Date: Tue, 19 Oct 2010 23:00:34 +0200 From: Lenny Bruce Subject: Il ruggito del coniglio DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Il ruggito del coniglio 1. Benedetto Treves Benedetto Treves, Benny per gli amici, frequentava l'ultimo anno del Liceo Classico `Torquato Tasso', aveva appena compiuto diciotto anni ed era, credeva di essere, una persona di successo dal punto di vista accademico e sportivo. Era davvero un bel ragazzo, di costituzione robusta, senza essere sovrappeso, alto più di un metro e ottanta, occhi blu, capelli biondi. Benny era molto prestante, atletico e sicuro di sé. Sapeva di essere affascinante e le ragazze erano tutte ai suoi piedi. Se avesse voluto, avrebbe potuto facilmente fidanzarsi e scopare le più attraenti ragazze del liceo. Se avesse voluto. Purtroppo, da almeno un anno, non erano più le ragazze a catturare la sua attenzione, lui aveva inconsciamente intrapreso una strada più tortuosa, aveva scoperto, con una certa angoscia, di essere interessato più ai ragazzini del ginnasio che non alle ragazze, com'era sempre stato. Come aveva sempre pensato che fosse. Non si dava etichette, nomi, aggettivi, non voleva sapere se era già gay, ancora etero o nel mezzo di un guado pericoloso. E non voleva pensarci, aveva paura a pensarci troppo e non poteva, perché ormai il suo solo assillo, il suo vero, unico pensiero era di infilare a forza il suo grosso cazzo nel culetto stretto di uno di quei ragazzini. Uno di quelli che vedeva correre nel corridoio ogni mattina. Quell'idea, la visione di quegli esserini vocianti e provocanti, lo eccitava. Non poco, ma tanto e lo faceva arrapare oltre ogni dire, fino a farlo sborrare. Un giorno, proprio nel corridoio, due piccolini si erano rincorsi dandosi sculacciate e lui li aveva fissati, come in trance, mentre si allontanavano ridendo e dandosi botte sui culetti. Li aveva fissati, fino a essere squassato dal più potente orgasmo che potesse ricordare. Violente scosse che lo fecero piegare in due, nel bel mezzo del corridoio. Fortunatamente era vicino ai bagni e, sempre piegato, era corso a chiudersi in uno dei cessi. Piangeva e ricordava il rumore delle botte che i due si davano sui sederi stretti nei jeans. Si era masturbato un'altra volta, là stesso, con la mano che scivolava sul cazzo già bagnato di sborra. Non era stato sempre così, fino ad un anno prima aveva pomiciato con diverse ragazze, scopato con due, senza fidanzarsi con nessuna e, sapeva adesso, senza trarne alcun piacere, se non il sollievo fisico dell'eiaculazione. Purtroppo finora non aveva mai avuto il privilegio di farsi un bel ragazzino e vederli andare in giro con i culetti stretti in quei boxer di maglina, i jeans abbassati per mostrarli, lo faceva andare su di giri. Un altro luogo di tormento erano gli allenamenti di corsa campestre di cui era campione regionale e cui ormai partecipava solo perché c'era un gruppo di ragazzini di quattordici, quindici anni che gli piaceva osservare, specie quando l'allenatore dava istruzioni di riscaldarsi, facendogli fare esercizi di stretching. Anche se stava già correndo, Benny si fermava e faceva finta di fare anche lui esercizi, cercando di nascondere e controllare l'erezione che pareva bucargli i pantaloncini. La sua posizione favorita era quando i ragazzi dovevano toccarsi le caviglie, questo richiedeva che dovessero piegarsi completamente, dandogli una perfetta visuale dei culetti, stretti nelle tute d'allenamento. In quei momenti gli pareva che l'uccello gli urlasse nelle mutande, pregandolo di farlo uscire. Il suo più grande desiderio era di poterli vedere nudi, un suo sogno era che un giorno facessero un allenamento senza niente addosso, per potergli guardare i pisellini ciondolare e salterellare in mezzo alle gambe lisce. Il suo vero sogno era di poterli legare ad un letto e scoparseli tutti. Essendo ben conosciuto e apprezzato, sia a scuola sia alla società sportiva per la quale correva, Benny era costantemente osservato da tutti, ragazze e ragazzi, doveva perciò sempre stare attento a non farsi cogliere mentre guardava con troppa attenzione il culetto di un ragazzino. Sedurre uno più piccolo senza farlo sapere in giro, sarebbe stato un compito davvero difficile, ma era diventata la sua ossessione