Date: Tue, 25 Feb 2014 22:17:27 +0100 From: timkruger@infinito.it Subject: Casa di correzione Arrivai nella Casa di Correzione una sera tardi, trasportato da un furgoncino dei Carabinieri. Pensavo che mi avrebbero subito messo a dormire, ma mi sbagliai. Venni subito messo al corrente, in modo diretto, di come andavano le cose lì dentro. Affidato al caporeparto, questi per prima cosa mi portò in una stanza e mi fece spogliare, completamente nudo. Pensavo si trattasse di indossare una divisa, invece il caporeparto mi ordinò di inginocchiarmi davanti a lui, che si era piazzato a gambe larghe, e si tirò fuori il cazzo. "Su, fammelo tirare, svelto" Avvampai. Siccome esitavo non sapendo cosa fare quello mi mollò due sonori ceffoni dicendo: "Tu non sai come posso renderti la vita difficile qui dentro, se non ti metti in testa che con me puoi solo obbedire. Avanti, stronzo, datti da fare." Glielo presi con le mani e cominciai timidamente a muoverlo. Mi arrivarono altri due ceffoni. Le guance mi bruciavano e cominciai a lacrimare. "Con la bocca, bastardo!" Intanto gli si stava drizzando e vidi di fronte a me un cazzo di almeno 20 cm. Cominciai a leccargli le palle. Sentivo che non avrei potuto fare diversamente, che una volta giunto in quel luogo non potevo fare altro che seguirne le regole, e mentre pensavo così continuai a leccare risalendo l'asta sempre più verso l'alto. Il caporeparto ansimava e mi passava le dita fra i capelli, più dolcemente, questa volta. "Sì, così mi piace. Ci sai fare di lingua! Continua così, non prenderlo in bocca, fai solo di lingua ma sali, insisti sul filetto." Stavo passando la mia grande lingua completamente dilatata nel punto in cui la cappella si innesta sul fusto. Sentivo che lo stavo facendo godere e questo cominciava a scaldarmi. Avevo ancora le lacrime agli occhi e il cuore in gola, ma mi stavo impegnando. "Insisti così, dai, dai, così, ancora!... Dai... Ah!!! » Di botto spruzzò un getto di sborra, che mi arrivò dritto in faccia. Mi ritrassi istintivamente, ma mi arrivò un altro sonoro ceffone, accompagnato da: "Cazzo fai?! Qui devi stare!!" E con una mano mi tenne ferma la testa mentre finiva di sborrarmi sulla fronte e sui capelli. Poi si richiuse l'uccello nei pantaloni. Constatò che avevo un'erezione e commentò: "Adesso vedi come te la fanno passare quella, i tuoi compagni di stanza. Andrai di là subito." Mi fece rialzare e, afferratomi un bracciò, mi strattonò nel corridoio fino ad arrivare a uno stanzone dormitorio dove tutti, apparentemente, stavano dormendo. Mi lasciò lì, nudo e con la faccia impastrata di sborra, davanti al mio nuovo letto, dicendo solo: "Per stanotte dormirai nudo. Tanto il pigiama non ti servirebbe" Appena ebbe richiuso la porta dietro di sé e dato quattro mandate alla serratura, i nove ragazzi drizzarono la testa e mi guardarono. Tutti, tranne uno, il più grande, cominciarono a masturbarsi sotto le lenzuola. In breve e senza preamboli mi fu spiegato che la prima notte il novizio deve prendere in culo tutti i cazzi della camerata. "Sparati una sega e con la tua sborra ungiti il culo, se vuoi, ma fai svelto." Fui preso dallo sconforto. Non sarei mai riuscito a masturbarmi di fronte a tutti. L'unica cosa che riuscii a fare fu di raccogliere un po' di saliva nel palmo della mano e a spalmarmela sul buco del culo. Poi appoggiai il cazzo contro il bordo del letto e mi piegai in avanti, abbandonando il busto sul letto e reggendomi alla rete con le mani. Speravo almeno di riuscire a strusciarmelo un po' contro le lenzuola mentre mi avrebbero inculato. Mentre prendevo i nove cazzi uno dopo l'altro, sentendomi sempre più pieno di sborra, pensavo a cosa mi sarebbe sucesso poi, a quali sarebbero state le leggi da seguire nei giorni successivi, in quel luogo dove l'unico scopo