Date: Tue, 12 Apr 2011 18:28:00 +0200 From: Lenny Bruce Subject: L'Estate di Lorenzo - 2nd installment DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Parte prima -- La prima estate di Lorenzo Capitolo primo -- Raffaele Quell'estate non fui per niente furbo. Del sesso conoscevo tutto, ma solo da un punto di vista anatomico, tecnico. Mi facevo le seghe, ma quello che mi accadde fu al di fuori delle mie conoscenze scientifiche del momento. Subito dopo corsi a studiare Freud e Jung, entro la fine di novembre avevo capito come e perché era accaduto tutto. Forse capii anche troppo, ma a giugno ero del tutto imbranato e non pensai mai a me stesso come ad un omosessuale, anche se lo fui nel modo più completo ed inequivocabile. In quei giorni non feci molti pensieri e quelle poche volte in cui riuscii a fermarmi immaginai che quello fosse un periodo particolare della mia vita, la sperimentazione, una serie di riti di passaggio, quella fase che tutti attraversano, ma di cui nessuno parla. Quello che accadde quell'estate, però, mi piacque talmente tanto che m'imbarazza ancora pensare e rifletterci ora che è passato tanto tempo, ho già diciotto anni, sono un uomo, so di essere omosessuale e l'ho pure accettato. Con gli amici non si parlava di sesso, a scuola non si parlava di sesso, in biblioteca non c'erano libri che ne parlavano, perciò non avevo potuto documentarmi come facevo per qualunque altro argomento che suscitava la mia curiosità. Ho sempre avuto libero accesso alla biblioteca della mia città, ho letto buona parte dei libri conservati, ma non si può cercare qualcosa se non si sa che esiste e in quel mese di giugno io non sapevo dell'esistenza del sesso, del problema sesso, dell'impatto che lo sviluppo fisico può avere su un adolescente, su un quattordicenne, su di me. Fra noi parlavamo di sport, cioè di calcio, facevamo casino sempre e dovunque e ridevamo tanto. Guardavamo ogni forma vivente di sesso femminile, ma le seghe le facevamo a casa, da soli, chiusi nel bagno e non andavamo certo a raccontarlo in giro, se non per vantarcene. "Ieri sera ho fatto mezzo litro di sborra!" "Io un litro!" "Mi sono fatto sette seghe" e questo poteva anche essere vero. Cose così. Erano i più sfacciati ed io non ero tra questi, anche se ero un buon ascoltatore. Confrontavo le spacconate, le analizzavo, le memorizzavo. Forse altri ragazzi a quattordici anni erano più smaliziati. Io non lo ero. La prima vera avventura della mia vita, a parte quella della conoscenza, dello scibile, della scoperta di argomenti nuovi, la prima avventura è stata la mia storia speciale con Raffaele che aveva sedici anni, ne dimostrava un paio in più ed era il caposquadriglia delle Aquile del reparto Scout della mia città. Raffaele aveva già i peli sulle braccia, un'ombra di baffi sul labbro superiore e una voce profonda, tonante. O almeno così sembrava a me. Aveva anche un odore forte, diverso dal nostro. Era muschiato, più caratteristico degli uomini, dei maschi insomma. E a me piacque subito. Erano anni che i miei amici cercavano di farmi entrare negli scout, ma non ci erano mai riusciti. Loro si divertivano tanto, dicevano, io invece trascorrevo il tempo leggendo e studiando cose che loro non comprendevano. Proprio dopo la fine della scuola, all'inizio di quell'estate, mi lasciai convincere, sapevo del campeggio, di poter trascorrere le notti in tenda con gli amici. Ero certo che sarebbe stato divertente, certamente una buona occasione per combinarne qualcuna delle nostre, ma sapevo anche che i miei genitori non avrebbero potuto affrontare le spese necessarie per farmi andare, per acquistare l'attrezzatura e la divisa. Poi venne fuori che il fratello di Carlo, un mio compagno di scuola, aveva un'attrezzatura completa che non usava più e una divisa che mia madre avrebbe potuto adattarmi, che negli scout ogni anno qualcuno più bisognoso andava gratis al campeggio e che non si sarebbe mai saputo che il gesto di carità era nei miei confronti, perciò mi feci avanti e in meno che non si dica ero membro, novizio, della squadriglia delle Aquile, dove trovai i miei due compagni di giochi e malefatte e questo Raffaele che era il nostro caposquadriglia. Negli scout la squadriglia è un gruppo di sette, otto ragazzi, mentre il reparto degli scout è in genere formato da quattro, cinque squadriglie ed è guidato da adulti. La squadriglia delle Aquile consisteva, oltre Raffaele, Carlo e Guglielmo, che erano i miei due amici più cari, di altri tre ragazzini più piccoli che non conoscevo e nel vice caposquadriglia che era Alberto, quindicenne. Fin dalla prima sera, dal momento in cui il capo reparto mi accompagnò da lui, Raffaele sembrò interessarsi a me. Si liberò velocemente degli altri, lasciandoli a fare varie cose, già in preparazione del campeggio, mi prese sotto braccio e mi spinse verso quello che chiamò pomposamente il suo ufficio. In realtà la sede degli scout era situata all'ultimo piano del palazzo vescovile, di cui ovviamente conoscevo tutta la storia, ma non mi preoccupai di raccontarla a Raffaele, mentre mi tirava furiosamente verso il suo, diciamo, ufficio. Dopo la prima stanza quella più grande dove facevamo le riunioni di reparto, c'era un'infinità di camerette consecutive e lui mi spinse in fondo, dentro una specie di magazzino in cui erano custoditi le tende e gli attrezzi da lavoro, asce, zappe, pale della squadriglia delle Aquile. In un angolo c'era anche un piccolo scrittoio con dietro una sedia che lui andò subito a occupare. "Fermati qua e stai sull'attenti!" m'intimò, facendomi mettere davanti alla scrivania. L'avevo seguito come un cagnolino segue il padrone e ora ero un po' sorpreso, non sapevo che negli scout vigesse una disciplina così formale, di tipo militare. Dopotutto c'era appena stato il 1968 che aveva messo in discussione tra i giovani e i ragazzi abitudini e luoghi comuni, prima di tutto molti formalismi. Non sarò stato smaliziato per il sesso, ma ero informato su quello che accadeva nel mondo in quei giorni e la contestazione era ovunque, ordine e disciplina non erano tra le cose più popolari. Mettermi sull'attenti parve strano anche a me, quattordicenne di provincia. E poi, nella riunione di reparto mi era parso che tutti si comportassero in modo abbastanza informale. L'ordine di Raffaele, con la sua perentorietà, era comunque indiscutibile e inspiegabilmente lo trovai interessante, poi capii che ne ero stato affascinato, perciò lo eseguii. Da bravo ragazzo disciplinato, mi misi sull'attenti col petto in fuori e la pancia in dentro, come ci avevano insegnato a scuola, prima del sessantotto. Mentre mi osservava, dalla tasca tirò fuori un pacchetto di sigarette, erano Muratti, le stesse che fumava mio padre, quando poteva permettersi un pacchetto. Raffaele se ne accese una e cominciò a farmi domande su di me, sulla mia famiglia, le mie abitudini, gli amici, la scuola, tutte cose personali che non mi sarei aspettato fossero importanti per entrare egli scout, né che dovessi dire a uno che aveva quasi la mia età e che avevo appena conosciuto. Mi parve anche un po' strano, per il modo con cui era seduto, impettito, come un comandante militare. Parlava e teneva la sigaretta tra le dita. Mi guardava. Ero incuriosito e inaspettatamente qualcosa si mosse nel mio stomaco, oppure dovrei dire più giù, poco sopra le palle, se si capisce quello che intendo. Fino a quel giorno mi era diventato duro in un'infinità di occasioni, ma non ero mai riuscito a isolare un fatto, un'azione che avesse generato la mia reazione. In quel momento seppi che era diventato duro per come mi stava trattando Raffaele. E anche perché lui era bello, me ne accorsi sollevando timidamente gli occhi e guardandolo, ma prima di me se n'era accorto il mio uccello. Non avevo mai pensato di niente e di nessuno che fosse bello, collegando quell'idea all'indurimento del mio uccello. L'idea del bello mi era familiare, conoscevo già l'estetica di Kant, ma non l'avevo ancora collegata alle reazioni del mio uccello. Raffaele aveva un modo singolare di fumare, teneva la sigaretta tra le punte dell'indice e del medio, facendo profonde, esagerate tirate di fumo, seguite da altrettanto lunghe emissioni, direttamente sul mio viso. All'inizio mi venne un po' da ridere, pensando che stesse scherzando, ma lui era serio, non scherzava proprio. Continuò a stare diritto e a guardarmi negli occhi. Forse, pensai, stava cercando di scoprire quanto ci avrei messo a capire che era uno scherzo e cosa esattamente mi avrebbe fatto ridere. Ero certo che fosse così. Ma lui non stava ridendo, faceva le domande e si aspettava le risposte, come se gli fossero dovute. Mi aveva portato nella cambusa per intervistarmi sulla mia vita ed era un'esperienza radicalmente nuova per me che mi aveva indotto una strana, piacevole sensazione al basso ventre. Tutto però era ancora un mistero per l'ingenuo quattordicenne. A me, quell'attenzione supplementare ricevuta da Raffaele durante la prima riunione, piacque più di qualunque