Date: Thu, 14 Apr 2011 22:07:13 +0200 From: Lenny Bruce Subject: L'Estate di Lorenzo - Part 2 - Chapter 1 DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Questa storia è già apparsa su MMSA (http://www.malespank.net/listAuthor.php?author=Lenny+Bruce) con una suddivisione diversa dei capitoli. La prima parte si ispira, molto liberamente, ad un racconto apparso su Nifty un paio di anni fa, scritto da Donny Mumford, presente nei 'prolific authors'. La storia è 'A submissive boy's story' (http://www.nifty.org/nifty/gay/college/submissive-boy/) Donny Mumford è un ragazzo, adesso 25enne, che vive nel New Jersey e alcuni dei suoi racconti sono autobiografici. Trovo che sia un bravo e promettente scrittore e non solo per chi ama questo genere. Parte seconda -- La seconda estate di Lorenzo Capitolo primo -- L'effetto della marea Fu nel giugno di tre anni dopo, quando avevo appena compiuto diciassette anni e ottenuto una brillante promozione frequentando il quarto liceo scientifico. L'anno successivo avrei sostenuto gli esami di maturità e, se fossi stato abbastanza bravo e anche molto fortunato, avrei potuto concorrere a un posto in un collegio universitario di Torino che mi avrebbe permesso di coronare il mio sogno, cioè frequentare il Politecnico e diventare ingegnere elettronico. È esattamente quello che è accaduto, nel senso che adesso sono in viaggio per Torino, ma allora non lo sapevo e non ero certo di potermi scegliere l'università che volevo frequentare, perché in casa non c'erano abbastanza soldi per mandarmi da nessuna parte, forse neppure per frequentare l'università più vicina a casa. L'episodio di Raffaele, tre anni prima, aveva segnato la mia personalità, oltre che ovviamente la sessualità, nel senso che da allora avevo cercato di essere rigorosamente eterosessuale nei comportamenti ed anche nelle fantasie, forse per evitare che mi accadesse ancora di essere dominato da qualcuno, di amarlo con tutto me stesso e poi di ritrovarmi così violentemente deluso. Avevo chiuso fuori i sentimenti, concentrandomi sullo studio e sulle ragazze che conoscevo e che immaginavo di scoparmi, con nessuna fortuna. All'inizio di quell'estate, mio padre mi suggerì di cercarmi un lavoro, di imparare a fare qualcosa che potesse servirmi e magari farmi guadagnare qualcosa. Proposi immediatamente di andare a lavorare in uno studio d'ingegneri che mi avrebbero accolto a braccia aperte per farmi fare esperienza, ma mi avrebbero pagato niente o quasi. Il suggerimento di mio padre era però collegato alla necessità che portassi a casa qualche spicciolo nel corso di quell'estate per contribuire al bilancio familiare. Non ce la passavamo e non ce la passiamo troppo bene. E fortuna che sono figlio unico. L'alternativa per uno di diciassette anni e non sa fare altro che risolvere i problemi di matematica, coniugare i verbi in latino e greco, recitare le poesie, parlare correntemente quattro lingue moderne, discutere di storia e filosofia, leggere velocemente qualunque cosa, ricordarla e poterne disquisire a piacimento, era di andare a raccogliere i pomodori, la frutta e l'uva nei tre mesi d'estate. Stavo per rassegnarmi, quando una sera, era metà giugno, mio padre mi raccontò che il suo capo, torinese, come tutti i suoi capi, aveva un figlio di quindici anni che era stato rimandato in italiano, latino e matematica dopo aver frequentato, evidentemente senza molto profitto, il primo anno del liceo scientifico. I genitori erano separati e il ragazzo viveva a Torino con la mamma. Avrebbe trascorso l'estate col padre, nella nostra città, per andare al mare e soprattutto per studiare senza distrazioni tentando di recuperare e non perdere l'anno. Da noi avrebbe seguito lezioni private con professori che il dottor Braschi stava cercando attivamente chiedendo in giro quali fossero i migliori. A quel punto mio padre aveva avuto l'idea che coinvolgeva me. Io ero bravo, aveva detto al suo capo, anzi ero un genio, secondo i miei professori. Ero ancora un ragazzo e avrei potuto facilmente diventare amico di Fabio, dargli lezioni private e anche cercare di influenzarlo positivamente. Il dottor Braschi ne avrebbe parlato con la moglie, mio padre con me e l'indomani avrebbero deciso. Sarei stato ovviamente pagato molto bene, non quanto tre professori, ma abbastanza perché l'affare fosse più remunerativo della raccolta dei pomodori. Il giorno dopo venne fuori un fatto negativo, cioè che avrei dovuto fare da babysitter a Fabio per ventiquattro ore, ogni giorno della settimana, fino al primo di settembre, perché padre e figlio non andavano molto d'accordo e Braschi coglieva l'occasione della mia eventuale presenza per liberarsi del figlio. Lo pensai subito, ma sapevo di non poter più rifiutare, perché mio padre si era praticamente speso il mio consenso. E soprattutto perché, per conto suo, il dottor Braschi si era speso la parola che in caso di promozione di Fabio mi avrebbe raccomandato per un posto in quel collegio universitario di Torino di cui avevo scoperto l'esistenza e che avrebbe consentito ai miei sogni di avverarsi. A quel punto, non solo non potevo rifiutare, ma soprattutto non potevo fallire. Fin dal momento in cui lo vidi, però, capii che Fabio sarebbe stato un osso duro e la raccomandazione per il collegio una conquista difficile. L'accordo era che i soldi li avrei avuti comunque, l'appoggio per il collegio, solo in caso di promozione. Il ragazzo arrivò un sabato mattina e andammo ad prenderlo alla stazione con la macchina del dottor Braschi che nel frattempo avevo conosciuto. Era un uomo interessante, molto sicuro di sé, alto, biondo, occhi azzurri. Parlava con un marcato accento torinese e una grande proprietà di linguaggio, scegliendo attentamente le parole che usava. Mi conformai subito alla sua parlantina sciolta e discutemmo liberamente. Sicuramente lo sorpresi, perché forse si aspettava un ragazzino imbranato, almeno quanto mio padre. Ed io ero solitamente imbranato, tranne quando si trattava della mia educazione e istruzione. Avevo deciso di diventare ingegnere, studiando nella migliore delle università e l'avrei fatto, anche dormendo sotto un ponte del Po. Il dottor Braschi si era offerto di aiutarmi ed io l'avrei convinto a farlo. Fabio scese da un wagon-lit di prima e camminò indolente verso di noi, indossava jeans, una Lacoste verde, aveva un borsone a tracolla. Era alto quanto me, aveva i capelli neri, folti e ondulati, non troppo lunghi, ma così voluminosi che gli davano almeno altri tre centimetri di altezza. Gli occhi erano neri come carboni, penetranti, ma in quel momento anche disinteressati, scocciati, stanchi. Puzzava di sigarette, doveva aver fumato in treno. Aveva la pelle chiara, con una leggera abbronzatura sulla faccia liscia e sulle braccia completamente senza peli. Era un bel ragazzo, ma si capiva che era anche ricco e viziato. Ci passò davanti, quasi senza fermarsi, non salutò suo padre né me ovviamente, poi, quando notò che non lo seguivamo, si voltò a guardarci. "Papi, andiamo, sono stanco" si lamentò, parlando con un accento ancor più marcato di quello di suo padre. "Forse prima dovresti salutarci e magari anche abbracciarmi, sai?" fece il dottor Braschi scocciato, poi si ricordò di me "Questo è Lorenzo, è il figlio di un nostro dipendente, ti darà lezioni!" Fabio non mi guardò neppure, ma mi porse il borsone, mentre abbracciava svogliatamente il padre. Gli