ridere. Questa fantasticheria, più rassicurante, in genere, riusciva a farlo riaddormentare, perché, anche se la loro relazione si stava trasformando, questo non gli impediva di continuare a gioire spensieratamente della compagnia di Mauro, di ridere e di scherzare come sempre. Anche Mauro aveva i suoi incubi ed era per questo che, sforzandosi di dimenticarli, spesso non gli raccontava tutti i propri sogni. Il corpo di Niki, quelle membra che aveva sentito, il turgore avvertito su di sé, lo torturavano nelle ore che non trascorreva con lui. Dopo averlo lasciato e finché non lo rivedeva, sentiva il suo odore, ne ricordava la voce e questo lo riportava inevitabilmente a rivivere gli attimi di quella zuffa spensierata, e poi alla sensazione sul ventre. Ormai trascorreva con Niki la maggior parte del tempo, perciò i momenti peggiori erano prima di cena, quando suo padre era ancora impegnato e non riusciva a calamitare la sua attenzione. Era allora che cedeva al proprio corpo e si masturbava. Non avrebbe mai osato farlo pensando a Niki, ma non riuscendo a volgere il pensiero a qualcun altro, aveva trovato una specie di patto, un armistizio con la propria coscienza: mentre chiuso in bagno si toccava, doveva farlo senza pensare a nessuno. Chiudeva gli occhi, stringendoli fino a farsi male, e cominciava a muovere la mano per strofinarsi fino a godere. Ma, se un pensiero affiorava nella sua mente e il ricordo di Niki vi si affacciava, lui si bloccava, finché non riusciva a ripulire la mente. Ricominciava e se quella subdola immagine si ripresentava, doveva abbandonare l'impresa. Questa era la regola spietata che si era dato e che gli costava un sacrificio enorme che sopportava in nome di Niki ed in nome di qualcosa che non sapeva, che non voleva chiamare, né voleva vedere, ma che ormai aveva dentro di sé. Si dava un po' sollievo per poche ore, perché la tortura riprendeva quando andava a dormire. Aveva solo quindici anni e il sonno non s'era mai fatto attendere, ma quelle sere pareva rifuggirlo. Si voltava e si rivoltava nel letto, stando molto attento a non finire a pancia sotto e teneva caparbiamente le mani fuori delle coperte, ricordandosi di quello che aveva letto sulle regole osservate in passato nei collegi e nei seminari. Non voler acquietare il proprio corpo, l'allontanava ulteriormente dal sonno, ma l'obbligava a pensare e quel lavorio lo conduceva invariabilmente ad una domanda: doveva arrendersi a ciò che Niki rappresentava per lui, oppure provare a resistergli? Era quello il suo dilemma e non voleva chiedere aiuto a nessuno. Non credeva di poterlo fare. E pure con questa inquietudine, misteriosamente e per sua fortuna, riusciva ad addormentarsi. Al risveglio non conservava traccia delle sue ansie ed era desideroso solo di correre da Niki. Non per abbracciarlo, come qualcosa dentro di sé gli suggeriva, ma solo per accarezzarlo con gli occhi e poi crogiolarsi alle attenzioni e agli sguardi che Niki gli rivolgeva. A scuola continuarono ad essere inseparabili e la settimana corse via velocemente. Ci fu talmente tanto da studiare che, nonostante la loro consueta prontezza, fino al sabato, non ebbero più modo di pensare a qualcosa che non fossero le versioni di latino o di greco, le composizioni d'italiano o gli esercizi di matematica e d'inglese. Non poterono quindi riprendere quel gioco che tornava nei sogni d'entrambi e non ne parlarono fra loro, appagati, com'erano, dalla gioia che lo stare insieme procurava a tutti e due. Quei giorni furono anche una pausa, perché potessero razionalizzare i modi del loro incontro e potessero prepararsi al compimento di quell'unione. Per entrambi, però, quella settimana passò, sentendo montare l'ansia e l'attesa per qualcosa che doveva accadere. S'aspettavano un evento che non riuscivano a immaginare, cui non rivolgevano neppure il pensiero per paura che potesse allontanarsi nel tempo o, peggio, potesse non verificarsi più. Il sabato successivo, dopo la scuola, mentre tornavano a casa, Mauro propose una passeggiata alla villotta, per quel pomeriggio. E lì sarebbero stati completamente soli, lo sapeva lui che organizzava e lo capiva Niki che