e gli stava procurando qualche problema a scuola. I professori lo coglievano spesso distratto, perché lui fantasticava su qualcuno che aveva visto quella mattina e che avrebbe voluto incularsi, prima mettendogli le labbra attorno all'uccello, mentre gli infilava una, poi due, tre dita nel culo. Gli sarebbe piaciuto sentirlo urlare di dolore e poi squittire di piacere. Proprio quello che stava pensando in quel momento. "Treves" fece la professoressa tutta sarcastica "mi sta ascoltando, oppure sta correndo dietro a qualche oscena fantasia?" L'intera classe scoppiò a ridere, subito zittita dalla donna che, incurante di lui e della sua eventuale risposta, riprese a blaterare su Foscolo o qualcosa di simile. Benny, invece, restò come stordito e imbarazzato per essere stato colto, più che con le mani nel sacco, quasi con un uccello in bocca o le dita nel culo. Roberto, il suo compagno di banco, gli diede subito una gomitata amichevole. "A quale fica stavi pensando, Benny? Scommetto che era quella dalla terza A. Ehi... se è la bruna, Martina, quella con le tette grosse, sto pensando di chiederle di uscire con me. È lei, vero?" "Oh, certo, no... io non pensavo a quella... io pensavo..." e qua si bloccò. Con tutti i ragazzini che occupavano le sue fantasie negli ultimi tempi, aveva completamente dimenticato le fiche delle quali si poteva parlare e sparlare, senza offendere la sensibilità di qualcuno. Disse un nome, uno qualunque, ma Roberto non era uno stupido e lo stava guardando negli occhi. Anzi, quel ragazzo aveva un'abilità speciale a carpire i segreti alla gente. "Cazzo, non mi prendere per il culo. A chi stavi pensando? Non dirmi che adesso ti piacciono i maschi!" I due del banco davanti scoppiarono a ridere insieme. Avevano sentito lo scambio di battute e Benny si rese conto di essere arrossito, per evitare guai maggiori, abbassò la testa sul banco, nascondendola tra le braccia. Se Roberto l'avesse guardato negli occhi avrebbe capito tutto e un minuto dopo l'intero liceo avrebbe saputo che a Benedetto Treves, campione regionale di corsa campestre, adesso interessavano i maschi, quelli piccoli. L'ora successiva era quella di educazione fisica. Tutta la classe si stava dirigendo verso la palestra e Benny camminava accanto a due compagne che chiacchieravano di cose senza importanza, come volevano pettinarsi ad una festa quel sabato sera, il trucco che avrebbero usato, da chi speravano di essere sedotte, tutte cose estremamente noiose per lui che voleva solo una cosa. La carne fresca di un ragazzino, quello sarebbe stato davvero qualcosa di nuovo nella sua vita. Sulla porta della palestra ad aspettarlo c'era il professore di ginnastica. "Benny, ho bisogno del tuo aiuto!" gli disse e Benny pensò che stava per ricevere una fregatura "Oggi, nel pomeriggio, c'è una riunione cui potreste partecipare tutti voi ragazzi del terzo" l'uomo era un po' esitante e la cosa incuriosì Benny "Sai, la scuola sta cercando alcuni di voi per utilizzarvi come consulenti o consiglieri per i ragazzi del quarto ginnasio, per aiutarli negli studi ed eventualmente nello sport, quelli del quarto spesso non si raccapezzano, allora il preside ha avuto questa bell'idea. Tu sei uno in gamba, te la cavi bene nello studio e nello sport, perciò ho pensato a te. Che ne dici?" "Boh... credo!" fece Benny esitante, mentre cercava di valutare la situazione, poi una lampadina si accese nella sua testa e una scossa violenta l'attraversò. Quella era l'occasione che aspettava per conoscere e poter interagire con quelli del quarto ginnasio e senza insospettire nessuno. E, se proprio doveva, meglio che fosse giovane, vulnerabile e facile da sedurre. Gli stava venendo duro solo a pensarci, perciò si affrettò ad accettare la proposta e a rassicurare il professore. Avrebbe partecipato volentieri alla riunione. Dopo la scuola, corse a casa, mangiò velocemente, fece quel po' di compiti che erano indispensabili e tornò a scuola. Quando arrivò, la porta dell'aula magna era già chiusa. Bussò forte, tre colpi, prima di accorgersi che la porta era solo accostata. Stava diventando impaziente, l'eccitazione per quello che avrebbe potuto accadere lo stava divorando. Guardandosi attorno, dopo essere entrato, si rese conto che c'era un