altra cosa e mi spinse a tornare la volta successiva. La grande sorpresa accadde alla fine del nostro secondo incontro, due giorni dopo. Raffaele mi disse, a me e solo a me, mi ordinò mi rimanere con lui, perché voleva che lo aiutassi a sistemare la cambusa e ripulire il materiale che avevamo utilizzato nelle precedenti riunioni. Ero orgoglioso e compiaciuto di avere conquistato la sua fiducia già allla seconda volta che mi vedeva. Ho detto che Raffaele era bello, aveva i capelli biondi, ondulati, con un ciuffo che gli ricadeva continuamente davanti agli occhi. Non faceva altro che ravviarsi i capelli bloccandoli dietro un orecchio, solo per farli ricadere un minuto più tardi. Sul labbro superiore esibiva un tentativo di baffi biondi. Quando apriva la bocca si vedevano i denti bianchi. L'incisivo centrale sinistro era leggermente scheggiato e questo, pensavo, rendeva il suo sorriso biricchino e affascinante. Era alto e vigoroso. Tra noi avevamo discusso di Raffaele e i miei amici che lo conoscevano da tempo, lo ritenevano arrogante, pieno di sé, tutto compreso nel suo ruolo di caposquadriglia, ma io pensavo di aver colto in lui qualcosa di più dolce e vulnerabile che mi piaceva. Questo non l'avevo detto ai miei amici. E non gli avevo detto che secondo me Raffaele aveva la faccia di uno studioso e anche per questo c'era qualcosa in lui che mi attirava. Forse Raffaele si era reso conto del mio interesse e dimostrava attenzione nei miei confronti. Sapevo che non frequentava la scuola pubblica, ma una scuola privata, cattolica, costosa, gestita dai barnabiti, un ordine religioso particolarmente severo che la dirigeva con metodi quasi militari. Questo fatto, la fama della sua scuola, fu un'altra cosa di Raffaele che mi colpì e mi affascinò. Lui mi sembrava così esotico e maturo, i suoi modi così originali, diversi dai nostri. Frequentava una scuola privata e questo forse spiegava il suo modo di fumare e sedersi diritto, il suo atteggiamento formale, la sua ossessione per la disciplina. Ero ingenuo, ma ero convinto che le scuole private fossero snob da morire e Raffaele era diventato così, perché ne frequentava una. Quella seconda sera tutti aiutarono a sistemare il materiale e poi se ne andarono, lasciandoci soli, come previsto. Quello che stavamo facendo ci costringeva a stare molto vicini e l'odore del suo corpo divenne improvvisamente evidente. Durante la nostra prima riunione i miei due amici mi avevano fatto notare il particolare odore del corpo di Raffaele. Per noi quattordicenni era una specie di novità che il sudore potesse avere quello speciale aroma, ma Raffaele aveva sedici anni e se aveva sul corpo la stessa quantità di peli che si vedevano sulle braccia, era davvero molto diverso da noi. Martedì scorso avevo ridacchiato per questo, ma stasera l'odore era più forte, più distinguibile, perché avevamo faticato parecchio. Se fosse stato ancora martedì, avrebbe potuto essere difficile da tollerare, ma oggi era un altro giorno. Presi a fare piccole annusate, pensando che fosse un odore piacevole. Non immaginavo che un odore potesse essere eccitante. Guardandolo con sempre più attenzione, notai che aveva braccia e gambe lunghe, piedi e mani grandi. Mentre piegavamo una tenda gli guardai le mani, aveva le dita sporche e le unghie mordicchiate. L'estremità del suo indice e metà del medio erano macchiate di nicotina. Il solito pacchetto di Muratti spuntava dal taschino della camicia. Aveva gli occhi blu, più belli che avessi mai visto, anche se mi parve che non battesse mai le palpebre, ma era perché non faceva altro che fissarmi. Lui mi aveva interessato fin dall'inizio, ma non riuscivo a capirlo, ero indeciso su di lui, anche se, più lo conoscevo, più mi colpiva, così, quella sera, ero decisamente incuriosito dalla sua richiesta di restare da solo con lui, per aiutarlo a sistemare la cambusa. Era tutto così emozionante. Quando finimmo di ordinare il materiale, ero totalmente infatuato. Ero abituato ad analizzare i miei comportamenti e a comprenderne i motivi. Tornai a pensare al fatto che Raffaele frequentasse quella scuola privata. Lo rendeva speciale a miei occhi, anche perché avrei voluto frequentarla io per avere una preparazione migliore, ma i miei non potevano permetterselo. Altri motivi per cui fossi affascinato da lui, nonostante tutti i miei ragionamenti, restarono misteriosi. Ero indubbiamente attratto da lui e, dopo soli due giorni che lo conoscevo, ero certo che fosse la persona più interessante che avessi mai incontrato nella mia vita e che mi piacesse più di tutti quelli che già conoscevo. Tenni per me quei pensieri, perché, pur nella mia totale ingenuità, sapevo che erano cose da non dire in giro. È che sono un tipo che s'impressiona facilmente, mio padre me lo dice tuttora, ma lui non aveva mai incontrato uno studente modello dell'Istituto del Sacro Cuore, bello come Raffaele. Che ne sapeva lui? Quando anche Raffaele ebbe finito, si mise a esaminare l'armadio che avevo sistemato io, controllando che tutto fosse esattamente al suo posto, o meglio come credeva che dovesse andare a posto. Mentre controllava, teneva le labbra strette e ogni tanto corrugava la fronte, poi mi guardava, fissandomi con uno sguardo sempre più severo e scuoteva la testa. Ad un certo punto si raddrizzò, squadrandomi con gli occhi stretti. "Lorenzo, mentre esamino il tuo lavoro, mettiti accanto alla porta e stai sull'attenti!" Pensai a quanto fosse stupida tutta questa situazione e ancor di più la sua richiesta. Allora ero alto poco meno di un metro e settanta, sono cresciuto ancora dopo i sedici anni. Cercando di raccogliere quanta più dignità potessi dalla mia altezza, misi le mani ai fianchi e tirai il fiato, preparandomi a dire qualcosa di sensato su quanto considerassi sciocco mettermi sull'attenti, per giunta davanti alla porta. Raffaele però la pensava in modo diverso. Notando il mio gesto, si avvicinò e letteralmente m'ispezionò, guardandomi dall'alto in basso, dalla testa ai piedi, dai capelli alle scarpe, avvicinandosi al mio collo, come per odorarmi. Poi mise il dito giallo di nicotina sotto il mio naso per costringermi a sollevare il capo. "Se io ti dico di stare sull'attenti, tu devi tenere la testa dritta e guardare davanti a te" disse con voce calma. Il suo dito puzzava come il posacenere che abbiamo in soggiorno, quello che mio padre usa ogni sera per la sua sigaretta dopo cena. Invece di ridere e andarmene scuotendo il capo, raddrizzai la testa come voleva lui, ma lo feci solo per la puzza che aveva sul dito che lui tenne sotto il mio naso finché non fu soddisfatto dalla mia postura. Anche quell'odore era eccitante. Quando fui nell'esatta posizione che voleva, spostò il dito verso il basso dal naso al labbro superiore e poi, con una piccola pressione, mi rovesciò il labbro inferiore strisciandolo sulle gengive per qualche secondo. Aveva un'espressione strana sul volto, io mi accigliai, ma non dissi nulla, come forse avrei dovuto. "Stai fermo così" fece lui "Se vuoi stare negli scout devi imparare ad eseguire i miei ordini, senza discutere. Pensi che io sia diventato caposquadriglia, senza prima imparare ad eseguire gli ordini?" io tacevo affascinato "Forse a te non interessa, ma non credo che diventerai mai un caposquadriglia!" E detto questo scostò il dito facendo tornare il labbro a posto. Sentivo il gusto amaro della nicotina in bocca e stavo cominciando a rilassarmi abbassando un poco le spalle, quando lo sentii gridare. "AT...TEN...TI! " e mi irrigidii un'altra volta, scattando in posizione, ma pensai `questo è proprio scemo'. Il mio pisello però aveva un'altra idea, perché in quel momento mi accorsi che l'avevo duro. "Resta fermo così" ordinò, mentre chiudeva gli armadi, poi si voltò a fissarmi. I suoi occhi mi affascinavano, le iridi nelle diverse gradazioni di blu sembravano muoversi, ruotare su se stesse. Si avvicinò e mi tirò i capelli che mi crescevano sulle orecchie. "Questi devi tagliarli prima della prossima riunione, oppure sarò costretto a punirti." Lo disse come se punire fosse per lui una cosa assolutamente sgradita, che avrebbe fatto solo perché costretto. Il modo in cui lo disse, il tono che assunse, la serietà con cui si prendeva, furono ipnotici per me. Me ne stavo con le spalle dritte, cercando di sembrare più alto di quanto non fossi. Senza modificare la sua espressione, Raffaele infilò le mani sotto l'elastico dei miei pantaloncini e me li tirò su, più in alto sui fianchi, strattonandomi un poco. Quel movimento mi strinse tutto il pacco con l'uccello duro che adesso non aveva più spazio. Strizzai gli occhi per il fastidio, più che per il dolore. "Lorenzo" mi rimproverò serio "qui da noi si sta con i vestiti sempre in ordine! Cosa sono questi pantaloni mezzi abbassati?" Quell'estate portavo dei pantaloncini di cotone con l'elastico e senza patta che mia madre aveva recuperato chissà dove. Erano a righini rossi e blu, non mi arrivavano a metà coscia. Lui aveva ancora le mani all'interno dei pantaloncini