aspettava, ormai con impazienza, un invito come quello. "Andiamo alla villotta, oggi? Che ne pensi, si può fare? Potremmo studiare domani mattina ognuno per conto proprio, oppure stasera. Non è obbligatorio fare i compiti alle tre del pomeriggio." Mauro stava convincendo un Niki più che disposto ad accettare la proposta. Sarebbe andato impreparato a scuola per un mese pur di seguirlo in un posto dove potessero stare proprio da soli per un po'. E se non glielo disse apertamente, limitandosi a fare di si con la testa, se non gli confessò tutto, fermandolo a quell'angolo che era sicuramente il posto più bello della città, quello dove lo incontrava, da dove lo vedeva allontanarsi quando si lasciavano, quello dove Mauro l'aveva baciato. Se non parlò, mettendosi di fronte a lui, guardandolo negli occhi, in quegli occhi profondi e dolci, quegli occhi in cui si perdeva ogni volta che si guardavano. Se nulla di tutto questo accadde, fu solo perché gli parve che Mauro avesse ancora bisogno di tempo per accettare tutta la complessa diversità del loro rapporto. Fu felice d'accettare. "Va bene andiamo. Greco e matematica aspetteranno fino a domani!" "Finalmente vedrai la villotta: è un posto eccezionale. Quello è il mio regno e poi... devo ancora pagarti un pegno e mi tocca una penitenza, no?" e arrossì dicendolo. "Allora è meglio se ce ne andiamo un po' prima" suggerì Niki "La penitenza sarà lunga e fa scuro presto. Tu hai paura del buio, no?" sorrise. "Non è vero che ho paura del buio e, se mi vuoi qua alle due" gli prese il polso e gli guardò l'orologio che lui non portava mai "ossia esattamente tra cinquantacinque minuti, sappi che non mi farai mangiare a tavola con il resto della famiglia." Niki gli puntò un dito contro e lo guardò fisso. "Tu hai paura del buio!" disse lentamente, cercando di restare serio "Me lo hai confidato per Halloween e ciò che si dice per Halloween è sacro! E neanche io mangerò molto se continuiamo a discutere!" "Tutto è sacro nella notte di Halloween, vero?" l'interruppe Mauro che s'era fatto improvvisamente serio. "Si, naturalmente!" a Niki tremò la voce e si voltò per andarsene, perché, capendo la domanda di Mauro, ebbe paura della risposta che gli aveva dato. E Mauro non lo deluse. "Va bene: è giusto! Qualunque cosa!" Mentre si allontanava, Niki gli gridò ancora qualcosa. "Bye, buddy!" "Come?" "Ti ho detto 'ciao, amico del cuore'" gli rispose Niki, e questa volta scappò via, per non dover dare altre spiegazioni. Mauro, scendendo per un momento da quel paradiso di euforia e meraviglia in cui si trovava, si fermò a chiedersi, per un'altra volta, dove stessero andando. Dove lo stesse portando Niki. Non finse ancora di non saperlo, ma quello di cui fu certo fu che, dovunque l'avesse condotto, si sarebbe trovato bene. Ovunque fosse andato con Niki ci sarebbe stata la felicità, anche se lui non si sentiva pronto a fare quel salto. E aveva tanta paura. Corse all'impazzata verso casa, perché aveva una gran fame e soprattutto perché aveva fretta di rivedere Niki e provava anche un gran batticuore per quello che sarebbe accaduto. Aveva tanta paura a pensarci, ma si concentrò nella corsa e questo lo distolse da tutte quelle idee. La passeggiata si svolse in silenzio. Pedalarono in salita scambiando solo qualche battuta. Erano presi dai propri pensieri e non immaginavano quanto questi coincidessero. Guardando il compagno, davanti a sé, Niki pensava a come aiutarlo a superare l'incertezza e la confusione che doveva avere nella mente e soprattutto nel cuore. Si sorpassavano continuamente, facendo una specie di staffetta. Quando Niki gli era davanti, tutte le preoccupazioni di Mauro, quelle stesse che l'avevano fatto correre prima di pranzo, come per incanto, si dissolvevano. Osservava Niki pedalare, il corpo teso nello sforzo, e dimenticava tutte le paure che aveva avuto, sentiva gli occhi inumidirsi e il cuore battere più forte. Allora per l'entusiasmo aumentava la velocità, superava Niki e lo perdeva di vista. Questo gli faceva tornare in mente quello che forse stavano per fare. Si spaventava e si lasciava superare un'altra volta. Lasciarono presto la strada di maggiore traffico