bel numero di ragazze del terzo ed erano molte più dei ragazzi. Quasi tutti quelli che erano venuti, erano là solo perché bravi in tutte le materie, non c'era nessun altro atleta e nessun bel ragazzo. Forse perché lui era l'unico in quella scuola ad essere tanto bravo, quanto bello ed atletico. C'erano i due insegnanti, responsabili del progetto, che stavano già parlando. Benny si sedette e mise la mani dietro la testa in una posa che riteneva arrogante. Gli altri erano tutti seduti in modo più che composto. Era il migliore del liceo e poteva permetterselo, pensò. "Ragazzi, sono contento che abbiate trovato il tempo di partecipare a questa riunione, ma più importante, che abbiate voglia di aiutare quelli più giovani di voi. Vedo che fra voi ci sono i migliori!" Tutti sorrisero o risero, contenti di essere considerati appunto `i migliori'. `Da vomito' pensò Benny. "Se accetterete di partecipare, ognuno di voi sarà accoppiato ad uno degli alunni del quarto ginnasio che hanno chiesto di essere aiutati. Prima però voglio chiarire una cosa, il vostro compito sarà difficile e di grande responsabilità, voi sarete i veri mentori di questi ragazzi. E soprattutto non dimenticate che tutto quello che vi direte nei vostri colloqui, dovrà essere assolutamente confidenziale." `Ci puoi giurare' Benny era assolutamente d'accordo. "Alcuni di questi studenti stanno avendo difficoltà ad ambientarsi nel nostro liceo. La scuola media era diversa e loro sono in un momento difficile, perciò ricordatevi che qualche anno fa anche voi eravate nelle loro condizioni. E se, nel tempo che gli dedicherete, troverete il modo di offrirgli qualcosa, tipo dei biscotti, ricordatevi che un po' di dolcezza non guasta" concluse il professore, sorridendo contento alla propria, sciocca battuta. `Certo, glielo darò io il mio biscotto' pensò Benny `e gli piacerà, ma non lo farò con troppa dolcezza, vedrai!' e sorrise anche lui. A quel punto era ansioso di sapere quale dei ragazzi gli sarebbe stato assegnato, quale discepolo, giacché lui sarebbe stato il suo mentore, come stava dicendo il professore in quel momento. Quello intanto aveva finito di blaterare e aveva chiesto se qualcuno aveva da porre delle domande. Benny fu il primo ad alzare la mano. "Ah, bene, Treves, ci sei anche tu! Dimmi pure!" "Si, professore, grazie. Quando sapremo i nomi degli studenti con i quali saremo accoppiati? È una cosa che faccio già con mio cugino e mi va l'idea di farla anche qua a scuola." Era una grossa bugia, Benny odiava suo cugino e suo cugino odiava lui con tutte le forze. "Sono contento di sentirtelo dire, Benny. Spero che anche gli altri abbiano la stessa motivazione. Per rispondere alla tua domanda, stiamo per leggere la lista proprio adesso!" Benny pregò. Non era religioso, ma pregò con tutto il cuore. Pregò che, prima di tutto, fosse un ragazzo, un maschio con il pisellino e il culetto tondo, e poi che fosse gradevole di aspetto e, decidendo di osare con le speranze, che fosse anche disponibile al tipo di addestramento che aveva in mente per lui. Incrociò le dita e attese, mentre l'elenco delle coppie veniva svelato. Capì subito che, per quanto possibile, avevano messo le ragazze con le ragazze e i ragazzi con i ragazzi. Fece a dio la prima parte dei suoi ringraziamenti. Finalmente sentì il suo nome. "Benedetto Treves sarà mentore di... Giacomo Danti." `Si, è un maschio. Si, si, si...' pensò Benny cercando di controllare l'eccitazione e di immaginare chi fosse questo Giacomo Danti. Sarebbe stato finalmente in grado di infilare il suo uccello mostruoso nella bocca sensuale di un ragazzino innocente, farglielo leccare e succhiare come fosse un leccalecca, fino a che non gli avesse schizzato in bocca tutta la sua giovane sborra e poi in faccia e sul collo. Il culo se lo sarebbe riservato per la seconda volta e se il ragazzino non avesse voluto collaborare, aveva una serie di idee su come convincerlo. La sua coscienza, se mai ne aveva avuta una, era sospesa. Il treno dei suoi pensieri s'interruppe a causa della voce stentorea del professore che stava concludendo la riunione. "Vi aspetto tutti domani mattina all'intervallo. Venite a cercarmi e vi darò tutte le indicazioni del come e del quando dei vostri incontri. Ci sarete, si?" `Certo