e sentivo le dita fredde sui fianchi, poi, senza distogliere lo sguardo, le spostò verso avanti, fin sull'ombelico. Le sue mani grandi, le dita lunghe sfiorarono i miei pochi peli pubici. L'ombelico stava proprio tra le sue mani. Le infilò più giù di qualche centimetro, finché la punta delle dita non arrivò a sfiorare la radice mio cazzo, sempre più duro, ancora piegato verso il basso, bloccato nelle mutande che Raffaele mi aveva tirato su insieme ai pantaloncini. Senza distogliere il suo sguardo dal mio, con un movimento rapido delle dita, scese a prendermi l'uccello, girandolo verso l'alto, parallelo alla pancia. A quel punto l'avevo durissimo e lui se lo aggiustò tra le mani, mentre io continuavo a guardarlo negli occhi, non per sfidarlo, ma perché ero in suo potere. Nessuno me l'aveva mai toccato, moscio o duro. Tirò più su i pantaloncini, schiacciandomi le palle e facendo finire gli slip nello spacco del culo, mentre mi stringeva forte l'uccello, tra una mano e l'altra. Per un tempo che mi parve lunghissimo, mi fissò, scrutando la mia faccia, cercando nei miei occhi, senza mutare la sua espressione, forse aspettando che reagissi. E avrei avuto di che lamentarmi, avrei dovuto ribellarmi, ma non lo feci. Continuai a fare brevi, veloci respiri, conservando, per quanto possibile, la posizione rigida che mi aveva ordinato di mantenere. Lo guardavo negli occhi, forse per annunciargli già da subito che poteva farmi quello che voleva. Ma proprio tutto. Un guizzo gli passò negli occhi, fece un lieve cenno di assenso con la testa, come a confermare qualcosa a se stesso. "Vieni, Lorenzo, adesso ti sottoporrò ad una prova speciale. È una vecchia tradizione degli scout. Ehi... non è che lo faccio con tutti! Lo faccio solo per te, perché mi pare che tu sia la persona adatta." Lasciando una mano nei pantaloncini, tirò, mi spinse fuori dalla cambusa e, attraversando un paio di camerette, fino ai bagni. In passato l'edificio era stato un seminario, poi aveva ospitato un collegio maschile e là c'era una fila di orinatoi. Il mio cuore saltò un battito, poi accelerò e il fiato mi si fece corto davvero. Avevo sentito storie su quello che accadeva fra gli scout ai campeggi, nelle tende, al buio, quando i ragazzi erano per conto proprio e facevano cose di sesso. Per me erano sempre rimaste dicerie, cose dette per fare due risate. Non potevo credere che stesse per accadere proprio a me. Fatto sta che ero curioso di scoprire quello che Raffaele aveva in mente e poi l'avevo sempre più duro nei pantaloncini, perciò decisi che sarei stato al gioco. E quando dico che decisi, intendo proprio dire che, nonostante il pisello duro e le palle che mi bollivano, riuscii a ragionare abbastanza da decidere di non oppormi. Raffaele mi piaceva, ma non lo seguii solo perché l'avevo duro. In quel momento per me lui era la persona più affascinante del mondo. Ero eccitato, ma anche spaventato e tutto questo, a me quattordicenne, sembrò un'incredibile avventura. Mi tirò fin dopo l'ultimo orinatoio, in fondo, davanti ad un lavandino e solo allora lasciò andare il mio elastico facendolo schioccare contro la pancia. "Questa è una nostra tradizione segreta" disse in tono rilassato "per farti diventare uno di noi, come una specie di fratello di sangue. Sai, potremmo farci un taglietto e mischiare il nostro sangue, ma è una cosa superata secondo me" aggiunse sorridendo "perciò, invece di tagliarci un dito o un polso per provare che siamo fratelli, ci toccheremo gli uccelli. Così saremo fratelli di uccello e di altro ancora, adesso vedrai!" non mi chiese se ero d'accordo, come mi aspettavo "Dai, abbassati tutto" ordinò "è necessario che lo faccia tu, è la tradizione, non posso farlo io per te. Devi essere tu a volerlo fare!" Allora esitai e sulla faccia dovevo avere un'espressione strana, indecisa. "Dai, Lorenzo, di che hai paura?" mi esortò lui sorridendo ed io m'infilai i pollici nell'elastico dei pantaloncini e cominciai ad abbassarli insieme agli slip "Basta solo fino al ginocchio " disse fissando il mio uccello duro che era appena apparso scattando e schioccando contro la pancia. "Non l'hai piccolo" e fece un cenno di approvazione. Me lo prese in mano. Ovviamente questo contribuì ad aumentare la mia eccitazione. Il brivido che mi venne mi fece piegare, quasi che tentassi di sottrarmi al suo tocco. Non che volessi farlo, ma fu un movimento istintivo, anche perché ero terribilmente imbarazzato. Mi trovavo in una situazione completamente nuova per me, in nuovi territori, mai esplorati. Fatta eccezione per qualche piccolo precedente con i miei amici, quando ci facemmo un paio di seghe insieme. Era stato l'estate precedente. Eravamo entusiasti di quello che erano diventi i nostri uccelli e di come sborravano e di come ci piaceva. Da piccoli un giorno si scopre che si è in grado di fare schioccare le dita, poi che si è capaci di saltellare su un solo piede senza cadere e così via. Carlo scoprì che strofinandoselo accadevano cose incredibili e ce ne parlò la sera stessa. Ci mettemmo subito all'opera, prima da soli, poi insieme, finché una volta la sorella di Carlo quasi ci sorprese e non lo facemmo più, né ne parlammo. Ma la mano di Raffaele era la prima, diversa dalla mia, a toccarmi là. Con una mano mi teneva il cazzo, con l'altra mi accarezzava le palle. Riuscii a controllare il respiro, a raddrizzarmi, a decidere di farmi toccare. A non sborrare. "È questo che crea la fiducia tra di noi negli scout, Lorenzo" stava dicendo lui, quella voce serena, mi placò, mi rassicurò "per noi è come una stretta di mano, è il segnale segreto tra due che sono amici, fratelli e anche di più! Capisci? Ne avevi sentito parlare?" Feci di si con la testa, mentre cercavo di concentrarmi con tutto me stesso su quello che mi stava facendo. Con l'ultimo barlume di ragione cercavo di staccare la mente dal mio uccello. Stavo per sborrare. Distolti gli occhi da quelli di Raffaele e abbassando la testa mi misi a fissargli le mani che mi lavoravano il cazzo e le palle. La mano con le dita sporche di nicotina che mi stava regalando la più gloriosa delle erezioni. "Hai l'uccello come il mio, è molto simile, vedi?" indicò la cappella "Anche se è più piccolo, ma tu sei più giovane di me" si affrettò a precisare, parlava piano, per calmarmi ed io lo ascoltavo rapito "Devi stare attento a lavarlo bene" disse tirando indietro la pelle e scoprendomi la cappella, io rabbrividii visibilmente, si fermò a guardarlo, avvicinò il naso a odorarlo, dandomi altri brividi "è qua che si forma sempre la sporcizia, se non stai attento. Credi di lavarlo abbastanza?" Annuii distrattamente. Era così strano, insolito, sentire un altro toccarmi là, fare quei gesti su di me ed io ero così concentrato a registrarli che per respirare emettevo brevi sbuffi d'aria tra le labbra, facendo un lieve, continuo rumore nel silenzio totale che ci circondava. "Devi sempre essere estremamente pulito, se vuoi che continuiamo ad essere fratelli. Capisci cosa intendo?" Feci ancora di si con la testa. Raffaele mi guardò e sorrise. "Ci sei quasi eh?" ancora un assenso sempre più distratto "La sai una cosa? Anche se sei appena entrato, credo che tu ti stia comportando bene negli scout e se non combini casini e mi sarai fedele, come stai facendo adesso, potresti anche essere il mio vicecapo al campeggio, in agosto!" Non smetteva di accarezzarmi ed io ero sempre più vicino a venire. "Alberto non verrà al campeggio e il capo reparto mi ha detto che posso scegliermi un vice caposquadriglia. Chi voglio io, purché abbia almeno quattordici anni. Che ne dici?" Ero incredulo, ma la cosa mi piaceva davvero. Avrei potuto anche comandare su quei due stronzi dei miei amici. "Essere il mio vice" continuò lui, sempre muovendo le mani "comporta alcuni privilegi che potrebbero interessarti. Per esempio niente ginnastica la mattina, niente turni di pulizia in cucina e cose così. Pensi che ti piacerebbe?" E mentre parlava continuava ad accarezzarmi, tirando indietro la pelle del cazzo e poi ricoprendolo, sfregando il glande con la punta delle dita e poi stringendomi l'uccello. Continuava a parlarmi con voce calma e il mio cazzo era duro come una pietra, me lo menò ancora tre quattro volte, poi lo lasciò andare. Avevo il fiato corto e un uccello duro fa miracoli quando devi pendere una decisione. Ed io ero già convinto, mi sentivo come non mi ero mai sentito e per merito di Raffaele che mi aveva letteralmente sedotto con la sua sicurezza. Era evidente che sapesse cosa stava facendo, mi sentivo onorato che mi avesse accordato la sua fiducia e che mi volesse come suo vice, ma soprattutto ero contento di essere là, con l'uccello duro nelle sue mani. Me lo guardai per qualche secondo, dritto, duro, almeno quattordici centimetri, schiacciati contro la mia pancia, puntati verso l'alto, verso la faccia di Raffaele. Poi alzai lo sguardo e incrociando i suoi occhi, finalmente arrossii. Lui ricambiò lo sguardo e mi sorrise sereno, com'era sempre stato. "Lo so che ti sembrerà