e procedettero affiancati, ancora senza parlarsi, ma guardandosi e sorridendosi continuamente. La fatica della corsa che avevano fatto li aveva distratti e rasserenati e cominciarono finalmente a chiacchierare di qualcosa. Parlarono della scuola, dei loro compagni, di tutto, fuorché di se stessi, perché avevano entrambi la speranza e la paura che qualcosa accadesse, ma non sapevano se e come si sarebbe manifestata. Arrivarono alla villotta in meno di un'ora e nascosero le biciclette dietro una siepe. "Dobbiamo saltare il cancello" spiegò "non ho le chiavi, a me non le danno ancora!" L'aiutò ad arrampicarsi, poi scalò anche lui il muro e balzò dall'altra parte. Si ritrovarono completamente soli nel giardino attorno alla villa. Naturalmente gliel'aveva già descritto, ma ora che poteva finalmente mostrarglielo, provò una grande emozione. Come un piccolo principe, conosceva ogni albero ed ogni pietra del luogo che amava più di ogni altro. L'accompagnò in una visita lunga e minuziosa di tutto ciò che c'era di visibile e in qualche modo interessante all'esterno della villa. Gli mostrò la siepe con il labirinto e i pini che erano l'orgoglio della famiglia e poi il roseto che in quella stagione era poco affascinante, ma che in maggio sarebbe stato profumato e pieno di colori. Lo condusse tenendolo per mano. Aveva fatto quel gesto senza pensarci. "Vieni ti mostro il mio regno" e gli aveva sfiorato la mano. Le dita si erano intrecciate ed erano rimaste così, mentre camminavano fra i solchi dell'aratura, osservando le forme contorte degli olivi secolari, giganteschi. "Queste piante non danno più molti frutti e andrebbero sostituite, ma papà dice: come si può avere il coraggio d'eliminare un albero che, quando passò Garibaldi, era già qua ad agitare le foglie in segno di benvenuto?" Niki aveva riso a quell'idea. Riusciva facilmente ad immaginare il papà di Mauro, mentre pronunciava quella frase. Quell'uomo era davvero eccezionale, ecco perché era riuscito a dare vita ad un figlio come quello. Si tennero per mano come due bambini, quando alzarono la testa per guardare da sotto i pini e così girarono anche nel labirinto. Si lasciarono solo per entrare nel giardino chiuso, attraversando una specie di passaggio segreto, ricavato tra il tronco cavo di un olivo e il muro di cinta. Ed una volta entrati, non ebbero l'ardire di ricongiungere le mani. Sebbene entrambi lo desiderassero, nessuno dei due trovò il coraggio di farlo. Mauro si fermò davanti all'edicola della Madonna, quasi nascosta dall'edera. Per lui quello era un altare. Si voltò a fissare Niki. "Niki, siamo amici?" gli prese la mano fra le sue e gliela strinse forte, poi guardò fisso nell'angolo più scuro di quel groviglio di foglie quasi nere, dentro cui baluginava la piccola luce votiva. Il respiro si fece più breve per l'emozione. Si girò ancora verso Niki che s'aspettava una spiegazione, ma lui gli chiese ancora, scuotendogli la mano. "Siamo amici noi due?" Niki lo guardò fisso e fece lentamente di si con la testa. "Per sempre? Qualunque cosa accada?" aggiunse, per essere ancora più certo. "Si... si!" Solo allora, confortato dalle risposte, gli spiegò. "Da sempre i piccoli della famiglia giurano amicizia davanti a questa Madonna e ho voluto farlo anch'io con te. Ora la nostra amicizia è sacra!" continuò a guardarlo accigliato "Te lo giuro!" Niki aveva chiuso gli occhi quando Mauro gli aveva promesso così solennemente che la loro amicizia era sacra. Voleva anche dire che sarebbe durata per sempre? Gli pareva di sognare. S'accorse d'avere le mani gelate e percepì il calore della mano di Mauro che stringeva la sua. Anche Mauro s'era allontanato con i pensieri: per un momento aveva fantasticato di trovarsi in un posto dove Niki l'accarezzava e lui sentiva che quel tocco delicato gli regalava una grande felicità. Un movimento li fece tornare in sé. Si sciolsero imbarazzati, staccandosi da un contatto per il quale non erano ancora pronti. Poi, per un pensiero che gli era tornato in mente, Mauro gli chiese: "Sono davvero il tuo primo amico?" "Si" gli sorrise dolcemente "ma, se ho dovuto attendere tanto per incontrarti, ne è valsa la