che ci sarò a scuola, domani mattina, dove cazzo vuoi che vada? Non me la perderei per tutto l'oro del mondo!' pensò Benny, toccandosi avanti, poi bloccandosi per paura che qualcuno lo stesse guardando. L'aveva così duro che stava per sborrare nei boxer. E non sarebbe stata la prima volta. Corse fuori ed era il ragazzo più felice del mondo. L'idea di conoscere questo Giacomo Danti gli dava brividi di piacere. Quella notte dormì come un sasso, ma prima si era masturbato per una mezz'ora ritardando il momento di godere, fino a che non cominciò a tremare. Aveva immaginato di avere il ragazzino sotto di sé, mentre se lo scopava, infilandogli senza pietà il cazzone nel buchetto. Giacomo però urlava, cercava di sottrarsi, si contorceva, insomma non collaborava. Lui allora, e questa era stata la novità, che aveva differenziato quella sega da tutte le altre che si era tirato negli ultimi tempi, per convincerlo, aveva cominciato a sculacciarlo. Gliel'aveva sfilato, se l'era messo sulle ginocchia e l'aveva sculacciato senza pietà, finché il ragazzino esausto si era arreso alle sue voglie. Aveva così ripreso a incularlo per raggiungere velocemente un orgasmo che era stato devastante, tanto da lasciarlo tremante e senza fiato, con l'uccello che gli faceva male, non perché l'avesse strofinato troppo o troppo forte, ma per l'inusitata violenza dell'eiaculazione, la brutalità del piacere che l'aveva travolto. Subito dopo passò al sonno più profondo, lasciando l'ignoto e ignaro Giacomo sotto di sé. Quando si svegliò, era così eccitato che gli pareva fosse la mattina di natale, non aveva mai atteso tanto un momento particolare della sua vita. Stava per sverginare un ragazzino, no? Dopo essersi fatto la doccia, scelse accuratamente un paio di boxer con l'apertura davanti, perché fossero accessibili con facilità alla bocca di un ragazzo inesperto. Scelse un paio di pantaloni che indossò bassi, tanto che gli coprivano a malapena il sedere, distrattamente si infilò una bella cintura di cuoio nei passanti. All'intervallo, il professore del giorno prima l'informò che l'appuntamento con Giacomo era per le quattro di quel pomeriggio nell'atrio della scuola. Lui li avrebbe presentati e poi avrebbero avuto un'aula tutta per loro, per il primo incontro. E là, immaginò Benny, dove sarebbero stati davvero soli, ci sarebbe stata l'iniziazione, una fase delicata che sperò di gestire meglio possibile. La giornata scolastica andò meglio del previsto, nel senso che corse via senza complicazioni, mentre lui pensava e ripensava a Giacomo. Aveva deciso di non provare neppure a cercarlo. Voleva la sorpresa tutta insieme, aveva paura di spaventarlo, di cedere all'impulso di violentarlo nel corridoio o nell'atrio. Finalmente, dopo la fine dell'orario scolastico e un pranzo di cui non ricordava nulla, arrivarono le quattro. A casa aveva dovuto combattere l'idea di masturbarsi, il suo uccello stava per essere succhiato e un poco di moderazione era indispensabile. Quando arrivò, nell'atrio c'era già qualche studente, ma nessun professore. Quel deficiente doveva essersene andato da qualche altra parte. Benny si guardò attorno e in un angolo, tutto solo, vide un ragazzino che si guardava attorno e sembrava spaventato, era magro e non molto alto, biondino. Quello era certamente Giacomo Danti. Doveva essere lui, accelerò il passo e guardò in faccia il suo discepolo per la prima volta. Sperò davvero che i suoi sogni si avverassero, perché Giacomo gli parve bellissimo. Era biondo e aveva una faccia d'angelo, con i capelli a caschetto e gli occhi azzurri. Ogni elemento del suo volto si accordava con gli altri, formando un insieme perfetto, con il naso leggermente all'insù, le labbra rosse e carnose, una spruzzatina di lentiggini. Faceva tenerezza, quegli occhi chiedevano affetto e ispiravano i migliori sentimenti. Quello che però Benny era disposto a offrire era ben altro. Giacomo, perché era proprio lui, alzò gli occhi e i loro sguardi s'incrociarono. Benny poté subito vedere che il ragazzino era intimidito dalla sua presenza, preoccupato per quell'incontro con uno sconosciuto, molto più grande di lui. Giacomo abbassò subito lo sguardo. `Perfetto' pensò Benny. "Ciao, io sono Benny Treves" disse, cercando di essere il più