avevo teso la mano per stringergliela, ma mi ritrovai a tenergli il bagaglio che comunque non feci cadere a terra. "Fabio!" urlò il padre "Riprenditi immediatamente la borsa!" "Ma no, dottore" feci per dire io, ma lui me la strappò di mano e la ridiede a suo figlio. Fabio mi guardò storto. Quando ci fummo sistemati in macchina, io ovviamente dietro, il dottore cominciò a spiegare a Fabio come avrebbe trascorso i settantacinque giorni che lo separavano dal primo di settembre, data d'inizio degli esami di riparazione. La sua estate non sarebbe stata molto eccitante, perché l'avrebbe trascorsa attaccato a me che ci avrei almeno guadagnato dei soldi, se non un posto in collegio a Torino per l'altro anno. Lui, nella migliore delle ipotesi, avrebbe ottenuto una promozione al secondo scientifico che, mi parve di capire, non gli interessava molto. L'unica novità, per me e per lui, furono alcune condizioni poste dal dottor Braschi e delle quali non ero completamente a conoscenza. "Ne ho parlato con tua madre, Fabio, anche lei è d'accordo. Questa è la tua ultima possibilità, se neppure Lorenzo riesce a farti studiare, il quindici di settembre te ne vai in Svizzera!" Fabio sussultò e Braschi con un cenno della testa rivolto a me spiegò cosa spaventasse tanto suo figlio "Sai, Lorenzo, nel Canton Ticino c'è un collegio molto antico tenuto da un ordine religioso vicino ai Gesuiti. I frati sono molto severi, un mio amico mi aveva consigliato di mandarlo a frequentare là tutto il liceo, ma l'estate scorsa, quando siamo tornati dalla Svizzera, sua madre si è fatta impietosire dai pianti di questo stronzetto che non voleva andarci!" "Capisco" feci io. "Non capisci un cazzo" borbottò Fabio, parlandomi per la prima volta. "I padri Gesuiti della Valle, questo è il nome esatto del loro ordine religioso" cominciò a spiegare Braschi ignorando la bestemmia del figlio "sono noti per il loro ascetismo..." "Non ti fanno fare nemmeno le seghe!" l'interruppe Fabio. "Come dicevo, sono molto severi, non consentono l'uso del televisore, della radio e sorvegliano molto il comportamento degli studenti!" "Io là non ci vado!" gridò Fabio. "Dipende da te e da Lorenzo!" disse il dottore "Hai due mesi e mezzo per recuperare, perciò Lorenzo vivrà con te e ti farà studiare. Lorenzo è molto bravo a scuola ed è in grado di farti da professore, in più ti terrà compagnia. Starete da soli in una villa al mare che ho affittato. È un posto isolato, ci sarete solo voi due, io o il papà di Lorenzo verremo a trovarvi ogni giorno per portarvi le provviste. La villa dà sulla spiaggia, quindi potrete fare il bagno ogni tanto, ma soprattutto dovrai studiare." Ero sconvolto, nessuno mi aveva spiegato che avrei dovuto vivere per due mesi e mezzo con questo selvaggio, antipatico. Sapevo di dovermi trasferire alla villa, Braschi mi aveva promesso dei soldi che a me parevano tanti, ma per delle lezioni private e fare compagnia al figlio, non per fare la guardia a quel teppista. E chissà se poi, a promozione ottenuta, avrebbe mantenuto la promessa. "E che cazzo ci faccio io con questo qua per due mesi e mezzo? Siete tutti pazzi?" urlò Fabio e il discorso finì là, perché il dottor Braschi gli tirò un manrovescio, senza neppure staccare gli occhi dalla strada. La macchina sbandò un poco, ma lui la controllò facilmente. Nessuno parlò più. La villa non era grande, ma proprio in riva al mare. Si accedeva alla spiaggia di sabbia attraverso un cancelletto sul retro, sul davanti c'era un piccolo patio e da lì partiva una stradina non asfaltata che portava alla strada più in alto, sul promontorio. La costruzione era isolata, immersa nella pineta che la circondava quasi completamente. Sarebbe stato un posto molto bello, se non fosse che avevamo quindici e diciassette anni e la nostra idea di divertimento non era quella di trascorrere più di due mesi da reclusi o da naufraghi. "Che cazzo ci faccio io qua?" urlava Fabio, girando come un pazzo attorno alla casa, mentre io lo guardavo attonito. Non potevo neppure protestare con il mio datore di lavoro. Ci tenevo alla mia laurea. Stavo già pensando in grande. "Ci fai che, se non superi gli esami di riparazione, non ti fai seghe per tre mesi!" urlò il padre "dal quindici di settembre al venti di dicembre, che è la data in cui ti verremo a riprendere! Qua invece le seghe te le puoi fare, se Lorenzo te ne lascia il tempo!" "Cazzo!" urlò Fabio, poi corse verso la spiaggia scomparendo alla nostra vista. Io mi voltai verso il dottore sperando in qualche ulteriore spiegazione. L'uomo era scocciato e accaldato, mi guardò fisso ed io mi sentii ancora più piccolo. Era venti centimetri più alto di me e pesava il doppio, ne ero certo. "Non m'importa di come fai, ma vedi di riuscirci!" disse lui "Legalo, frustalo, strappagli i capelli, ma vedi di farlo studiare e se ci riesci, ti do la mia parola che studierai a Torino. Tuo padre mi ha detto quello che vuoi fare e questa è la tua sfida! Te lo leggo negli occhi, di te mi fido, so che sei uno tosto!" Sentendo quegli accenni alle frustate il mio ricordo corse subito a Raffaele e il cazzo mi diventò duro. Braschi mi dette la mano per salutarmi e me la stritolò. "Lorenzo, mi aspetto molto da te, trattalo come se fosse tuo fratello, puniscilo duramente, sculaccialo, ma fallo studiare. Lui ha davvero paura di finire in Svizzera e tu sei l'unico che può evitargli di andare in quel collegio, gioca su questo. Io non ti chiederò mai come hai fatto e non ascolterò nessuna delle sue lamentele! Sono stato chiaro?" A tavole rovesciate per me sarebbe stato il paradiso. Farmi dominare da qualcuno forse simile a Raffaele per due mesi, rivivere l'estate di tre anni prima, sarebbe stato davvero bello, ma questa volta ci si aspettava che io fossi a comandare e la cosa rischiava di non funzionare. "Io me ne vado. Sei il suo padrone, Lorenzo!" Braschi se ne andò, senza salutare il figlio e dandomi appuntamento al giorno successivo nel tardo pomeriggio, io me ne andai nella mia camera e indossai il costume da bagno, visto che eravamo al mare. Prima cosa da fare, recuperare Fabio e cercare di farlo ragionare. La spiaggia era chiusa ai due lati dal promontorio di roccia su cui correva la strada di accesso. Oltre che dalla villa non si poteva accedere se non dal mare. Eravamo davvero isolati. Mi guardai attorno e notai che dalla strada non era possibile vedere la spiaggia. Che paradiso sarebbe stato per me, se ci fosse stato Raffaele. A tre anni di distanza me lo ricordavo ancora e lo rimpiangevo. All'inizio avevo cercato di dimenticarlo, esorcizzando il suo ricordo, poi lentamente l'avevo collocato fra le cose belle della mia vita e ogni tanto mi concedevo di masturbarmi pensando a quello che mi aveva fatto in quei due mesi. Fabio se ne stava seduto sulla riva tutto raccolto con le braccia attorno alle ginocchia e la testa tra le gambe. Mi fece un po' pena, non doveva essere facile per un ragazzino come lui restare isolato, praticamente naufrago su una spiaggia per i prossimi settantacinque giorni, in compagnia di uno che non conosceva e che già disprezzava. Mi sentii un po' scoraggiato anch'io. Non era bella neppure la mia situazione, trascorrere tanto tempo con una specie di sconosciuto che già mi pareva una bella testa di cazzo. Sarò pure un genio, ma non sono un secchione e ho sempre avuto i miei amici con i quali andare in giro a fare casino, esattamente come