sembrava, almeno per il momento, quello di godere. Il quinto entrò scivolando in un colpo solo su tutta la sborra ancora calda che mi riempiva il culo, e penetrandomi la fece fuoriuscire e colare sull'interno delle mie cosce. E così i successivi continuarono a farmi colare sborra sulle gambe. Si succedevano con una rapidità che non mi sarei aspettato. Non davano grandi spinte, e venivano quasi subito. Evidentemente il rito li eccitava molto. Alla fine mi ritrovai con il buco del culo bruciante e fradicio e tutte le gambe piene di sborra. Non osavo alzarmi e restai in posizione per un po', mentre tutti se ne tornavano a letto. Quando fui sicuro di poterlo fare, mi tirai su e mi infilai sotto le lenzuola, senza pensare a ripulirmi. A quel punto volevo solo una cosa: venire. Mentre mi masturbavo ripensavo a tutti quei cazzi che avevo preso, ma soprattutto a quello del caporeparto, perché non ne avevo mai visti di così grossi e belli. Sentinvo che mi sarei presto abituato alle regole di quel posto. Venni velocemente e subito piombai in un sonno profondo Mi svegliai perché qualcosa di turgido e liscio si stava strofinando sulle mie labbra. Aprii gli occhi e vidi che si trattava di un glande lucido e ovale, che sormontava un fallo tozzo e nodoso. Alzando la testa vidi che era il più grande dei miei compagni. Sorridendo disse: «Io sono Giovanni, e fra di noi comando io. I miei protetti sono Alfredo, Nicola e Piero » (e me li presentava indicandomeli). «Gli altri sono feccia, e li chiamiamo "scopini". » In effetti aveva scelto bene, perché Alfredo e Nicola avevano bei corpi muscolosi e bei volti (soprattutto Alfredo, che mi guardava con due occhi nerissimi sotto i quali aveva un naso piccolo e dritto e labbra carnose) e Piero sfoggiava (era in mutande) un pacco da adulto. "A te", aggiunse, "yorrei chiamarti per nome. Come ti chiami?" Avevo appena aperto la bocca e pronunciato il mio nome, Fulvio, che Giovanni introdusse la sua soda cappella. «Ok, Fulvio, vediamo come ciucci. Di culo sei giusto. Se di bocca fai altrettanto entrerai a far parte del mio harem. » Ormai avevo capito che lì dentro era meglio dimenticarsi ogni ritegno, e mi lasciai andare a un pompino veramente puttanesco, sbavando su quel cazzo come se non aspettassi altro da mesi. Nel frattempo mi era venuto duro, e, pensando non ci fossero problemi, me lo impugnai con decisione e presi a menarmelo mentre ciucciavo. Giovanni aveva chiuso gli occhi e abbandonato la testa all'indietro, ma fu Alfredo che si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio: «Sei pazzo? Togli subito quella mano dal tuo cazzo! Tu non hai il diritto di toccarti! Solo Giovanni te lo può concedere! » e mi strappò la mano dal cazzo, che però, proprio in quel momento, cominciava a eruttare getti di sperma. Giovanni, che non era ancora venuto, si accorse di quanto era accaduto, e mi guardò imbestialito, estraendo il suo cazzo dalla mia bocca. "Alzi già la cresta eh? Hai osato venire prima di me e senza il mio permesso!" "Ma io non sapevo..." balbettai. "Sta zitto, adesso, bastardo. Ti prendo con me perché ciucci troppo bene, ma evidentemente hai bisogno di un po' di addestramento." Finì di masturbarsi con quattro manate possenti e mi venne, apposta, sulla faccia. Poi prese una cordicella di cuoio e con quella mi legò stretto alla base di cazzo e palle. "Questa la terrai finché lo deciderò io, e non dovrai assolutamente toccarti il cazzo senza il mio permesso. Chiaro? Se ti pesco a farti una sega ti spacco il culo." Abbassai la testa in segno di assenso. Quel laccio che mi aveva messo manteneva il mio cazzo in erezione. Era molto stretto. Mi sentivo marchiato, prescelto ma anche umiliato: tutti avevano assistito a quella scena. Nei giorni successivi imparai i lavoretti che ci facevano fare: intrecciare cestini