cordiale possibile "Sei Giacomo Danti, no? Piacere di conoscerti!" e gli porse la mano. Giacomo gliela strinse leggermente, timidamente e così ebbero il loro primo contatto fisico. La mano di Benny era grande il doppio di quella del ragazzino che era sudata e tremava impercettibilmente. Da quel contatto Benny fu certo che Giacomo aveva un culetto vergine e il buchino stretto. Entusiasta per questa conclusione, gli accarezzò la testa scompigliandogli i capelli, indugiando un momento di più per continuare il contatto fisico. "Lo so chi sei!" disse Giacomo. Aveva una voce sottile, assolutamente adatta a lui. Parlava proprio come una ragazza, Benny pensò che se avesse chiuso gli occhi gli sarebbe parso di ascoltare una di quelle fichette che ora disprezzava tanto, ma Giacomo era un maschietto. "Senti, Giacomo, io sono qui per aiutarti" fece lui, mentre lo prendeva sotto braccio "qualunque problema tu abbia, puoi parlarmene e sarà sempre in confidenza. Questo significa che quello che ci diciamo tra noi resterà assolutamente segreto. Devi sentirti al sicuro con me, capisci?" "Possiamo andare a parlare in un posto un po' più tranquillo? A me non piace stare nell'atrio in mezzo alla gente." Giacomo parlava con una voce che non era femminile, era semplicemente quella di un ragazzino non ancora maturo. Era una voce che faceva arrapare Benny. "Certo, andiamo in una delle aule, come ha detto il professore" acconsentì subito Benny, pensando solo a portarselo dove sarebbero stati più tranquilli. Il suo fine era sempre quello di scoparselo prima possibile. Si avviarono verso il corridoio e Benny gli mise un braccio sulla spalla, stringendogli la mano sull'omero, con una stretta forte, poi gettò uno sguardo al di dietro di Giacomo che gli parve incantevolmente tondo e sporgente. Quando l'avrebbe visto nudo, pensò, ne avrebbe toccato la pelle, sarebbe stato ancora meglio. Lui ce l'aveva duro da diverse ore e cominciava a fargli male, ma quello era il momento di pensare con la testa e con il cervello. L'uccello avrebbe preso il sopravvento tra un po' e sarebbe stato bello. Piuttosto che fermarsi al piano terra, Benny se lo portò verso le scale e salirono al primo piano e poi su fino al secondo, lontani da tutti, dove era proprio certo che non ci sarebbe stato nessuno. Giacomo lo seguiva in silenzio, anche se il professore quella mattina aveva detto espressamente che avrebbero dovuto fermarsi al piano terra. Lui però era troppo spaventato per parlare. Benny scelse un'aula in fondo al corridoio. Si sedettero insieme a un banco, poi Benny voltò la sedia, in modo che potessero guardarsi. Mentre Giacomo sedeva diritto. Benny guardava rapito il profilo angelico del ragazzino, allargò un po' le gambe e cominciò ad accarezzarsi delicatamente l'uccello, con un movimento che Giacomo non poteva vedere. Se ne stettero così in silenzio per un poco. "Prima di tutto, puoi dirmi perché hai cercato aiuto, Giacomo?" chiese finalmente Benny. "Io... ecco, credo che la mia vita sia tutta un casino, a scuola e a casa. Qua mi prendono in giro perché sono il più piccolo d'età nella mia classe, perché sono biondo e... e poi dicono che sembro una ragazza!" `Beh... è vero' pensò Benny. "E a casa mio padre e mia madre litigano continuamente e non s'interessano a me. A nessuno frega niente di me!" forse stava per piangere. `È perfetto!' pensò Benny. Ora era certo di poterne abusare facilmente, di sottometterlo a sé. Giacomo non aveva amici a scuola e a casa, nessuno l'avrebbe aiutato, era quella la cosa migliore. Il ragazzino intanto aveva abbassato lo sguardo triste e fissava il ripiano del banco. Era così carino, triste e, pensò Benny, l'unica cosa che avrebbe potuto renderlo più bello sarebbe stata farlo piangere davvero, vedere le lacrime passare sulle lentiggini, scendergli sulle guance vellutate e perdersi su quel collo diritto. "Ehi, va tutto bene. Ne ho già visti come te, sentirsi così vulnerabili. È una cosa che proviamo tutti quando cresciamo e diventiamo grandi. Sai, quelli più grossi di te non sono certamente più maturi e così sfogano la loro rabbia su quelli più piccoli. Ma dimmi una cosa, Giacomo, cos'è che ti dicono esattamente qua a scuola?" "Niente... mi prendono in giro, dicono che sembro una ragazza!" ripeté