Date: Tue, 22 Jan 2013 19:07:00 +0100 From: Lenny Bruce Subject: Storia di Niki e Mauro - Chapter 5 DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Nifty needs your donations to provide these wonderful stories: http://donate.nifty.org/donate.html Questo è il quinto dei dieci capitoli che compongono questo romanzo. Cap. 5 Ciò che racconta la vita Quella notte, a casa di Mauro, nessuno dormì: erano tutti troppo eccitati o preoccupati. I due ragazzi partivano per un'avventura affascinante e diversa per ognuno di loro. Se Niki volava da sua madre e da tutti i suoi cari, Mauro s'allontanava per la prima volta dai genitori, dai fratelli, dalla città e dagli amici. Abbandonava tutto il suo mondo e l'unico legame con la nuova realtà sarebbe stato Niki. Questo straniamento, tanto completo, quanto brusco, era sufficiente a fare di quel viaggio la prima azione oltre il confine della propria adolescenza e a renderlo perciò memorabile. Anche per Niki quel viaggio sarebbe stato importante, perché andava a riabbracciare la mamma che era finalmente guarita e perché con sé portava il suo compagno. Non era emozionato quanto Mauro, ma era molto ansioso di rivedere la mamma e voleva che il nonno conoscesse ed approvasse la persona di cui lui s'era innamorato. I genitori di Mauro erano preoccupati per i pericoli di un viaggio così lungo che i ragazzi dovevano affrontare da soli. E la mamma, in particolare, era angustiata dalle inevitabili conseguenze che quest'esperienza avrebbe avuto sul suo figlio più amato: capiva, era certa, che Mauro al suo rientro non sarebbe stato più lo stesso. Trascorrendo tutto quel tempo lontano dal suo mondo, avrebbe conosciuto una realtà nuova ed estremamente diversa che certamente l'avrebbe fatto cambiare e, per quanto Mauro fosse in grado di accettare criticamente ogni novità, durante quel viaggio, sarebbe comunque cresciuto e maturato. E questo era difficile da accettare anche per una come lei. La mamma e il papà li accompagnarono all'aeroporto. L'addio fu abbastanza allegro, perché i ragazzi, nonostante tutte le paure, i timori e le preoccupazioni, partivano per una vacanza. La mamma li colmò di raccomandazioni, prima d'affidarli all'hostess che li avrebbe assistiti durante il volo fino a New York. Là sarebbero stati presi in consegna da un incaricato della compagnia aerea che avrebbe curato il loro trasferimento a Boston. Dopo gli ultimi saluti e i consigli finali, dopo i baci che la mamma stampò sulle guance ad entrambi, ci fu l'abbraccio insolitamente commosso che il papà fece ai due contemporaneamente. Mentre i ragazzi s'allontanavano scortando sui due lati un'hostess più bassa di loro, la mamma non ce la fece più e sbottò: "Ce lo sta portando via. È venuto nella nostra casa e se lo è preso." "Sono innamorati" era la voce pacata del papà che era subito tornato alla sua flemma "Noi certamente non pensavamo di vedere andare via per primo il nostro figlio più piccolo e per giunta a quindici anni, ma ora è come se quei due stessero partendo per la loro luna di miele" e si fermò a guardare oltre i vetri dell'aerostazione "Però, almeno di una cosa siamo certi: sono felici e ci sono buone speranze che lo siano anche in futuro. E questo a noi due deve bastare!" Strinse a sé la moglie che, come sempre negli ultimi trentacinque anni, s'arrese alla logica dell'uomo che amava. "Sono triste, Carlo!" lo disse con lo stesso tono di voce che avrebbe usato Mauro, e suo marito pensò a quanto il loro figlio le assomigliasse. Se n'andarono un po' abbattuti, mentre l'aereo rullava sulla pista portandosi via i due ragazzi. Appena arrivati a bordo, Niki si liberò dell'hostess spiegandole che andava regolarmente fino a Boston almeno due volte l'anno e che già in passato aveva viaggiato da solo. Era perciò a conoscenza di tutti i meccanismi e delle particolarità del volo. Arrivò così per Mauro il momento più emozionante: era il suo battesimo dell'aria, il primo decollo. Lo staccarsi materialmente dalla terra era una cosa che lo spaventava intimamente, il dividersi fisicamente dal proprio mondo lo impauriva. L'aveva rivelato a Niki la sera precedente, prima che si addormentassero: "Stanotte sognerò certamente di sollevarmi e poi di cadere nel vuoto. Non mi sono mai alzato per più di qualche metro e l'unico aereo che ho mai provato è stato quello del luna park. Domani, al momento del decollo, avrò paura. Lo so già!" Niki prima l'aveva accarezzato, l'aveva preso in giro e infine aveva tentato di consolarlo: "Amore, non dovrai avere paura..." "Abbandonerò questa terra? Queste pietre? Non posso: io le amo! E poi... avrò paura!" "Ma non saremo al buio! E ci sarò io con te!" Ora, allacciata la cintura e sentendo l'aereo muoversi ed accelerare, si guardò intorno smarrito e strinse la mano di Niki fino a fargli male. Chiuse gli occhi ed attese che tutto fosse finito. Allentò la stretta alla mano di Niki solo dopo che l'aeroplano si fu alzato e stabilizzato in volo. "È bellissimo volare: non ho avuto paura!" gli gridò sorridendo, ancora eccitato dalla sensazione del decollo. Si distrasse a guardare fuori dell'oblò, mentre Niki continuava ad osservarlo. La sera prima, ancora ebbri di felicità, s'erano rivestiti e se n'erano tornati a casa, senza più avere occasione di parlarsi, poi non s'erano più ritrovati da soli. Era accaduto qualcosa di molto importante e lui desiderava tanto che Mauro gli rivelasse qualcuna delle sue emozioni. Gli prese la mano e stettero a guardarsi, come accadeva quando uno dei due faceva un pensiero e l'altro attendeva soltanto di sentirselo rivelare. Mauro, anche se entusiasmato da tutte le sensazioni che stava provando, ancora disorientato dalla novità di volare, colse un'ombra nei suoi occhi. Continuò a fissarlo, finché Niki trovò il coraggio di parlare: "Sto pensando a noi due, ieri pomeriggio. Non ne abbiamo più parlato... non mi hai detto più niente. Non ti è piaciuto... forse?" Non aveva timore della reazione di Mauro, ma ciò che avevano fatto insieme gli pareva talmente importante che ne era ancora commosso, turbato. "Ora è come se fossimo sposati, non è vero?" chiese Mauro, invece di rispondergli "Cioè, in un certo senso... è come se avessimo consumato il nostro matrimonio, no?" Niki, serissimo, ci pensò su un momento: "Si, penso che sia così, ma noi due, se vogliamo... tu se vuoi mi puoi lasciare. Si può tornare indietro..." "No, per me non sarebbe possibile. Quello che abbiamo fatto, varrà per tutta la vita!" Mauro era altrettanto serio. Si portò la mano di Niki alle labbra e la sfiorò "Io non ti lascerò mai, Niki. Mi credi?" "Neanche io ti lascerò mai. Resteremo per sempre insieme." "Quando torneremo a casa andremo alla villotta e celebreremo il nostro matrimonio." Niki lo guardò incuriosito per quella nuova idea, spuntata chissà da dove in quel cervello adorato: "E come sarà?" Allora Mauro lo fissò con un'espressione misteriosa. "Saremo noi due, da soli. Accadrà davanti alla porta del mondo misterioso, nel centro delle Sette Torri. Quello è il luogo più sacro, perché vi si concentrano le forze del bene e del male, dell'amore e del peccato" e gli fece gli occhi strani, una particolare espressione che Niki interpretava sempre come presaga di deliziose sorprese. Era curioso d'avere altri particolari, perché quelle parole avevano per lui un significato oscuro, ma non fece altre domande, preferì godersi l'attesa e la sorpresa dell'evento fantastico che Mauro gli avrebbe certamente fatto vivere al loro ritorno. Ora, però, stava correndo a riabbracciare tutti i suoi cari e la mamma che era scampata ad una malattia tremenda. Chiuse gli occhi. "Andremo dove vorrai" disse "io ti amo e vorrei sposarti davvero. Lo faremo al nostro ritorno." S'accomodò nella poltrona, sempre stringendogli la mano. In quel momento pensò anche a Stephan, che finalmente avrebbe rivisto. Finì per sognarlo. Mauro continuò a guardarlo, l'osservò scivolare nel sonno, poi anche lui abbassò le palpebre. Non avendo, però, molta voglia di dormire, si ritrovò a lasciar vagare la mente. Analizzò dapprima tutte le percezioni che, in quel momento, i suoi sensi gli riportavano: teneva gli occhi chiusi solo per concentrarsi meglio e ascoltava il rumore regolare dei motori. Ne percepiva anche le vibrazioni attraverso la poltrona. Che emozione e che paura aveva provato a momento del decollo, sentirsi staccare dal suolo, sollevare e portare via, lontano dalle sue pietre, anzi dalla loro terra arsa, come avrebbe detto il papà. Aveva ancora le orecchie tappate, ma non aveva avuto per niente paura, non era stato come trovarsi al buio. E poi, stava andando in America con Niki, perché avrebbe dovuto spaventarsi? Gli giunse dal fondo dell'aereo, un odore di caffè e un rumore di bicchieri, e si rese conto d'avere ancora in bocca un vago sentore del caffellatte che la mamma aveva insistito che bevessero prima di partire. Lo assalì la consapevolezza che non avrebbe rivisto i suoi genitori di là a poche ore, com'era sempre avvenuto, in ogni giorno della sua vita. Anzi, non li avrebbe visti per venti giorni. La nostalgia l'aggredì improvvisamente. La mamma non l'avrebbe più svegliato la mattina, non l'avrebbe rimproverato perché si era sporcato la camicia, non l'avrebbe sgridato per uno dei mille motivi per cui loro due si divertivano a litigare. E a tavola non ci sarebbe stato suo padre a spiegargli il mondo. Michele non avrebbe potuto rincorrerlo in tutta la casa per costringerlo a tradurgli qualche versione. Non avrebbe atteso con tutti loro che Sergio telefonasse. Come avrebbe fatto senza la sua famiglia? E loro come avrebbero fatto senza di lui? D'un tratto si scoprì dispiaciuto, quasi pentito di essersi allontanato, di avere accettato di partire con Niki. Poi sentì che la sua mano destra era ancora stretta tra le mani morbide, calde, un po' sudate dell'innamorato e il ricordo della sua famiglia si trasformò nella serena certezza di rivederli. Dopo tutto, si disse, rassicurandosi, erano poco più di due settimane. Scacciata quella nostalgia che, pensò, era decisamente fuori luogo, si concentrò sul compagno: erano trascorsi pochi mesi da quando aveva toccato per la prima volta quella stessa mano e da allora era come se non l'avesse lasciata e non intendeva lasciarla mai più. Niki l'aveva rapito alla sua vita, portandolo in un paradiso di cui lui non sospettava neppure l'esistenza. Ora era in quel luogo incantato che aveva già dentro di sé, che aveva cominciato a manifestarsi solo quando Niki gli era apparso. In quel paradiso aveva trascorso gli ultimi due mesi e s'apprestava a trascorrere il resto della vita, assieme al suo compagno che di tutta quella felicità era il solo artefice. Lui riteneva modestamente d'avervi contribuito solo con il suo buon carattere, perché era stato Niki a cercarlo, a volerlo, a fargli una corte discreta, circondandolo di tutte quelle attenzioni che avevano fatto affiorare in lui ciò che allora neppure riusciva ad ammettere. Niki aveva fatto in modo che il suo orribile segreto, quello che aveva ritenuto, fino all'avvento del compagno nella sua vita, una specie di vizio, divenisse amore e li legasse per sempre. S'era lasciato avvincere da quel sentimento ed affascinare da tanta felicità. Ora s'aspettava di viverla assieme a Niki. Tornò a percepire il contatto della sua mano con quella morbida e calda del compagno. Niki si mosse e lui sobbalzò, forse s'era addormentato. Una hostess stava chiedendo a tutti e due se volevano bere qualcosa e anche Niki parve svegliarsi in quel momento, perché riaprì gli occhi, sbattendo le palpebre. Prima di rispondere a quella donna tanto gentile, Mauro pensò che negli occhi di Niki si sarebbe smarrito irrimediabilmente, ogni volta che vi avesse guardato, perché la sua vita era ormai in quelle iridi azzurre. La hostess era ancora accanto a loro e insieme gli fecero di no con la testa, mormorando un 'grazie'. "Mauro, devo essermi addormentato: dove siamo ora?" "In volo fra cielo e mare, mio angelo dalla faccia sporca! Lo sai che sei davvero bello quando dormi?" Niki lo guardò con un occhio solo, sospettando che il compagno volesse prenderlo in giro, poi si convinse che Mauro era sincero: "Anche tu sei bello! Ma tu non dormivi, non è vero?" Mauro si chiese come l'avesse capito e non trovò una risposta valida, ma si sentì felice. Se Niki poteva leggergli nel pensiero, loro due erano davvero una cosa sola. Da due mesi ormai gli pareva d'avere smesso di fare sogni, perché era stata la sua realtà a trasformarsi in sogno. Gli comunicò immediatamente quel pensiero e Niki chiuse gli occhi, perché temette di commuoversi. Mauro l'emozionava, sempre, con ogni sua azione, ma in quel momento, ciò che gli aveva appena detto era una cosa davvero speciale. Temeva sempre di scoppiare in lacrime quando lo rivedeva la mattina, appena alzati, oppure ogni volta che Mauro gli parlava, quando si sfioravano, quando aspirava il suo alito, quando