di vimini, impagliare sedie e così via. Nel laboratorio c'era sempre silenzio. Due nerboruti sorveglianti, muniti di stecca, controllavano che non perdessimo tempo e facevano osservare una disciplina ferrea. Al mattino bisognava farsi una doccia (fredda) nel bagno comune. Si entrava già spogliati nel bagno. Ebbi così modo di ammirare il cazzo di Piero, In semi-erezione era già grosso il doppio del mio. Anche Giovanni era messo bene. Dopo le docce, la corda di cuoio che mi aveva legato Giovanni tendeva a stringersi leggermente, e ogni giorno mi sembrava più stretta. Mi provocava, a volte, erezioni improvvise, e rendeva difficoltoso il pisciare. Spesso dovevo tornare ai cessi più volte per finire di farla. Quel legaccio, in un certo senso, mi obbligava a non scordarmi mai di avere un cazzo, e inoltre mi ricordava costantemente di essere diventato una "proprietà " di Giovanni. Dopo quattro giorni cominciò a montarmi una voglia decisa. Mi ritrovai con il cazzo duro e dolorante (perché la corda stringeva) sia sotto le docce (guardando gli altri mi eccitavo) sia durante le ore di laboratorio. Uno dei sorveglianti, a un certo punto, mi venne vicino e, indicando con la stecca il grosso bozzo che mi si era formato gonfiando i pantaloni della divisa da lavoro, mi chiese spiegazioni. Risposi che non potevo farci nulla. Incuriosito dalla mia risposta, prese a stuzzicarmi, mentre tutti gli altri facevano finta di niente e il suo collega guardava da lontano la scena tenendosi una mano sulla patta. Cominciò a premere con la punta della stecca sul mio pacco rigonfio, che reagiva ingrossandosi ancora di più, procurandomi dolore alla base del cazzo. "E' qui che ti piace, eh?" diceva. Ero paralizzato dal piacere e dalla paura insieme. Sapevo che ogni mio cenno di ribellione avrebbe dato luogo a qualche punizione severa. Quando allungò una mano e mi strinse decisamente il cazzo attraverso i pantaloni, dicendomi che lui avrebbe saputo come farmela passare, tutta quella voglia, Giovanni saltò su e andò a piazzarglisi davanti, sfidandolo con lo sguardo. Per un intero minuto, durante il quale tutti tenevano sospeso il fiato, i due si scrutarono dritto negli occhi, poi il sorvegliante mollò la presa scuotendo la testa. «Ah!, Ti sei già conquistato il capetto! » disse, e andò a piazzarsi vicino al collega, continuando a guardare Giovanni e giocherellando con la stecca. Quella notte faticavo a prendere sonno. Mi ritrovavo sempre con il cazzo in tiro, la corda sempre più stretta, la voglia di toccarmelo che mi faceva tremare le mani. Poi venne Giovanni. Entrò nel mio letto, e mi spinse la testa sotto le lenzuola. Glielo presi in bocca che era ancora molle, ma ben presto mi ritrovai a ciucciare l'arnese che già ben conoscevo. Questa volta mi obbligò a ingoiare il suo sperma. Poi mi fece rimettere al suo fianco e, lentamente, snodò la corda di cuoio. Durante l'operazione, più volte sfiorava il mio cazzo, che era diventato sensibilissimo. Poi, mentre con una mano mi carezzava i capelli, con l'altra si divertì a farmi godere dandomi leggerissime carezze sul glande. In breve fui al massimo della mia erezione, la cappella paonazza e le palle gonfie di sperma. A quel punto prese a roteare dolcemente un dito sul frenulo, finché mi mandò in estasi e infine venni copiosamente con una violenta spinta iniziale, abbandonando la testa sulle sue spalle. Il mattino successivo notai che Alfredo e Nicola avevano delle facce contrariate, musi lunghi. Rispondevano a monosillabi qualsiasi cosa gli si chiedesse. Giovanni non sembrava dargli molto peso. Liberato dal laccio di cuoio, assaporai con più gusto il piacere della doccia, e contemplai in particolare il cazzo di Piero, che si accorse di come lo guardavo. Mentre ci recavamo in laboratorio, vidi che Alfredo e Nicola entravano