tutto un po' strano, ma, credimi, è così che deve andare" disse lui convinto "e tu ti stai comportando proprio bene, per essere la tua prima volta" aggiunse allargando il sorriso "Adesso comincia la cerimonia vera e propria, dopo saremo fratelli" e all'improvviso si piegò fino a leccarmi la cappella. Non un bacio ma una vera lappata, anche se il suo tocco fu così leggero che l'uccello non si spostò neppure. "Bene, adesso tocca a te!" disse sollevandosi. Si sbottonò i pantaloni abbassandoli fino al ginocchio, poi, infilando i pollici sotto l'elastico degli slip, se li calò come avevo fatto io. Il suo uccello scappò fuori, scattando in alto e mi parve enorme, almeno il doppio del mio. In realtà non era così, ma in quel momento lo credetti davvero. "Vedi, Lorenzo, un caposquadriglia deve essere sempre disponibile a sacrificarsi per i suoi ragazzi e fare quello che ti ho appena fatto. Dai, adesso prendilo in mano e fai esattamente come ho fatto io. Prima lo accarezzi, poi lo devi ispezionare, ti darò io le istruzioni!" Confrontandolo con il mio e pendendolo in mano, mi resi conto che Raffaele l'aveva più grosso, lungo almeno venti centimetri. Era l'uccello più lungo che avessi mai visto. I miei due amici l'avevano come il mio. Con mani tremanti gli tirai indietro la pelle e gli scoprii la cappella che era pulitissima. Alzai gli occhi a cercare il suo sguardo e la sua approvazione. Mi abbassai a odorare, distinsi solo odore di sapone, con un po' di sudore, quel suo odore speciale che stavo imparando ad apprezzare, che lì sapeva anche di piscio, ma solo molto vagamente. "Bravo, Lorenzo, adesso leccalo, come ho fatto io!" Era bello sentirlo così duro tra le dita. Anche lui aveva il fiato corto, ma continuava a usare quel tono rilassato che mi aiutava ad andare avanti e a non pensare più di scappare. Glielo strofinai un certo numero di volte finché mi parve ancora più grosso e lungo. Sulla punta apparve qualche goccia di liquido. "Lo devi leccare" ripeté, sempre calmo "adesso, Lorenzo." La punta bagnata mi faceva un po' schifo, ma non pensai neppure per un momento di non farlo. Mi abbassai e con un movimento veloce della lingua lo leccai proprio là. "Fallo un'altra volta, non ti ho proprio sentito!" ordinò lui. Io però l'avevo leccato, tanto che sentivo sulla lingua traccia del liquido che aveva sulla cappella. Ubbidiente lo leccai un'altra volta e con più calma, insistendo sulla punta. Lo feci anche perché il suo tono era cambiato, era diventato esigente, perciò gli tenni la lingua ferma sulla cappella per qualche secondo. Ce l'aveva proprio duro. Lui si mosse e l'uccello sfuggì al contatto con la lingua ma rimase contro il mio mento. "Questa è la tua prima volta, perciò cerchiamo di farlo bene" disse, tornato condiscendente "ti aiuterò a esercitarti, ma tu dovrai impegnarti, cerca di non essere un lavativo. Tieni fuori la lingua, irrigidiscila un po' e vedrai che riuscirai a farlo bene. La responsabilità che tu impari è tutta mia, capisci?" Il cuore mi batteva forte nel petto, perché ero emozionato ed era tutto così strano. Restai immobile. "Dai, Lorenzo, fai in fretta. Normalmente non m'importerebbe di perdere un po' di tempo con te, ma stasera ho fretta, perché ho un appuntamento!" `Gliel'ho già leccato, che mi costa fare come vuole, se poi divento il suo vice?' pensò il genio. Piegandomi di più per prenderlo in bocca, tirai fuori la lingua e mi apprestai a leccarlo meglio. "Cristo, Lorenzo, apri di più quella cazzo di bocca!" era incazzato, perciò mi detti da fare e quando lo feci, lui me lo infilò come voleva fin dall'inizio. Ero stupito e per riflesso cercai di chiudere la bocca. "Cazzo, stai attento ai denti!" sibilò lui mettendomi le mani sulla testa "E pensaci un momento, no? Vuoi fare il vice o no? Me lo stai raschiando con i denti!" A questo punto ero confuso e lui sembrava davvero incazzato, ma io feci di si con la testa e aprii di più la bocca, cercando di prenderglielo bene e di tenere i denti lontani dal suo uccello che lui spinse più in profondità, finché con la punta della cappella non mi toccò il fondo della bocca. Era come dal dottore quanto ti fa dire `Ahhhh' e tu lo fai, perché ti mette il cucchiaio sulla lingua. Io non avevo un cucchiaio, però, a tenermi la lingua schiacciata in basso. Ero disorientato, non riuscivo a capire come mai il suo uccello mi era finito in bocca, piantato fino alla gola. Feci uno sforzo, mi concentrai, chiedendomi perché restassi immobile. Se dovevo farlo, l'avrei fatto, se volevo il premio, dovevo guadagnarmelo, no? Raffaele era incazzato, ma forse stava facendo qualche sforzo per incoraggiarmi. Respirava e sbuffava ogni tanto, ma non erano suoni gradevoli. E mi muoveva lentamente il cazzo in bocca. Muoveva i fianchi roteando piano il bacino. "Beh, va bene così, cioè non proprio. Anzi, non ho mai visto nessuno fare uno schifo come questo!" insomma, era colpa mia, ma forse lui voleva ancora aiutarmi "Mettiamola in questo modo" disse tornando calmo "succhiami bene la cappella e questo, per il momento, ci renderà fratelli. Dai, succhia!" e si spostò un po' indietro. Io feci lo stesso con la testa e spostai le labbra fino a fermarmi al bordo della cappella che cominciai a succhiare timidamente, come fosse una tetta o una cannuccia. Istintivamente la lingua gli accarezzava la punta del glande Gli stavo facendo un pompino, ma non lo sapevo. Non c'era scritto in nessuno dei libri che avevo letto fino a quel momento. "Oh, questo è troppo" fece lui all'improvviso, mettendomi le mani sulla testa per tenerla ferma e spingendomi l'uccello in bocca, finché i suoi peli pubici non furono a contatto con il naso e il cazzo un'altra volta nella mia gola. Provai un momento di panico, perché non respiravo più. Credetti di morire soffocato, con quella cosa piantata nell'esofago. Prima che potessi reagire, lui si tirò indietro, consentendomi di inalare aria, poi però lo spinse dentro un'altra volta. "Succhia come stavi facendo prima" disse fermandosi. Ero scombussolato, non sapevo più che fare. Leccare avevo leccato, succhiato pure. Non eravamo già fratelli scout, di uccello? Glielo succhiai ancora, sperando che non si arrabbiasse un'altra volta con me, per la mia inettitudine. Anche perché vedevo sfumare il mio posto di vice. "Me l'hai già succhiato, ma se vuoi puoi farlo ancora" disse ed io senza pensarci troppo ripresi a succhiarlo, anche perché non avevo idea di cos'altro volesse da me. Quando, dopo un paio di minuti e molti suoi sospiri, credetti di averlo succhiato abbastanza, sollevai la testa a guardarlo. "Adesso l'ho fatto, no? Ti va bene?" chiesi speranzoso, mentre cercavo di asciugarmi la bava che avevo alla bocca. Mi faceva male tutto, dalla mascella al collo. "Eh, si, Lorenzo, si, che l'hai fatto e anche un sacco di volte, ma io non lo dirò a nessuno, stai tranquillo. Dovrei dirlo a tutti, però, perché noi non vogliamo finocchi negli scout, ma cercherò di tenerlo per me. Mi hai appena fatto un bel pompino, sai?" Ovviamente non capivo di cosa stesse parlando. La parola pompino aveva un significato oscuro per me, sapevo solo che era una cosa brutta per chi la faceva. A scuola veniva usata come parolaccia. "Mi hai succhiato l'uccello come fanno i finocchi" spiegò lui, cogliendo la mia espressione smarrita "Perché l'hai fatto, eh? Perché me l'hai succhiato?" Raffaele era davvero incazzato adesso, ma cercò di controllarsi. Mi prese per le spalle, mi scosse, mi guardò negli occhi. Io ero disorientato. "Diciamo che ti sei un po' lasciato andare, che non hai resistito alla tentazione di prendere il mio grosso uccello tra le labbra e farmi un pompino, lo capisco" fece lui ed io mi sentii un po' più tranquillo, perché dopo tutto era una spiegazione logica ed io alla logica ci tenevo "Senti, Lorenzo, la verità è che tu me lo hai succhiato come fanno i finocchi" ripeté lui, ma poi mi rassicurò "non preoccuparti, non lo dirò a nessuno!" Cominciai a tremare, perché finalmente capii. Avevo paura. "Io ti ho fatto un... pompino?" chiesi incredulo. Avrei dovuto ricordargli che avevo seguito fedelmente le sue istruzioni, ma non mi venne neppure in mente. "Certo che me lo hai fatto!" fece lui convinto "Non cercare scuse, Lorenzo, ho ancora l'uccello bagnato della tua saliva e vedi com'è duro?" E per provarmelo me l'agitò sotto il naso, poi se l'accarezzò e mi strofinò la mano bagnata della mia saliva sulle labbra. Indubbiamente era la mia saliva. "Sei in un casino adesso, sai? Perché mi hai fatto arrapare troppo e dobbiamo finire quello che abbiamo cominciato. Ed io non ho tempo. Mi hai fatto proprio arrapare, cazzo!" si mosse innervosito, come se non sapesse cosa fare "E ci credo, ti sei comportato come se fossi una ragazza!" insisté, mentre io lo ascoltavo, incapace di pensare, di razionalizzare, perché se l'avessi fatto, l'avrei mandato a quel paese. E forse non sarei su questo treno. "Adesso dobbiamo fare due cose" concluse, dopo averci apparentemente pensato "prima di tutto devo punirti perché ha fatto il