pena." Improvvisamente incominciò a tremare e scappò verso l'uscita, non sapendo se ciò che aveva detto fosse troppo o troppo poco. Scappò, perché anche lui, come Mauro che ne aveva tanta da rifiutarsi ancora di capire, ebbe paura. Sapeva di essere ormai vicino a realizzare i suoi sogni e questo lo spaventava. Mauro si preoccupò e lo raggiunse subito sotto i pini, ma lo vide, con il naso all'insù, intento a osservare quegli alberi altissimi. Aveva capito che anche Niki era emozionato dalla sua presenza, almeno quanto lo era lui, e sapeva bene che erano andati alla villotta per riprendere il gioco interrotto qualche giorno prima. Nessuno dei due, però, aveva ancora avuto abbastanza coraggio da ricordarlo all'altro. "Niki, ti andrebbe di tirare due calci? C'è il mio pallone nel trullo vecchio." Infatti in uno dei trulli degli attrezzi Mauro teneva nascosto un pallone, non proprio nuovo, anzi piuttosto malconcio. Si sistemarono nel viale d'accesso e cominciarono a giocare. Niki aveva scoperto il calcio solo da poco, perché Mauro l'aveva trascinato con sé all'allenamento della sua squadra. Si impegnarono a rincorrere il pallone, cercando di segnare nella porta difesa dall'altro. Giocarono almeno per mezz'ora e questo li aiutò a distrarsi, finché Niki, colpendo il pallone al volo, lo mandò a stamparsi sul petto di Mauro, lasciandolo per un momento senza fiato. Mauro si finse arrabbiato e cominciò a rincorrerlo gridando: "Questa me la paghi!" Niki scappò verso la villa, poi, ricordandosi del labirinto, vi si infilò cercando di sfuggire all'inseguitore. Ma la siepe non aveva segreti per Mauro che lo stanò subito costringendolo ancora a scappare attorno alla villa. Sul retro cresceva, inaspettatamente per la stagione, un poco d'erba e Niki vi si lasciò cadere dopo aver corso davanti a Mauro, senza farsi raggiungere. L'amico gli si inginocchiò vicino. I loro cuori battevano per la corsa pazza che avevano fatto, ma lo sguardo che si scambiarono li fece palpitare anche per l'attesa di ciò che stava per accadere, una faccenda che non potevano più rimandare. Niki era davvero affannato. Steso a terra con le braccia e le gambe larghe, sentiva Mauro ansimargli accanto e si voltò a guardarlo. Il respiro gli si calmò lentamente. Si sorrisero e incominciarono a ridere un po' nervosamente. Poi Niki non ce la fece più a stare fermo e gli tirò un pizzicotto ad un fianco. Allora, Mauro, restando disteso ed allungando le braccia, prese a fargli il solletico. Niki cominciò a ridere, impotente e Mauro gli saltò addosso, bloccandolo col suo peso. Avvicinò la sua faccia a quella di Niki e lo guardò. Niki smise di ridere: "Sei tu quello che deve pagare il pegno. Non dimenticarlo!" E, mentre lo diceva, gli pareva che il cuore si muovesse liberamente lungo tutto il suo corpo, dalla punta dei piedi fino alla sua bocca, da dove si aspettava di vederlo uscire. Mauro ringraziò qualche dio in cielo, perché Niki non se l'era dimenticato e aveva finalmente trovato il coraggio di ricordarlo a tutt'e due. Rotolò su se stesso, trascinandolo sopra di sé, per lasciarsi immobilizzare. Il loro gioco riprendeva. Niki gli strinse i polsi. Si scambiarono una sguardo intenso. Mauro fece una smorfia che era quasi un sorriso. "Allora? Qual è la mia penitenza?" Niki aveva il fiato corto e la gola secca, ma riuscì a parlare. "Tu sarai bendato e dovrai cercare un oggetto che io mi nasconderò addosso. Se non ci riuscirai entro due minuti, pagherai un altro pegno. Hai capito?" Mauro sentì improvvisamente caldo e gli gelarono le mani. Si accorse d'avere così poco fiato in gola da non riuscire neppure a parlare e fece solo di si con la testa. Niki era solo apparentemente più sicuro di sé, ma anche a lui il cuore batteva violentemente. Quello che aveva proposto era un gioco molto pericoloso di cui non aveva premeditato alcuna conclusione, sperava solo che servisse a tutti e due per superare i loro timori. Non l'aveva mai fatto prima, era stata la sua fantasia a suggerirlo. Si alzarono e si misero uno di fronte all'altro, tremanti. "Nasconderò questa chiave" e gli mostrò la piccola chiave del lucchetto della bicicletta. Mauro gli fece ancora di si con