tutti. L'idea che, per questa estate, il divertimento era già finito al quindici di giugno, per colpa di questa stronzetto, non mi piaceva. Perciò eravamo in due a essere incazzati. "Fabio, perché non ti metti il costume e ci facciamo una nuotata?" gli dissi quando fui abbastanza vicino per non dover gridare. Lui fece scattare la testa diritta, si voltò e con un movimento fulmineo mi tirò un pugno di sabbia. "Vaffanculo, stronzo! Non mi rompere le palle!" gridò e rimise la testa tra le gambe. Mi accorsi che si stava guardando davanti. "Stai cercando di imprimerti nella mente come ce l'hai, visto che i monaci te lo sequestreranno il quindici di settembre?" chiesi ridendo. Come ho detto non sono un timido, non lo sono più, non com'ero quattro anni fa. L'esperienza con Raffaele era stato un momento unico della mia vita, almeno fino a quel giorno, perciò l'idea di prendere per il culo uno più piccolo di me che, in un certo senso, era un mio subordinato, secondo suo padre, mi parve stuzzicante. Non fu una buona idea. Fabio scattò in piedi e prima che me ne rendessi contro mi era addosso. Cademmo sulla sabbia che attutì il colpo, lui sopra di me. Riuscì a immobilizzarmi con facilità, certamente sfruttando la sorpresa, perché non era molto più forte di me. Con il suo peso mi tenne a terra e con la mano sinistra mi strinse due polsi, bloccandomeli sopra la testa. Il suo sguardo era come esaltato, il mio subito impaurito. Poi sulla faccia gli spuntò una specie di sorriso. Avevo addosso il mio costume da bagno che non nascondeva molto del mio corpo, né la mia erezione. E lui la sentì sotto il suo uccello, messo di lato, verso il basso, nelle mutande, sotto i jeans. Non capivo se ce l'aveva duro anche lui, ma lo sentivo. Eccome se lo sentivo. Sulla sua faccia c'era un ghigno. Strinse gli occhi per fissarmi, poi infilò l'altra mano tra i nostri corpi e scese dentro al costume a prendermi l'uccello in mano. "Sei un finocchio" disse ridendo "hai il cazzo duro. Ti piace, eh?" E cominciò a strofinarmelo, mentre io provavo a divincolarmi, senza riuscirci, perché mi sentivo inspiegabilmente debole. La verità è che più semplicemente non avevo voglia di muovermi, di sottrarmi a quella mano che, dopo qualche strusciata, abbandonò l'uccello per scendermi tra le gambe e insinuarsi fino al buco. Fabio mi stava ficcando un dito nel culo. "A quelli come te piacciono queste cose, non è vero?" diceva, mentre sentivo la sua mano allargarmi le gambe e il suo dito andare più a fondo. Ero improvvisamente tornato indietro di tre anni, sopra di me c'era Raffaele che non mi aveva mai forzato così, ma che ugualmente m'infilava il dito nel culo tutte le volte in cui ne aveva voglia. "Finocchio! È così che studieremo noi due?" Ce l'aveva tutto dentro adesso, era l'indice della mano destra, disse la mia mente analitica. E lo roteava facendomi soffrire e godere, mentre continuava a massaggiarmi l'uccello con il pube. Quel movimento non era violento, ma perfino delicato e con l'unico obiettivo di farmi sborrare. Uno scopo abbastanza facile da raggiungere, visto che ero già sull'orlo dell'abisso. L'orgasmo, il mio primo vero orgasmo dopo tre anni, mi travolse, mentre lui continuava a scoparmi con il dito e a guardarmi con disprezzo. Attese che mi calmassi, poi tirò fuori il dito e me lo passò sul labbro superiore, pulendoselo insolentemente. Anche questo gesto non era nuovo per me e contribuì ad accentuare il mio disagio. Mi liberò le mani e si alzò ridendo e borbottando chissà cosa tra sé e sé. Si dette una scossa ai vestiti per liberarsi della sabbia e se ne andò. Non lo seguii, né ci tenevo, corsi verso il mare e mi tuffai più velocemente possibile, per lavarmi dalla sborra che mi impiastricciava il davanti del costume, per bere acqua salata e scacciare l'odore di cacca che avevo in bocca e sotto il naso, per annegare, se possibile, per pensare a come tirarmi fuori da quel guaio, se non fossi riuscito a morire. Mi allontanai da riva con foga, quando fui abbastanza lontano mi tolsi il costume e cercai di liberarmi della sborra solidificata che lo decorava davanti. Non ci riuscii completamente e questo mi avvilì ulteriormente. Mi ero sputtanato in cinque minuti, maledii il Raffaele vecchio e questo nuovo. Me ne tornai a riva, perché non avevo ancora voglia di morire, ma ero abbastanza certo che l'avrei avuta prima che fossero trascorsi i due mesi e mezzo che dovevo passare accanto a Fabio. Raffaele mi amava, a modo suo, ma mi amava. Questo stronzetto difficilmente mi avrebbe dedicato più di un pensiero prima di schiacciarmi come un verme. Sarebbero stati giorni difficili. E capii di aver ragione già tornando a riva. Fabio si era cambiato, indossando degli slippini rossi, molto ridotti che mettevano in evidenza un bel pacco davanti e il culetto tondo. Mi aspettava con le mani sui fianchi. Quando uscii dall'acqua cominciò a toccarsi l'uccello che era già duro. "Vieni qua tu" disse facendomi cenno di avvicinarmi "lo sai fare un pompino?" "Senti, Fabio, io..." Era veloce, continuava a sorprendermi, in meno che non si dica mi aveva afferrato per un braccio e costretto a inginocchiarmi davanti a lui. "Ti ho chiesto se sai fare i pompini" disse e ad ogni parola mi strattonava tirandomi l'orecchio che mi aveva afferrato con un movimento altrettanto repentino "perché se non li sai fare adesso imparerai!" Si abbassò gli slip tirando fuori l'uccello duro e sbattendomelo sulla guancia. "Apri la bocca, finocchio!" Che potevo fare? La aprii e lo presi in bocca, chiusi gli occhi e pensai a Raffaele che mi aveva addestrato anche a quello. A lui piacevano i miei pompini. "Ehi, li sai fare!" fece Fabio rilassandosi, mentre io lo lavoravo di bocca "Mi sa che li fai meglio della Sandra che è la bocchinara del liceo" lo sentii sospirare e capii che stavo per assaggiare la sua sborra "a te non devo neanche stare a sentirti dopo" mi prese per i capelli e mi scopò in bocca quasi soffocandomi, poi cominciò a sborrare "Oh, ehi, li sai fare i pompini, cazzo!" disse affannato "E come cazzo è che ti chiami?" aggiunse ridendo, contento. Dopo l'ultimo schizzo lo tirò fuori dalla bocca, mentre io ingoiavo tutto. Eravamo entrambi ansanti, io ce l'avevo duro un'altra volta e me lo stavo toccando, alzai gli occhi per guardarlo. Era bello davvero, con i capelli neri luccicanti al sole di mezzogiorno, il volto arrossato dall'eccitazione, i denti bianchi perfetti, le guance lisce e vellutate, più rosse al centro. Aveva una faccia da baciare, leccare, mangiare. Il corpo era perfettamente proporzionato, le spalle larghe, il torace già disegnato, le gambe diritte e muscolose, con pochi peli visibilisui polpacci. Anche l'uccello, lungo quanto il mio e un poco più grosso, era perfetto su di lui. Una sottile striscia di peli partiva dall'ombelico per allargarsi nella corona di peli nerissimi che gli incorniciava il cazzo. A parte sotto le ascelle non si vedevano altri peli sul corpo. Era bello e completamente diverso da Raffaele. "Non toccarti davanti a me, non farmi vedere che ti tocchi guardandomi" sibilò colpendomi con uno scappellotto che mi fece male "adesso puliscimelo" disse e mi avvicinò il cazzo solo un po' moscio alla bocca. Aprii le labbra e lo accolsi un'altra volta per leccarlo, poi lo presi con una mano per poterlo muovere e pulirlo meglio. Ero molto eccitato, tanto da non ragionare più tanto bene. Mi toccai ancora. Una mano sul mio