si crogiolava al suo calore, quando le sue carezze lo spingevano ad addormentarsi o lo svegliavano dolcemente. Quello che gli aveva appena detto non era che una piccola, ma importante parte delle attenzioni, delle premure, dell'affetto che Mauro riusciva a regalargli. Da quando aveva ricordi, da quando era stato separato da Stephan, aveva sempre sofferto nell'essere solo e, purtroppo, lo era sempre stato. Se il suo cruccio più grande era stata la solitudine, la presenza di Mauro nella sua vita aveva veramente annullato quel senso di sgomento, la sua paura più intima, e gli aveva dato una serenità mai conosciuta. L'amava per questo. Forse non lo sapeva del tutto, né lo capiva ancora molto bene, ma quell'amore così grande aveva questa piccola, semplice origine. Mauro l'aveva sottratto all'esclusione ed all'isolamento. Giunsero in orario a Boston e la trovarono ammantata di neve. Ad attenderli c'erano il papà e il nonno, ma non c'era Stephan. Appena li videro, i due ragazzi gli corsero incontro. Niki abbracciò prima suo padre e poi il nonno. Mauro restò un po' indietro, finché il papà non gli sorrise e gli strinse la mano, poi lo presentò al nonno. Il vecchio aveva accolto con dispiacere la notizia che suo nipote fosse gay, Arleen gliene aveva parlato già durante l'ultima estate, ma lui non ne aveva mai fatto cenno, né con Niki, né con Stephan. Ad ogni modo, Il suo atteggiamento e il suo affetto non erano cambiati. Niki affrontò serenamente quel momento, anche perché era certo che il suo adorato 'grandpa' avesse almeno accettato quella situazione, non solo perché sapeva che il nonno l'amava davvero e senza condizioni, ma anche perché, nonostante fosse tanto vecchio, aveva un sacco di buone idee. E fra queste, Niki lo sapeva per averglielo sentito tante volte affermare, c'era la certezza che la vera libertà degli uomini fosse nel rispettare sempre le scelte degli altri. Il nonno gli aveva spesso raccontato di come aveva costruito la propria fortuna, lavorando senza risparmiarsi, ma sempre rispettando l'autonomia e la personalità dei suoi collaboratori. Mauro, invece, insolitamente per lui, fu intimidito dall'aspetto severo del vecchio. Quando gli fu davanti, restò in silenzio, indeciso se tentare di parlargli in inglese o più semplicemente salutarlo alla maniera italiana, poi superò l'emozione e gli sorrise. Tese la mano e gli disse, cominciando in italiano e terminando in inglese: "Io sono Mauro e spero d'imparare in fretta a parlare correttamente in inglese... Niki assured me that you are an extraordinary man! " E al suo sorriso non resistette neanche il nonno che prima gli strinse vigorosamente la mano e poi l'abbracciò, ridendo. "Anche se sono un po' vecchio, sto imparando la vostra lingua anch'io, ragazzo" il nonno gli rispose in italiano, sorprendendo anche Niki "credo che noi due ci daremo lezioni." "Finalmente ci hai provato! Hai sempre detto che imparare l'italiano sarebbe stato troppo difficile per te! Ma... dov'è Stephan?" Niki non si spiegava come il cugino avesse potuto mancare il loro arrivo "Come mai non è qui?" "Stephan è sempre fuori. Adesso ha molti nuovi amici e passa poco tempo a casa." Era stato il padre a rispondergli e il nonno aveva abbassato gli occhi. Non era un buon segno, Niki sapeva che il nonno non abbassava mai lo sguardo: era evidentemente imbarazzato. Stephan, pensò Niki, doveva aver combinato qualche guaio e, dato che i suoi genitori erano chissà dove, il nonno se ne sentiva responsabile. Prima che potesse fare qualche altra domanda, suo padre con un tono che non ammetteva molte repliche e che Niki riconobbe subito, disse: "Vedrete Stephan domani mattina, ne sono certo!" poi il papà addolcì la voce "Ma tu non eri venuto per rivedere tua madre?" E Niki per qualche ora scordò Stephan. Nel cervello di Mauro, invece, cominciò un lavorio che, dopo qualche minuto, mentre erano in macchina, portò il ragazzo ad una conclusione piuttosto spiacevole. Dall'aeroporto andarono direttamente all'ospedale dove era ricoverata Arleen. Era tardi per le visite, ma avevano ottenuto un permesso speciale e alla paziente era stato concesso di vedere suo figlio, a patto che tutti mantenessero la calma e che lei non si emozionasse troppo. Niki arrivò per primo davanti alla porta della camera, bussò e aprì senza attendere risposta. Da un mare di lenzuola vide spuntare i capelli biondi ed il viso pallido, affilato, ma allegro di Arleen: aveva temuto di non rivederla, aveva pianto anche per scongiurare la possibilità di perderla e ora, di fronte a lui, finalmente, c'era la sua adorata mamma, quasi guarita, che l'aspettava con le braccia aperte. Era a letto su indicazione dei medici, proprio per l'eccezionalità di quest'incontro, ma poteva già camminare, e, meraviglia, salire e scendere le scale a volontà, purché non troppo in fretta. Gli disse tutto questo in qualche secondo, mentre con cautela Niki l'abbracciava. "Sei solo?" gli chiese e da dietro a Niki spuntò Mauro "Ci sei anche tu! Posso abbracciarti?" Mauro girò attorno al letto e l'abbracciò con affetto, come fosse la sua mamma. La nostalgia l'afferrò e si commosse per se stesso e per Niki, aveva pregato anche lui per la guarigione di Arleen e ora pareva che tutto fosse a posto. Ma sua madre era così lontana e anche il papà, tutti e due certamente sentivano la sua mancanza, almeno quanto lui sentiva la loro. Riuscì a scacciare tutti quei pensieri, doveva essere allegro, gioire con Niki che era felice. Madre, padre e figlio presero a raccontarsi molte cose, mentre Mauro cercò di discutere in inglese con il nonno, e il vecchio tentò di rispondergli in italiano. Durante quell'insolito dialogo, Mauro rimpianse subito di non avere dato più spesso ascolto all'insegnante d'inglese, per merito della quale, e raccontò al nonno tutti i particolari dell'episodio, lui si trovava a Boston. Da quel momento, cominciò un'amicizia che portò Mauro ad apprezzare la grande saggezza che si manifestava da ogni azione del nonno, il quale, da parte sua, si rese subito conto dell'eccezionalità del ragazzo che aveva di fronte. Mauro era negli Stati Uniti solo da qualche ora e già parlava un inglese molto corretto. Ma quello che colpì il nonno più di tutto, fu la maturità e la sicurezza con cui Mauro esprimeva le proprie idee. A lui, che era un uomo esperto e un conoscitore di persone, avendo dovuto spesso scegliere i propri collaboratori, Mauro apparve equilibrato e avveduto già come una persona adulta. La casa del nonno fu una sorpresa per Mauro che, varcandone la soglia, si sentì improvvisamente su un set hollywoodiano. C'era un salone d'ingresso con una grande scalinata e poi uno studio con una bella biblioteca che attirò subito la sua attenzione. Tutte le camere da letto si trovavano di sopra. Per arrivare al portone di quella casa, che gli parve enorme, si doveva attraversare un grande prato. Non ricordava in quali e quanti film avesse già visto ville grandi come quella. Quella sera non ebbe molto tempo per guardarsi intorno, perché cascava dal sonno ed anche Niki pareva doversi addormentare ad ogni passo. La loro giornata era stata lunghissima, considerando il fuso orario, era durata molto di più, ed erano svegli da quasi ventiquattro ore. Erano distrutti, ma felici di aver vissuto una giornata indimenticabile, la cui unica ombra era rappresentata dall'assenza di Stephan. Dov'era finito e cosa gli era capitato? Niki aveva continuato a chiederselo tutte le volte in cui era riuscito a distogliere l'attenzione da sua madre, ma non ne aveva più parlato per non impensierirla e per non importunare il nonno. L'avvertimento di suo padre era stato abbastanza chiaro e la reazione del nonno lo aveva turbato, anche se non riusciva a capire cosa potesse essere accaduto di tanto grave da procurare al vecchio una tale pena. Ma, proprio per quel sentimento speciale che li univa, aveva compreso che il nonno era profondamente addolorato per qualcosa che riguardava Stephan. I ragazzi finalmente si ritirarono per dormire e, com'era loro abitudine, s'infilarono in uno dei due letti. Piombarono immediatamente nel sonno della stanchezza, non prima d'essersi scambiati un bacio, già con gli occhi chiusi. Niki si svegliò improvvisamente. Era notte e lui era sudato, anche Mauro lo era, ma dormiva ancora. Gli era parso di sentire un rumore nella casa silenziosa, poi aveva sentito delle voci soffocate: una era certamente del nonno, l'altra doveva appartenere a Stephan. Si sciolse dall'abbraccio di Mauro e cercò d'alzarsi in silenzio, per non svegliarlo. Mauro lo sentì muoversi. Da quando dormivano nello stesso letto, di solito, se uno dei due si svegliava, anche l'altro, immancabilmente, apriva gli occhi per un momento. Si ripetevano spesso di essere una persona sola e quello era uno dei modi per capire che era proprio vero.. "Dove vai? Non ti senti bene?" mormorò Mauro, ancora mezzo addormentato. "Ho sentito la voce di Stephan, deve essere rientrato adesso. Ho anche sentito il nonno che lo rimproverava. Vado a trovarlo. Voglio proprio sapere cosa ha combinato. Sono le tre, che ci faceva in giro a quest'ora? È troppo tardi anche per l'America. Anzi, qua c'è quasi il coprifuoco per i minorenni." Baciò Mauro e uscì dalla camera, diretto alla stanza dove era certo di trovare suo cugino. Mauro si risistemò nel letto cercando di riprendere a dormire, ma non ci riuscì. Attese il ritorno di Niki con inquietudine. Lui aveva un sospetto riguardo all'assenza di Stephan. A suo fratello maggiore, quando aveva diciassette anni, era capitato, per qualche mese, di frequentare improvvisamente amici nuovi, ritirarsi molto tardi e comportarsi in famiglia in un modo che a Mauro era parso incomprensibile. Durante quel periodo, che lui ricordava come il più brutto della sua vita, la mamma piangeva spesso e il papà aveva perso tutto il suo buonumore e neanche la filosofia l'aveva aiutato molto. In quei giorni, i suoi genitori aspettavano alzati il rientro di Sergio ed anche allora erano rimproveri e grida e pianti. Poi tutti loro erano riusciti, con l'amore, a riprendersi Sergio e tutto, o quasi tutto, era tornato a posto. Mauro sapeva cosa avesse spinto suo fratello a comportarsi così e in quale abisso avesse rischiato di cadere. Fu assalito da una grande apprensione, per Stephan, per Niki ed anche per se stesso. Niki trovò Stephan buttato sul letto. S'era lasciato cadere appena entrato, senza neppure togliersi le scarpe. Nella stanza c'era il cattivo odore di vestiti sporchi e di un corpo che da tempo non era lavato. E si sentiva puzza di birra. La cosa preoccupò subito Niki che, però, riuscì a dare un'intonazione allegra alla voce: "Gimme five! Sono qua, fratello di sangue. Mi riconosci?" "Niki? Sei arrivato finalmente?" Stephan aveva la voce impastata, ma non era questo a spaventare Niki. Stephan non s'era mosso se n'era stato sul letto, come se non avesse avuto la forza o la voglia d'alzarsi e abbracciarlo, come Niki s'aspettava, com'era sempre accaduto fra loro. Stephan rimase immobile, gettato sul letto, e Niki gli si avvicinò, nella camera quasi buia. "Niki, ci vediamo domani mattina. Ho fatto tardi stanotte. Vai a dormire. Ci vediamo domani." Si stava sforzando di nascondere qualcosa di terribile. Niki lo capì dalle parole non vere che Stephan si costringeva a dire. Non avrebbe mai potuto mentirgli, non c'era mai riuscito e questo era il peggiore tentativo che avesse mai fatto. "Sei ubriaco?" Non ne aveva mai visto uno, se non in qualche film, quella era un'esperienza troppo lontana dal suo modo di vivere, ma gli sembrò che fosse una buona spiegazione, anche per l'imbarazzo che forse c'era nelle parole del cugino. Gli sfiorò la fronte e Stephan si ritrasse al suo tocco. "Non mi toccare!" stava piangendo "Vattene! Non mi toccare! Parleremo domani mattina. Non voglio che tu mi veda così. Ti prego, Niki. Sii buono. Vai via, per favore. Vai a dormire!" Piangeva, ma, quando Niki tentò di accarezzarlo ancora, saltò via dal letto e scappò a chiudersi nel bagno. Da dietro alla porta, gli gridò ancora d'andarsene: "Per favore, Niki!" "Va bene. Me ne vado. Ma... non vuoi dirmi quello che sta succedendo?" "Va tutto bene, Niki." E questo pareva tutto. Niki se ne tornò sconsolato nella sua stanza. Mauro sembrava essersi riaddormentato, tanta era la stanchezza che doveva avere accumulato, così lui se n'andò mogio nell'altro letto per non disturbarlo. Invece Mauro lo sentì muoversi e lo chiamò: "Mi lasci? Io sono sempre qua." Niki lo raggiunse, l'abbracciò e lo baciò. Era molto turbato e gli raccontò subito tutto. Mauro l'ascoltò in silenzio, sempre più preoccupato. "Perché fa così? Non si era mai comportato in quel modo con me!" "Forse avrà litigato con il nonno" azzardò Mauro "e si vergogna!" "No! Puzzava di birra e di non so cosa. E poi era così sporco, come se non si lavasse da chissà quanto tempo! Perché?" "Non lo so, Niki. Non lo so!" E invece ormai