finocchio, poi io... e che cazzo! La mia virilità... io sono un maschio, con il cazzo! Capisci, Lorenzo? E tu mi fai un pompino! Dopo averti punito, mi devi fare sfogare, proprio come farei se tu fossi una ragazza. E non fare quella faccia, dai... non preoccuparti non lo dirò a nessuno! Girati, dai!" "Perché?" mormorai incredulo. "Lorenzo, è così che deve andare. Prima di tutto devo punirti per l'insubordinazione, normalmente ti farei fare dieci giri di palazzo, ma adesso non ho tempo, perciò ti sculaccerò, così facciamo prima. Girati dai e reggiti al lavandino!" "Raffaele, ti prego, no..." "Ti farò male, ma non molto, non preoccuparti. Devo farlo!" disse lui con un tono quasi dispiaciuto, mentre mi faceva voltare e poi piegare, in modo che la pancia nuda fosse schiacciata contro il bordo del lavandino "Capisci perché ti punisco?" "No... cioè non so" feci io parlando con la testa dentro a quella specie di catino di pietra che puzzava di disinfettante. "Cazzo, Lorenzo, mi hai appena fatto un pompino. Sei un finocchio?" "No!" dissi deciso, anche se non sapevo esattamente cosa implicasse esserlo. Sapevo solo che era un insulto grave e chi lo riceveva doveva reagire o almeno negare. Ed io negai. "Per me va bene. Vedi, noi siamo scout, io sono il tuo caposquadriglia" mentre lo diceva con una mano mi accarezzava il culo, con l'altra mi teneva fermo e piegato come voleva "e tu me lo hai preso in bocca, leccato e succhiato! Che devo pensare?" "Non lo so!" risposta onesta. In quel momento sul mio culo atterrò la prima sculacciata che avessi avuto da almeno dieci anni e mi fece un gran male. Le altre non furono meno dolorose. Avvertivo il movimento del corpo, del suo braccio e poi la mano che mi colpiva, alcuni millisecondi dopo il dolore raggiungeva il cervello e il culo andava in fiamme. Me ne dette una ventina, le prime al centro, poi alternando sulle due natiche e le ultime daccapo al centro. Quando si fermò, aveva l'affanno ed io stavo piangendo, anche se cercavo di non farglielo capire. Sentii che mi stava accarezzando il sedere che adesso doveva essere tutto rosso, quel massaggio era piacevole, perché attenuò il dolore e me lo fece ritornare duro, ma proprio duro. Mi mise la mano davanti e mi accarezzò l'uccello. Lo sentii ridacchiare. "Ce l'hai proprio duro! Ti è piaciuto, eh? Adesso fammi sfogare che ce l'ho duro anch'io." La mano che mi accarezzava il culo si insinuò nello spacco. "Raffaele..." piagnucolai, raddrizzandomi velocemente "ti prego..." non è che avessi capito quello che voleva farmi, ma intuivo che stava per farmi qualcosa di spiacevole. "Ti ho detto che non ti farò male" disse sempre con il suo tono distaccato "e poi, non hai capito quello che ho detto poco fa? Non vuoi certo che vada in giro a raccontare che non sei riuscito a controllarti e mi hai fatto un pompino, no? E durante una cerimonia di fratellanza scout, per giunta." "No, Raffaele, è stato un incidente, io non avevo capito" dissi voltandomi verso di lui che fece la faccia incredula e mi guardò come se fossi matto. "Non ti preoccupare, ci penserò io, ti tirerò fuori da questo casino. Ti aiuterò. Adesso però fammi il cazzo di piacere di girarti un'altra volta" io lo feci "Ecco, reggiti qua" mi spostò verso il pisciatoio "piegati, dai, così ci togliamo questo pensiero." Guardai incredulo l'orinale che mi stava indicando, con gli schizzi di pisciata tutto attorno. Raffaele mi prese per i polsi e di forza mi fece posare le mani sul bordo. L'odore di piscio era forte, il culo mi bruciava per le sculacciate, il mio orgoglio era ferito, ma ce l'avevo sempre duro. "Afferrati qua" e mi chiuse le mani attorno al bordo "non ci metterò molto." Ero confuso, Raffaele era così autoritario, come se sapesse esattamente quello che era necessario fare. E per il mio bene, pareva. E aveva promesso di non sputtanarmi. Con questa convinzione o speranza, mi afferrai saldamente all'orinale, stringendo i bordi con le dita. Spontaneamente mi abbassai sporgendo il sedere. Lui mi accarezzò un'altra volta il culo e con le dita mi sfiorò il buco. Questa sensazione mi riportò alla realtà di ciò che stava per accadere. Avevo misteriosamente capito. Solo adesso posso tentare di ricostruire il mio ragionamento. Conoscevo bene l'anatomia umana, sapevo che Raffaele doveva sfogare la sua eccitazione, il mio buco mi parve il luogo adatto per farlo. L'intelligenza talvolta non opera nella direzione giusta. Prevedere quello che stavo per subire, non mi aiutò. "No, no, Raffaele per favore..." piagnucolai. "Dobbiamo farlo, è necessario, non capisci? Tu mi hai spompinato e mi hai fatto arrapare. Ehi, lo sai che, per essere così magro, hai un bel culetto tondo? Abbassati un poco di più e sporgi il culo. Sarà più facile infilartelo così. Ti trovo il buco più facilmente. Non ti farò tanto male, ma devi aiutarmi" la sua voce m'ipnotizzò un'altra volta e lo accontentai come potevo. "Bravo Lorenzo!" fece accarezzandomi il culo "prova ad allargarlo, fammi capire che lo vuoi dentro!" Il suo tono era rassicurante, fin quasi a farmi credere che, eseguendo i suoi ordini, facevo la cosa giusta. Dopotutto mi stava aiutando, no? Ero io ad aver sbagliato, così mi lasciai guidare. Appoggiai volontariamente la fronte al bordo di quell'orinale puzzolente, alzando di più il culo e spostai le braccia indietro per allargarmi le chiappe con tutte e due le mani. La puzza era sempre là, il culo mi doleva ancora per le sculacciate, ma lui me lo stava massaggiando, provandomi il buco con un dito. Il mio uccello era sempre duro. "Allarga di più le gambe, Lorenzo, se vuoi che te lo infili senza farti male." Le aprii più che potei. "Va bene così, Raffaele?" arrivai a chiedergli. "Tu vuoi che ti inculi, vero? Ed io lo farò per te, come ti ho promesso!" "Come?" "Devi dirmelo, Lorenzo, chiedimelo!" Non capivo cosa volesse, non lo immaginavo proprio, mi voltai, cercai di guardarlo. "Dimmi cosa vuoi, Lorenzo!" "Che voglio?" "Tu vuoi che io t'inculi, per aiutarti a uscire dal casino in cui ti sei cacciato, ma devi chiedermelo!" Tutta quell'idea mi pareva assurda, ma sentivo il suo cazzo spingermi dietro e l'avevo sempre più duro. La logica, la mia logica mi soccorse! L'avevo spompinato e lui voleva aiutarmi e forse sarei ancora diventato il suo vice. "Inculami, Raffaele. È per aiutarmi, no?" dissi piano. "Dì per piacere!" "Per piacere, Raffaele, inculami" borbottai, ma non gli piacque, perché di dette una sonora sculacciata, tanto forte e potente che avrei sbattuto la testa contro il muro se non mi avesse tenuto. "Dillo meglio, devi essere più ubbidiente, Lorenzo" fece lui, con il tono paziente di chi ha a che fare con un bambino duro a capire "devi essere più ubbidiente, se vuoi andare d'accordo con me!" "Per piacere, Raffaele, vuoi incularmi?" ripetei, scandendo chiaramente le parole, con un tono che sperai fosse abbastanza riverente. E lui, senza dire più nulla, si sputò sulla mano e me la passò sul buco, si sputò un'altra volta e si bagnò il cazzo, poi mise una mano su ciascuna delle mie spalle per tenermi fermo e spinse facendomi scivolare la cappella e tutto il cazzo dentro il sedere, d'un colpo. Mi aveva sverginato e non lo sapevo ancora. Cioè di sicuro me lo sentivo dentro, ma non sapevo che fino a un secondo prima il mio culetto poteva definirsi vergine e adesso non lo era più. Provai prima bruciore e poi un dolore acuto, chiusi gli occhi e pensai che l'asta dell'alzabandiera mi fosse finita su per il culo. Lo sentii accarezzarmi i fianchi. "Hai un buchetto fantastico, Lorenzo, anche se dovremo lavorarci ancora sopra. Ti devi abituare, capisci?" non è che gli badassi molto in quel momento, ma l'idea di abituarmi ad avere il palo dell'alzabandiera nel culo non mi piaceva. Forse se mi fossi mosso, divincolato avrebbe smesso, ma non feci niente, perché il mio uccello non si era ammosciato. Anzi era più duro di prima. E si preparava a fare fuoco. "Per il momento" continuò lui, come se stesse spiegandomi come montare una tenda "afferrati bene al pisciatoio che devo scoparti. Quando avrò finito con te, avrai una nuova fichetta, vedrai. E ti sentirai meglio. Alza il culo, Lorenzo che sono più alto di te" e nel dirlo mi dette un'altra sculacciata sulla natica destra. `Una nuova fichetta?' pensai io, ma non ebbi tempo di soffermarmi, perché, come mi aveva appena preannunciato, cominciò a incularmi forte e dovetti concentrarmi su quello per i due minuti successivi, a reggermi con tutte le forze al pisciatoio, mentre lui mi sbatteva con violenza, infilandomi il cazzo sempre più in profondità, colpo dopo colpo. Il suo pube mi sbatteva sul culo ed io sbuffavo ad ogni botta che mi dava, cercando di non sbattere la testa contro il pisciatoio. Devo dire che il dolore scomparve velocemente e i colpi iniziali di assestamento, tra una sua spinta dentro e un tirarlo fuori, cominciai ad emettere mormorii e suoni che non erano di sofferenza. Leccandomi le labbra secche, pensai che non fosse poi così male essere scopato. Leccandomele un'altra volta