il ragazzino e a Benny parve chiaro che l'argomento lo metteva in imbarazzo. Era arrossito, le guance gli erano diventate color pesca e lui avrebbe voluto tirate due pizzicotti, stringere quella pelle vellutata fino a farlo urlare, come se volesse spremere il succo di quei frutti proibiti. Era confuso e deliziato dalla debolezza, dalla rassegnazione di Giacomo. Il desiderio di aumentare la sua sofferenza lo sopraffece. Capì che nell'ulteriore, totale angoscia del ragazzino avrebbe trovato il suo massimo piacere. E questo, piuttosto che sorprenderlo, dissuaderlo, lo eccitò ulteriormente. "So che c'è qualcos'altro, Giacomo... qualcosa che ti preoccupa e a me puoi dirlo, ricordati che noi dobbiamo essere in completa confidenza." Il ragazzino tirò su con il naso, ancora più vicino a piangere, Benny lo vide chiaramente turbarsi e l'uccello gli dette come una scossa. Giacomo intanto si era coperto la faccia con le mani e aveva voltato la testa dall'altra parte. "Ehi, va tutto bene! Dai, guardami... qualunque cosa tu mi dica, io non ti giudicherò! Credimi!" Il ragazzino sollevò lentamente la testa ed era come Benny aveva sperato che accadesse. Aveva le guance rigate di lacrime, Giacomo stava piangendo e aveva uno sguardo spaventato negli occhi. "È che quelli... quelli mi fanno fare delle cose... sono cose sporche. All'inizio hanno cominciato a ingiuriarmi. Mi dicono `finocchio' oppure `puttanella'... poi però è diventato peggio. C'è un gruppo, cioè sono due di loro, mi fanno fare quelle cose... mi fanno fare... quelli mi fanno fare... si fanno toccare e io non voglio, ma poi loro mi costringono. Uno mi tiene e l'altro..." "Cosa ti fanno fare, Giacomo?" l'incoraggiò Benny il cuore gli si era come fermato, per ripartire a velocità doppia. Era per l'emozione, perché a quel punto sapeva per certo che il ragazzino era già stato usato e abusato. Poteva lui criticare chi l'aveva fatto? Quel ragazzo era l'obiettivo ideale di qualunque bullo ed era assolutamente da scopare con quella sua aria innocente, inerme, debole. Era come un uccellino caduto dal nido. "Dimmi cosa ti fanno fare?" ripeté. Giacomo tirò un sospiro. "Uno mi tiene e l'altro mi chiude il naso, io apro la bocca e lui me lo infila!" Il momento era arrivato, pensò Benny, non poteva sopportare ulteriormente il dolore che gli saliva dal grembo, dove il cazzo gli si era indurito e ingrossato come non era mai accaduto prima. Era il momento del divertimento, spostò indietro la sedia producendo un rumore stridulo, spinse il banco lontano in modo che il suo grembo fosse in piena vista per Giacomo, poi stese le gambe, perché il ragazzino potesse vedere quanto ce l'aveva grosso e duro. Giacomo rimase per un momento perplesso, finché non capì quello che stava accadendo, notando l'evidente rigonfiamento dei pantaloni di Benny. "E poi che altro ti fanno, Giacomo? Dai, racconta... voglio sapere tutto!" disse mentre un sorriso diabolico gli illuminava la faccia. Giacomo lo guardava incredulo, era terrorizzato, come paralizzato sulla sedia. La vera ragione per cui aveva chiesto di essere aiutato da uno più grande, erano gli abusi che subiva a scuola e adesso quello che avrebbe dovuto essere il suo protettore, si stava strofinando l'uccello duro dentro ai pantaloni. "No, ti prego... anche tu sei come quelli. Lasciami, lasciami..." gridò alzandosi e correndo verso la porta, cercando di aprirla, ma era chiusa. Benny l'aveva chiusa a chiave entrando. Giacomo si voltò e vide che Benny giocherellava con una chiave che rimise in tasca. Il ragazzino tremava come una foglia. "Sapevo che avresti cercato di scappare, per questo ho chiuso la porta entrando. Vedi, piccolino, io sono qui per un solo motivo e anche tu sei qui per un motivo che è quello di fare esattamente ciò che voglio io e cioè di essere il mio schiavo!" Giacomo cominciò a piangere, ma la cosa non impressionò per niente Benny. "Smettila immediatamente e ascolta" disse alzando un po' la voce "ci sono due modi per fare funzionare il nostro rapporto... uno che non ti farà molto male ed uno che invece potrebbe farti davvero tanto male!" "Ma tu perché vuoi farmi questo? Che ti ho fatto io?" piagnucolò Giacomo. "Davvero pensavi che fossi qui per aiutarti? Io, Benny Treves, campione regionale