lo sapeva, l'aveva intuito ed ora era certo d'aver visto giusto. Stephan si drogava. Aveva un ricordo vago di quei giorni vissuti, cinque anni prima, quando Sergio pareva una belva e piangeva, supplicava, gridava. Era durato in tutto sei, sette mesi o forse di più. Suo fratello, che era così buono, quello che lui adorava, aveva cominciato a comportarsi come ora faceva Stephan. Aveva anche perso un anno a scuola. Alla fine c'era riuscito a smettere, non s'era più bucato, ma non era tornato più lo stesso. Lui aveva dieci anni e quando al fratello venivano le crisi, specialmente di notte, con Michele andava a dormire nella camera dei genitori, mentre la mamma e il papà stavano con Sergio. Mauro ricordò quante volte avesse pianto, sentendolo gridare nell'altra stanza. Michele l'abbracciava e lui riusciva ad addormentarsi, ma Sergio gridava e lui si svegliava ancora. Se non si fosse trovato in quel letto con Niki forse, si sarebbe rimesso a tremare e a piangere come gli capitava in quei giorni, ma là in quel momento c'era Niki e lui doveva aiutarlo. Poteva raccontargli tutto questo? Per quella notte preferì di no, se lo strinse al petto e lo cullò. Pareva destino che sul quel capo s'abbattessero sempre disgrazie. Niki lentamente fu vinto dalla stanchezza e si addormentò stretto a Mauro che, invece, non riprese subito sonno. Era troppo preoccupato. Dopo la partenza di Niki, Stephan aveva iniziato una lunga e triste discesa verso la tristezza e lo sconforto. Per quanto Niki s'era avvicinato all'amicizia e all'amore di Mauro, lui era sceso al fondo dell'avvilimento. La parentesi estiva, quei mesi trascorsi accanto a Niki, avevano soltanto allontanato questa conclusione, perché, perduta la complicità del cugino, non gli era rimasto altro che cercare dentro di sé qualità e mezzi che non aveva. Né poteva in alcun modo riceverne dai genitori che l'avevano abbandonato, oppure da amici che non s'era mai fatto, nonostante quello che aveva lasciato credere a Niki durante la loro ultima estate. Così, più che degli amici, si era ritrovato a frequentare ragazzi e uomini, persone anche più disperate di lui e di tutti quelli si era rivelato il più indifeso. A quel punto il passo era stato breve, aveva ripreso a drogarsi. Negli ultimi due anni si era quasi assuefatto ad usare le droghe leggere. A scuola, aveva incominciato a fumare, poi qualcuno gli aveva fatto provare delle pillole e s'era abituato anche a quelle. Tornare a vivere con Niki durante quell'estate, gli aveva consentito non soltanto di smettere, ma soprattutto di dimenticare i motivi per cui lo faceva. E poi, non avrebbe mai coinvolto suo cugino in una storia tanto brutta quanto era quella che stava vivendo. Lo sapeva molto bene quant'era terribile ciò che stava facendo a se stesso, l'aveva capito prima di altri suoi coetanei, ma la coscienza e la considerazione che aveva di sé erano tanto scarse da fargli scegliere, comunque, quella strada. E quando Niki l'aveva lasciato un'altra volta da solo, lui era tornato alle vecchie abitudini, con l'aggravante d'essere rientrato nell'isolamento, dopo aver goduto la gioia dell'amicizia e della solidarietà che il cugino era riuscito a regalargli. E più triste e disperato s'era sentito, più aveva cercato di distruggersi. Niki e Mauro arrivarono quando la volontà di Stephan stava per estinguersi e la fine era vicina. La mattina dopo era l'antivigilia di Natale e a colazione Niki attendeva con impazienza che suo cugino si facesse vedere. Appena alzato avrebbe voluto andare a cercarlo in camera sua, ma Mauro l'aveva trattenuto con tutte le scuse che era riuscito ad inventarsi. E fortunatamente l'aveva dissuaso. Quando finalmente scese, Stephan aveva una faccia spaventosa, anche se faceva del suo meglio per sorridere e mostrarsi felice d'incontrare suo cugino. Quando l'aveva visto, durante la notte, nella penombra, Niki non aveva notato la metamorfosi subita da Stephan, ma, quando lo vide spuntare sulla porta, si spaventò. Stephan aveva le occhiaie, il suo viso era smunto e pallido, i capelli lunghi ad incorniciare la faccia triste, che era diventata piccola. Solo quattro mesi prima erano così simili, ma ora che Stephan aveva la rovina dipinta in volto, non si somigliavano più. Anche Mauro, cui Stephan era stato descritto quasi come un gemello di Niki, non poté fare a meno di stupirsi per il suo aspetto. Ora ne era certo, purtroppo Stephan si drogava di roba pesante, proprio come aveva fatto Sergio. Si bucava da molto tempo, abbastanza da averne il fisico segnato. Riconobbe nel ragazzo l'atteggiamento che aveva avuto suo fratello: sempre spaventato. Mauro si chiese subito come facesse a procurarsi il denaro necessario e si guardò intorno istintivamente. Nel periodo in cui suo fratello si bucava, da casa loro spariva di tutto. Non riuscì a distinguere neppure un oggetto di qualche valore e si rese conto che non c'erano soprammobili, anche se la casa era certamente ricca. Niki e Stephan finalmente si abbracciarono, ma Stephan non lo guardò mai negli occhi, rimanendo con la testa abbassata ed anche Niki era come bloccato dall'atteggiamento del cugino. Mauro allora si presentò da solo, cercando di superare l'imbarazzo che si era creato fra i due cugini. "Stephan, I am Mauro. I hope we will get friends! " A lui Stephan sorrise e per un momento, parve a Mauro, di vedere nei suoi occhi lo stesso sguardo di Niki e la stessa espressione. Il ghiaccio pareva rotto e i tre ragazzi parlarono un poco, almeno quanto lo consentiva l'inglese di Mauro, perché parlò soltanto lui. Niki era ancora impietrito dall'apparizione di Stephan, dalle sue condizioni. Non aveva il coraggio di chiedere al cugino la causa di quella metamorfosi, tanto lo spaventavano tutte le ipotesi che gli passavano per la testa. Stephan, da parte sua, non rispondeva, se non a grugniti e monosillabi, a tutte le domande di Mauro. Improvvisamente affermò di dover uscire, promettendo però di tornare per il pranzo. Abbracciò Niki e questa volta lo strinse forte. Si voltò verso Mauro, lo salutò con un cenno del capo e scappò verso la porta. Toccò al padre di Niki parlare ai due ragazzi. Quando era arrivando a Boston s'era trovato davanti al dramma del suocero alle prese con il nipote tossicodipendente e non era stato facile vivere in quella casa intristita da una storia così grave e dall'intervento chirurgico che sua moglie stava per subire. Ora gli premeva soprattutto di mettere in guardia i due ragazzi dal pericolo rappresentato da Stephan. Temeva la possibilità che potessero imitarlo, pensava che fossero inesperti e vulnerabili. "Ragazzi, Stephan si droga. Ve lo diciamo perché proviate ad aiutarlo e soprattutto perché non vi facciate trascinare anche voi." "Si droga? Per questo è ridotto così? E stanotte, non voleva che m'avvicinassi a lui" Niki raccontò anche a loro della sua avventura notturna "Perché, come ha cominciato?" si rivolse al nonno, ma fu suo padre a rispondergli. "È stato quest'estate, dopo la nostra partenza. Qualche giorno dopo suo padre se n'è andato con quell'altra. La madre era già sparita da parecchio tempo. Lui ha conosciuto gente strana, amici nuovi e ha cominciato a non andare a scuola, a chiedere sempre più soldi. Poi il nonno ha notato che non mangiava, che diventava sempre più magro e sparivano oggetti di valore dalla casa. Guardate, è tutto sotto chiave. "Niki, tu e Stephan siete come fratelli. Cerca d'aiutarlo" si rivolse anche a Mauro "Voi due con la vostra amicizia, forse, potreste fare qualcosa." Niki era disorientato, incredulo: Stephan era un drogato. Sembrava uno zombie. "Noi non cadremo mai in quella trappola. Siamo più forti" disse Mauro e raccontò di suo fratello "Stanotte, quando Niki mi ha detto di Stephan, l'ho capito subito. Anzi, già ieri sera l'avevo immaginato, notando le vostre espressioni all'aeroporto. Quei commenti imbarazzati, gli sguardi che vi siete scambiati, io... li ho sentiti e li ho visti fare per molto tempo ai miei genitori e mi è bastato. Me li ricordo come fosse ieri, cinque anni fa. Povero Sergio, povero Stephan! È... una cosa tremenda!" Il nonno lo accarezzò, colpito dalla serietà con cui aveva parlato. "Papà, nonno, non avete tentato nulla. Non avete pensato che potrebbe disintossicarsi?" "Sarebbe possibile, ma è troppo difficile se non c'è un minimo di volontà da parte sua." Questo spaventò terribilmente Niki, che cominciò a ricordarsi di tutte le volte in cui Stephan gli aveva fatto balenare l'abisso di tristezza che c'era dietro la sua faccia allegra. E in quel momento iniziò a provare rimorso per non averlo compreso, finché era stato in tempo. Poteva aiutarlo e non l'aveva fatto. Questa coscienza aprì una crepa nelle sue certezze, nella sua felicità, nella spensieratezza, ed infine nella sua innocenza. Invecchiò improvvisamente, perché comprese di non aver aiutato Stephan, di essersi lasciato cullare, per tutta l'estate, da quel ragazzo generoso, anche se non era lui il più bisognoso d'aiuto. Pensò e credette che l'ultima estate trascorsa insieme avrebbe potuto rappresentare la salvezza per Stephan, se lui avesse soltanto guardato un po' oltre se stesso. Non era stato in grado di capire ed aveva incoscientemente attinto alle risorse del cugino senza curarsi della sua malinconia. Ed ora Stephan si drogava. "Lui non ha più voglia di vivere" mormorò più a se stesso che agli altri, a conclusione del pensiero che aveva fatto. Lui che, più del nonno e del papà, conosceva Stephan, aveva capito e sapeva quello che sarebbe accaduto. Perfino Mauro, nonostante il suo carattere generoso, non riusciva ad essere ottimista, ma per amore di Niki finse anche con se stesso e credette davvero a ciò che diceva: "No! Noi possiamo aiutarlo, almeno finché siamo qua. Possiamo provarci, Niki, anche se non è da noi che potrà venire la soluzione del problema." Il nonno gli si avvicinò fino a mettergli un braccio sulle spalle. Quel ragazzo gli piaceva ogni momento di più. Sebbene non avesse condiviso la scelta di suo nipote, scoprì di essere per lo meno entusiasta dell'oggetto di quella scelta. "Provateci voi ragazzi!" Ma negli occhi di Niki c'era un'ombra e Mauro la vide. Capì a cosa fosse dovuta e, per il momento, lasciò che Niki provasse a curare da solo quella ferita. Si guardarono negli occhi e ad ogni sguardo Niki si sentì più forte e più determinato ad aiutare e salvare Stephan. Mauro, invece, provò tanta pena, ma si dispose ugualmente ad aiutarlo ed assecondarlo. Si preparò anche a sorreggerlo e confortarlo quando sarebbe stato necessario. Quel pensiero, l'idea di dover consolare il pianto e la delusione di Niki, non l'abbandonò più per quel giorno. Avrebbe voluto fare qualcosa per scongiurare le lacrime, quando sarebbero arrivate, ma sapeva di essere impotente. Neanche suo padre, se fosse stato presente, avrebbe saputo trovare una soluzione a quel terribile problema e questo pensiero lo sconfortò ancora di più. Trascorsero la mattinata in città per mostrarla a Mauro e per acquistare qualche regalo. Si ritrovarono a casa per il pranzo. Stephan era rientrato prima di loro e aveva un'aria più tranquilla rispetto al mattino. Forse, pensò Mauro, era riuscito a procurarsi la droga, ma si tenne per sé quest'idea. Niki pareva rasserenato e lui non voleva turbarlo. Dopo pranzo se ne stettero per un po' insieme cercando di chiacchierare, poi Stephan sgattaiolò nella sua camera, mormorando qualcosa, ma Niki lo seguì e l'affrontò chiudendosi la porta alle spalle. "Si può sapere cosa ti sta succedendo? E questa volta non scappare nel bagno!" "Non te l'hanno ancora detto? Mi drogo! Guarda qua!" Si rimboccò le maniche della camicia e gli mostrò le braccia tumefatte. Agì con una cattiveria che gli era estranea, che non sapeva di avere. Eppure sperò che Niki si spaventasse, che lo lasciasse in pace. Niki s'avvicinò e non mostrò nessuna sorpresa, anche se dentro di sé inorridì. "Perché?" Quella calma disorientò un poco Stephan. "Non lo so... lo faccio e basta, mi fa dimenticare un sacco di cose" cominciò a giocherellare con i lacci delle scarpe "Sono otto mesi che non so nulla di mia madre?" gridò "Lei non mi ha più cercato. Non le importa di me... e mio padre se n'è andato con quell'altra..." "E tu ti droghi" l'interruppe Niki "ti droghi e ti uccidi. Così, se avessero un altro figlio, forti della tua esperienza, non divorzieranno! E per evitare che, come te, muoia drogato, staranno molto più attenti. Stephan, hai deciso di ucciderti?" "No, non voglio uccidermi. Io non lo so quello che voglio!" era la voce del vecchio Stephan, poi improvvisamente "Fottiti!" gli gridò. Si stese sul letto. Niki gli si avvicinò lentamente, fino a sedersi accanto a lui poi gli appoggiò una mano sulla sua spalla. "Non mi toccare!" scattò, allontanandosi da Niki "Sei un finocchio, tu e quell'altro 'Vorrei essere tuo amico'" scimmiottò la voce di Mauro "Glielo hai detto che ti ho inculato?" "Si, gliel'ho