cazzo, l'altra sul suo. Se ne accorse e mi fu addosso. Una volta ancora fu così veloce che non riuscii a prevedere i suoi movimenti. In un attimo fui immobilizzato sotto di lui, di fianco contro la sabbia, il petto schiacciato contro le sue cosce, con un braccio mi bloccò del tutto. Aveva l'altro braccio libero e con la mano aperta cominciò a sculacciarmi. Un altro dejà vu. I colpi si susseguirono violenti e dolorosi sul costume. Lo sentivo sbuffare, boccheggiare, ma non rallentava il ritmo. Si fermò solo per abbassarmi il costume e continuare sul mio culo nudo e bagnato di acqua salata e per questo ancora più sensibile. Ero piegato sul fianco destro, quindi fu la natica sinistra a prendersi la maggior parte delle sculacciate. All'inizio cercai di non piangere, ma non era facile e fu impossibile sottrarmi a quella specie di viaggio a ritroso nel tempo. Dovevo piangere, anche se sapevo che alla fine non ci sarebbe stata quella specie di affetto che Raffaele mi mostrava. Questo stronzo mi avrebbe sbeffeggiato ancora di più vedendo le mie lacrime. Piansi lo stesso, prima sommessamente, poi più forte, finché Fabio non mi cadde addosso stremato. Lo sentivo respirare pesantemente, il petto contro la mia schiena, la sua pelle sulla mia che era bagnata e scivolosa. Aveva il cazzo duro e lo sentivo sulla pelle sensibile del culo. Mi chiesi se mi avrebbe inculato, lo sperai. Ero ancora eccitato. Lui invece si alzò lentamente, mi dette un`ultima sculacciata, con la mano aperta, su tutte e due le natiche e se ne andò ridacchiando. "Ho fame, finocchio" gridò quando ebbe fatto qualche passo "tocca a te cucinare, no? Mi faccio una nuotata e torno tra dieci minuti. Vedi di farmi trovare qualcosa di buono, sennò lo sai che ti succede?" Ero ancora a terra e lo guardai speranzoso. "Ti sculaccio ancora, finocchio, ho visto che ti piace!" Riuscii a fare la doccia e a mettere insieme un pasto decente in dieci minuti, poi lo attesi sotto il patio. Non sapevo che pensare, l'idea di lasciarmi dominare per i prossimi mesi era attraente, ma d'altro canto non potevo rinunciare alla possibilità che avevo di guadagnarmi la borsa di studio a Torino. Era un bel problema. Confrontando gli avvenimenti della giornata con l'esperienza di Raffaele, mi era ormai chiaro che in presenza di qualcuno in grado di dominarmi, ridiventavo docile e remissivo, ma stavolta era diverso. Era in gioco il mio futuro, non il posto di vice caposquadriglia. Fabio arrivò grondante acqua dopo una mezz'ora. "Vammi a prendere un asciugamani" ordinò ed io mi alzai velocemente per accontentarlo "che si mangia? Cazzo, sono affamato!" Mentre eravamo a tavola parlammo un po', anche se lui continuò a fare il bullo, facendomi alzare continuamente, io cercai di essere accomodante. "Fabio, dobbiamo programmare i tuoi studi" cercai di dirgli, quando finimmo di mangiare e mentre portavo le stoviglie nel cucinino per lavarle. "Non dire più quella parola" mi gridò da fuori "tu pensa a coprirmi con mio padre che a evitare la Svizzera ci penso io, capisci?" "Ma non puoi perdere l'anno!" "E a te che cazzo te ne frega? Non vieni pagato lo stesso per stare qua a farmi pompini e a pulirmi il culo?" Stavo per dirgli della promessa di suo padre, ma il santo protettore degli schiavi mi fermò. Non potevo dargli un'altra arma tra le mani. Sollevai le spalle e mi misi a lavare i piatti. Lui mi venne dietro, mentre ero voltato verso il lavello e mi posò il cazzo duro contro lo spacco. "Lo sai che mi fai arrapare?" disse muovendosi dietro di me "L'hai mai preso in culo?" io scossi la testa, sperando che non si accorgesse di quanto ce l'avevo duro anch'io, invece mi mise la mano davanti e me lo toccò "Ti piacerebbe, non è vero?" e nel dirlo mi abbassò il costume, scoprendomi il culo. "Fabio, ti prego" cercai di sottrarmi, ma lui m'immobilizzò contro il lavello appoggiandomi tra le natiche il cazzo che gli era uscito dagli slip. Sentii la pelle vellutata della sua asta sfiorarmi l'interno delle natiche e non riuscii a sopprimere un sospiro. Lo sentii ghignare. Mi aveva in pugno e lo sapeva. "Lo vuoi nel culo?" mi sussurrò nell'orecchio, poi mi leccò il lobo e cominciò a mordicchiarlo, finché non affondò i denti con forza nella parte carnosa. Gridai forte, cercando di divincolarmi, ma lui mi tenne fermo stringendomi le braccia attorno al torace. Mi lasciò l'orecchio e mi dette un bacio sul collo. "Se lo vuoi nel culo fai di si nella testa" disse piano. "Si, ma non mordermi, cazzo!" urlai. "Cazzo qua lo dico soltanto io, tu hai una fichetta!" e nel dirlo mi spinse facendomi sentire di più l'uccello nello spacco "Non voglio sentire quella parola detta da te e per essere sicuro che mi hai capito..." ancora un movimento fulmineo e mi ritrovai abbassato e con la testa nel lavandino, sotto l'acqua corrente, mentre lui, afferrato un cucchiaio di legno che era sul ripiano, cominciò a colpirmi sul sedere nudo. Non immaginavo che potesse fare tanto male, un piccolo cucchiaio di legno, anche se dato con forza. Invece faceva male. Erano colpi brevi, ripetuti e tutti nello stesso punto, si spostava di poco e ricominciava, sul culo già sensibilizzato dalle sculacciate sulla spiaggia. Sentivo le fitte di dolore riverberarsi, di ogni colpo udivo il rumore, lo schiocco era seguito dallo spasimo che cominciava in superficie e poi si spingeva dentro al muscolo. Colpo su colpo. "Ti prego, Fabio!" gridai, da sotto il rubinetto aperto, incerto che mi sentisse. Stavo piangendo un'altra volta. "Va bene, finocchio, basta! Come hai detto che ti chiami?" fece lui fermandosi, senza liberarmi. Ero sempre sotto lo scroscio l'acqua che mi entrava nel naso e nella bocca impedendomi di respirare. "Lorenzo" urlai con tutto il fiato che avevo in gola. "Lorenzo" fece lui, ridendo, mentre mi accarezzava il sedere, facendomi male anche solo sfiorandomelo "siamo d'accordo allora, Lorenzo, che non dirai più cazzo in mia presenza?" e finalmente chiuse il rubinetto. "Si, si, non lo farò più" mi affrettai a dire. "Non devi, perché, vedi, Lorenzo" sentii le dita muoversi e cercarmi il buco "tu hai una fichetta e non puoi dire cazzo, capisci?" "Si!" "Dimmi, che cosa hai qua?" mi aveva trovato il buco e stava spingendo il dito, una nocca era già dentro e le altre seguirono. Era il movimento di poco prima che mi avrebbe portato a sborrare in poco tempo "Che hai qua, Lorenzo?" "La fichetta" feci io ed era quello che si aspettava che dicessi. "E questo che cos'è?" la mano mi aveva lasciato il culo per prendermi l'uccello duro che aveva scappellato, tirando la pelle tutta indietro, fino a farmi male. "Ahi!" mi lamentai "Fabio, per favore" stavo piangendo. "Che cos'è questo?" "Il mio... pene?" "No questo è il pisellino" disse ridacchiando "d'ora in poi questo sarà il tuo pisellino e queste le palline" e me le strinse facendomi sobbalzare "questa invece è la tua fichetta" così dicendo mi infilò due dita nel culo "in cui io tra metterò il mio cazzone!" Mi stava facendo male, ma il mio uccello era sempre più duro. Sentire le sue dita muoversi dentro mi dava scosse che terminavano alla punta del cazzo o del pisellino come avrei dovuto chiamarlo. "Allora lo vuoi nella fichetta?" "Si, Fabio" dissi con un sospiro. Non di rassegnazione, ma di eccitazione. Si spostò dietro di me, lasciandomi andare, certo che non gli sarei sfuggito, si sputò sulle dita per bagnarsi la punta dell'uccello e me lo puntò contro