la testa e Niki lo bendò usando un grande fazzoletto bianco, poi nascose la chiave. "Puoi cominciare" disse "Parte il tempo, ma ricordati che hai solo due minuti" e fece scattare il cronometro che portava al polso. Mauro era davanti a lui, con gli occhi chiusi e serrati dietro il fazzoletto che lo bendava. Era incerto, imbarazzato su come e dove toccare, tastare. Quando si decise ad appoggiargli le mani sulle spalle, Niki lo incoraggiò: "Devi cercare, ma fai in fretta, altrimenti perderai e ti assicuro che sarà peggio" disse, ridendo e tremando. Mauro, tremando più di lui, lo sfiorò e l'accarezzò fino ai fianchi, poi, scendendo lungo le gambe, controllò che la chiave non fosse nelle scarpe, infilandovi le dita, costringendolo a sfilarsele. Risalì poi dall'interno delle gambe, sempre accarezzandolo con un tocco leggero, ma solo fino alle ginocchia, senza neppure osare di salire ancora. "Manca solo un minuto e non stai cercando bene" lo ammonì Niki. Mauro allora gli sollevò la casacca della tuta, infilò le mani sotto la camicia e lo tastò su tutto il dorso, lentamente, con qualche imbarazzo, solo sfiorando la maglietta. Si stava avventurando su un terreno assolutamente nuovo e non sapeva quali passi compiere. Sfilò completamente la camicia dai pantaloni della tuta. Si sentiva strano, eccitato, aveva la gola secca, gli mancava il fiato e il cuore gli batteva forte. "Trenta secondi ancora, così non ce la farai mai." "Ti prego, dammi un altro minuto. È la prima volta che faccio questo gioco!" e lo disse con la serietà e la concentrazione che metteva in ogni cosa che faceva. "Va bene, ma cerca meglio, perché dopo potresti pentirtene. Ti do un altro minuto. Uno solo!" La camicia era ormai tutta fuori dai pantaloni. Mauro infilò le mani nelle tasche posteriori della tuta e non poté fare a meno di sentire la consistenza e la rotondità di quel corpo. Le insinuò poi nelle tasche anteriori e là le percezioni furono diverse: in quelle tasche c'era un calore che non aveva mai sentito. Non trovò la chiave, ma sfiorò con la mano l'erezione di Niki e, in quello stesso momento, realizzò che anche lui non era mai stato così eccitato, così dolorosamente vicino al piacere. Ma era troppo preso dal gioco e non ci badò. Sfilò la maglia, la sollevò, toccò la pelle liscia di Niki, fece salire le mani fino alle ascelle. Percepì l'odore, quasi lo riconobbe. "Hai altri venti secondi" Niki lo richiamò alla realtà. "No, ti prego. Ci sono quasi riuscito" gridò. Ora lo stava quasi abbracciando, cingendolo con le braccia. Gli slacciò i pantaloni e infilò da dietro la mano fino a toccare gli slip e sentire il calore che emanava dal corpo. "No, non è possibile. 10 secondi, 9, 8..." Per l'urgenza di cercare e soprattutto per il desiderio che ormai gli toglieva il fiato, trovò il coraggio e infilò la mano fra la pelle e l'elastico degli slip. La fece scendere lungo il solco, accarezzando la pelle, toccando e sfiorando come non aveva mai fatto con nessuno prima d'allora. Spinse la mano e la insinuò fino a tastare la pelle un po' ruvida fra le gambe. Improvvisamente Niki gridò qualcosa che gli parve essere la fine del gioco. Erano abbracciati, perché lui lo teneva stretto. Era ancora bendato, ma aveva gli occhi serrati, né trovava il coraggio per togliersi il fazzoletto. Sfilò la mano tremante dai pantaloni di Niki e gliela appoggiò sul fianco. Cercò di riprendere fiato. Nella sua mente non passò nulla che non fosse il ricordo di quello che aveva provato un momento prima, quando, mentre ancora gli teneva la mano negli slip, aveva sentito le contrazioni dell'orgasmo di Niki. Aveva percepito l'attimo in cui a Niki si erano piegate le gambe e, nel momento in cui aveva sentito quel corpo rilassarsi, il dolore e la tensione che lui stesso sentiva al ventre si erano trasformati nella più bella sensazione che avesse mai provato. E allora era toccato a Niki di sorreggerlo. Si sentì affranto e gli appoggiò il capo sulla spalla. Niki lo cinse con il braccio. Ma c'era un gioco che doveva finire: "Hai perduto: non hai trovato la chiave" udì la voce di Niki, come da lontano. Era ancora sconvolto, tremante, soprattutto per la vergogna