detto. Lui lo sa!" Niki cercò di parlare con calma e noncuranza, ma dentro di sé piangeva. Pensava però che un cedimento avrebbe significato perdere la partita con quella parte di suo cugino che pareva così cattiva o così debole "Mauro sa tutto. Stephan, quanto tempo pensi ancora di resistere prima che il nonno ti mandi in ospedale?" "Non lo farebbe mai, e se ci provasse, io scapperei." "E la droga come la compreresti?" Non rispose subito e Niki accolse quella pausa con sollievo. Davanti alle domande dirette, incalzanti, Stephan vacillava. Era sempre stato così, nei loro giochi di bambini, così come nella vita. Decise di provare a convincerlo. "Stephan, il nonno ha aspettato che arrivassimo, perché fossi io a dirtelo. Se non accetti di fare una cura disintossicante ti farà rinchiudere a forza in una clinica." Stephan lo guardò sconvolto e incominciò a tremare, poi a piagnucolare. Niki, che gli era sempre vicino, l'abbracciò: "Io non volevo dire quel che ho detto, mi dispiace. Ho paura! Non farmi andare in ospedale. Ti prego!" Stephan pareva essere tornato il ragazzo che lui amava, ma Mauro l'aveva avvertito di diffidare di quei momenti di pentimento che non erano mai del tutto sinceri. Niki, però, avrebbe giurato sulla genuinità di quelle parole. "Ho paura! Dove sono mia madre e mio padre? Perché non mi hanno più cercato? Davvero non gli interessa sapere di me? Perché io non manco a loro come loro mancano a me?" E Niki non aveva nessuna risposta da dare a tutte quelle domande. Poteva solo stringerlo a sé, nel tentativo di consolarlo in quel dolore così straziante. Capì che c'era di peggio che diventare orfani, oppure di restare soli per tutta la vita, come aveva tanto temuto per sé. C'era di molto peggio: era il sentirsi abbandonati e rifiutati anche dai propri genitori, quando non si aveva altra colpa che d'essere nati. Questo era davvero insopportabile. "Niki, aiutami." "Non t'accadrà, Stephan, ma tu devi farcela. Devi venirne fuori!" gli prese la testa fra le mani, la faccia gli parve molto più piccola di come la ricordasse. Stephan dimostrava meno della sua età "In questi giorni tu starai sempre con noi e ci proveremo insieme. Vedrai, ci riusciremo!" Lo guardò e vide che gli occhi erano diventati vacui e temette si trattasse di una crisi che s'avvicinava. Si sentì così disperatamente inadeguato e inesperto in quella situazione, ma si rese anche conto di poter essere, per Stephan, l'unica medicina possibile. Lo sentì tremare. Stephan stava sudando. Si liberò dall'abbraccio di Niki e si diresse verso il bagno, poi s'accoccolò per terra e stette così fermo per un poco di tempo. Niki ne approfittò per chiamare Mauro che aspettava fuori della porta. Insieme lo portarono sul letto. Pareva assopito, ma si svegliò quasi subito. Provava vergogna per come aveva trattato Niki poco prima e si vergognò ancora di più quando si accorse della presenza di Mauro nella stanza. Si rannicchiò e nascose la faccia. Cominciò a piangere. Niki l'accarezzò e continuò a farlo finché non vide che cominciava a calmarsi. Allora Mauro l'aiutò a sollevarsi e gli parlò con dolcezza: "Stephan, vuoi davvero che t'aiutiamo?" Rispose con una voce trasognata, lontana: "Si, finché voi sarete qua; ma poi che farò?" E si accoccolò sul letto, raccogliendosi su se stesso. Mauro allora si rivolse a Niki ed incominciò a parlare, raccontandogli la storia improbabile di un viaggio fatto chissà dove e quando, mescolando parole italiane ed inglesi. Stephan non l'ascoltava, ma quella voce, quella storia accarezzarono la sua fantasia e lui tornò lentamente in sé, riuscendo perfino a sorridere a qualche battuta che non comprese, perché detta in italiano, ma che lo divertì ugualmente. Finirono per ridere, perché, anche se Stephan si drogava e gli altri due erano spaventati, le chiacchiere di Mauro erano riuscite a distrarli. Poi Niki propose di uscire, di andare in giro per negozi. Stettero fuori per tutto il pomeriggio. La grande città, che Mauro finalmente vide, rappresentò per lui uno spettacolo talmente nuovo ed insolito che il suo entusiasmo contagiò Stephan che viveva da sempre in quei posti ed anche Niki che ci era nato. In quelle ore riuscirono davvero ad essere allegri, nonostante il freddo pungente e i brutti pensieri che purtroppo giravano ancora nella testa di tutti e tre. Quella sera a cena ci fu più serenità. Mauro cominciava a comprendere molto meglio la conversazione in inglese, e vi partecipava attivamente, com'era sua abitudine. Niki era raggiante ed anche Stephan parlava, ma soprattutto mostrava d'avere appetito. Dopo cena rimasero a parlare con il papà ed il nonno e fecero progetti per il giorno dopo: erano mesi che Stephan non pensava a quello che avrebbe fatto il giorno successivo. Questo pensiero lo sorprese e lo commosse tanto che volle subito parlarne a Niki. Gli si avvicinò: il cugino era seduto accanto a Mauro il quale tentava di spiegare al nonno la propria incondizionata passione per la musica lirica. "Niki" gli parlò in un orecchio e a voce bassissima "lo sai che non ricordo quando è stata l'ultima volta in cui ho pensato a quello che avrei fatto domani?" Quella era la sincerità disarmante del vecchio Stephan, quella che Niki conosceva tanto bene. L'abbracciò d'impulso e Mauro si voltò per un momento a guardarli. Voleva già bene a Stephan, perché gliene voleva Niki ed anche perché gli ricordava suo fratello. Lui sapeva che, con ogni probabilità, i loro sforzi sarebbero stati vani, ma assieme a Niki avrebbe tentato lo stesso. Fece questo pensiero quando si voltò e li vide abbracciarsi. Si avvicinò per accarezzare Stephan sulla guancia, qualunque cosa avesse detto a Niki. Ma, dentro di sé, avvertì anche qualcosa pungerlo e capì che era la gelosia che provava verso quel ragazzo: Stephan che si prendeva l'abbraccio di Niki, le sue attenzioni e tutto il suo affetto. Si vergognò subito di quel pensiero: non credeva di essere mai stato tanto egoista, quanto lo era stato in quel momento. Ne era più che certo, altrimenti suo padre glielo avrebbe fatto notare. "Ragazzi, dormiamo tutti in una camera?" Mauro lo disse quando fu ora d'andare a letto. Lui era sensibile ai desideri di Niki, sia a quelli espressi, sia a quelli taciuti. Aveva capito, immaginato che il suo compagno, per quella notte, non avrebbe voluto lasciare il cugino da solo, perciò invitò Stephan. E se lo fece non fu soltanto per esaudire un desiderio inespresso di Niki: lui stesso si accorse di desiderarlo. L'attimo in cui era stato geloso era già lontano e dimenticato. "Allora? Che ne dici? Ci faremo compagnia!" insistette davanti all'esitazione di Stephan che era un po' sorpreso da quella proposta. "Potremmo restare a parlare fino a tardi: domani è Natale. Allora, ci vieni?" disse Niki anche lui felice per l'idea che Mauro aveva avuto. "Si, certo, se credete che a voi non dia fastidio." Stephan l'aveva desiderato, ma non aveva osato sperarlo, perché con Niki adesso c'era Mauro e aveva subito capito che il suo posto nel cuore di Niki era diventato molto più piccolo. Non era geloso, ma si era sentito ancora più abbandonato. E quella sera aveva davvero paura di restare da solo. "Stephan, andiamo, forza! Vai a prendere il tuo pigiama! Ti aspettiamo!" Niki l'incoraggiò. Quella sera, quella notte, parlarono di tutto e di nulla. Appena in camera si erano spogliati con una disinvoltura che aveva un po' sorpreso Mauro, poi loro due si erano infilati in uno dei letti e si erano subito abbracciati per darsi calore, perché le lenzuola erano fredde, mentre Stephan dall'altro letto li guardava divertito. Poi Niki aveva baciato Mauro che era ancora un po' imbarazzato dalla presenza di un altro assieme a loro, ma Stephan li aveva osservati sorridendo quasi con indulgenza. Si raccontarono tante storie, finché il sonno non strappò Niki che era ancora troppo stanco per il viaggio e per tutto quello che gli stava accadendo in quei giorni. Senza la mediazione di Niki che traduceva ai due i termini più difficili e le costruzioni più ostiche, la conversazione fu un po' faticosa, ma Mauro continuò ugualmente a parlare con Stephan che pareva non avere sonno. Mauro voleva fortemente che la loro amicizia s'approfondisse, perché sperava che questo facesse bene a Stephan, che almeno lo distraesse da se stesso. E sapeva che voler bene a Stephan sarebbe stato un atto d'amore verso Niki. Per questo fece tutti gli sforzi di cui fu capace per superare anche il problema della lingua. Ma Stephan era triste, infinitamente triste. Non aveva alcun motivo a parte l'amicizia e l'amore di Niki per desiderare di continuare a vivere. Mauro lo capì e pensò che farlo parlare di Niki gli avrebbe fatto bene. Così Stephan, molto lentamente perché Mauro lo comprendesse, gli raccontò, come già aveva fatto Niki, di quello che ricordava della loro infanzia. Poi gli disse delle loro estati e del patto di sangue a dieci anni, prima che fossero definitivamente separati. Raccontò di come Niki l'avesse sempre protetto: finché gli era stato accanto, Niki gli aveva sempre spiegato il mondo. Dell'ultima estate non disse molto, perché temeva di offenderlo, raccontandogli particolari che Niki poteva non avergli rivelato. E Mauro, cui Niki aveva raccontato proprio tutto del suo rapporto con Stephan, parlò del loro amore, gli raccontò di come si fossero conosciuti e come si fosse innamorato di Niki. Di come Niki fosse ormai parte della sua vita. Per lui fu un'esperienza nuova: spiegare ad un'altra persona l'amore diverso, insolito che aveva così dolcemente e totalmente sconvolto la sua vita. Nonostante parlasse di un argomento così difficile e dovesse anche farlo in inglese, disse molte cose. Volevano bene alla stessa persona e, anche se gliene volevano in modi diversi, fu naturale che quella notte riuscissero a diventare amici: Stephan avrebbe potuto contare anche sull'energia, sulla determinazione e sull'ottimismo di Mauro, oltre che sull'amore di Niki. Quando finalmente s'addormentarono, Mauro, fra le braccia di Niki, era un po' più sereno: gli era appena venuta un'idea pazza per cercare di salvare Stephan. E Stephan, per la prima volta negli ultimi quattro mesi, non era certo di fare brutti sogni. Quei sogni, invece, tornarono. Una parte degli incubi che l'avevano spinto a drogarsi tornarono anche quella notte. Niki e Mauro si svegliarono per gli ansimi del ragazzo che nel sonno piangeva e si colpiva la faccia. Cercarono di calmarlo con dolcezza, l'accarezzarono. Niki gli sfiorò la fronte con le labbra. Lo videro acquietarsi. "Niki" mormorò sempre nel sonno. E sembrava un sogno anche a loro: c'era da sperare che le allucinazioni e le ossessioni di Stephan terminassero tutte così e che loro due potessero fare realmente qualcosa. Mauro arrivò ad illudersene e quasi lo sognò, quando s'addormentò abbracciato a Niki. Purtroppo non fu così e il suo piano restò un'idea di cui non parlò più con nessuno. La mamma di Niki aveva ottenuto un breve permesso dall'ospedale: le sue condizioni erano davvero migliorate, poteva perciò trascorrere il Natale a casa. A prenderla ci andarono tutti gli uomini di famiglia, tre generazioni di cavalieri, e Arleen scelse il braccio di Stephan per farsi scortare fino all'automobile che li attendeva fuori dell'ospedale. Tutta la festa trascorse serenamente. Ci furono telefonate commosse in Italia e scambi di regali. Quello del nonno rappresentò la sorpresa più grossa: il giorno di santo Stefano i ragazzi sarebbero partiti con lui per la Florida ed avrebbero potuto visitare tutti i parchi di divertimenti che fossero riusciti a trovare. La sera di Natale i cinque gentiluomini riaccompagnarono la mamma in clinica. Sarebbe stata dimessa entro capodanno per trascorrere la prima parte della convalescenza a Boston. Se quei due giorni erano trascorsi nella serenità, era stato tutto merito dei ragazzi, i quali avevano cercato in ogni modo di rendere lieta la prima uscita di Arleen dall'ospedale. Mauro e Niki avevano coinvolto Stephan in ogni iniziativa e il ragazzo aveva ripreso a sorridere e a divertirsi. Non l'avevano mai lasciato solo, ma quella sera non riuscirono a convincerlo a dormire un'altra volta con loro. "Ragazzi, avrete certamente molte cose da dirvi e sono convinto che non possiate farlo in mia presenza!" e aveva strizzato un occhio "Il vecchio Stephan capisce perfettamente e dormirà benissimo nella sua camera. Se farà un brutto sogno, vi chiamerà e voi lo cullerete. OK?" Avevano riso. Loro non avrebbero voluto lasciarlo, ma le insistenze di Stephan li convinsero. Dopo tutto, le camere erano vicine e, sotto sotto, avevano voglia di stare un po' per conto loro e festeggiare il Natale in un modo particolare. Fu così che Stephan restò solo. Ci aveva pensato per tutto il giorno. Rideva e scherzava con gli altri, ma non aveva avuto altro pensiero che di correre a cercare la droga. L'idea di dover partire l'aveva spaventato: allontanarsi da