il buco. Spinse e mi fu dentro esattamente come aveva sempre fatto Raffaele. I brividi che mi colsero furono di piacere e anche di commozione. Stavo rivivendo un tempo che ero certo non si sarebbe mai ripetuto. Raffaele era un'altra volta dentro si me e mi stava scopando senza pietà. Fabio m'inculò con furia e inesperienza, non potei fare a meno di pensarlo. Per quanto Raffaele era stato meticoloso nel prendersi il suo piacere e anche nel darmi il mio, Fabio fu precipitoso e ancor prima che il dolore della penetrazione lasciasse il posto al piacere di essere scopato, mi stava sborrando dentro, crollando esausto sopra di me. E non mi dette l'orgasmo indotto che mi avrebbe dato Raffaele, perciò mi masturbai sfruttando la sensazione del suo cazzo dentro di me e in pochi colpi schizzai contro il mobile del lavello. Si sfilò senza dire una parola e se ne andò sul divano, dove crollò esausto. Io mi tirai su il costume da bagno e ripresi a lavare i piatti. Avevo le lacrime agli occhi, mi sentivo perduto, soffocato tra le prepotenze di Fabio e la mia arrendevolezza. In mezzo c'era il mio sogno. La sborra di quello stronzo mi colava tra le gambe ed io piangevo. Credevo dormisse, ma, mentre me ne andavo al cesso, mi chiamò. "Vieni a pulirmelo" disse con voce assonnata, come se mi stesse chiedendo di portargli un bicchiere d'acqua e forse mi avrebbe anche detto `per piacere' e poi `grazie'. Lui allargò le gambe ed io m'inginocchiai in mezzo. Ce l'aveva moscio e glielo presi in bocca. Aveva il sapore e l'odore della mia cacca, ma io lo leccai lo stesso, lasciandolo pulito e odoroso della mia saliva e anche mezzo duro un'altra volta. Mi allontanai prima che gli venisse voglia di incularmi ancora. Nel bagno mi liberai della sua sborra e piansi. Dormì tutto il pomeriggio. Alle sei si alzò per pisciare e poi andò a tuffarsi per una lunga nuotata. Quando tornò dalla spiaggia, si sedette sotto il patio e si mise a guardare il mare. Cercai di restargli il più lontano possibile, mentre preparavo la cena. C'era poco da scegliere, un'insalata e un piatto freddo, qualche frutto. "Lorenzo" gridò da fuori "vieni qua!" Corsi da lui, lo trovai sdraiato su una poltrona di vimini, inconsciamente mi misi sull'attenti, come avrei fatto con Raffaele. "Dobbiamo prendere per il culo mio padre e non sarà facile, ma tu mi aiuterai!" Non dissi niente e lui prese il mio silenzio per un si. "Lui verrà qua ogni giorno e già so che cercherà di scoprire se studiamo davvero. Tu ovviamente gli dirai che non facciamo altro e mi farai qualche domanda a cui io risponderò." Vedevo Torino allontanarsi avvolta nella nebbia, ma ci sarei andato lo stesso, avrei dormito sotto i ponti. "Nel frattempo cercheremo di far passare queste settimane nel miglior modo possibile." "Si, Fabio!" come avrei potuto essere `si, Raffaele'. Non fosse per Torino sarei quasi stato contento di stare lì a dirglielo, ma mi sarebbe costato troppo. "Lui verrà sempre alla solita ora, cioè quando esce dal lavoro, perciò la mattina posso dormire finché mi pare. Tu hai le tue cose da fare, ma sarai sempre a mia disposizione." "Si, Fabio!" "E vedi di non farmi incazzare, sennò sai quello che ti succede, vero?" "Si, Fabio!" ripetei ipnotizzato. "Per la notte... vedremo. Chissà, potrei aver bisogno di un pompino oppure di incularti, non lo so, perché al momento mi hai spompato, ma fino a stasera capace che mi arrapo un'altra volta. Lo sai che hai un bel culetto?" "Grazie, Fabio!" "Vieni" e mi fece cenno di avvicinarmi, mi prese la mano e mi fece mettere sulle sue ginocchia, con il sedere per aria, come se volesse sculacciarmi un'altra volta. "Ti prego, Fabio, mi fa molto male" mi lamentai, ma lui mi aveva già abbassato il costume e mi stava massaggiando il culo. "È tutto rosso, ma per domani dovrebbe passare. Non ti ho fatto niente. Stai sempre a lamentarti!" "Mi fa male, Fabio" insistei e stavo anche piagnucolando. "Anche qua?" mi aprì le natiche e mi accarezzò dentro, poi lentamente m'infilò il medio nel buco. Non potei fare a meno di muovermi, l'uccello mi diventò improvvisamente duro. "Qua ti piace" disse sicuro e mosse il dito strappandomi un lamento, poi lo tirò fuori e riprese ad accarezzarmi "Possibile che ti ho sverginato io?" "Si, Fabio, nessuno prima di te" mentii. "Lo sai che anche tu sei il primo per me? Con i miei amici ci siamo fatti qualche sega insieme, ma niente prima di venire qua. Dopo Natale quella puttanella della Sandra ci ha fatto un pompino a tutti ad una festa! Cazzo se è stato forte, ma quello che mi hai fatto tu stamattina era meglio! Sei sicuro che era la prima volta?" "Te lo giuro, Fabio" dissi io che ero sempre con la testa all'ingiù. "Lo sai che mi arrapi, Lorenzo, con questa fichetta?" e mi aprì il culo, piantandomi le dita al centro e allargando le natiche fino a farmi male "Sai che non avevo mai pensato di inculare un maschio? Che mi hai fatto? È possibile che a stare con te qualche ora sono diventato finocchio anch'io?" "Non credo, Fabio" dissi io imprudentemente. Ormai sapevo che era omosessuale anche lui, tutto stava a faglielo capire e accettare. Mi sculacciò forte, facendomi sobbalzare. "Che cazzo vuoi dire?" "Niente, Fabio, solo che mi pare che stia piacendo anche a te quello che facciamo." "E allora?" "Secondo me non devi preoccuparti. Non è che devi per forza decidere adesso quello che sei" feci io sperando di mettere fine alla conversazione e magari di affrontarla in seguito, quando mi fossi letteralmente trovato in un'altra posizione. "Tu sei un finocchio ed io mi sto adattando alla situazione" sputò sul buco che, mentre discutevamo, era rimasto aperto, poi richiuse le natiche per fare entrare la saliva nella cavità "sapevo che ai finocchi piace prenderlo nel culo, ma non pensavo che fosse così!" Sputò ancora e infilò un dito tutto dentro, io mormoravo di piacere e mi mossi sul suo grembo. Ne infilò un altro e poi un terzo. Avevo già sborrato due volte nelle ore precedenti, quindi non c'era pericolo immediato, ma poteva sempre accadere. Cercai di non pensarci. Se gli avessi sborrato addosso mi avrebbe sicuramente frustato. Lui continuò a stimolarmi ed io ero sempre più eccitato. "Fabio, ti prego" cercai di avvisarlo. "Non riesci a controllarti, quando t'infilo qualcosa eh?" "No, è che io... ti prego, Fabio!" Continuò a lavorarmi, incurante dei miei movimenti e del mio disagio. Stavo per sborrare, feci qualche respiro profondo, cercai di distrarmi, ma non c'era verso. "Fabio, io..." e poi accadde. Tre piccoli schizzi mi partirono dall'uccello e impiastricciarono la mia pancia e il suo grembo. Sentendomi sborrare non si fermò, ma continuò a lavorarmi, finché non mi fui calmato, poi mi tirò fuori la mano dal culo e mi spinse per terra, facendomi mettere in ginocchio davanti a lui. "Puliscimi le dita" e mi porse la mano che leccai prontamente. Non aveva fortunatamente il cattivo odore del suo uccello di qualche ora prima. Quando ebbi finito mi dette uno schiaffo, poi un altro, mentre mi fissava accigliato. "Metti le mani dietro la testa" lo feci subito e lo vidi alzarsi "resta fermo dove sei" disse entrando nella villa. Lo attesi in ginocchio e con le mani unite dietro la nuca per parecchio, forse per una decina di minuti. Quando tornò aveva in mano la cintura di un accappatoio e un pezzo di gomma, un tubolare di camera d'aria che aveva trovato chissà dove. Prima che potessi protestare mi prese i polsi