e con molta più libidine, dissi a me stesso che Raffaele sapeva quello che stava facendo e lo stava facendo bene, qualunque cosa fosse, era una cosa da grandi, non da ragazzini come me. Ed era così bello sentirselo fare! Mi faceva sentire importante, più grande, cresciuto. Lui grugniva e sbuffava a ogni botta e la sua erezione mi pareva tanto lunga e grossa da essere irreale. Ogni colpo mi scuoteva facendomi sbattere la testa contro quell'orinale puzzolente delle pisciate di migliaia di ragazzi che se ne erano serviti. Sapevo che le mie mani, saldamente ancorate ai bordi, erano ormai intrise di quello stesso odore, ma non m'interessava, nonostante tutto non riuscivo a stare zitto ed emettevo suoni ed esclamazioni inequivocabili di piacere e di sorpresa. Il mio uccello era duro come non lo era mai stato ed ero sul punto di venire e, senza alcuna apparente ragione, lo annunciai a Raffaele. "Io sto per... sborrare" dissi "eh... Raffaele?" gli stavo chiedendo il permesso. Allora forse era inspiegabile che l'avessi fatto, poi diventò normale. Quando studiai l'argomento, ne dedussi che nel complesso il mio fu un comportamento del tutto naturale. "Anch'io ci sono, quasi..." fece lui affannato e così mi parve che aver avuto il permesso. In ogni caso, proprio in quel momento, la sborra mi uscì con forza inusitata dalla punta dell'uccello, finendo contro la porcellana del pisciatoio. Non avevo mai provato niente di simile, non avevo mai goduto così, mi bruciava la punta dell'uccello. Poi avvertii, dentro di me, proprio nella pancia il primo violento schizzo di Raffaele e mi sentii bagnato, scivoloso. Lui continuò a fottermi con frenesia, per tutto il lunghissimo minuto che durò il suo orgasmo, rallentando i colpi fino a fermarsi solo quando si fu calmato, si accasciò su di me che dovetti reggerlo. Si sollevò un attimo prima che cadessi dentro l'orinale e me lo sfilò lentamente. Solo allora fece un lungo respiro. Io mi sentii improvvisamente vuoto dentro, la sborra di Raffaele mi stava colando all'interno delle cosce facendomi un leggero solletico. Ma mi sentivo vuoto. Lui era proprio affannato e cercava di calmarsi "Stai fermo così, Lorenzo" disse fra un respiro profondo e l'altro. Feci come voleva, stavo ancora valutando e apprezzando tutte le sensazioni che mi avevano attraversato e che ancora mi sentivo dentro la pancia, nel culo, ai fianchi e fino giù alla punta dei piedi. Era tutto così totalmente nuovo e sconvolgente, esilarante, ma quando sentii che Raffaele mi puliva attorno al buco con della carta igienica, scesi dal paradiso in cui mi trovavo e cominciai a piangere. "Mi hai fatto male, Raffaele" mi lamentai, piagnucolando. "Ti ho sverginato, Lorenzo, lo so che fa male" disse lui, calmo "direi più semplicemente che ti ho privato della tua virilità e tu lo hai accettato, mi hai lasciato fare ogni cosa. Prima me lo hai succhiato fino a farmelo diventare duro, poi mi hai pregato di incularti e te lo sei infilato nel culo da solo. Ricordi che ti sei allargato le natiche per farmi vedere il buco e invogliarmi a incularti?" Mi parlava con pazienza, spiegandomi le cose ed io cominciai a capire e a essere d'accordo con lui, anche perché i fatti erano fatti e lui me li stava spiegando, perché erano cose che non conoscevo ancora e che non capivo. Mi aveva appena inculato ed io glielo avevo lasciato fare, anzi gliel'avevo chiesto e l'avevo aiutato. Ed era una fortuna che non fosse incazzato, né volesse darmi altre botte. Pareva sereno, invece, come sollevato di aver portato a termine positivamente un compito spiacevole. Era tutto impegnato a pulirmi, prese dell'altra carta igienica e mi asciugò ancora tra le gambe lo sperma che mi colava ancora dal culo. "Tu lo volevi più di ogni altra cosa, non è vero?" chiese mentre mi puliva ed io gli feci di si con la testa "Non è che siano proprio fatti miei, ma quel che è fatto è fatto e da questo momento in poi tu sei il mio `ragazzo', Lorenzo" e accentuò la parola `ragazzo' "ed io accetto volentieri questa responsabilità. Vedrai che per te non sarà una cosa cattiva, ma solo se farai sempre quello che ti ordinerò, senza discutere e se accetterai ogni mia punizione. Qualunque cosa ti farò, sarà meritata. Ricordalo! Ti punirò molto spesso, Lorenzo, ma sarà sempre per il tuo bene!" Finalmente tacque ed io ero spaventato davvero. Non avevo osato interromperlo, ma poiché aveva finalmente finito il suo discorso, pensai di poter parlare. "Che vuol dire che ti sei preso la mia virilità e che sono il tuo ragazzo e mi punirai spesso?" "Calmati, adesso sei un po' agitato. C'era da aspettarselo, vieni qua" mi attirò a sé e mi abbracciò, come se fossi un bambino di sei anni "adesso ci penseremo insieme. Cazzo, Lorenzo, me lo avevi succhiato. Che altro potevo fare? Dovevo finire il lavoro, no?" Stava sdrammatizzando un po' le cose, ma mi stava anche abbracciando e io cominciavo ad averlo duro un'altra volta. Mi scordai di tutte le mie domande, se essere il suo ragazzo voleva dire stargli vicino ed essere abbracciato da lui, ero contento di esserlo e che mi punisse pure. E m'inculasse quando voleva. Adesso poi sentivo che emanava un odore ancora più penetrante. Aveva sudato parecchio a sculacciarmi e poi incularmi, con tutto quel movimento. Improvvisamente mi accorsi che il suo era un buon odore, di fatica e di ragazzo, in qualche modo mi aiutò a calmarmi, a convincermi. Mi chiesi come mai non avessi sentito l'odore mentre mi faceva quelle cose, qualche minuto prima. Quell'odore forte di sudore rappresentò una specie di marchio per tutto il periodo in cui Raffaele ed io ci frequentammo. Guardai di sfuggita l'orologio e notai che erano trascorsi solo venti minuti da quando lui aveva chiuso l'ultimo armadio, dopo che avevamo sistemato la cambusa. Solo venti minuti. Come aveva potuto accadere tutto così in fretta? E cambiare la mia vita? Lui finì di pulirmi il sedere, mi asciugò anche le lacrime con la carta igienica, poi ne arrotolò un poco per farne una specie di tappo che m'infilò nel culo senza tante cerimonie. Mi tirò su gli slip mettendomeli alti sui fianchi e stretti attorno alle palle. Mi dette una sonora pacca sul culo. "Bene... per prima cosa, d'ora in poi noi due faremo tutto questo molto spesso" e dicendolo mi strofinò una mano sul culo, accarezzandomi, mentre con l'altra mi teneva le palle, ma senza stringerle, in un modo che a me parve ancora più minaccioso e, perché no, eccitante "queste appartengono a me "disse e le strinse un po' di più "e questo anche" e mi passò un dito nello spacco del culo prima di posare la mano grande sulle natiche per stringerle forte "ed io non mi sottrarrò alla responsabilità di prendermi cura di tutte queste cose, educandoti ad usarle. Puoi contare su di me!" Feci di si con la testa, ma ero ancora un po' confuso. Mi appoggiai a lui, sentendomi improvvisamente debole. Se Raffaele aveva detto che d'ora in poi il mio culo e le mie palle, e l'uccello suppongo, appartenevano a lui, io gli credevo. Lui mi mise il braccio sulla spalla in un gesto che parve quasi un abbraccio. "Adesso siamo fratelli noi due" mi sussurrò in un orecchio "veri fratelli. Tu hai altri fratelli?" "Sono figlio unico" gli borbottai sulla spalla, intossicato da quell'odore forte, penetrante. "Bene, allora io sarò il tuo fratello maggiore, ma a condizione che farai sempre quello che ti dirò io. E non tollererò errori da te, Lorenzo, sarò severo e ti punirò duramente. Lo accetterai?" feci di sì un'altra volta "È una fortuna esserci trovati e che siamo d'accordo. Specialmente adesso che diventerai il mio vice. Beh... finché io sarà il maschio e tu sarai... cioè... diciamo il ragazzo, staremo bene insieme, vedrai. E non stare a preoccuparti, te l'ho promesso, non lo dirò a nessuno che me lo hai succhiato e che te lo sei fatto mettere nel culo da me. Sarà il nostro segreto, finché tu manterrai la tua parte d'impegno!" Il suo odore continuava a raggiungermi e avvolgermi, sempre più forte a ogni movimento che faceva con le braccia e mi parlava. Mi sentivo in salvo, con lui ero al sicuro, perché aveva detto che avrebbe mantenuto il segreto e si sarebbe preso cura di me. Era una buona cosa e quello che aveva detto poi, che sarebbe stato il mio fratello maggiore, era ancora più bello. Avevo sempre desiderato un fratello maggiore. Quello che mi aveva fatto, le botte e l'inculata cioè, mi avevano fatto sentire come non mi ero mai sentito. Non ero mai stato tanto bene. Mi sentivo speciale, era come fare parte di una società segreta e questo grazie a Raffaele. Pensai ai miei amici e mi parvero irrimediabilmente immaturi, poco interessanti. In quel momento mi resi conto che lui era affascinante e avvenente e mi stava abbracciando in un modo che era metà abbraccio e metà una presa di lotta. Restammo in quella posizione per qualche secondo. Mi aveva tirato su le mutande, ma lui aveva ancora gli slip alle ginocchia, il lungo uccello che gli stava tornando duro e si vedeva. Entrambi avevamo i pantaloni alle caviglie, ma lui