Boston, dai luoghi che conosceva, dove sapeva come procurarsi l'unica cosa che gli serviva, era una prospettiva che lo terrorizzava. Così, durante la giornata aveva rubato i pochi soldi che era riuscito a trovare in casa: doveva assolutamente procurarsi della roba ed anche qualcosa per sopravvivere durante quella maledetta vacanza. Scappò non appena gli sembrò che tutti dormissero. Si chiuse la porta alle spalle, ma non poté impedirsi di piangere. Stava per suonare il campanello perché qualcuno lo sentisse e tentasse di fermarlo, perché a forza lo facessero rientrare. Pensò alla delusione di Niki e di quell'altro se avessero saputo che aveva bisogno di drogarsi ancora: ma loro non potevano pretendere che smettesse da un giorno all'altro, che non prendesse droga per i cinque o sei giorni della vacanza. Dopo tutto aveva già trascorso la vigilia e il giorno di Natale senza andare a cercare un po' di roba. Che ne sapevano di come si sentiva adesso? E di come si sarebbe sentito poi? Sempre a dire 'noi ti vogliamo bene' e 'noi vogliamo aiutarti', ma lui si sentiva male, male da morire. Sentiva già nella pancia come una palla di fuoco che cominciava a muoversi e lo faceva sudare. Sapeva che nelle sue viscere quel fuoco si sarebbe presto trasformato in un gelo che l'avrebbe fatto tremare e allora la paura sarebbe stata insopportabile. Desiderava solo una cosa per scacciare quella sensazione: altro che amore, aveva bisogno di roba e l'avrebbe trovata, anche a quell'ora. A Boston sapeva dove andare e dove cercare. Niki aveva voglia di fare l'amore. Da quando, a casa sua, in Italia, si erano amati in quel modo così completo, si erano scambiati solo baci. Anche Mauro desiderava che Niki lo amasse come aveva fatto allora. Si abbracciarono non appena ebbero chiuso la porta della camera e rimasero stretti per un poco a sentire l'eccitazione che saliva dentro di loro. "Vado a farmi la doccia, ma tu non mi guardare. Sennò non ce la faccio e ti salto addosso" disse Niki sciogliendosi dall'abbraccio del compagno ed avviandosi verso il bagno. "Ed io ti salto addosso, se ti spogli davanti a me. Però, fai presto a lavarti, perché puzzi un poco. Voglio farla anch'io la doccia, ma non perché sia sporco: devo solo purificarmi." "Io non puzzo mai! Sei tu la puzzola. E perché poi dovresti purificarti?" gridò Niki dal bagno. Mauro si appoggiò alla porta, godendosi lo spettacolo di Niki nudo che si infilava sotto il getto d'acqua: "Perché voglio molto bene ad uno come te e non ce la faccio più a..." Anche lui s'era spogliato e s'infilò sotto la doccia seguendo Niki. Lo baciò sulla bocca, costringendolo ad aprirla. L'acqua tiepida penetrò nelle bocche, per la foga con cui si baciavano. Niki incominciò a tossire e tentò, senza molto impegno, di cacciare via l'intruso. Mauro allora lo spinse contro la parete della cabina e riprese a baciarlo. Teneva le mani contro il torace del compagno e muoveva le dita, schiacciandole contro la pelle. Quando lo lasciò andare, sul torace di Niki c'erano le tracce rosse delle sue palme aperte. Si guardarono attraverso gli spruzzi dell'acqua, strizzando gli occhi. Erano senza fiato. Niki l'insaponò, accarezzandolo ovunque. Poi, senza una parola, si voltò per offrirsi a lui. Mauro comprese il suo desiderio e gli si appoggiò contro, facendo combaciare il proprio corpo con quello del compagno. Lo penetrò facilmente, sfruttando il sapone che lo copriva, schiacciando Niki contro le pareti della doccia. Cercò il pene di Niki e lo prese fra le mani. Poi cominciò a muoversi dentro di lui. Niki gli fece cenno di fermarsi. Fino a quel momento, mentre facevano l'amore, non si parlavano mai, ma si scambiavano gesti, anche minimi, che l'altro infallibilmente comprendeva. Anche questa volta Mauro aveva capito che Niki desiderava penetrarlo. Lentamente si spostò liberandolo. Si voltò per offrirsi a lui e l'avvicinò a sé, protendendo le braccia all'indietro per afferrarlo. Niki entrò in lui con un solo movimento, lasciandolo senza fiato, poi cominciò a muoversi, mentre l'acqua continuava a scendere su di loro. Niki desiderò baciare il suo innamorato e si sfilò da lui. Lo fece voltare per guardarlo. Unirono le loro labbra, accostarono i ventri e ripresero a muoversi: i sessi, bagnati e insaponati, risposero presto a quelle sollecitazioni, facendogli raggiungere l'orgasmo, mentre erano ancora uniti in quel bacio dolcissimo. Finalmente uscirono dalla doccia. Erano stati un po' troppo sotto l'acqua ed erano infreddoliti. Si asciugarono in fretta, strofinandosi uno sull'altro, cercando di darsi calore. "Sei ancora bagnato come un pulcino, piccolo Niki!" Ma lui non l'ascoltava, pensava già a Stephan. Passata l'eccitazione, provava un po' di rimorso per averlo lasciato da solo. "Pensi che ce la farà a tirarsene fuori?" disse e lo guardò, sperando che Mauro gli facesse almeno un po' di coraggio. Provò tenerezza per lui che continuava a fissarlo, ma sentiva dentro una gran trepidazione per Stephan che era sempre più solo. Provò sgomento anche per sé, perché in quel momento, in quei giorni, non sapeva bene come dividersi fra le due persone che amava tanto, ma di un amore talmente diverso. "Anche tu sembri un pulcino!" gli disse dopo averlo fissato, mentre ancora faceva questi pensieri. Mauro capì che era spaventato, comprese anche che all'origine di tutta quell'ansia doveva esserci Stephan e l'abbracciò. Lo baciò tra i capelli. Cercò di cullarlo, di mitigarne l'angoscia. "Niki, noi non possiamo aiutarlo molto. Dipende da lui. Se solo sua madre o suo padre tornassero e gli facessero capire che non hanno dimenticato d'avere un figlio." Poi Mauro si fece ancora più serio: voleva spiegare al suo dolce, inesperto Niki che non doveva aspettarsi molto dai loro tentativi d'aiutare Stephan. Lui sapeva che la dipendenza dalle droghe era come una malattia e che, se anche era stata generata da una carenza d'affetto, come Niki pareva credere, non si curava soltanto con l'amore, risarcendo di quella mancanza. Lo sapeva molto bene, ne era più che certo, perché con suo fratello non era stato sufficiente che tutti nella sua famiglia l'amassero teneramente. Perché solo l'aiuto di gente esperta l'aveva sottratto alla droga. "Niki, non basterai tu da solo. Non sarà sufficiente tutto il nostro amore per tirarlo fuori dal posto dov'è finito. Lui ha bisogno di cure che lo facciano smettere di drogarsi, e poi gli serve un affetto molto speciale che noi non possiamo dargli. È come se fosse finito nelle sabbie mobili: lo capisci? Ha bisogno di essere tirato fuori e noi non ne abbiamo la forza. Lui è... è molto malato. Lo capisci questo?" "Credo di si. Adesso si! Mauro, mi dispiace!" gli occhi di Niki gli chiesero di stringerlo, e lui l'abbracciò più forte "Io ho te, i miei genitori. Ho tutto e Stephan non ha niente. Quando ce ne saremo andati, lui resterà da solo con il nonno" si rannicchiò contro di lui "e il nonno è così vecchio e ormai è stanco." "Niki, ieri notte ho avuto un'idea che forse potrebbe aiutare Stephan." Niki lo guardò fiducioso: "Quale idea? A cosa hai pensato?" "Non lo so: forse è una pazzia. Ci devo pensare meglio. Te lo dirò domani!" Niki era troppo triste, anche per essere curioso. S'infilarono in uno dei letti e rimasero abbracciati, come sempre, ma questa volta non riuscirono a prendere sonno con la solita facilità. Stettero ancora un po' tempo con gli occhi aperti, Niki con la testa sulla spalla di Mauro e Mauro ad accarezzarlo e a baciarlo. Poco dopo mezzanotte, improvvisamente, Niki ebbe uno spasmo, una contrazione dei muscoli che li fece svegliare entrambi: "Che c'è? Niki! Non ti senti bene?" "Ho fatto un sogno, ma non me lo ricordo. So soltanto che era brutto. Era orribile. E poi all'improvviso, mi sono svegliato. Chissà Stephan: sarà riuscito ad addormentarsi?" Lo trovarono la mattina successiva, dall'altra parte della città, in una strada buia, accoccolato in un angolo. Pareva che dormisse. Vicino a lui c'erano gli strumenti con cui, senza desiderarlo, si era tolto la vita. Stephan non aveva documenti con sé, ma la denuncia del nonno, fatta già nelle prime ore del mattino, consentì di riconoscere il cadavere prima di mezzogiorno. Niki s'era svegliato presto ed era andato ad accertarsi che il cugino dormisse, ma Stephan non c'era. Aveva svegliato suo padre e poi il nonno, perché aveva subito avuto il presentimento che fosse accaduto qualcosa di tremendo. Mauro si era svegliato e, non trovando Niki accanto a sé, era uscito dalla camera per cercarlo. Aveva ascoltato la telefonata del nonno alla polizia e subito si era scoraggiato. Anche lui ormai sapeva che era accaduto qualcosa di grave, d'irreparabile: non poteva essere che Stephan se ne fosse andato per tanto tempo, non l'avrebbe mai fatto con Niki a Boston. Non era mai stato così sfiduciato: lui era fiducioso, felice, del tutto impreparato alla sofferenza, alla morte, perché era di morte che si trattava. Lo sapeva. In quelle ore, la sua fantasia dipinse scenari terrorizzanti, circostanze che, doveva scoprire, erano orribilmente simili alla realtà. Era morto: era accaduto davvero. C'era stata la telefonata della polizia, poi la corsa all'obitorio. Il nonno era andato a riconoscere il cadavere. Loro due erano rimasti nella macchina ad aspettare. Non si poteva fare più nulla per Stephan, ma alla mamma non si poteva dirlo, non subito. Il papà andò a trovarla, spiegandole che il nonno e i ragazzi non erano più partiti, raccontandole che Niki e Mauro erano a casa con il raffreddore. Avevano la febbre, forse perché non abituati alla neve e al freddo di Boston. Arleen fu molto contrariata da quella malattia così improvvisa, ma notò anche che suo marito non aveva nominato il nipote: "E Stephan? È a casa? Anche lui ha la febbre?" "Oggi non si è visto. Se n'è andato chissà dove." Si vergognò di mentire a sua moglie. I lunghi anni di malattia avevano insegnato ad Arleen il distacco dalle emozioni. Alla notizia che Stephan, un ragazzo che lei amava come un figlio, forse era scappato e si trovava chissà dove, lei apparentemente non reagì. A casa del nonno, i ragazzi erano distrutti, annichiliti dal dolore. Niki riusciva a formulare una sola idea: il freddo che doveva avere sofferto Stephan prima di morire. L'unico pensiero che continuava a rimbalzare nel suo cervello, era per il gelo che continuava ad avvolgere Stephan, anche in quel momento, all'obitorio. Mauro era sconsolato. Non aveva pianto, ma aveva cominciato a vagare per la casa, ad entrare e uscire dalla camera di Stephan. Era così agitato che il nonno avrebbe chiamato un medico se non si fosse apparentemente calmato. Era andato ad rannicchiarsi accanto al letto di Stephan, addormentandosi, raggomitolato contro il muro. Fu come se qualcosa in lui avesse staccato la spina delle emozioni e disattivato il suo cervello, consentendogli di rifugiarsi nel sonno. A Niki, invece, non riuscì di allontanarsi dalla realtà. Trascorse ogni momento di quel lunghissimo pomeriggio a sentir crescere dentro di sé la disperazione per la perdita di Stephan. Passò molto di quel tempo con il nonno. Il vecchio aveva voglia di parlare e a Niki fece molto bene ascoltare la sua voce tranquilla. Il nonno raccontò una storia, che Niki conosceva in parte, in cui entravano parenti e antenati di cui neppure sapeva l'esistenza, e c'era lui stesso, e anche Stephan, la mamma, il papà, 'l'italiano', come lo chiamava il nonno ancora con un po' di disprezzo, perché quell'uomo gli aveva portato via sua figlia. Trascorsero parecchio tempo insieme ed era già buio quando si scossero e andarono a cercare Mauro. Lo trovarono ancora addormentato nella camera di Stephan, il nonno gli accarezzò i capelli e, quando lo vide aprire gli occhi, gli disse: "Mauro, io mi chiamo Stephan. Stephan come mio padre, come mio figlio, e come mio nipote. Adesso però c'è soltanto lui" accarezzò Niki "che è mezzo italiano. E ci sei tu, figliolo" l'accarezzò "Ci sei anche tu. Pensa: io non ho mai potuto sopportare gli italiani e soprattutto l'opera lirica. È vero che sapete tutti cantare?" Mauro accennò ad un sorriso: "No, non tutti. Io sono stonato, ma Niki ha una bella voce. E a me piace tanto la musica lirica. Lei forse non ha mai ascoltato il sestetto della 'Lucia di Lammermoor'. Forse è per questo che parla così e dice di non sopportare la lirica." Aveva parlato meccanicamente: una parte della sua mente aveva reagito alla persona che offendeva la sua gran passione per l'opera. Il resto dei suoi pensieri però, restò ottenebrato dal dolore. Quella fu una conversazione surreale fra un vecchio sconsolato e un ragazzo annichilito dalla disperazione che poteva nascergli per aver visto morire un coetaneo, uno come lui che lui aveva incominciato ad amare. Niki gli s'inginocchiò davanti e lo baciò sulla fronte. Mauro era completamente sveglio, ma non se la sentiva di tornare a questa vita. Fece per alzarsi e fu sopraffatto un'altra volta