e li legò ad una colonna del patio, costringendomi a restare in ginocchio a gambe aperte, poi prese il poggiapiedi di legno che era davanti alla poltrona e me lo mise tra le gambe, con la punta delle dita mi prese l'uccello e lo posò sul ripiano. Io seguivo incredulo ogni sua mossa. Non capivo cosa avesse in mente, ma presto me ne resi conto con terrore. Voleva frustarmi sull'uccello. "Se starai fermo, faremo in fretta, se ti muovi, dovrò ricominciare" disse con una voce calma che mi terrorizzò. Adesso sapevo che era pazzo. Per la paura il mio uccello si era nascosto il più possibile, ma lui me lo menò con pazienza e fece un buon lavoro fino a farlo tornare di una dimensione decente. Quando fu soddisfatto, lo posò sul banchetto, prese la mira e lo colpì con la cinghia di gomma. Provai un dolore atroce, gridai e cercai di muovermi, spostandomi, per evitare l'altro colpo. "Questa non conta" disse lui sempre calmo "ti sei mosso. Te l'avevo detto, no?" "Ti prego, Fabio" feci io tra le lacrime e i singhiozzi. "Cerca di stare fermo e faremo in fretta" ripeté. Riprese a menarmi l'uccello che nel frattempo si era ammosciato, lo fece indurire un'altra volta e lo posò sul ripiano. Mi dette cinque colpi uno più forte dell'altro, dopo ogni colpo si fermava per farmi sentire tutto il dolore e per godersi i miei contorcimenti. Per conto mio cercai di restare fermo il più possibile, ma non potevo fare niente se il pisello mi diventava a ogni colpo più corto. "D'ora in poi sborrerai solo con il mio permesso. È chiaro?" disse dopo la quinta frustata. "Si, Fabio" dissi piangendo, perché l'uccello mi faceva davvero male. Mi sciolse e se ne andò dentro, lasciandomi là, raggomitolato per terra a piangere, perché il dolore era insopportabile. Temevo che non avrebbe più funzionato, invece, con mia grande sorpresa e raccapriccio, quando cominciai ad adattarmi al dolore, il mio uccello colse l'implicito erotismo di quell'ulteriore atto di degradazione cui mi aveva sottoposto Fabio e ricominciò ad indurirsi. Fino ad un certo punto però, perché il dolore era ancora forte. Dopo cena non mi cercò, se ne andò sulla spiaggia, camminando nervosamente avanti e indietro. Io trovai rifugio nella lettura. Quella notte dormimmo nella stessa camera, nel letto matrimoniale. "Ti va di dormire con me?" chiese lui, quasi con gentilezza "Così se ho bisogno di qualcosa non devo gridare" aggiunse poi, tanto per rimettere le cose a posto. Era annoiato e si capiva. Non parlò più, ignorandomi completamente. Feci fatica ad addormentarmi, perché mi faceva male per le botte che avevo preso, ma ce l'avevo duro lo stesso. Mi faceva male anche il culo, ma quel dolore era quasi arrapante assieme all'idea di essere nello stesso letto con un così bel ragazzo, tanto cattivo. Alle otto, il mattino dopo, quando avremmo dovuto incominciare a studiare, lui era sonoramente addormentato, perciò mi alzai non osando svegliarlo e andai a prepararmi un po' di colazione. "Lorenzo, dove cazzo stai?" mi urlò dopo un poco "vieni qua che ce l'ho duro da morire, ho voglia d'incularti!" ed io corsi da lui, ansioso di accontentarlo. Si era abbassato gli slip con cui aveva dormito e il suo uccello gli spuntava in grembo, dritto e duro. Si mise di fianco e mi fece cenno di mettermi accanto a lui. Non mi feci pregare. Mentre mi stendevo, mi bagnai le dita di saliva e me le passai sul buco, vidi che lui faceva lo stesso bagnandosi la cappella. "Dimmi che ti piace prenderlo nel culo" mormorò, nonostante il grido di prima, era ancora mezzo addormentato "dimmi che lo vuoi!" Non gli badai e mi avvicinai a lui, cercando di mettermi a portata del suo uccello. Ero di fianco anch'io e mi passò un braccio sotto al corpo, mentre con l'altro guidava l'uccello dentro al buco. Quando l'ebbe fatto, assicurandosi che non si sfilasse, mi strinse in una specie di abbraccio, ma le sue mani andarono subito a cercarmi i capezzoli che mi strinse con violenza torcendoli. "Quando ti ordino di fare qualcosa, devi farlo, senza esitare" e a ogni parola torceva i capezzoli provocandomi delle fitte dolorose che si riverberavano al mio uccello, inspiegabilmente sempre più duro "ho detto che devi dirmi quanto ti piace prenderlo nel culo e voglio sentirtelo dire" le sue parole erano anche accompagnate dalle botte che mi dava inculandomi, selvaggiamente. Per quanto lo odiassi, in quel momento, ciò che mi stava facendo era estremamente arrapante, mi stava somministrando una miscela perfetta di dolore, stimolazione sessuale e dominazione. Cercai di non pensarci e di concentrarmi invece sul dolore ai capezzoli, per evitare di sborrare senza il suo permesso e subire un'altra orribile punizione. "Si, Fabio, inculami, ma ti prego" riuscii a dire ansimando "non mi fare male" e cominciai a piangere. Mi lasciò andare i capezzoli e, mentre con una mano mi accarezzava la pancia, con l'altra scese a toccarmi l'uccello che era ancora molto sensibile. "Ti piace essere inculato, eh?" disse mentre me lo menava lentamente "Sai che pensavo che non ti si sarebbe più diventato duro il cazzo dopo ieri sera?" Ridacchiò alla sua battuta, poi si concentrò sulla scopata che mi stava facendo, lo sentii accelerare il ritmo dell'inculata e delle strofinate che stava dando al cazzo, ma sborrò molto prima che volesse ed io lo seguii subito, schizzando sulle lenzuola. "Cazzo, se mi fai arrapare. Vengo sempre troppo presto quando t'inculo!" si lamentò, lasciandomelo dentro, continuando a muoversi lentamente. Fu così piacevole che stavo quasi per addormentarmi. Lo sentii muoversi diversamente. "Devo pisciare" disse ed io feci per sfilarmi da lui, per farlo alzare, ma con la mano che mi teneva ancora sulla pancia mi bloccò "stai qua, adesso ti piscio nel culo. Cazzo che idea, vediamo se ci riesco!" Rimasi immobile, ero incredulo, non immaginavo che si potesse pisciare da un cazzo che sentivo ancora duro, ma poi avvertii l'ingombro aumentare, mi stava riempiendo di piscia. Avvertivo il liquido fluire da lui a me, il movimento dei suoi muscoli che si tendevano e rilassavano, cercando di vincere la pressione interna del mio corpo. Sarebbe stata una bella lezione d'idrodinamica, se non fosse che mi stava pisciando nel culo e che adesso ero quello che doveva liberarsi e al più presto. "Mi fa male" piagnucolai "Fabio, mi sento male" dissi ancora, sperando di impietosirlo. Il dolore che provavo era atroce, mi sentivo pieno in tutti i sensi. Mi afferrò, stringendomi con le braccia, mi sollevò dal letto e sempre uniti, il suo cazzo nel mio culo, corremmo nel bagno dove riuscì a farmi sedere sulla tazza appena in tempo e senza danni. Piangevo e singhiozzavo per l'imbarazzo e anche per il sollievo. Non saprei dire quale dei sue fosse più forte. "Fai schifo, sei riuscito a pisciare dal culo" diceva lui ridendo come un pazzo, mentre se ne stava in piedi davanti a me, dondolando l'uccello davanti alla mia faccia "ti va di pulirlo?" non me l'ordinò e questo mi sorprese talmente che glielo presi in bocca, quasi di buon grado, cercando, per quanto possibile, di ignorare il sapore, l'odore, il colore del cazzo che avevo di fronte agli occhi. Ebbi qualche conato, ma glielo succhiai e leccai, fino a pulirlo. E lui mi accarezzò i capelli, mentre glielo facevo, arrivando a baciarmi sulla fronte. Quel pomeriggio la prima visita del dottor Braschi fu senza sorprese, Fabio si comportò bene e gli raccontò che avevamo già