pareva non pensarci affatto. "Stai meglio adesso?" mi chiese con la voce più calma del mondo, come se avessi appena starnutito, io feci di si con la testa e lui continuò "devo fare ancora una cosa. Rilassati, stai calmo..." e con un movimento fluido mi passò il braccio attorno al collo facendomi piegare. Mi ritrovai a guardare il pavimento di mattonelle vecchie e macchiate di umidità, avevo la testa bloccata sotto la sua ascella ancora madida di sudore. Per la nostra differenza di peso e di altezza, non faticò molto a farlo. Io cercai di divincolarmi, ma lui aumentò la stretta del braccio attorno al collo. "Stai fermo cazzo!" borbottò "Impara a fare sempre quello che io ti dico di fare!" Diventai docile e gli passai le braccia attorno a fianchi un po' per reggermi, un po' perché non sapevo dove metterle. Raffaele si abbassò e dalla tasca dei pantaloni tirò fuori un pettinino, aprì il rubinetto e lo passò sotto l'acqua. Era un po' sporco, una sostanza grigiastra si era accumulata alla base dei dentini. Quando giudicò che fosse abbastanza bagnato, cominciò a ravviarmi i capelli, poi bagnò ancora il pettine e me lo passò sulla testa, lo fece e lo rifece. Io mi ero come afflosciato sotto di lui che aveva preso il controllo totale del mio corpo e della mia mente. Ed io non ero neppure lontanamente arrabbiato per questo, anzi, mi stavo godendo quella vicinanza e la possibilità di inalare quanto più possibile il suo odore, lasciandogli fare quello che riteneva andasse fatto. Ero affascinato da quell'odore che, peraltro, era emanato proprio nel posto in cui ora si trovava la mia nuca ed ero contento e soggiogato da quello che mi stava accadendo. Facevo profondi respiri, inspirando quanto più possibile di quella fragranza che mi aveva stregato. Raffaele era il mio capo, ma adesso era diventato il mio padrone ed io non desideravo altro che di legarmi ulteriormente a lui. Volevo essere suo discepolo o qualcosa di simile, per continuare a respirare il suo odore. Nella mia testa da qualche parte, una piccolissima parte, sapevo di stare facendo qualcosa di strano o peggio di sbagliato, ma le mie regole non valevano con Raffaele. A ogni istante che passava, a ogni respiro che facevo, mi convincevo sempre di più di aver commesso un errore grave, succhiandogli l'uccello e dissacrando una cerimonia degli scout. Ciononostante, lui non l'avrebbe detto a nessuno e per questo era il mio eroe, poi mi aveva giustamente punito e quello mi aveva procurato le maggiori emozioni mai vissute nella mia vita, rendendolo il mio padrone. Mi aveva sverginato, aveva detto, perciò adesso ero suo. Ragionamento contorto, ma in quel momento fu tutto quello che riuscii a mettere insieme. E volevo essere come lui, per continuare a piacergli, perché lui non cambiasse idea e raccontasse tutto ai miei amici e poi mi tenesse ancora la testa sotto l'ascella facendomi inalare il suo odore e mi punisse ancora, come aveva già fatto. Raffaele aveva scelto me e non uno di loro. Doveva pur esserci una ragione, no? "Quando diventerai il mio vice, voglio che il tuo aspetto sia più ordinato" disse mentre mi pettinava. Io avevo sempre portato i capelli un po' lunghi e pettinati con la riga al centro. Raffaele me li stava pettinando con la riga a sinistra e tutti schiacciati sulla testa, esattamente come i suoi. Per convincere i miei capelli a stare abbassati dovette bagnarli parecchio e, mentre mi pettinava, tenendomi sempre sotto l'ascella, continuava a parlare. "Conosci il barbiere nella piazza del mercato?" borbottai un si che venne fuori smorzato, perché avevo la bocca schiacciata contro il suo torace profumato "quel vecchio salone" continuò lui "domani vai là e chiedigli di farti lo stesso taglio corto che fanno a me. Devi dire che vuoi i capelli corti e le orecchie scoperte. Digli pure il mio nome, il vecchio mi conosce, così avrai l'aspetto giusto per essere il mio vice già dalla prossima riunione. Il tuo nuovo taglio di capelli sarà anche di esempio per gli altri, di quello che ci si aspetta da uno scout." Stette zitto per un momento, anche perché aveva finito con i miei capelli. Mi raddrizzò e mi lasciò andare. Io mi appoggiai al lavandino. Raffaele asciugò un po' di sborra che gli era rimasta sull'uccello e si tirò su slip e pantaloni, poi mi toccò un'altra volta davanti mettendo la mano a coppa sotto le palle. Me le accarezzò, poi andò a stringermi il culo con tutte e due la mani. Sentii il tappo di carta che mi aveva infilato, mentre lui se ne stette così a pensare chissà cosa, poi si scosse e mi tirò su anche i pantaloni. "OK, ci siamo rimessi a posto. Non ti senti molto più vicino a me adesso, Lorenzo? Come se fossi davvero mio fratello?" "Credo" dissi io "cioè, mi sento differente." "Raddrizzati" ed io lo feci immediatamente "d'ora in poi dirai sempre `Si, Raffaele' per dirmi che hai capito quello che ti sto dicendo e ordinando. Durante le riunioni, invece, dirai sempre `Si, signore'. Questo dimostrerà rispetto nei miei confronti e sarà di esempio per gli altri. Siamo d'accordo?" A questo punto ero solo stanco. "Si, signore" dissi "cioè, si, Raffaele!" "Va bene, ci eserciteremo ancora su questo, ma per adesso, andiamocene!" Fuori c'era una bella serata estiva ad aspettarci e a me quell'aria parve strana considerato com'era stato inconsueto ciò che era accaduto dentro. Raffaele andò a sedersi sul muretto di mattoni dell'ufficio postale che era di fronte al vecchio palazzo vescovile, incrociò le gambe e tirò fuori il suo pacchetto di sigarette. Prese due Muratti e me ne passò una. Pareva aver dimenticato di avere fretta o forse non era vero. Non mi importava poi tanto. "È arrivato il momento che anche tu impari a fumare. A me piace avere qualcuno che fuma con me, quando ne ho voglia." Accese una sigaretta e me la passò, poi si accese la sua. Mi dette istruzioni su come e quanto aspirarla. Cominciai subito a tossire. Il sapore era orribile, ma lui insisté che ne fumassi anche un'altra, prima di arrendersi. "Questo è un'altra cosa su cui dobbiamo lavorare, voglio che tu impari a fumare. Per adesso vediamo qualcos'altro. Che devi rispondere per dimostrare di aver capito quando ti dico qualcosa?" "Si, Raffaele!" feci io pronto. "E durante le riunioni?" "Si, signore!" "Bravo ragazzo!" e mi accarezzò la guancia. Mi parve di avere sei anni un'altra volta. "Ti piace essere inculato da me?" "Si, Raffaele!" "Anche sculacciato?" Esitai prima di rispondere e lui si accigliò. "Si, Raffaele! Se me lo merito" aggiunsi sperando di non averlo contrariato. "Bravo ragazzo" disse sorridendo "OK, adesso andiamocene." Mi mise il braccio attorno alle spalle e ci incamminammo, ma il suo atteggiamento era dominante, quel braccio non era il gesto amichevole di un compagno, ma il segnale che ero sua proprietà. Feci del mio meglio per mantenere il suo passo, tenendomi il più possibile attaccato al suo fianco. Il suo odore c'era sempre, lo sentivo, aspirandolo ad ogni passo e continuava a piacermi. Era di Raffaele e questo mi bastava. "Stasera abbiamo fatto quello che potevamo per trasformare una circostanza sfortunata in qualcosa di buono. E con i miei sforzi di coprire il tuo grande errore, tu hai imparato qualcosa di nuovo, guadagnando in maturità e in rispetto per te stesso e per gli altri. E questo non è male, vero?" "Si, Raffaele... voglio dire che non è certamente male!" Camminammo così per un poco, con me schiacciato contro di lui, il suo braccio attorno al mio collo, l'ascella che mi strusciava sulla nuca, il tappo nel culo, intriso della sua sborra che mi pareva facesse una specie di rumore liquido per lo sfregamento tra le natiche. Quando mi parlava si abbassava un po', fino a sfiorarmi la guancia con la sua. Pur nell'annebbiamento della mia mente non mi sfuggì la natura di quel gesto, di lui che mi faceva quelle cose. Ogni sua azione implicava che ero un ragazzino o forse la sua ragazza. Capii che lo faceva per farmi capire che lui era il capo, il padrone. Insomma, faceva tutto quello, perché poteva farlo ed io non ne ero per niente risentito, anzi gli ero grato, perché mi stava aiutando, perché avevo capito che gli piacevo. Parlava e mi trattava con una tale confidenza che non avrei obiettato su nulla, mi spiegò che avremmo avuto la nostra prossima riunione il lunedì successivo e che perciò dovevo necessariamente andare al suo barbiere domani, che era sabato. Mi voleva con un bel taglio fresco per lunedì, quando avrebbe annunciato a tutti che sarei stato il suo vice. Mi disse anche che fino a che non avessi tagliato i capelli avrei comunque dovuto continuare a pettinarmi come mi aveva aggiustato lui. "Lorenzo, adesso voglio che tu mi dica che sei d'accordo con tutto quello che ti ho detto di fare!" "Si, Raffaele" feci io pronto, senza esitare "sono d'accordo!" In quel momento mi parve la cosa più giusta da fare. Mi sentii meglio, sapendo che Raffaele adesso era il mio capo. In tutto. Lui era velocemente diventato il mio capo in ogni aspetto della mia vita, perciò mi parve un ragionamento