d'aver avuto un orgasmo davanti all'amico. Ora era tutto chiaro, svelato. Non c'era più modo di nascondersi. Si sentì scoperto e sporco. Trovò il coraggio di sfilarsi la benda. Sbatté le palpebre per riabituare gli occhi alla luce già languente del tramonto e solo allora si ricordò della chiave e pensò con tutte le forze al gioco che stavano facendo. Con un violento movimento della testa tentò di scacciare il resto dei suoi pensieri, che ormai erano terrorizzanti. "Dove diavolo era? L'ho cercata dovunque!" gridò, in un modo sgarbato che sorprese anche lui. "Ce l'avevo qua"disse sfilandosela dalla bocca "vinco sempre, perché nessuno pensa mai di cercarla qui" mentì Niki che non aveva mai fatto quel gioco nella realtà. Mentì perché si vergognava anche lui per come si era concluso il gioco, perché non sapeva come l'aveva presa Mauro, perché era spaventato dalla faccia che stava facendo. "E tutti quelli con cui hai giocato ti hanno infilato le mani nelle mutande?" gridò Mauro e la sua voce era un misto di rabbia e di pianto "Lo fai spesso questo gioco! Non è vero?" Aveva parlato così perché si sentiva imbarazzato, aveva paura e vergogna per quello che era accaduto, ne era terrorizzato. Appena ebbe pronunciato quelle parole, si sentì ignobile e provò la vergogna più grande di tutta la sua vita. Aveva ferito il suo amico, accusandolo d'aver proposto un gioco per sedurlo, ma quel gioco, doveva ammetterlo, era stato il più bello e divertente che avesse mai fatto. Si sentì colpevole di un'infamia cui, in quel momento, non sapeva come riparare. Niki si inginocchiò per allacciarsi le scarpe e sentì di stare per piangere, ma, quando si rialzò per rassettarsi, una calma gelida era scesa su di lui. Si voltò senza più parlare e si avviò verso il cancello. Mauro rimase per un po' come paralizzato a guardarlo, poi lo rincorse, cercando di raggiungerlo, ma senza ardire di avvicinarsi a lui. "Niki, torna indietro. Niki, mi dispiace. Scusami. Torna indietro" continuava a chiamarlo, a pregarlo "Niki, io non volevo offenderti. Perdonami, ti prego." Era di spalle e teneva gli occhi stretti, serrati, fermo davanti al cancello. Si sentiva offeso, ferito. Gli pareva di avere perso tutto ciò che credeva di avere trovato. Si era ingannato, quello era come tutti gli altri! Mauro si avvicinò e tremante gli appoggiò una mano sulla spalla. Niki se ne liberò con uno strattone e afferrò le sbarre del cancello tentando d'aprirlo, perché non avrebbe potuto scavalcarlo senz'aiuto. Lo scosse violentemente. Mauro allora si sentì completamente disorientato, ebbe l'impressione di trovarsi al buio, in un luogo sconosciuto. Chiuse gli occhi, poi li riaprì. Davanti a lui c'era Niki, il suo amico, che lui aveva offeso e che ora gli dava le spalle, sdegnato. Sentì di voler morire. Pensò alla morte e per la prima volta nella sua vita, quella parola fu associata a qualcosa di fisico, di materiale, che in quel momento poteva toccarlo. Non doveva perdere Niki, non poteva permetterselo, Niki era diventato qualcosa di troppo importante nella sua vita, perché potesse allontanarsi da lui. "Ti prego, perdonami" disse con un filo di voce. "Fammi uscire. Voglio andarmene!" gli gridò Niki, senza voltarsi. Fece un passo indietro. Era stato come se l'avesse schiaffeggiato. Se fosse servito, si sarebbe inginocchiato, ma sarebbe stato ridicolo e allora decise di fare ciò che gli riusciva meglio. "Niki, sarai ancora mio amico? È così bello stare con te! Tutto quello che abbiamo fatto insieme, ogni cosa, ogni momento!" gli parlò con dolcezza, non lo sapeva ancora, ma gli stava dicendo frasi d'amore "Non mi ero mai sentito come mi sono sentito oggi. Poco fa ero arrabbiato perché avevo perduto a quel gioco" non era vero, gli stava mentendo ed aveva promesso di non farlo più "No... non è vero! Non è stato per il gioco... che ti ho detto quelle parole orribili. Niki, io mi vergogno per quello che è accaduto. Davvero! Te lo giuro! Mi dispiace. Mi vergognavo! È stato soltanto per quello. E mi dispiace tanto! "E adesso mi vergogno ancora di più perché ti ho detto quelle cose cattive. Niki, perdonami! Mi perdoni? Ti prego! Vorrei morire, per quello che