dallo sconforto, dalla paura di muoversi. Niki lo prese per le spalle: "Mauro, vieni. Ti prego!" Cercò di farsi forza. Doveva aiutare Niki e quello divenne il suo unico pensiero. "Che ore sono?" "Sono le sei. Hai dormito per molto tempo. Vieni via, Mauro. Ti prego! Il nonno è stanco." Mauro con uno sforzo si alzò e con Niki accompagnò il vecchio nella sua camera. Poi tornarono di sotto, ad attendere il rientro del padre. Niki accese la radio e trovò una stazione che trasmetteva musica classica. In compagnia di quella musica i ragazzi si guardarono soltanto, senza parlare. Avevano entrambi la tentazione d'accollarsi la colpa di quello che era avvenuto. Ciascuno avrebbe voluto dire 'è colpa mia, se avessimo insistito, se avessimo dormito con lui, non sarebbe scappato', ma non lo disse già leggendolo negli occhi dell'altro. Fu Niki a parlare per primo, Niki che almeno un poco conosceva la sofferenza, la tristezza, la solitudine. Niki sapeva che parlandone si poteva almeno attenuarle: "Forse Stephan sarebbe scappato lo stesso, anche se l'avessimo controllato di più. L'hai detto tu che non poteva guarire solo con il nostro aiuto. Ammesso che potessimo dargliene abbastanza..." e la voce gli si strozzò in gola, perché, nonostante tentasse di consolare entrambi, si sentì irrimediabilmente colpevole per non aver amato a sufficienza suo cugino, di non avere compreso i suoi problemi durante l'estate che avevano trascorso a fingere di essere amanti. Ma quelle parole risuonarono nelle orecchie di Mauro senza che lui le ascoltasse. Non dovevano lasciarli da soli. Erano troppo piccoli per affrontare un dolore come quello, senza un adulto, uno dei genitori, che lo filtrasse per loro. Mauro riuscì a pensare qualcosa del genere: sua madre non gliel'avrebbe mai permesso, ma là, in quel momento, erano soli. Poi si perse dietro ad una fantasia, distolse lo sguardo da Niki e si concentrò sul disegno del cuscino di velluto viola che era su una dormeuse di fronte a loro. Quel cuscino lo affascinava. Era la prima volta che lo notava e il pavone che vi era ricamato era perfetto. Le volute delle sue piume lo stavano ipnotizzando. Il pavone muoveva lentamente, sinuosamente la coda. La fantasia si trasformò in realtà e Mauro seppe che non avrebbe dovuto fare altro che tuffarsi un quel vortice e, solo allora, il dolore sarebbe cessato. Quell'angustia che stringeva la gola e che lentamente lo soffocava, sarebbe passata: un balzo e tutto sarebbe finito. Dal centro di quel vortice sentì salire il suono del pianoforte e Niki che parlava, ma il suono della voce si allontanò. Forse Niki si era già tuffato: Mauro saltò. Quando lo vide scivolare sul tappeto e quasi battere la testa sul pavimento, Niki si spaventò davvero. Non aveva mai avuto tanta paura, neanche quando aveva compreso, tanti anni prima, che la mamma era in pericolo di vita. Oppure la notte prima, quando aveva scoperto che Stephan era scomparso. Vedersi cadere Mauro davanti, come fosse morto, perché gli pareva morto, fu per lui puro terrore. Sentì le mani gelate, brividi alla schiena. Incominciò a tremare, a piagnucolare. Mauro era per terra, davanti ai suoi piedi. Era morto! Era certamente morto. Anche Mauro era morto, come Stephan. Era come se l'avesse ucciso lui, facendolo venire in America: era stato un egoista. Li aveva uccisi. Prima Stephan ed ora Mauro. Era riverso per terra e Niki, impietrito, in piedi davanti a lui, era come paralizzato. Ma forse non era morto e aveva bisogno d'aiuto: questa idea lo fulminò. Immediatamente fu calmo ed efficiente. Gli sollevò il capo e l'avvicinò al divano. Tentò di rianimarlo con qualche schiaffo e dovette dargliene molti, finché Mauro non aprì gli occhi e parlò con un filo di voce: "Niki? Basta a darmi schiaffi... basta!" e con le mani si proteggeva la faccia da Niki che lo colpiva ancora "Sono caduto per terra. Mi sono buttato... quel pavone..." "Mauro, che cosa è stato?" Niki era senza fiato "Perché? Mi hai spaventato" avendo visto Mauro riprendersi, poteva dare sfogo alla tensione e al terrore che aveva provato: piangeva e lo baciava "Sei svenuto. Mi sembravi morto!" Lo abbracciò e lo strinse. Stettero così, Niki a piangere, Mauro con gli occhi chiusi, serrati. Si baciavano, di tanto in tanto, ma in silenzio, senza una parola. Non volevano, né potevano più parlarsi, perché avevano ancora paura di qualunque cosa non fosse la sensazione dell'abbraccio e della vicinanza, paura di dire qualcosa che potesse spaventarli. Solo così riuscirono a calmarsi. Il padre rientrò poco dopo e loro non gli raccontarono di quello svenimento. "Alla mamma bisognerà raccontare la verità e occorre farlo tutti insieme perché non pensi che voi siate stati coinvolti. Già oggi ha sospettato qualcosa. Voleva telefonare e sono riuscito a convincerla a lasciar perdere. Ho parlato con i medici: possiamo dirglielo, anche se con qualche cautela. Domani le daranno un calmante. Sono convinto che sia meglio lo sappia subito e non, fra qualche giorno, tornando a casa. Se voi volete, ci andremo domani." I due ragazzi furono d'accordo e si dissero disponibili a quell'altra prova. "Mauro, mi dispiace per la tua vacanza: si è trasformata in un dramma. Se non ti va di venire, non devi sentirti obbligato a farlo. Domani ci sarà anche il funerale e non voglio che tu trascorra un'altra giornata come questa." Mauro si alzò, sempre stringendo la mano di Niki, e guardò fisso il papà: "È un poco difficile dirlo, e lei forse lo troverà singolare, ma, mi creda, io andrò dovunque vada Niki. Noi due divideremo tutto quello che la vita ci riserverà. Questa tragedia è stata orribile e noi piangeremo ancora, ma lo faremo insieme. Spero che mai nulla riesca a dividerci se non noi stessi o la morte. Noi ci amiamo, perciò domani, se mi vorrete, sarò con Niki. Io sarò sempre accanto a lui!" Mauro che aveva terminato il suo ragionamento, abbassò gli occhi e indietreggiò, risiedendosi accanto al suo compagno. 'Come l'attore tragico al termine del monologo' pensò il professore. Lui, 'l'italiano', era severo con se stesso e con gli altri, aveva un carattere forte, solo un poco addolcita dall'amore per Arleen e per Niki. Provò tenerezza nell'ascoltare quel ragazzo, nelle cui parole aveva colto un'immensa tragicità, capì che Mauro sarebbe morto per Niki e non l'avrebbe mai lasciato da solo ed era convinto che anche suo figlio l'avrebbe fatto per il compagno. Quello che Mauro aveva appena detto era troppo impegnativo per dei ragazzi, ma a quell'età, lui lo ricordava ancora, tutto è sconfinato e drammatico. L'amore, la vita, la morte, la gioia e il dolore si presentano come misteri profondi che solo l'esperienza riesce a circoscrivere ed umanizzare. "Grazie, Mauro." E rimase a guardarli lasciando andare gli occhi da uno all'altro. Poi si riscosse. "Domani sarà una giornata molto difficile: pensate di farcela?" baciò Mauro sulla fronte ed abbracciò suo figlio, lo strinse e per un momento parve che si commuovesse anche lui, poi si riprese ed asciugò con un fazzoletto le lacrime che erano prontamente tornate negli occhi di Niki "Basta piangere voi due." Mauro protestò mentalmente: lui non aveva pianto per niente, non ancora. Quando si ritirarono nella loro camera, i ragazzi si spogliarono in silenzio e indossarono i pigiami, entrando ciascuno nel proprio letto. Erano troppo tristi anche per parlarsi, ma si posero in modo da potersi guardare dai letti: "Pensi davvero a tutto quello che hai detto a mio padre?" "Tu no? Tu non lo pensi?" "Mauro, io.... Mi sembra... non lo so. Come facciamo a parlare d'amore fino alla morte? Che ne sappiamo noi?" "Cosa vuoi dire? Che non è vero niente? Che non mi vuoi bene?" Mauro era disorientato e spaventato. "No, non ho cambiato idea. Ma ho paura! Ho paura che un giorno potremmo ricrederci e scoprire che non era come pensavamo. Ho paura di soffrire o di farti soffrire." Aveva ricominciato a piangere e le lacrime gli rigavano le guance. Uscì dal suo letto ed andò ad abbracciare Mauro, entrando nel suo letto, si strinse a lui. Mormorava parole e Mauro l'accarezzava tra i capelli: "Ho paura! Penso che se dovesse accadere qualcosa fra noi, se noi due ci dovessimo lasciare, in quel momento, farei come Stephan: comincerei a drogarmi e mi farei uccidere!" Mauro lo strinse più forte. "Non ci lasceremo, se non lo vorremo entrambi. Te lo prometto!" "Non mi lascerai...è vero?" mormorò Niki, ma aveva già chiuso gli occhi ed era scivolato nel sonno. Per lui era stata una specie d'autodifesa: addormentarsi e fuggire dal mondo che lo terrorizzava. Erano due bambini spaventati quelli che s'abbracciavano in quel letto e non amanti esperti dei propri corpi. S'addormentarono allacciati e i loro giovani corpi non potevano sapere del lutto e del dolore. Quella notte la vicinanza li eccitò e loro si scostarono, vergognandosi, non sopportando il piacere della prossimità, nel dolore che li straziava. Durante il funerale restarono sempre uno accanto all'altro, assieme al nonno e al papà. Oltre a loro, c'era solo qualche amico di famiglia. Non erano riusciti a rintracciare né il padre né la madre di Stephan, così il ragazzo se n'andò per sempre e senza disturbarli. Il cimitero era coperto di neve e accolse la bara nel terreno quasi ghiacciato. Niki continuò ed essere perseguitato dal pensiero del gelo in cui Stephan sarebbe rimasto per sempre. Mentre la bara scendeva, cominciò a tremare e a piangere, coprendosi la faccia con le mani. Mauro lo strinse a sé, cercando di consolarlo, di riscaldarlo. Pareva che provasse davvero un freddo terribile. Mauro gli mormorò qualche parola e lui parve calmarsi. Nella macchina, sempre stretto a Mauro, riprese a tremare e a piangere. Mauro, che aveva ormai consumato tutto il dolore di cui era capace, era un po' più calmo, ma Niki lo preoccupava. Nessuno dei due si era trovato così vicino alla morte in altre occasioni. Mauro aveva perduto i nonni quando era ancora troppo piccolo per ricordare, Niki aveva conosciuto soltanto il padre di sua madre. Nelle loro famiglie non si erano mai verificate morti di persone tanto vicine a loro perché potessero soffrirne direttamente. Ma ora la morte li aveva toccati, se l'erano sentita passare vicino e quello che stavano vivendo era il primo grande dolore della loro vita. Mentre tornavano a casa, Mauro pensò che con tutto quel pianto Niki cercasse di prendersi una colpa non sua. Quell'idea lo fulminò e decise di reagire. L'avrebbe fatto per salvare Niki da dubbi che non potevano aiutarlo, ma capì di doverlo fare anche per difendere il loro amore da un senso di colpa che avrebbe potuto distruggerlo. Era la sua sensibilità a spingerlo ad agire, più che un'esatta cognizione di ciò che rischiava se avesse assistito passivamente all'angoscia che divorava Niki. In Italia sarebbe corso da uno dei genitori, forse da suo padre, perché lo consigliasse ed anche perché lo abbracciasse e gli desse conforto, ma là, in America, era solo e Niki aveva bisogno di lui. Col capo di Niki posato sulla sua spalla, si sentì responsabile, oltre che di sé, anche della persona che gli si era donata senza condizioni. Non voleva perderla e gli fu chiaro che in quei giorni avrebbe dovuto lottare duramente per tenersi il suo innamorato: il fantasma di Stephan, il dolore e i sensi di colpa che Niki avrebbe provato, sarebbero stati avversari formidabili, ma lui era pronto a combattere per mantenere intatto il loro legame. Capì che Niki avrebbe cercato un modo per punirsi e forse l'avrebbe fatto privandosi di ciò che aveva più caro: furono l'istinto e il suo intuito a suggerirgli tutto questo e lui decise che li avrebbe seguiti. Doveva impedire a Niki di fare tanto male ad entrambi. A casa, una casa ormai morta, Niki non parlò, né mangiò. Sedette come inebetito e a nulla valsero gli sforzi di Mauro, del padre e del nonno per scuoterlo. Quando furono soli, s'avvicinò a Mauro e gli pose la faccia nell'incavo del collo, con un movimento che aveva fatto tante altre volte. Cercare quel conforto, rappresentò per Niki il punto d'arrivo di un ragionamento che aveva elaborato mentre era solo con i propri pensieri, chiuso nel mutismo che aveva tanto preoccupato i suoi cari: "È colpa mia! Stephan è morto perché non ho saputo badare a lui, perché ho fatto l'amore con te e non sono riuscito a controllarlo" riprese a piangere, a singhiozzare "se l'avessi tenuto con me, non se ne sarebbe andato. Non si sarebbe ucciso..." Non poteva permettergli di parlare così. Lo interruppe bruscamente, l'allontanò da sé e gli parlò con un tono che Niki non gli aveva mai sentito usare, né in futuro, forse, avrebbe più avuto modo d'ascoltare: "E quanto tempo credi che avrebbe aspettato prima d'andare a cercarla? Erano due giorni che non si drogava. Aveva aspettato già abbastanza e tu non potevi tenerlo legato!" Era un Mauro sconosciuto anche a se stesso, che cercava di difendere Niki dai dubbi l'avevano assalito, ma Niki era