intelligente da parte mia accettare e trarre beneficio dalla situazione. Ricordai a me stesso che mi era piaciuto lasciarmi comandare da Raffaele che era quasi due anni più grande di me, sapeva tante più cose, ne aveva fatte già tante, era un capo. Era un `uomo', per dio! Ed io ero solo un ragazzo, il suo ragazzo. Perché non dovevo poter guardare a lui come a uno migliore di me e quindi ammirarlo ed essergli grato dell'attenzione e dell'interesse che aveva per me? Finalmente mi lasciò andare e tirò fuori altre due sigarette che mi passò, ordinandomi di accenderle. Lo feci con qualche esitazione e gliene passai una, proprio come aveva fatto lui poco prima. "L'ho fatto bene, Raffaele?" Lui ignorò la mia domanda e si guardò la punta delle scarpe. Era la prima volta che lo vedevo esitante. "Che cosa posso fare per te?" chiese all'improvviso "Non so, hai bisogno di qualcosa?" Io provai a inalare il fumo come stava facendo lui e ovviamente tossii. "Cosa intendi, Raffaele?" dissi cercando di non tossire. "È che adesso siamo veri fratelli, perciò credo di doverti un favore" spiegò lui, ancora senza guardarmi. Parlammo per un po' e alla fine venne fuori che un favore poteva farmelo, la mia bicicletta era rotta e non avevo neppure lontanamente i soldi per ripararla. "Vedi le mie dita?" e mi mostrò le mani "Sono sempre un po' sporche di grasso" era vero, nel giallo della nicotina si distinguevano righe sottili più scure "tu sai perché? È il grasso del mio lavoro, d'estate sto all'officina di mio padre e riparo biciclette e anche i motorini. So fare qualunque cosa. Te la aggiusterò io, vedrai. Domani mattina, dopo essere andato dal barbiere, porta la bici all'officina" mi spiegò dov'era "e il pomeriggio te la riporti a casa riparata!" "Oh, grazie, Raffaele. Io mi sento perduto senza la bici, ma quando si è rotta la catena, credevo di non poterla mai più riparare." "I fratelli hanno cura dei fratelli" disse lui tornato sicuro di sé e così solenne che mi venne voglia di schiaffeggiarlo, ma gli sorrisi, davvero grato del suo aiuto e fiero di essere diventato suo fratello. E con quel suo odore forte che arrivava soprattutto dalle braccia, mi abbracciò un'altra volta. Fu una via di mezzo fra un abbraccio e una stretta violenta, di quelle che fanno male, perché fanno scricchiolare le ossa. Il mio uccello diventò improvvisamente duro e mi sentii veramente vicino a lui in quel momento. Lo abbracciai anch'io. "Grazie, Raffaele" ripetei, avvicinandomi all'orecchio. "Ok, basta con questi abbracci, oppure finisce che mi vuoi succhiare l'uccello un'altra volta" e lo disse con un tono infastidito che non aveva mai usato, perciò lo liberai subito dalle mie braccia. "Scusa" borbottai. "Tocca a me decidere quali sono i gesti di affetto appropriati fra noi due. Tu tieni le mani a posto. È sconveniente che un inferiore di grado abbracci un superiore. Chiaro?" Feci di si con la testa, per dirgli che avevo capito e lui si bloccò all'improvviso, ovviamente mi fermai anch'io. Raffaele mi prese il mento tra il pollice e l'indice e me lo sollevò per guardarmi negli occhi. "Hai capito quello che ti ho detto, Lorenzo?" "Si, signore" feci io convinto. "Ripetilo!" Io esitai, cercando di raccogliere le idee e di dire le cose per bene. "Tu sei il mio superiore e io non devo fare nulla a meno che tu non me lo dica. È così?" Raffaele lasciò andare uno sbuffo di fumo che mi arrivò dritto in faccia, poi sorrise come non faceva da un bel po'. "Bravo ragazzo che sei. Sei perfino intelligente! E pensa solo a quanto sei stato fortunato. Stasera invece di un disastro per te è stato un colpo di fortuna, Lorenzo. I tuoi errori sono quasi del tutti dimenticati, vero? Sono ormai parte del passato, no?" "Si, Raffaele!" S'incamminò deciso, con me che seguivo i suoi passi, mentre insieme facevamo lunghe tirate di fumo dalle nostre sigarette. Dopo che ebbe gettato per terra il mozzicone, si voltò a guardarmi. "Noi due faremo molto di più di quello che abbiamo già fatto in quel gabinetto, Lorenzo. Tu capisci che è necessario, spero. Per dio, non puoi fare un pompino a un uomo come me e pensare che finisca tutto là. Io ho bisogno di scoparti un altro casino di volte per sentirmi un uomo vero, capisci? Devi essere ancora punito, per quello che hai fatto e che certamente farai ancora! Mi hai reso la vita difficile stasera, Lorenzo, sai? E sto cercando di non essere cattivo con te, sto facendo di tutto, ma quello che è accaduto ha bisogno di essere rettificato, raddrizzato. Lo capisci questo, non è vero? Lo capisci?" Quando disse `Lo capisci?' per la seconda volta mi resi conto che non scherzava. Prima era accaduto che usasse quel tono durante una riunione di squadriglia e non l'avevamo preso sul serio. Era finita che tutti avevamo fatto cinque giri di palazzo di corsa per punizione. Quando Raffaele era serio, pretendeva una risposta seria. "Si, Raffaele" poi timidamente chiesi "tu manterrai il segreto, vero?" "Se ti comporti bene, si." fece lui tornato tranquillo. "Si, signore." "Bravo ragazzo, ma per dio! Ti ho già detto che quando siamo soli devi dire `Si, Raffaele' e non `Si, signore'. Cazzo!" "Si, Raffaele, signore!" E con quella risposta all'ultimo rimprovero ci dividemmo, ognuno per la sua strada, verso le nostre case. Da quella sera estiva sono passati quattro anni. Nello scompartimento affollato di questo treno che forse sta andando a cento chilometri orari verso Torino, è intrigante ricordare la mia prima esperienza da finocchio. Potrei calcolare esattamente a che velocità sta andando il treno, ma l'uccello di Raffaele e quello che riusciva a farmi sono un pensiero più piacevole. Almeno per il momento. Ovviamente allora l'idea che io o Raffaele fossimo finocchi, non mi aveva neppure sfiorato. Inconsciamente avevo scelto di credere a quello che mi raccontava lui, con tutte quelle storie sui fratelli di sangue e quello strette di mano e di uccello che dovevano restare un segreto tra noi e le sculacciate che mi meritavo. Pensavo seriamente che quello fosse ciò che tutti i ragazzi facevano prima di diventare grandi. Si facevano inculare e dominare e poi cominciavano ad interessarsi alle ragazze ed era per sempre. Allora avevo seriamente creduto che con il mio pompino avevo messo a rischio la sua virilità e forse perduto la mia. Che lui non avesse altra scelta che rifarsi su di me. Era stato costretto a svelarmi il suo mondo di maschio sedicenne, a me indeciso quattordicenne, per rettificare la situazione che si era creata e l'unico modo possibile era di punirmi e incularmi, finché non fosse apparso ovvio a entrambi che lui era un uomo, un maschio vero. E che io non lo ero ancora, ma con il suo aiuto a un certo punto sarei potuto diventarlo. Credo che il mio cervello fosse stato semplicemente oscurato dalla mia attività sessuale. Evidentemente, quello che Raffaele mi faceva mi piaceva troppo, perciò accettavo e prendevo per buone tutte le sue fantasiose spiegazioni, tranne che l'unica ovvia, cioè che eravamo entrambi finocchi, che a me piaceva essere scopato e dominato e a lui incularmi e sculacciarmi. Mi ricordo di quella notte, la notte dopo che Raffaele mi ebbe inculato per la prima volta. In bagno rimossi cautamente il tappo di carta igienica che Raffaele mi aveva infilato in culo. Ero preoccupato di vederlo sporco di sangue e fortunatamente lo trovai solo bagnato alla punta, quella che era andata dentro al culo. Quando mi coricai, ripensai a quello che era accaduto tra noi, analizzai ogni aspetto e non ci trovai niente di sbagliato. La mia mente non era del tutto oscurata, cercai ugualmente di razionalizzare gli eventi e le mie reazioni. Ricordo di esserci riuscito bene, anche con il mio cervello di quattordicenne. La conclusione che ne trassi fu che ero in una fase della mia crescita e che avevo maturato una specie di venerazione per Raffaele, che dopotutto mi avrebbe promosso suo vice scavalcando altri più meritevoli. A quattordici anni non sapevo quasi niente di relazioni umane e sessuali e qualunque cosa mi dicesse, per me aveva senso ed era l'assoluta verità, perché io volevo che lo fosse. E anche perché lui mi faceva delle cose che mi rendevano folle di felicità e di eccitazione. L'ultimo pensiero che feci quella notte, prima di addormentarmi, fu di come Raffaele mi aveva detto, con quel suo tono annoiato, che adesso ero il suo ragazzo e che non si sarebbe mai sottratto a questa responsabilità. Aveva detto qualcosa del genere e poi aveva chiarito che ci sarebbero state molte altre serate come quella appena trascorsa. Questo mi sembrò particolarmente profondo e così adulto, così importante. Così arrapante. Mi sentii molto vicino a Raffaele e non volevo deluderlo in alcun modo. Mi piacque talmente quell'idea che cominciai a menarmelo nel letto, cercando di fare meno rumore possibile. Mi addormentai con l'uccello in mano, senza arrivare a sborrare e la mattina dopo l'avevo talmente duro che mi faceva male, nel mio pugno ancora stretto attorno all'asta. TBC lennybruce55@gmail.com