Date: Tue, 2 Nov 2010 18:38:52 +0100 From: Lenny Bruce Subject: Alto e Taciturno DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Alto e taciturno Giuseppe era alto, magro e scuro di pelle. I suoi modi erano molto sbrigativi e soprattutto appariva poco incline alla conversazione. Quella sua caratteristica balzava subito agli occhi, anzi alle orecchie, perché la sua voce si udiva solo in rari momenti. Mario, invece, di pelle chiara e piacevolmente rotondo, era un gran parlatore. Forse si erano piaciuti per questo, essendo Giuseppe, evidentemente, un buon ascoltatore. Erano amici, più o meno intimi, a seconda che per Giuseppe avesse una qualche importanza quello che Mario diceva. L’argomento di quei giorni in effetti pareva interessarlo oltre ogni dire. Qualche sera prima Mario, su suggerimento del fratello maggiore e, seguendo le sue istruzioni, si era masturbato per la prima volta, ottenendo il suo primo orgasmo e assistendo estasiato all’emissione di alcune gocce di sperma. Anche Giuseppe l’aveva fatto, seguendo i suggerimenti di Mario e il risultato gli aveva strappato perfino alcune frasi complete, tutte di meraviglia e di contentezza. Ora avevano quasi deciso. Anzi, Mario aveva deciso e Giuseppe aveva solo emesso un grugnito, forse, di approvazione, che l’avrebbero fatto insieme. Per Mario era stato naturale che, appena fatta la scoperta, si fosse rivolto all’amico per esporgli i propri dubbi, le proprie opinioni e le molte idee che già aveva per aumentare il divertimento. Giuseppe non si era in alcun modo espresso sull’argomento, lasciandosi trascinare, tirare e spingere. Era primavera e, quasi ogni pomeriggio, se i compiti lo permettevano, buona parte della classe se ne andava a giocare a pallone in uno spiazzo fuori città, quasi in campagna. Quel giorno, come sempre, la partita li assorbì per un paio d’ore, poi Mario e Giuseppe sgattaiolarono oltre un muretto e, seguendo una stradina di campagna, arrivarono in un avvallamento del terreno, una specie d’anfiteatro disseminato di rocce dietro cui era facile nascondersi. Il campo profumava d’erba e di fiori e l’aria s'intiepidiva ogni giorno. Mario, che era di natura molto romantica e addirittura passionale, anche se non lo sapeva ancora, prese Giuseppe per mano e si avviò lungo la stradina, sentendo dentro di sé una dolcezza nuova che avrebbe riversato sul compagno se questo fosse stato più recettivo. Invece, quello si fermò subito dietro il primo masso, per nascondersi agli sguardi di chi poteva passare e, senza molti preamboli o preliminari, toccò il davanti dei pantaloni di Mario, per cercare nell’amico l’eccitazione che già sentiva su di sé. Giuseppe faceva tutto nel più assoluto silenzio, com’era nella sua natura, senza mai guardare Mario negli occhi. Si muoveva con l’aria di chi, facendo un massaggio, cercasse d'alleviare il dolore dovuto ad un crampo. L’eccitazione del momento, del luogo, di ciò che stavano facendo era forte e le mani di entrambi subito corsero a cercare la pelle nuda. Si erano sbottonati i pantaloni che erano anche un po’ scivolati verso il basso. Le mani erano negli slip e stringevano saldamente l’uccello dell’altro. Mario a carezzarlo, Giuseppe a stringerlo in un silenzioso, quasi doloroso, massaggio. “Fammelo vedere…” mormorò Mario, ma Giuseppe, si sottrasse “Vuoi vedere prima il mio?” riprovò Mario che voleva qualcosa da ricordare per le seghe future. Un mugugno che forse era un si e Mario si allontanò un poco per consentire a Giuseppe di tirarglielo fuori. L’aria frasca lo colpì sulla cappella facendolo rabbrividire. Giuseppe guardò incuriosito quello che aveva tirato fuori, ma non un suono uscì dalle sue labbra. Si spostò leggermente indietro e toccò a Mario mettere alla luce l’uccello di Giuseppe, estraendolo delle brache. E meraviglia delle meraviglie, apparve un coso dritto e lungo, nero e scuro, anche più della pelle di Giuseppe. Mario lo scappellò completamente, facendo gemere l’amico che gli si sottrasse per un attimo. “Scusa… ti ho fatto male?” chiese e quello senza rispondergli gli si riavvicinò e Mario riprese a menarglielo, contento che tutto fosse a posto. Erano eccitati. Sapevano di stare per venire. L’orgasmo era dietro l’angolo. Ancora un paio di botte e i due uccelli avrebbero eruttato insieme. Se si è amici di gode insieme, pensò Mario. Come fulminato dall’idea, mentre già sentiva le gambe piegarglisi dall’eccitazione. Cercò lo sguardo di Giuseppe, perché voleva comunicargli l’idea, la sensazione di tutto ciò. Ma Giuseppe sfuggì lo sguardo. Lui ci riprovò e quello chiuse gli occhi. La cosa intristì Mario fin quasi a farlo piangere. L’aria, un refolo di vento, gli portò il profumo dei fiori. Mentre sentiva le mani di Giuseppe esploragli il corpo, lasciò perdere l’uccello del compagno e gli sollevò a forza la testa, sempre caparbiamente abbassata. Desiderava soltanto di guardarlo negli occhi. Quando lo fece, un’altra urgenza si impose: avvicinò la bocca, quasi per baciarlo. Fu allora che Giuseppe reagì, dandogli una spinta per allontanarlo sa sé. Poi scappò senza dire una parola, neanche di disappunto, lasciandolo con i pantaloni per metà abbassati, il cazzo duro e gli occhi lucidi per la pena che provava. Questo segnò la fine della loro relazione ed anche della loro amicizia. FINE lennybruce55@gmail.com