di corsa campestre? Io che sono il più bravo della scuola, ho la migliore pagella, credi che starei qua solo per aiutare uno stronzetto come te? Io non faccio niente se alla fine non c'è un premio! E nel momento in cui ti ho visto, ho capito che tu saresti stato il mio premio, il mio regalo. Mi hai appena detto che altri hanno già abusato di te, no? Beh... credo che lo farò anch'io, solo che io lo farò meglio e in modo più completo, diciamo. Ovviamente, nessuno ti darà più fastidio, dato che io ti proteggerò, ma tu d'ora in poi sarai il mio schiavo!" Giacomo fece di si con la testa, come ipnotizzato da quel discorso. "Bene! Perché, vedi, tu non hai altra scelta che quella di diventare il mio schiavo personale, altrimenti nel momento in cui uscirò da quella porta tutto il liceo conoscerà i tuoi piccoli, sporchi segreti e saprà che a te piace succhiare uccelli e anche prenderlo nel culo!" Giacomo strinse i pugni, come fanno i bambini quando sono arrabbiati, ma si sentono impotenti. Benny poteva vedere la rabbia crescergli dentro e gli venne da ridere, trovò la scena comica. "No! Io non lo farò!" urlò Giacomo "Tu non puoi farmi una cosa come questa! Lo dirò ai professori!" "Oh, certo che puoi farlo, ma ricorda che domani mattina sarai, diciamo, al centro dell'attenzione. E credo che anche i tuoi genitori presto sapranno quello che hai fatto. Che ne pensi? A tuo padre interesserà sapere che ti piace succhiare l'uccello? Eh, ragazzino?" Giacomo non ci mise molto a valutare le sue possibilità, che tutta la scuola sapesse era orribile, ma che potessero venire a saperlo anche i suoi genitori, sarebbe stato intollerabile, perciò decise che l'avrebbe fatto. Ci era già passato, l'avrebbe fatto un'altra volta. Non immaginava però quello che Benny aveva in mente. "Allora, sei d'accordo anche tu che è meglio seguire il mio consiglio?" Giacomo fece un impercettibile segno di assenso. "Perché non ti avvicini e mi lecchi un po' l'uccello come un bravo cagnolino? Non vedo l'ora di sborrare, sai? Mi fa male per come ce l'ho duro!" Nel dirlo si sbottonò la patta e tirò fuori l'uccello duro, venti centimetri di cazzo che spuntavano fuori dai pantaloni, la punta bagnata, lucida di liquido che era già uscito per l'eccitazione che provava. Allargò le gambe e tirò fuori anche le palle. Erano grosse e pelose. Un cetriolo e due uova, di quelle grosse. Giacomo lo guardò terrorizzato, non aveva mai visto un uccello come quello. I suoi tormentatori erano della sua età e l'avevano più piccolo, leccarli e succhiarglielo era stato facile. Aveva chiuso gli occhi e l'aveva fatto. Anche quando avevano cercato di incularlo, non era stato doloroso, perché entrambi avevano sborrato nel momento in cui stavano per infilarlo, quindi non l'avevano inculato davvero. Era stato solo umiliante e mortificante. Diventò tutto rosso per la vergogna che provava. Si avvicinò a quella cosa minacciosa e s'inginocchiò davanti al suo tormentatore. "Ehi... voglio vedere un po' più di entusiasmo, avvicina quelle labbra da fichetta che hai. La vedi la punta del mio cazzo? Dai, comincia a succhiare, immagina che sia estate e tu hai appena comprato un gelato. Che gusto ti piace di gelato, eh?" "Cioccolato" borbottò Giacomo. Benny lo prese per i capelli, lo avvicinò a sé e gli dette uno schiaffo, neanche tanto forte. "Non ti ho sentito, fichetta, quando parli con me devi pronunciare bene le parole. Capito? Va bene?" "Si" fece Giacomo a voce un po' più alta, con le lacrime gli scendevano sulle guance. "Allora... che gusto hai detto che ti piace?" "Cioccolato" disse a voce più alta. "Bene, immagina di aver appena comprato un bel cono di gelato al cioccolato che adesso leccherai" disse Benny ridendo della sua stessa battuta. Aveva aspettato questo momento per troppo tempo, adesso finalmente ci era arrivato e niente avrebbe potuto fermarlo. "Mettimi le mani sulle cosce e allargami le gambe, comincia a leccare le palle, poi muoviti lentamente alla base del cazzo." Giacomo guardò le palle enormi di Benny che erano almeno quattro volte più grandi delle sue, oltre che coperte da un'infinità di peli. Avvertì distintamente l'odore forte che si emanava da quei posti e lo trovò rivoltante. Ma questo se l'aspettava, i suoi compagni non erano stati più