nella porta dell'ufficio del caporeparto. La mia fantasia si mise subito in moto, ma poco dopo li vidi arrivare in laboratorio e mettersi subito al lavoro, con facce più distese. Non avevano avuto, pensavo, il tempo di fare nulla, ma restava il mistero di cosa fossero andati a fare. L'enigma mi fu chiarito dopo una settimana. Nel frattempo Giovanni aveva preso l'abitudine di infilarsi nel mio letto ogni sera. Si faceva fare un pompino e mi ripagava masturbandomi con dolcezza. La notte fatidica accadde questo. Giovanni era nel mio letto e io, sotto le lenzuola, gli stavo ciucciando il cazzo con passione. Ormai ci avevo preso gusto ed ero diventato un vero esperto. Giovanni mugolava di piacere, e io temevo che questo nostro commercio potesse disturbare gli altri. Per quanto avvezzi a ogni genere di licenze, era pur vero che dormivano, e il loro sonno poteva essere infranto da tutto quel chiasso. Ma proprio mentre il cazzo di Giovanni si stava inturgidendo maggiormente, segnalandomi un'imminente fuoriuscita di sperma, sentii dei passi rapidi avvicinarsi a noi. Il lenzuolo fu violentemente scoperchiato, e vidi la luce di una torcia puntata su di noi. «Ãˆ questo che fate, invece di dormire!! » Era la voce del caporeparto. «Venite immediatamente nel mio ufficio. » Ci alzammo, impauriti, e lo seguimmo, dopo esserci infilati un paio di mutande. Nell'ufficio, prima chiuse a chiave la porta, poi andò ad appoggiarsi alla scrivania. In piedi, di fronte a lui, avevamo ancora i cazzi in erezione, che premevano contro la stoffa delle mutande. «Voi due sembrate avere sempre una gran voglia, a quanto mi dicono. » «Chi, chi le ha detto questo? » disse Giovanni. Il caporeparto non rispose, ma io sapevo chi era stato. «Ebbene » riprese «vediamo cosa sapete fare. » e intanto si tirava fuori dai pantaloni il fallo enorme che già conoscevo. Io mi stavo già per inginocchiare ai suoi piedi, ma Giovanni mi trattenne, e si irrigidì in posizione difensiva. «Questa volta, piccolo stronzo, farai quello che voglio » disse il caporeparto rivolto a Giovanni, e tirò fuori da un cassetto una lunga cinghia di cuoio, con la quale iniziò a frustarlo. Vibrava i suoi colpi sul petto di Giovanni, che stoicamente resisteva senza fiatare. Ogni colpo lasciava una striscia rossa sulla sua pelle. «Vuoi fare il duro, ma non sai con chi hai a che fare » disse il caporeparto, che andava eccitandosi sempre più, mostrando un cazzo ancora più grosso di come lo ricordavo. Prese a frustare Giovanni sul basso ventre. Io tremavo e mi ero appiattato contro una parete. Vidi che il cazzo dritto di Giovanni, sotto le mutande, veniva colpito ripetutamente. Ma fu quando le cinghiate cominciarono a lambire le sue palle, che diede i primi segni di cedimento. Il caporeparto, con l'uccello svettante fuori dai calzoni (che non si era tolto), capì che la manovra giusta era colpire in mezzo alle gambe dal basso verso l'alto in modo che i coglioni di Giovanni venissero presi in pieno. A ogni colpo, adesso, Giovanni gemeva e tutto il suo corpo sussultava. Alla settima frustata sulle palle Giovanni, piangendo silenziosamente, crollò sulle ginocchia. Vidi la sua faccia, a pezzi, rigata di lacrime. Il caporeparto gli avvicinò il cazzo alla bocca. «Sai quello che devi fare, stronzo. Su, vai giù di lingua. » Giovanni, prostrato, cominciò a leccarglielo. «Vieni qui anche tu, puttanella » Mi avvicinai. Le nostre due lingue presero a percorrere in su e in giù quell'arnese gigantesco. Afferrate le nostre teste per i capelli, il caporeparto ci pilotava e ansimava di piacere. Credevo che sarebbe venuto così, ma mi sbagliavo. Con gesti decisi, a un certo punto, afferrò Giovanni e lo spinse contro la scrivania. Gli tirò giù le mutande e gli puntò il cazzo contro il buco del culo. «Apri, stronzo! » Evidentemente