cominciato a studiare, facendo programmi per i giorni seguenti. Il padre me ne chiese conferma ed io vigliaccamente sostenni la versione del figlio. Quando se ne fu andato, promettendo un televisore se avesse visto progressi entro una settimana, Fabio bestemmiò per un quarto d'ora. Chissà perché, si aspettava che il padre cedesse prima sul televisore. Quella sera, dopo cena ce ne andammo a passeggiare sulla spiaggia. "Cazzo, Lorenzo, stiamo qua a romperci i coglioni tutti e due" disse dopo che avevamo percorso avanti e indietro la spiaggia "non ti sembra l'ora d'aria dei detenuti." "Lo so, hai ragione" feci io prudentemente, per evitare reazioni. Quella sera a cena mi aveva sculacciato perché avevo messo troppo olio nell'insalata. Dopo averla assaggiata, mi aveva fatto alzare e poi fatto piegare sulla tavola, mi aveva abbassato il costume da bagno e mi aveva sculacciato fino a farmi piangere. Le carezze che mi aveva fatto poi sulle natiche mi avevano immediatamente consolato. Avevamo ripreso a cenare come se niente fosse. Così non commentai il suo sfogo e lui andò avanti. "Io ho combinato un casino a scuola e adesso me la sto piangendo, ma tu che cazzo hai fatto per meritarti di stare qua?" "Sono nato povero!" "Eh?" E gli spiegai della mia necessità di lavorare d'estate per aiutare a casa, continuai a non dirgli niente della promessa di suo padre di aiutarmi per Torino. "È per questo che mi fai i pompini e ti fai inculare?" "Anche" dissi allora, cercando di non espormi troppo. "E che altro ancora?" "Beh, tu sei più svelto di me e mi hai, come dire, un po' costretto, un po' attratto..." "Cioè vuoi dire che ti piace quello che ti faccio?" chiese incredulo. "Un poco" buttai là, sperando di non aver rovinato tutto "Cazzo!" "A te non piace?" "Cosa? Incularti o sculacciarti, farti piangere?" "A me pare che un po' ti piaccia, no?" "Forse, però sei incredibile!" "Grazie!" "Lorenzo, e se invece ti dicessi che mi piace?" "Non mi meraviglierebbe!" "Nel senso che tu pensi che sono finocchio?" "No, no" mi affrettai a correggere il tiro, prima di finire frustato a sangue "quello che penso è che a te piace essere dominante nei miei confronti. Hai subito stabilito chi è il capo qua e chi comanda. Non c'entra essere finocchio in questo. Allo stesso modo per me, io non sono sicuro di essere finocchio" magari in quel momento ci credevo anch'io "ma mi piace quello che mi fai." "Tu sei un finocchio" e nel dirlo mi prese un braccio e me lo strinse forte, poi lo storse, facendomi piegare per evitare il dolore "che altro devi fare per essere un finocchio?" "Hai ragione" dissi subito "sono un finocchio." "Giusto, cazzo! Lo sai che oggi non me lo hai ancora succhiato? E prima sculacciandoti mi si è intostato, ma a tavola non si fanno certe cose. Adesso però, sotto le stelle, sarebbe bello. Succhiami il cazzo, dai!" Non mi feci pregare, in ginocchio davanti a lui glielo presi in bocca. Non c'era molto da fare per due ragazzi, oltre a passeggiare, per me leggere, per lui sculacciarmi, sottomettermi e incularmi, mentre anch'io mi prendevo la mia parte di divertimento. Dopo i primi aggiustamenti, entrammo in una specie di routine quotidiana che, dopo una notte trascorsa nello stesso letto, praticamente abbracciati, perché mi inculava per la maggior parte del tempo, prevedeva tutta la mattinata al mare. Eravamo entrambi buoni nuotatori, perciò ci demmo da fare a stancarci nuotando, gareggiando spesso. Tutte le volte che vinceva, per celebrare si faceva succhiare l'uccello, senza sborrare, perché spesso non ne aveva la forza. Se perdeva mi sculacciava. "In posizione!" urlava ed io, abbassatomi velocemente il costume, mi mettevo con le mani sulle ginocchia e aspettavo che mi colpisse. Sulla pelle umida, con le mani bagnate, le sculacciate valevano doppio per il dolore che generavano. Mi lasciava andare solo dopo che lo pregavo di smettere e sempre tra le lacrime. Qualche volta che era più incazzato, perché l'avevo battuto proprio quando era certo di aver vinto, mi tirava fin sulla spiaggia e gettatomi sulla sabbia, a pancia sotto, mi toglieva completamente il costume e cominciava a sculacciarmi furiosamente, colpendomi, oltre alle natiche anche le cosce e i polpacci. In quelle occasioni, ciò che davvero m'impressionava, era la mia totale arrendevolezza. Accettavo le percosse e l'umiliazione senza minimamente ribellarmi, né cercavo di sottrarmi e, se mi muovevo, era solo per strofinare meglio l'uccello nella sabbia. Dopo quel trattamento, ero completamente indolenzito e tutto rosso da dietro. Alla fine delle sculacciate, comunque, si faceva sempre succhiare e mi dava il permesso di menarmelo per sborrare anch'io. Dopo pranzo ce ne stavamo all'ombra a dormicchiare aspettando che si rinfrescasse l'aria, poi aprivamo i libri, aspettando che arrivasse Braschi a farsi prendere per il culo, come diceva Fabio, facendomi sempre sganasciare dalle risate. Il dottore si tratteneva il minimo indispensabile per lasciare le provviste, sentire quello che volevamo per il giorno dopo, interrogare il figlio su quello che aveva studiato quel giorno, chiedere conferma a me e poi se ne andava tranquillo. Noi aspettavamo che la macchina raggiungesse la cima del promontorio, scomparendo oltre le curve, poi correvamo felici in spiaggia, gettandoci in acqua e ricominciando a nuotare e schizzarci, darci spinte che finivano sempre con me `in posizione' a prendermi la mia razione pomeridiana di sculacciate. Trascorrevamo le serate passeggiando, oppure seduti sotto il patio, potrei dire a chiacchierare, ma sarebbe più giusto dire che Fabio parlava in continuazione spettegolando sui suoi compagni di scuola che erano tutti teste di cazzo e sui genitori con cui non aveva un buon rapporto. L'avevano viziato, privandolo di ogni desiderio. Quando era stanco, se ne andava dentro e si preparava a dormire. Rimettevo a posto, sistemavo la villa e aspettavo che mi chiamasse per dormire con lui. Mi spogliavo nudo e m'infilavo nel letto dandogli le spalle, poi mi spostavo a ritroso fino a far incontrare il cazzo duro con il mio culo. A quel punto cominciava la nottata che finiva sempre al mattino con l'ultima sborrata. Mi pisciò solo un'altra volta nel culo, io piansi tanto e lui non lo fece più. Un giorno Braschi ci portò un materassino gonfiabile da usare in mare. Appena se ne fu andato corremmo in spiaggia a provarlo e ci allontanammo un po' più del solito. Quando fummo abbastanza al largo, Fabio cominciò ad accarezzarmi il culo. "Tu pensi sempre che io sia finocchio, non è vero?" "No, Fabio, tu sei quello che decidi di essere ed io non penso che tu sia finocchio!" meglio essere prudenti. "Bugiardo, tu pensi che io sia finocchio, solo perché sto qua con te che sei finocchio da fare schifo!" si stava arrabbiando, mentre eravamo tutti e due appoggiati al materassino e galleggiavamo pigramente sull'acqua. Il mare era una tavola. "Io sono finocchio, Fabio, ma tu no!" dissi infervorato, sperando di calmarlo. "Mettiti sul materassino" ordinò ed io lo feci velocemente. Cominciò a toccarmi l'uccello che subito s'indurì, poi mi toccò il torace, accarezzandomi i capezzoli, ne prese uno tra il pollice e l'indice e strinse forte. Io urlai, lui strinse ancora ed io gridai di più. M'infilò la mano nel costume e mi prese l'uccello sempre più duro, lo strinse nel pugno e cominciò a menarmelo. "Girati" disse con il fiato corto "me lo stai facendo