sceso troppo nella sua disperazione: "Se n'è andato proprio mentre noi due facevamo l'amore, per questo io non l'ho sentito. Hai capito? Ed è morto mentre noi due eravamo abbracciati! È tutta colpa mia!" "Non puoi dire questo! Se è colpa tua lo è altrettanto mia e, comunque, saperlo non lo farebbe tornare. Niki, ti prego. È finita ormai. Lui è morto e nessuno può restituircelo. Lo capisci? Nessuno può ridarcelo, né chi ha colpa, né chi non l'ha." Poi la sua voce tornò improvvisamente dolce, cercando di convincerlo: "Il piccolo Stephan se n'è andato, amore mio" cominciava a disperare di persuaderlo o, almeno di scuoterlo "Niki, ci siamo noi adesso!" Lo strinse e cercò di avvicinarlo a sé, ma Niki, per la prima volta, girò la faccia per evitarlo. Questo procurò a Mauro una fitta di dolore. Quella era una sofferenza che gli era ancora sconosciuta: in quel momento conobbe la delusione che l'amore può causare, ma non si arrese e continuò a cercare almeno lo sguardo di Niki. Doveva riuscire a scuoterlo e trovò l'argomento giusto: "Niki, dobbiamo dirlo a tua madre! Non puoi farti vedere da lei in queste condizioni!" Quell'argomento parve miracolosamente placarlo. Si asciugò gli occhi e parve calmarsi: c'era da affrontare la mamma e lui doveva farcela, non dovevano farla impressionare, per quanto fosse stato possibile. Si disposero così a sostenere l'ultima prova di quella giornata tremenda. Si lasciò cullare da Mauro, ma stette sempre con gli occhi socchiusi, sfuggendone anche lo sguardo. Arrivarono tutti insieme in ospedale. La mamma era in poltrona davanti alla finestra. Niki corse ad abbracciarla. S'inginocchiò e le pose il capo sul grembo. Arleen comprese subito che suo figlio era disperato e, più lo guardava, più coglieva la profondità dell'angoscia in cui il suo adorato bambino era sceso. Né le facce degli altri incoraggiavano migliori pensieri. "Arleen" fu suo marito che, presale la mano, le rivelò il motivo di tanta angoscia "Stephan ha avuto un incidente ed è morto. È successo ieri mattina, per strada." La mamma, intorpidita dai calmanti, mormorò: "Povero bambino, e voi" rivolta a Niki e a Mauro "state bene?" Niki piangeva. Mauro distolse lo sguardo, perché non voleva piangere, non davanti a tutti, non se lo sarebbe mai perdonato. Il suo era un moto d'orgoglio di cui avrebbe riso in un altro momento. Poi, improvvisamente lucido, si chiese 'e se anche mi vedessero piangere?'. Dopo tutto aveva solo quindici anni e tutto il diritto di disperarsi per la morte di un suo coetaneo. Niki era sconvolto dal dolore e distrutto da quella perdita. E per giunta, in tutta questa tragedia, lui rischiava di perdere il suo innamorato. Per quanto cercasse di trattenersi, il pensiero di Niki, del suo pianto, del pericolo che correvano di perdere anche se stessi in quella disperazione, il terrore di non riuscire più a trovarsi, quando l'angoscia si fosse attenuata, lo sciolsero e appoggiandosi al muro sfogò anche lui il dolore che aveva dentro: riuscì finalmente a piangere, coprendosi la faccia con le mani. Allora il padre reagì, cercando di arginare quella situazione che pareva dover travolgere tutti. Si avvicinò a Mauro e gli parlò: "So che tu sei forte. Cerca di calmarti. Almeno tu. Devi aiutare Niki. Per favore" poi si diresse verso la moglie e l'abbracciò. Mauro controllò il pianto con uno sforzo che gli parve oltre le proprie possibilità. Quando i suoi occhi furono quasi asciutti le sue mani finalmente ferme, le posò sulle spalle di Niki. L'accarezzò, poi lo prese per le braccia e lo raccolse, staccandolo dalla mamma. L'abbracciò e tentò di confortarlo. Gli parlò con la sua voce più calma: "Non piangere più. Credo che a lui non sarebbe piaciuto" Niki non l'ascoltava "Basta. Ti prego, fallo per me." Niki lo fissò, ma parve non capire. "Per tua madre, Niki!" E Niki accennò ad un sorriso fra le lacrime: "Si, per lei!" e lo fissò ancora. Quello sguardo gelò Mauro. Passarono il pomeriggio in clinica con la mamma a raccontarle qualche altro particolare e a chiedersi dove potessero essere i genitori di Stephan, e se quel dolore, quando ne avessero avuto notizia, avrebbe potuto sconvolgere ancora quelle due vite già così precarie. Decisero anche che il giorno successivo i due ragazzi sarebbero partiti, accompagnati dal nonno e i genitori li avrebbero raggiunti per Capodanno. Tutto questo era soltanto un tentativo d'abbandonare a Boston il dolore per quella perdita così terribile. Quei giorni trascorsero in modo tranquillo. Provarono a dimenticare, a lasciarsi dietro la tragedia, ma finsero soltanto di farlo, perché, dei tre, il nonno era forse troppo vecchio e loro due certamente troppo giovani per sapersi difendere dalla disperazione che li aggrediva in ogni momento. Era la mattina dell'ultimo dell'anno. La mamma era già stata dimessa dall'ospedale, finalmente guarita, e proprio quel giorno li avrebbe raggiunti assieme con il papà. Niki si svegliò, perché la luce dell'alba penetrò attraverso le tende socchiuse. Erano in Florida e la spiaggia di sabbia che si scorgeva dalla finestra dell'albergo era dorata dal sole che nasceva. Erano le sei, forse le sette del mattino. S'alzò dal letto in cui aveva dormito da solo e andò sul balcone. Nel sonno, mentre dormiva, il suo cervello doveva aver lavorato parecchio, perché, svegliandosi, scoprì di avere un'idea, un pensiero fisso: se dopo la morte di Stephan non aveva fatto altro che precipitare, ora aveva capito di esser giunto ad un limite oltre il quale non poteva andare. Doveva decidere ed agire, in un modo o nell'altro. Davanti a lui si stendeva la spiaggia di cui non riusciva a scorgere la fine. E poi c'era l'oceano, ancora più sconfinato. Proprio là in fondo, elevandosi dalla linea dell'orizzonte, era appena sorto il sole. Lo fissò, cercando di tenere gli occhi aperti, fino a farsene abbacinare. Stava tremando, l'emozione che provava era troppo grande e lo stordimento di quella luce servì a farlo tornare in sé. S'appoggiò alla ringhiera e guardò sotto, molto più giù. Si chiese cosa volesse fare veramente della propria vita: voleva forse morire? Sarebbe stato sufficiente chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Erano abbastanza in alto perché non ci fossero ripensamenti se fosse caduto. Si ritrasse spaventato, tremante. In quei tre giorni, aveva cercato soprattutto di non pensare, né a Stephan né a chiunque altro. Il nonno era convinto che lui e Mauro, per l'età che avevano, dovessero soltanto distrarsi e, in questo tentativo, certamente vano, li aveva accompagnati a visitare luoghi che in un'altra occasione li avrebbero affascinati. Per un po' aveva finto di allontanarsi dal dolore che lo stringeva, poi non era più riuscito a nascondere lo strazio e durante quei giorni, aveva fatto molti capricci. Aveva avuto collere improvvise ed era stato sgarbato. Nella sua mente s'era già annidata un'idea tremenda: il suo amore per Mauro era diventato sacrilego. Come poteva amare ancora qualcuno, se Stephan era appena morto? Era tutto accaduto per colpa sua! Quel pensiero era diventato una certezza ed aveva preso a martellargli nella testa. Lui allora aveva cominciato a sfuggire la mano che Mauro gli porgeva ed aveva evitato anche di sfiorarlo. Mauro, dapprima era rimasto sorpreso, poi, forse comprendendo, aveva sopportato tutto, aveva continuato a seguirlo, sempre scordando gli sgarbi e i capricci nel momento stesso in cui li subiva. Già dalla prima sera, lui non aveva più voluto dividere il letto e questa era stata certamente la sofferenza maggiore per Mauro che aveva subito in silenzio. Cercò di capire. Doveva tornare a ragionare, perché il suo compagno non poteva più soffrire per quell'atteggiamento. Sentì rinascere dentro di sé tutti quei sentimenti che si erano ritratti dinanzi al dolore devastante che aveva provato. In un attimo gli furono chiare molte verità: per prima cosa comprese che vivere aveva senso solo se si amava e si era amati. E lui amava Mauro, credeva di amarlo, anzi ne era certo; ed anche Mauro l'amava davvero. Doveva sopravvivere al dolore e doveva farlo per il suo compagno, per la mamma e il papà, per il nonno, ed anche per se stesso. Capì finalmente che, se lui aveva colpe, e non ne aveva più degli altri, non doveva essere Mauro a pagarle. Mauro l'amava e non doveva soffrire per questo. Questi pensieri lo portarono ad una conclusione che lo sorprese: si rese conto di essere cresciuto, anzi, 'invecchiato', come piaceva dire a Mauro. Con uno sforzo di fantasia che sarebbe piaciuto al suo compagno, gli parve di scorgere qualche ruga nella propria coscienza. La morte di Stephan lo aveva reso molto più consapevole della propria personalità, delle debolezze: di questo era certo. Quell'esperienza così tragica gli aveva insegnato a guardare ancora meglio dentro di sé e a giudicarsi. Finalmente capì, gli apparve chiaro, che continuare ad angustiarsi per Stephan avrebbe provocato dolore a chi lo amava e soprattutto l'avrebbe allontanato da Mauro. Si ricordò allora delle parole del compagno e tremò. Mauro aveva detto: "Nulla potrà dividerci se non noi stessi o la morte". Com'era vero. Trasalì per lo spavento che provò in quel momento. S'era allontanato da Mauro, l'aveva fatto soffrire. Stava per perderlo. Oltre alla fortuna di incontrarsi, avevano avuto perfino la comprensione dei loro genitori: si chiese quanti genitori non li avrebbero mandati da uno psicanalista. I loro invece li amavano tanto da accettare fino in fondo la diversità di quel rapporto e condividere tutte le difficoltà del loro futuro. La sintesi che lui e Mauro rappresentavano stava per essere interrotta dal suo egoismo. E lui era stato egoista, l'aveva allontanato da sé per soffrire da solo. Questo era accaduto. Sperò di non dover mai più, nella sua vita, arrivare ad odiarsi tanto da fare così male a Mauro, quanto gliene aveva fatto in quei giorni. Si era odiato a causa di Stephan, ma il cugino non avrebbe mai voluto che da una sua azione, anche dalla più estrema, potesse nascere odio. Stephan era buono, lui lo sapeva bene. Sentì freddo: aveva i piedi nudi, era molto presto e l'aria era ancora gelida. Rientrò nella camera e s'avvicinò al letto dove Mauro dormiva ancora. Il suo sonno era pesante e lo vide immobile. Quando per la prima volta l'aveva visto dormire, aveva provato tanta tenerezza per l'espressione un poco corrucciata che Mauro assumeva nel sonno. Lo guardò, finalmente, dopo tanti giorni e tornò a sentire tutto l'amore che provava per quel volto regolare su cui, s'accorse, era spuntato il primo velo di barba. Ricordò che ci avevano anche scherzato, prima di Natale, prima di Stephan, prima che accadesse tutto. Aveva promesso di regalargli un rasoio. I capelli erano sparsi sul cuscino, s'erano allungati di parecchio e incorniciavano la faccia che ora, forse per un gioco di luce, pareva affilata, smagrita. Anche Mauro gli sembrò improvvisamente più vecchio. L'accarezzò con delicatezza. Sentì sotto le dita la pelle della fronte leggermente sudata. Vide che s'era coperto, forse per il freddo che entrava dalla finestra aperta. Ricordò che Mauro, negli ultimi giorni, aveva avuto spesso freddo, senza che lui ne capisse la ragione. Anzi, ricordò con rimorso che, vedendolo rabbrividire, non gliene era importato niente. Aveva visto più volte Mauro tremare e non se n'era interessato. Era arrivato anche a provare fastidio per quella che aveva creduto una debolezza. Perché lui, in quei giorni, aveva sempre voluto dormire con la finestra spalancata e aveva solo pensato che Mauro fosse diventato più freddoloso e questo lo aveva seccato. Aveva provato fastidio per Mauro? Com'era potuto accadere? Ebbe come un brivido e questa volta non fu per il freddo. Mauro era quasi ripiegato su se stesso, voltato sulla sinistra, con la testa appoggiata sul braccio, in una posizione raccolta. Niki sperò che Mauro sognasse di lui, che immaginasse di averlo accanto. Ricordò con rimorso della loro prima notte in Florida, dopo la partenza: Mauro s'aspettava che andasse verso il suo letto. L'aspettava, lo guardava speranzoso, anche se per tutto il giorno Niki gli aveva risposto male e non gli aveva dato neppure un bacio. Ma allora non gli era importato di nulla: sperava che Niki andasse verso di lui, che tutto potesse tornare a posto e aveva lo sguardo speranzoso di un cagnolino. Ma lui s'era infilato nell'altro letto, senza dire una parola, senza guardarlo, con una cattiveria che ora lo sorprendeva, ma che in quel momento non s'era neppure accorto di stare commettendo. Era troppo preso a cercare di espiare peccati che non aveva commesso. Chissà se Mauro aveva pianto quella notte. La stessa cosa era accaduta la sera successiva, lo stesso sguardo d'attesa e poi la delusione: la terza notte Mauro se n'era andato a dormire prima di loro, mormorando una scusa a chi volesse ascoltarlo. Quando lui era salito in camera, dopo aver accompagnato il nonno, l'aveva