ti ho detto. Mi sono comportato un'altra volta male con te, ma non è stato perché tu ed io... insomma abbiamo fatto quel gioco. Ho avuto paura... un'altra volta. Ma mi è piaciuto, credimi e vorrei rifarlo. Vorrei rifarlo, se piacerà anche a te. Tutte le volte che tu vorrai! Resterai mio amico? Ti prego." Mauro aveva quasi balbettato tutte queste parole che gli salivano dal cuore, mentre la paura che gli opprimeva l'anima gli impediva anche di piangere. Avrebbe voluto, ma era terrorizzato dalla reazione di Niki, temeva che potesse non volere più la sua amicizia. Voleva toccarlo, si arrischiò a sfiorarlo e questa volta Niki non s'allontanò. "Va bene" lo sentì dirgli con la solita voce tranquilla "ma adesso andiamo via. Ne parleremo lungo la strada. Si sta facendo buio." Mauro non riuscì a dire più nulla. Tornarono verso la villa per prendere le giacche, poi l'aiutò a saltare e, riprese le biciclette, si avviarono in silenzio. Pedalarono per un po' uno dietro l'altro, Mauro sempre davanti. Erano due menti al lavoro, le sensazioni che avevano vissuto dovevano essere elaborate, analizzate, collocate nella giusta luce, perché gli equilibri compromessi erano troppo delicati. Niki fu il meno lacerato dai dubbi. L'incertezza che aveva e tutti i suoi timori riguardavano Mauro e la reazione che l'amico poteva avere a ciò che era accaduto. E Mauro era, ancora una volta, nella tempesta più completa. Un uragano di emozioni gli si era abbattuto addosso. Aveva provato il più grande turbamento della sua vita e sentiva ancora nelle gambe l'emozione e la percezione fisica del piacere che l'aveva travolto poco prima. Ciò che lo sorprendeva era quel sentimento che l'avvolgeva con dolcezza. Capiva e vedeva finalmente con chiarezza quello che da qualche tempo provava per Niki, un sentimento in forte contraddizione con tutto ciò che credeva essere il suo destino, un sentimento che si sarebbe scontrato con ogni componente della sua realtà. E tutto il suo mondo, dall'istante in cui avesse accettato quell'amore, gli sarebbe stato ostile, perché, anche se i genitori, i fratelli, gli amici, gli insegnanti, gli avevano sempre parlato di donne, di genere femminile e, malgrado, la sua vita fosse stata orientata da tutto ad incontrare una compagna, capì d'essersi innamorato di Niki, di un ragazzo. L'irrimediabile, definitiva consapevolezza di questo lo stordì. Osservandolo pedalare, Niki percepiva il corso di quelle idee, perché Mauro, a seconda di come andavano i suoi pensieri, aumentava o diminuiva l'andatura. Poi Niki non ce la fece più ad aspettare, lo raggiunse e lo guardò. Il mondo di sempre, tutta la sua vita fino ad allora, tutto quello in cui era ancora immerso, ingrigì e scomparve, con quasi tutte le figure che l'avevano popolato e Mauro fu di Niki, definitivamente suo, come Niki apparteneva a Mauro, già da qualche tempo. Mentre erano affiancati, aveva visto negli occhi di Niki quello sguardo e tutto era cambiato. Si fermò puntando un piede per terra. Niki gli si mise accanto e si guardarono. "Mi hai perdonato?" "Certo, non pensarci più." "Io non volevo dire quello che ho detto. Davvero non sei offeso?" "Ci sei andato vicino, ma poi ho capito" gli sorrise "E tu scusami se ti ho fatto fare quel gioco. Non pensavo che andasse così, è stato troppo... emozionante per me." "Beh, a dire il vero, anche per me" rise Mauro, e si toccò il davanti dei pantaloni su cui era apparsa una macchia umida "è accaduto contemporaneamente a tutti e due. Niki" la voce gli si fece seria "vorrei chiederti una cosa. Pensi che abbiamo fatto qualcosa di male oggi? Cioè, mio padre dice che devo pensare molto seriamente a qualunque cosa io non possa raccontare a mia madre, perché potrebbe essere cattiva. Ed io non credo di poterle raccontare del nostro gioco di oggi." "Neanche io vorrei raccontarlo, perché è una cosa soltanto mia, anzi nostra. Ed è stato bellissimo e vorrei farlo ancora! Non abbiamo fatto nulla di male, Mauro! Mi credi?" Niki aveva messo da parte ogni prudenza, era deciso ad ottenere qualche certezza. Ma Mauro aveva ancora dei dubbi. "Tu pensi che dovremmo confessarci?" "Come? Ah già... tu intendi dire che dovremmo