diventare duro, lo sai?" Mi accarezzò il culo, poi mi abbassò il costume, con le dita andò a cercarmi il buco. Me ne infilò prima uno, poi due muovendoli lentamente. Io mormorai per il piacere. "Davvero ti piace quando ti faccio così?" "Si, Fabio, mi piace quando mi tocchi la fichetta" dissi io usando le parole che lui voleva che usassi. "Così sborri, non è vero?" "Credo di si, mi sento il pisellino tutto duro" usavo quel linguaggio sciocco che trovavo terribilmente erotico "posso farlo? Ti prego, Fabio, ti prego, fammelo fare!" "Non ancora!" mi ordinò lui ed io cercai di distrarmi da quelle sensazioni potenti che mi stava regalando scopandomi con le dita. Ci pensò lui a sviare la mia attenzione, rivoltando il materassino e facendomi finire in acqua. "Finocchio!" Nuotavo a qualche metro da lui e lo guardavo. "Che cazzo hai da guardarmi?" "Niente, scusami, è che io ho paura di te" confessai, distogliendo immediatamente lo sguardo, anche se avrei voluto dire che ero innamorato di lui. Un po' mi faceva paura, ma soprattutto ero completamente infatuato dai suoi modi autoritari, da com'era in grado di dominarmi. "E fai bene" disse lui "riportami a riva" ordinò, stendendosi e mettendo le mani dietro la testa, mentre io mi appoggiavo al materassino dalla parte dove lui aveva i piedi e cominciavo a spingere con la forza delle gambe. Ci eravamo allontanati parecchio e fu una bella fatica, anche perché c'era una corrente che ci spingeva al largo. Quando raggiungemmo la riva ero stremato e mi gettai sulla sabbia a gambe e braccia aperte. Ero affannato e respiravo profondamente, lui s'inginocchiò tra le mie gambe e poi lentamente si mise su di me. Lo sentii aderire al mio corpo e, prendermi la testa tra le mani e poi baciarmi, con la lingua in bocca e tutto il resto. Stavamo pomiciando sulla spiaggia al tramonto come due innamorati, l'avevamo duro e per me era come vivere in un sogno. Improvvisamente scattò di lato, mettendosi in ginocchio accanto a me, mi fece voltare a pancia sotto, mi tolse il costume e mi allargò le braccia e le gambe come fossi in croce. "Si ti muovi ti ammazzo!" disse e lo vidi alzarsi e correre verso la villa. Mi lasciò nudo, ansimante, eccitato sulla sabbia bagnata, con le piccole onde della marea che si stava alzando a lambirmi i piedi. Quando l'acqua mi stava raggiungendo il petto, lo sentii avvicinarsi, lo guardai, era nudo e bello da morire, aveva qualcosa in mano. Mi girò attorno un paio di volte, guardando attentamente il mio corpo. Io me ne stavo con una guancia sulla sabbia, voltato in modo da non avere il sole calante negli occhi, vedevo i suoi piedi passarmi davanti agli occhi, una, due, tre volte. "Si ti muovi ti ammazzo!" ripeté inginocchiandosi accanto a me, mi posò una mano sulle reni, intuii il movimento che fece con l'altro braccio, poi il dolore mi esplose sul culo. Mi colpì ripetutamente con qualcosa di più morbido del cuoio, poi capii che era quello stesso pezzo di gomma col quale mi aveva già frustato l'uccello. Mi percosse con metodo, coprendo tutta la superficie delle natiche e poi a scendere verso le ginocchia. Senza troppo muovermi riuscivo a vedergli l'uccello duro, sobbalzante a ogni colpo che mi dava. Avevamo l'affanno, lui per la fatica di colpirmi, io per il dolore, il pianto, i singhiozzi che ormai mi squassavano il petto. "Tu sei come me" gridai "tu sei come me" ripetei nel mio pianto convulso. Udirmi, sentirselo dire, gli fece aumentare la forza e la cattiveria dei colpi, che adesso si abbattevano sulla spalla sulle braccia, sul collo, sulle reni, finché non mi cadde addosso esausto. "Non sono come te" disse piangendo anche lui. Il peso del suo corpo, sporco di sabbia, sulla mia pelle martoriata, provocò una sofferenza tanto intensa da darmi conati che controllai a stento. Lui continuò a trascinarsi sopra di me completamente inconsapevole della sofferenza supplementare che mi stava infliggendo, ne ero certo. "Non sono come te" disse ancora, mentre mi allargava il culo posando l'uccello duro tra le natiche, poi si spostò indietro cercandomi il buco con la punta della cappella e spinse. "Sei come me" dissi piano e lui mi abbracciò spingendosi dentro di me. Gli fu sorprendentemente facile penetrarmi e quando mi fu dentro, cominciò a scoparmi come non aveva mai fatto. Lo fece con una gentilezza, una dolcezza che nessuno aveva mai usato con me, non Raffaele sicuramente. Per la prima volta qualcuno fece l'amore con me. Il mare mi aveva quasi raggiunto, la marea era cresciuta e quando mi passò le braccia attorno al corpo, quasi galleggiavo sulla sabbia. Gli fu facile cingermi e cercarmi l'uccello per accarezzarlo. Le sollecitazioni che mi giungevano dal ventre, da dentro, dove lui spingeva delicatamente, ma spingeva per farsi largo, arretrava e poi spingeva ancora più a fondo, i baci che mi dava sulla nuca, le carezze che mi faceva all'uccello, mi spinsero lontano, in una dimensione che non avevo mai raggiunto. L'acqua del mare passò fra i nostri corpi lenendo il dolore, lavando via la sabbia che creava attrito sulla mia pelle sensibile. Quella sensazione di fresco, tra le gambe, sulle cosce mi spinse oltre il limite. Per un momento ebbi paura della sua vendetta. "Fabio, sto venendo" mormorai, mentre lui continuava a menarmelo con calma, con movimenti sincronizzati a quelli che faceva con il suo uccello dentro di me. "Anch'io" sussurrò lui, fra un bacio e l'altro "ma non sono come te" disse e in quel momento, insieme venimmo, io nel mare, lui dentro di me. Restammo abbracciati, mentre le onde della marea ci correvano attorno, alzando piccoli spruzzi di schiuma. Lui sempre dentro di me. "Tu sei come me" insistei e lui mi baciò sul collo "sei come me, Fabio" e mi spostai per guardarlo. Lui teneva gli occhi chiusi, ma li riaprì per fissarmi. Scosse la testa per dire di no ed io gli feci di si. "Provamelo" disse lui ed io lo baciai sulle labbra, poi feci in modo di voltarmi e lo baciai ancora, abbracciandolo per la prima volta. Mi voltai, io sotto a guardarlo negli occhi. "Baciami" dissi e lui lo fece, socchiuse le labbra, le avvicinò alle mie. Si stava facendo scuro, noi eravamo ancora a mollo con gli uccelli duri, uno contro l'altro, a strofinarci e a baciarci. "Puoi farmi quello che vuoi, ma tu sei come me" gli dissi sfidandolo, dopo un paio di minuti. "Potrei ucciderti" fece lui serio. "Forse è l'unico modo che ti resta per credere di non essere come me" risposi con una sicurezza che non sapevo di possedere. Invece di sculacciarmi o peggio uccidermi, lui riprese a baciarmi. Quando si fu stancato, dopo almeno un quarto d'ora, si alzò e arrivò ad aiutarmi. Ce ne tornammo abbracciati alla villa. Vivevo in un sogno dal quale avevo paura di svegliarmi. Quella sera mi aiutò anche a preparare la cena, poi ce ne andammo a letto e, dopo aver pomiciato per un poco, ci addormentammo abbracciati. Non m'inculò, né la sera, né di notte, né la mattina dopo. Ero troppo dolorante, mi faceva male tutto e soprattutto avevo il culo in fiamme. La sera prima sulla spiaggia mi aveva fatto molto male. Si offrì di mettermi la crema lenitiva, massaggiandomi con delicatezza. "Se non guarisci non posso sculacciarti più" disse ridacchiando "e non posso neppure incularti" aggiunse, mentre mi passava ovunque le mani unte di crema. Girò attorno al buco con un dito ed io strinsi i denti aspettandomi una penetrazione che non ci fu. TBC lennybruce55@gmail.com