Giovanni stringeva il più possibile per non farsi inculare. «Credi ancora di potermi resistere? » Prese a frustarlo sul culo selvaggiamente. A un certo punto Giovanni crollò. Le gambe gli si afflosciarono e cadde a terra svenuto. Il caporeparto lo spostò da un lato con un piede e mi ordinò di mettermi in posizione. Ebbi l'accortezza di lubrificarmi il culo con po' di saliva prima di sottopormi a un'inculata che sapevo sarebbe stata rabbiosa. Me lo spinse dentro con una violenza tale che spostò tutta la scrivania. Sentivo la sua mazza premere contro le pareti del retto. Ero impalato, quasi sollevato. Venne dopo solo quattro spinte, bestemmiando e bisbigliandomi sconcezze dentro un orecchio, evidentemente troppo eccitato da quanto era successo. Alla fine mi disse di portare Giovanni a letto e di non provare a raccontare a nessuno quello che avevamo fatto, se ci tenevo a restare vivo. «A far fuori uno come te non mi ci vuole niente, capito? », mi disse mentre trascinavo Giovanni, ancora privo di sensi, in dormitorio. L'indomani Giovanni venne portato in infermeria. Pensavo che sarebbe tornato dopo poco, invece niente. Cominciai a preoccuparmi. A sera non c'era ancora, e nessuno ci disse niente su di lui. Mi coricai e sentii profondamente la sua mancanza. Dopo poco mi venne un sospetto. Mi alzai e mi diressi furtivamente verso l'infermeria. La porta era chiusa, ma si sentivano dei rumori e la luce era accesa. Guardai dal buco della serratura e vidi questa scena. Giovanni era completamente nudo e imbavagliato, legato con strisce di stoffa bianca a un lettino, e lo stava prendendo in culo dal medico, un uomo sui quaranta molto peloso. Il caporeparto era accanto, e attendeva che tornasse il suo turno. Si teneva il cazzo in mano, e guardava avidamente il culo di Giovanni. Evidentemente se lo erano fatti a turno per tutta la giornata, e non avevano ancora finito. Guardando, mi venne duro. Stavo per cominciare a toccarmelo, ma sentii un'altra mano, non la mia, che me lo prendeva. Mi voltai: Piero era dietro di me. Tenendomelo sempre stretto attraverso la stoffa delle mutande, e paralizzandomi in quella morsa di piacere, tirò giù l'elastico denundandomi il culo, appoggiò al mio buco la punta del suo cazzo eretto, e cominciò lentamente a spingere. L'idea di prendermi dentro la mazza di Piero, meravigliosa, lucida e dritta, mi fece drizzare ancor più il cazzo, e, sentendomi ormai completamente perso e asservito solo al piacere, tornai a guardare dal buco della serratura. Il medico stava estraendo il suo arnese, e prima che il caporeparto tornasse a infilare il suo potei osservare il buco del culo di Giovanni, dilatatissimo, nero e tondo, dal quale colava lentamente sperma. Venni mentre osservavo le violenta penetrazione del caporeparto (imbestialito, un vero animale da monta), e contemporaneamente Piero affondava inesorabile nel mio culo bisbigliandomi all'orecchio che ero meglio di una troia. Venni ancora, dopo poco, quando tornato in camerata vidi Alfredo e Nicola che, finalmente liberi dal controllo di Giovanni, sfogavano la loro voglia repressa (dopo la mia venuta Giovanni li aveva tenuti in astinenza) in un frenetico 69: guardando le loro bocche avide di cazzo non potei fare a meno di prendermelo in mano, e scaricai sui loro corpi muscolosi e soffici. Dopo qualche mese la Casa di Correzione fu chiusa. Giovanni era morto in seguito a un'emorragia interna, e un suo zio aveva denunciato l'accaduto alla magistratura, che aveva aperto un'inchiesta. Piero e io fummo trasferiti al sud, Alfredo e Nicola al nord. Il caporeparto venne incarcerato per quattro anni, durante i quali fu sverginato e reso avvezzo alle gioie della passività dai suoi compagni di cella, che riuscirono in tal modo ad ammorbidirne il carattere imperioso e animalesco. fine