trovato già nel suo letto, rannicchiato, con gli occhi coperti dalle braccia. Forse Mauro aveva solo finto di dormire, certamente l'aspettava e sperava ancora che lui non si dirigesse verso l'altro letto, ma si avvicinasse almeno ad accarezzarlo. Sentì di detestarsi: come avrebbe potuto farsi perdonare? Come aveva potuto comportarsi così? Lo sfiorò con dolcezza, gli passò dolcemente la mano sulle spalle. Gli pareva di conoscere ogni muscolo di quel corpo e ora lo desiderava, con tutto se stesso. Come aveva potuto rifiutarlo? Mauro si mosse. Si voltò mettendosi a pancia sotto con la faccia appoggiata di lato, sul cuscino e la bocca leggermente aperta. Teneva ancora il braccio a circondargli la testa e un po' di saliva sfuggì dalle labbra. Niki s'avvicinò con il naso alla bocca di Mauro ed ne aspirò il fiato, cercò di sentire il suo odore. Mauro si mosse ancora e lui ebbe paura di svegliarlo: e se ora fosse stato Mauro a respingerlo? Quest'idea lo terrorizzò, perché non riuscì ad immaginare alcuna propria reazione ad un rifiuto di Mauro. S'inginocchiò e si piegò fino a poggiare il capo sul cuscino. Chiuse gli occhi ed attese che qualcosa accadesse. "Niki" Mauro mormorò quasi senza svegliarsi. Poi si mosse ancora. "Sono io, Mauro." Mauro si voltò. Aprì leggermente gli occhi e gli sorrise ancora un po' assopito: "Sei tu, Niki. Finalmente. Vieni." "Mauro, perdonami. Ti prego. Sono stato cattivo..." Mauro lo baciò sulla bocca perché non parlasse. Lo tirò nel letto e lo strinse a sé. Le sue mani cercarono il calore della pelle di Niki sotto il pigiama e si fermarono a godere di quel tepore. Niki si fece piccolo perché Mauro l'avvolgesse in un bozzolo e lo proteggesse dalla vita. Stettero così stretti per molto tempo e quello fu certamente il loro abbraccio più appassionato. Ogni tanto Niki si scuoteva e tentava di parlare, per spiegare. Voleva chiedergli di perdonarlo, ma Mauro lo baciava per zittirlo, finché lui non s'arrese a quell'abbraccio. Erano felici d'essere di nuovo insieme. Si assopirono, senza più parlare, perché le parole non avrebbero potuto dire nulla di più. Qualche ora dopo li svegliò il nonno: avevano dimenticato che più tardi dovevano incontrarsi con i genitori all'aeroporto. Così, dopo che Niki aveva riabbracciato Mauro, Arleen tornava guarita da suo figlio. Stephan, invece, giaceva per sempre nella terra gelata del cimitero. Niki l'avrebbe ricordato in ogni momento della sua vita. Con la stessa tenerezza, come quando, non camminando ancora bene, dovevano reggersi a vicenda e se uno cadeva, cadeva anche l'altro. Ed era sempre Stephan, di qualche mese più grande, che aiutava Niki a rialzarsi. Lui non l'aveva aiutato questa volta, non aveva potuto, non aveva compreso in tempo ciò che stava accadendo. Mentre faceva questi pensieri, stretto nell'abbraccio di Mauro, sentì vivo il rimorso per qualcosa che forse poteva fare e non aveva fatto. Mauro, lui ne era certo, l'avrebbe aiutato a convivere con quel rimpianto. Un momento prima d'alzarsi e prepararsi per andare a prendere la mamma, seppe che il ricordo di Stephan l'avrebbe accompagnato con la sua malinconia per tutta la vita. Baciò Mauro e immaginò di baciare Stephan, ma fu l'ultima volta. Un attimo dopo tornò ad essere Mauro e sarebbe stato così per sempre. E Mauro era tornato alla vita, perché, nei giorni in cui Niki l'aveva ignorato ed evitato, a lui era parso di morire, di soffocare lentamente. All'inizio s'era sforzato di comprendere quel comportamento. Riusciva a spiegarselo e lo giustificava con il nonno, ma aveva cominciato subito a soffrirne, chiedendosi se Niki non si fosse stancato di lui, se quella tragedia non avesse dato una scossa troppo forte al loro rapporto e quindi fosse tutto finito. Se n'era convinto e il suo ottimismo non l'aveva più sorretto. La sua innocenza, la spensieratezza che aveva sempre avuto, erano sparite. Aveva pianto, ma l'aveva fatto in modo che Niki non lo vedesse e non si affliggesse ancora di più: aveva scoperto che, piangendo mentre faceva la doccia, avrebbe avuto un buon motivo per giustificare gli occhi rossi e un rumore per coprire i suoi singhiozzi. Niki non s'era accorto neppure che lui aveva smesso di mangiare, anche perché, quando erano a tavola e Niki lo guardava, fingeva sempre di masticare qualcosa. Niki non aveva capito che lui voleva morire, anche perché glielo aveva nascosto abilmente. Se prima avevano giocato all'amore, poi avevano giocato alla morte, ma per fortuna Niki aveva posto fine a quella corsa orribile. L'aveva accarezzato nel sonno e lui, incerto se fosse sogno o realtà, aveva mormorato il suo nome. Ed era realtà, era tornato a vivere, ma solo perché Niki l'aveva richiamato accanto a sé. La mamma e il papà arrivarono puntuali. Arleen corse ad abbracciare Niki e poi si strinse anche Mauro. Li accarezzò insieme. Erano tutti felici di vederla finalmente tornare ad una vita normale e perciò, anche per il suo bene, decisero di non parlare di Stephan. Non perché volessero dimenticarlo, ma perché, per quanto il lutto fosse recente, la mamma doveva vivere circondata dalla maggiore tranquillità possibile. Era l'ultimo giorno dell'anno, ma non se la sentivano di partecipare a feste. Alle sei del pomeriggio avevano ricevuto una telefonata dall'Italia, dove l'anno era appena iniziato, e alla mezzanotte dagli Stati Uniti furono loro a chiamare. Mauro era raggiante. Aveva trascorso tutto il tempo a mangiare, perché si era scoperto, inspiegabilmente per quasi tutti, famelico. Neppure Niki capiva tutta quella voracità, ma era troppo contento per pensarci. Durante la giornata, tutti i tentativi che aveva fatto per parlare col compagno e cercare di spiegargli il suo atteggiamento nei giorni precedenti, si erano conclusi con un bacio per zittirlo, quando erano soli o con la mano di Mauro sulla sua bocca per cercare, comunque, di farlo tacere. Alla fine si era arreso, accontentandosi di rivolgergli soltanto sguardi che erano più eloquenti di qualsiasi discorso. E allora Mauro gli aveva mormorato, facendolo finalmente ridere: "Se continui a guardarmi così, sarò costretto a mettermi gli occhiali da sole." Dopo gli auguri di buon anno, il nonno, che fino a quel momento aveva vissuto la perdita di Stephan chiuso in un silenzio pieno di dolore, si alzò e chiamò vicino a sé Mauro e Niki, ad entrambi mise la mano sulle spalle e li abbracciò insieme: "Mauro, vorrei che tu divenissi mio nipote. Ti ho guardato molto in questi giorni e ho capito che sei davvero un bravo ragazzo. Spero che tu e Niki continuiate a volervi bene e che siate sempre felici, anche se non riuscirò mai a comprendere il modo con cui vivrete. Voi sarete sempre troppo lontani dal mio mondo, ma vi vorrò bene lo stesso!" poi si rivolse a Mauro "In questi giorni che abbiamo trascorso insieme, ho notato che avevi smesso di mangiare. Mauro, credo d'avere compreso parecchio di te." Niki si portò una mano alla bocca. Era sconvolto e comprendeva solo ora quanto terribili fossero stati i giorni che aveva fatto vivere al suo compagno. Il nonno era stato migliore osservatore di lui e aveva visto che Mauro si stava lasciando morire. Mentre lui, che diceva d'amarlo, era troppo impegnato a piangere per se stesso. Mauro aveva sempre freddo, perché era affamato. Il nonno continuò a parlare: "Mauro, vorrei che, in qualche modo, tu prendessi il posto di Stephan. Intendo nella nostra famiglia. Io spero che tu sia sempre come sei ora. Ne parlerò ai tuoi genitori alla prima occasione. Vorrei davvero che tu fossi mio nipote." Mauro era un poco frastornato da quel discorso e non poteva vedere Niki che era nascosto dal nonno. Non poteva scorgere la pena che era tornata negli occhi del suo innamorato. Pensava a quello che il nonno gli aveva appena detto: con quella specie di promessa il loro futuro forse sarebbe stato più facile. Avrebbero potuto vivere insieme con maggiore libertà. Significava che ci sarebbero state tante possibilità in più nel loro avvenire e che, soprattutto, il suo destino era, più che mai, connesso a quello di Niki. "Finché io vivrò, Mauro, la mia casa sarà anche tua. Voglio che tu ti consideri mio nipote, proprio come lo è Niki. Voglio che tu venga in America tutte le volte che vorrai e spero che tu possa ancora portare tutta la gioia che c'è in te a questo vecchio e alla sua famiglia. E ti prometto anche che cercherò d'ascoltare, senza addormentarmi, l'opera di cui mi hai parlato quel giorno!" Mauro gli sorrise: "Si, grazie... nonno. Io non ho quasi conosciuto i miei nonni e non immaginavo d'incontrarne uno a quindici anni, ma sono abbastanza giovane da abituarmi all'idea. E poi 'Lucia di Lammermoor' è un'opera stupenda: non te ne pentirai!" Niki non gli toglieva occhi di dosso. Doveva dirglielo. Voleva il suo perdono. L'aveva fatto soffrire: si odiò e si sarebbe preso a schiaffi se fosse stato solo. Si rese conto d'avere il fiato corto e gli occhi rossi per lo sforzo di non piangere. Cercò di controllarsi, anche per non inquietare la mamma. Aveva rischiato di perdere Mauro, di perderlo sul serio. Mauro stava morendo. Stettero ancora un poco tutti insieme, poi finalmente si ritirarono. Appena furono nella loro camera, Mauro andò a sedersi a gambe incrociate sul letto: "Credo che dovrò imparare l'inglese davvero bene: ho intenzione di frequentare l'università negli USA, se si verificheranno certe circostanze." "Mauro, è vero quello che ha detto il nonno?" Niki non l'aveva ascoltato, ma Mauro lo guardò senza rispondergli "Mauro, ti prego. È vero, che non hai più mangiato? Il nonno se n'è accorto e io no!" Niki corse ad inginocchiarsi davanti a lui "Perdonami, ti prego perdonami. Non lo farò più. Non ti farò mai più soffrire. Mai più ti farò piangere. Morirò piuttosto che vederti ancora soffrire. Io non l'avevo capito. Non meritavo che tu soffrissi per me. Davvero. Sono stato un egoista. Come sempre!" Niki parlava, piangeva e si disperava. Mauro scivolò per terra e gli si mise vicino per stringerlo, per baciarlo, per cercare di farlo tacere: "Basta, Niki, basta. Avevo capito che facevi così per Stephan. Poi però ho cominciato a credere che tu non mi volessi più bene, che ti fossi stancato di me e ho incominciato a pensare che fra noi era tutto finito. Ma ora sei tornato e questo è tutto. Solo questo è essenziale. Adesso m'importa solo che tu abbia deciso di vivere con il tuo dolore e che sia felice perché tua madre sta guarendo. Se poi sarai anche un poco contento perché io ti amo, questo sarà sufficiente perché anch'io continui a vivere." Niki era stupito: Mauro aveva capito di lui cose che gli erano ancora poco chiare. Aveva capito come era fatto dentro, in ogni piega del suo carattere. Aveva compreso che non avrebbe mai potuto dimenticare Stephan, che sarebbe vissuto con quel ricordo nel cuore, ma aveva anche capito che in quel cuore, accanto a Stephan, ci sarebbe sempre stato Mauro. Accettava tutto questo, per amore suo, per loro due. Ma era anche molto spaventato, perché aveva compreso che Mauro era in suo potere: ora sapeva che la vita e la morte del suo compagno dipendevano anche dalle sue azioni. Questa consapevolezza lo fece tremare e lo calmò solo l'idea che anche la sua vita era, allo stesso modo, riposta nelle mani e nel cuore, nel comportamento futuro di Mauro. Il loro abbraccio fu lungo. Si baciarono, seduti per terra, abbracciati. Niki non riusciva a trattenere le lacrime. Piangeva di dolore per Stephan e quella ferita non si sarebbe più rimarginata, ma piangeva anche di gioia per avere ritrovato Mauro e se stesso. E, in quella commozione, piangeva anche per tutte le pene che gli aveva procurato. Il suo compagno, il suo amante tentava di consolarlo, accarezzandogli i capelli, mormorandogli nelle orecchie quelle frasi d'amore che si sarebbe vergognato a riascoltare. Lo baciava sugli occhi, passando le labbra sulle guance solcate dalle lacrime per quello che era un pianto liberatorio e definitivo, perché forse dopo non ce ne sarebbero stati altri. Si era fatto tardi, anche se era la notte di capodanno. S'addormentarono esausti, così com'erano abbracciati, Niki che ancora piangeva, Mauro con la testa piegata sul petto. Non molto dopo Mauro si scosse e l'accarezzò dolcemente perché si svegliasse e finalmente continuassero a dormire nel letto. In silenzio indossarono i pigiami e si sistemarono insieme. Pareva che dovessero subito tornare a dormire, tanto erano stanchi, ma Niki fu improvvisamente sveglio: "Mauro, di quali circostanze parlavi? Cosa dovrà verificarsi perché tu venga a frequentare l'università negli Stati Uniti?" "Che ci venga anche tu, scemo!" Niki gli si strinse contro e si adattò al suo abbraccio. Mauro cominciò a baciarlo e Niki lo strinse di più. Quella notte fecero l'amore dolcemente, come sempre, come avevano imparato a fare. E infine s'addormentarono, sognando del loro futuro e fecero lo stesso sogno. 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