raccontarlo ad un prete?" "Si, confessarci!" ripeté Mauro spazientito. "No, credo di no. Io non ci sono abituato. Non l'ho mai fatto, sai? E, comunque, non penso che un prete capirebbe. E, poi, come faresti a dirglielo?" Niki sorrise e sperò con tutta l'anima che la lotta che Mauro stava combattendo vedesse il loro amore vincere sulle convenzioni, sulle abitudini e sui condizionamenti che fino allora dovevano avere popolato la vita del compagno. E Mauro fu leale soprattutto con se stesso. Se ciò avvenne, fu soprattutto perché suo padre gliel'aveva sempre raccomandato. Per questo il suo affetto per Niki, alla fine, fu più forte di tutto. "Hai ragione. Non capirebbero. Nessuno oltre a noi potrebbe capirci" si avvicinò e appoggiò la sua mano su quella di Niki facendogli una carezza "Siamo amici, Niki, vero? Come prima e anche di più?" "Per sempre. Me l'hai promesso! Ricordi?" "Si! Per sempre." Fra loro era tornata quell'emozione violenta che gli impediva anche di parlare. Ripresero a pedalare affiancati e lo fecero anche quando non si trovarono più sulla strada interna. Non poterono fare a meno di stare vicini e continuare a scambiarsi sguardi e sorrisi. Avevano troppe cose da dirsi e da ripetersi, parole che giungevano alla bocca e che non riuscivano a pronunciare, perché erano ancora troppo emozionati. Non ce la facevano neppure a connettere un pensiero, per quante erano le idee che si affollavano nelle loro menti e per tutte le parole affettuose che avrebbero voluto sussurrarsi. Continuarono a pedalare in silenzio e, prima di lasciarsi al solito angolo, si diedero un ultimo tocco imbarazzato sulle spalle, si scambiarono l'ultimo ciao, gridato, sussurrato, ripetuto, perché nessuno dei due voleva lasciare l'altro senza un'ultima parola che rendesse ancora più chiaro ciò che era avvenuto durante quel pomeriggio. E meno doloroso quel distacco temporaneo. "Non dimenticare che mi devi una penitenza peggiore di quella che oggi non sei riuscito a pagare." "D'accordo, se è uguale a quella di oggi: 'Signore sono a sua disposizione'" e gli fece un inchino solenne. "Sarà molto, molto peggio" Niki continuava a guardarlo negli occhi e Mauro non riusciva a distogliere lo sguardo. "Certo! Addio!" e finse d'andarsene, facendo un'uscita drammatica, portandosi la mano alla fronte. "A domani?" Niki tornò serio. "Non credo. Lo sai che di domenica andiamo sempre alla villotta e ci passiamo la tutta giornata. Come faccio a tornare?" "Se non puoi, non fa niente" Niki si sentì improvvisamente triste "cioè, se non puoi mi dispiace, ma tu... almeno cerca di farlo." "Ci provo e, se ci riesco, ti telefono nel pomeriggio. Te lo prometto!" "Io ti aspetterò" poi a voce più bassa "come ho sempre fatto." "Lo so ma ora non dovrai più aspettarmi!" e con la punta delle dita gli sfiorò la mano che stringeva il manubrio della bicicletta. Si fermò, chiedendosi se potesse farlo e lo fece, perché capì di desiderarlo con tutto se stesso: si avvicinò a Niki e lo baciò sulla guancia. Fu un bacio, vero e pieno d'affetto, perché questa volta non s'allontanò precipitosamente, ma rimase a guardarlo, a leggergli negli occhi la sorpresa e la delizia che quel gesto gli davano. Fece qualche passo indietro prima di voltarsi e poi pedalò lentamente verso casa. Niki si portò la mano alla faccia, sentì gli occhi inumidirsi e capì che quella notte, dopo tante notti passate a versare lacrime sulla propria solitudine, avrebbe pianto di gioia. TBC lennybruce55@gmail.com Nella sezione gay/non-english di Nifty sono presenti altri due romanzi e diversi racconti: - Altri viaggi - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/altri-viaggi/ - L'estate di Lorenzo - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/lestate-di-lorenzo/ - Il ruggito del coniglio - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/il-ruggito-del-coniglio/ - La cura - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/la-cura - Le storie di Dino - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/le-storie-di-dino - Il partner - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/il-partner - Il patto - http://www.nifty.org/nifty/gay/non-english/il-patto