Date: Sun, 25 Nov 2012 20:20:30 +0100 From: solostran1978 Subject: Una vecchia conoscenza-1 Disclaimer: This story is fiction. All persons depicted are just names, all actions are fiction. It deals with sex between consenting consenting males. Any person under 18 or if you find this type of story offensive, or viewing this material is illegal where you are, then please do not read it ! [Adult Friends][Non-English] E' venerdì sera e tira un forte vento. Forse questa notte pioverà. Dai marciapiedi si sollevavano foglie e cartacce. Come al solito mi trovo in macchina, bloccato in una lunga colonna che lentamente prosegue e si arresta, su ordine di un semaforo che oggi ha deciso di non farmi rincasare. Al di là del marciapiede c'è il parco. Un luogo che di giorno è frequentato da chi porta a spasso il cane o da chi fa jogging e la sera si trasforma in un punto di ritrovo per gay. Ho sentito dire che spesso in quel luogo si organizzano incontri a pagamento. Getto lo sguardo al di là del muretto e vedo solo alberi e cespugli. Con questo tempo difficilmente la gente va in giro con il cane e comunque tra poco farà buio. Vedo un movimento tra i cespugli. La macchina davanti a me si rimette in moto. Distolgo un attimo lo sguardo dal parco e innesto la marcia. Dalla vegetazione spunta un ragazzo, sta correndo. Non lo vedo in volto perché indossa una felpa grigia con il cappuccio alzato. Incespica, si guarda dietro. Si rialza e senza badare alle macchine si getta nel traffico. Blocco di colpo per non investirlo. Appoggia le mani sul cofano e mi guarda spaventato. Lo guardo per qualche istante e lo riconosco subito. E' Matteo un mio vecchio compagno delle scuole medie. Lui non sembra riconoscermi. Forse attraverso il parabrezza non mi vede bene. Abbasso il vetro per chiedergli se sta bene. Questa volta mi riconosce. "Ciao..." Continua a guardare verso il parco. "Va tutto bene? Ti sei fatto male?" Lui non mi risponde subito, sembra che stia pensando ad altro. La macchia dietro di me inizia a suonare il clacson. Dal parco emergono tre ragazzi di colore dall'aspetto poco rassicurante. Lo stanno fissando. Senza rendermene conto dico : "Forse è meglio se sali." Non se lo fa ripetere, apre la portiera e si getta sul sedile di fianco. Riprendo la marcia. I tre ci seguono con lo sguardo. Supero il semaforo e svolto sul viale. Il parco ormai è lontano. Lui sta ansimando come se avesse corso per molto. Mentre guido gli getto un'occhiata. La sua felpa della Nike è macchiata e indossa un paio di jeans laceri che forse non vengono lavati da un mese. Ai piedi ha un paio di vecchie Adidas Gazzelle rovinate. Mi faccio l'idea che non se la passi molto bene. Inizia a piovigginare. Dopo un lungo silenzio mi chiede "Hai una sigaretta?" Cerco nella tasca del giaccone, tiro fuori il pacchetto di Marlboro e l'accendino. Lui con le mani che ancora gli tremano prende una sigaretta e l'accende. Abbassa il cappuccio. I suoi capelli biondi sono leggermente stopposi. Ora mi rendo conto che i suoi vestiti, non sono l'unica cosa che ultimamente non ha visto un sapone. Scarto l'ipotesi che volessero rapinarlo. "Scusa se te lo chiedo, ma cosa volevano quei tre?" Lui abbassa lo sguardo: "Volevano i soldi." Continuo a guidare. Lui finisce la sigaretta e poco dopo ne accende un'altra. Guarda il mio accendino d'oro e dice : "Bello questo, chissà quanto l'hai pagato." Non rispondo. È ancora molto scosso. Io senza pensarci mi sto dirigendo verso casa, ad un certo punto gli chiedo: "Dove ti porto?" Lui non risponde. Continua a fissare l'accendino. Dopo un po' dice : "Non lo so.. se vuoi puoi lasciarmi vicino alla stazione." Il suo imbarazzo è evidente. "Ascolta.. per me non c'è problema, posso anche riportarti a casa." Lui mi guarda, per la prima volta negli occhi e dice : "Non ho una casa... vivo per strada. Prima stavo in un appartamento con i tre che hai visto, ma ora non penso di poterci tornare..." Mi colpisce la sua schiettezza. La mia vita è fatta di lavoro, cene e aperitivi in locali alla moda con persone che fanno di tutto per apparire più di quello che sono. Fuggono la miseria come se fosse un male infettivo. Non amo molto questo modo di essere, ma con il passar del tempo ci ho fatto l'abitudine. A un tratto tutto mi è chiaro. "Non eri nel parco per una passeggiata." Lui non risponde, entrambi sappiamo che non serve farlo. "Senti se vuoi ti posso portare dai tuoi..." Lui quasi ride. È un riso pieno di amarezza. "Da quando gli ho detto di essere gay, non vogliono più saperne di me." Non so cosa rispondere. L'unica cosa che so dire è "Se vuoi per questa notte puoi stare da me, domani vedremo." Lui accetta senza fare complimenti. Mi pento quasi subito. Poi mi rendo conto che forse non sono diverso da quelli che tanto disprezzo. Capisco che a mettermi a disagio è la sua miseria e la condizione disperata nella quale si trova. Arrivo a casa, parcheggio la macchina nel box sotterraneo e prendo la mia valigetta. Lui scende dalla macchina, cammina con le spalle curve. Chiamo l'ascensore e mentre lo aspettiamo mi chiede "E tu? Cosa fai?" "Mi sono laureato, ho seguito un Master e ora lavoro in una società di consulenza." Arriviamo nel mio appartamento. Appoggio la borsa e mi tolgo il giaccone. "Vuoi qualcosa da bere?" "No grazie, però avrei bisogno del bagno." Gli mostro il bagno. Nel frattempo mi tolgo giacca e cravatta e prendo due birre dal frigorifero. Dopo un po' torna. "Ora ti faccio vedere dove puoi dormire." Gli mostro la camera che di solito uso come palestra, nella quale c'è un letto ed un armadio. Lui guarda gli attrezzi. "Quando non ho voglia di andare in palestra mi alleno qui." Si toglie la felpa. Sotto non indossa nulla. Mi chiedo come faccia con il freddo che fa in questo periodo. Si stende sulla panca e prende il bilanciere. "Però pesa..." Io non lo sto più ascoltando. Il suo fisico é come me lo ricordavo. Due ampi pettorali non gonfi, ma incredibilmente definiti. A differenza di quando eravamo più giovani ora ha un motivo etnico tatuato sul pettorale e la spalla sinistra. Sotto la pelle sottilissima vedo gli addominali, coperti da una leggera peluria che diventa più fitta verso il pube. I muscoli delle braccia e delle spalle si gonfiano, mentre traffica con il bilanciere. "Vedo che anche tu ti sei tenuto in forma..." Senza interrompere l'esercizio mi risponde. "Il corpo é l'unica cosa che mi fa mangiare... ho un amico che ha una palestra.. ogni tanto mi fa andare senza pagare." Ancora una volta mi colpisce la sua schiettezza. Lo lascio nella stanza e vado a cambiarmi. Mi spoglio e indosso una tuta di cotone pesante. Mentre lo faccio mi guardo allo specchio. Nonostante i miei ventisette anni sono in forma. Le cene e gli aperitivi non hanno lasciato molte tracce. Pensando a lui nell'altra stanza inizio ad eccitarmi. Torno da lui e vedo che sta ancora facendo esercizio. Mi siedo sul letto. Non posso fare a meno di guardarlo. Lui forse se ne accorge e sorride. Mi pare di notare una certa lascivia. Sento il sesso che inizia ad ingrossarsi. Cercando di distogliere la sua attenzione gli chiedo se ha fame. Prendo il telefono e chiamo la pizzeria d'asporto vicino a casa. Ordino due pizze. Dopo un po' non riesce più a sollevare il bilanciere, mi alzo e lo aiuto a rimetterlo sui sostegni. Ora la mia erezione è vistosa. Come in macchina non c'è bisogno di dire nulla. Si alza e si avvicina. Dio quel corpo da sogno a pochi centimetri da me. Vedo le mie mani posarsi sulle sue spalle. Avvicino il volto al suo ed inalo il suo odore. Un misto di sporcizia, sudore e mascolinità. La mia bocca si chiude sul suo collo e assaporo il sudore salato. Senza staccare la bocca dalla sua pelle scendo verso i pettorali. Quante volte ho sognato di farlo. Lecco il sudore tra i pettorali. Lui rimane immobile. La mia bocca trova il capezzolo, inizio a succhiarlo. Le mani scendono lungo la schiena. I suoi muscoli guizzano sotto la pelle. Quando arrivo all'altezza degli addominali. La mano scivola sul ventre piatto e finisce sotto i jeans. Non porta le mutande. Sento suonare il citofono. Mi stacco da lui e vado a rispondere. Dopo poco arriva il ragazzo delle pizze, lo pago e se ne va.