puliti. Allargò la bocca attorno alle palle e riuscì quasi a prendergliele insieme, leccandole alacremente, com'era stato istruito, assicurandosi che quel porco avvertisse il tocco della lingua. Benny era in estasi, il suo sogno si stava avverando, sentiva la sborra bollirgli nelle palle, pronta a schizzare fuori non appena il ragazzino gli avesse preso in bocca l'uccello. Chiuse gli occhi e pensò a quanto si sarebbe divertito nei prossimi mesi. Quello era solo l'inizio, il ragazzino l'avrebbe servito a dovere. "Stai andando bene così, continua e diventerai davvero bravo a succhiarmi l'uccello. Farai un sacco di pratica nei prossimi mesi." Giacomo si sentì gelare il sangue, ma continuò nel suo servizio. Nei prossimi mesi? Aveva pensato che tutto finisse là. In quel momento si sentì stringere alla testa, Benny lo stava allontanando dalle palle e se l'avvicinava alla cappella. Poi con un movimento repentino, se lo ritrovò in bocca fece per gridare, aprì di più le labbra e così favorì ulteriormente la penetrazione. Sentì la cappella colpirgli il retro della gola. Benny adesso lo teneva per le orecchie e lo stava scopando in bocca. Si guardavano negli occhi, Giacomo ce li aveva sbarrati, erano rotondi e immobili come quelli di un pesce, pensò Benny. Il ragazzino emetteva suoni inarticolati a ogni colpo di uccello, era così carino in quella posizione, pareva così debole, indifeso. Dopo solo un minuto trascorso dando colpi violenti ad un ritmo crescente, Benny sentì l'orgasmo avvicinarsi. "Sto per sborrare e mi aspetto che tu ingoi tutto quello che schizzerò. Mi hai capito?" Ovviamente Giacomo non poté rispondergli, ma fece di si, più con gli occhi che con la testa. Un secondo dopo il primo schizzo sfuggì dalla punta dell'uccello saldamente piantata in bocca e altri schizzi seguirono, scivolandogli lungo la gola. Giacomo ingoiò tutta quella roba disgustosa, come aveva già fatto altre volte, riuscendo quasi a non tossire. Dopo che Benny si fu calmato, lasciò l'uccello ad ammosciarsi per un altro paio di minuti e quando lo tirò fuori lo strizzò lasciando le ultime gocce di sborra sul labbro superiore di Giacomo, proprio sotto il suo naso. "Ti è piaciuto, eh? Il mio cazzo aveva un buon sapore, vero? Voglio che tu sia preparato per la prossima volta, quando te l'infilerò nel culo e poi tu dovrai leccarlo e pulirlo. Spero che ti piaccia il sapore della merda!" Benny rise forte, di una risata cattiva, sapeva di controllare completamente la situazione e questo gli piaceva oltre misura. Giacomo cadde a terra piangendo. Non aveva neppure quattordici anni e questo ragazzo malvagio lo stava usando come una puttana. Si sentiva degradato e ingiustamente punito. Perché la gente lo trattava così? Era venuto per cercare aiuto, per essere guidato da uno più grande che lo consigliasse e invece aveva appena ingoiato un carico di sborra e chissà che altro gli avrebbe fatto quello. L'avrebbe inculato con quella cosa grossa e poi gli avrebbe anche fatto leccare il cazzo sporco di merda e non aveva dubbi che gliel'avrebbe fatto fare. "Spero che questo incontro ti abbia aiutato almeno un poco, Giacomo" stava dicendo Benny con quel suo sorriso cattivo "e che ti faccia tornare a casa un po' più contento e in pace con te stesso." Giacomo era sempre a terra e piangeva sommessamente. Benny gli mise la mano sul collo, una presa ferrea che gli fece male. Lo sollevò e l'attirò a sé, in modo che fossero fronte contro fronte. Benny lo guardava fisso, intimidendolo, finché il ragazzino non abbassò gli occhi, cercò di chiuderli. Fu allora che gli tirò due pizzicotti sulle guance e spinse forte verso l'interno, in modo che aprisse la bocca, fino a fargli tirare fuori la lingua di un paio di centimetri. "Ma lo sai che sei proprio carino così? Vorrei farti una fotografia..." Giacomo cercò di dire qualcosa, ma dalla bocca gli uscirono suoni inarticolati. Benny si riavvicinò e cominciò a leccargli la faccia bagnata di lacrime, gli succhiò la lingua che era sempre per metà fuori dalla bocca. Giacomo era terrorizzato, quello che gli stava accadendo era molto peggio di ciò che aveva dovuto sopportare in passato. Quello che gli stava facendo Benny in quel momento era la cosa più umiliante che gli avessero mai fatto, anche più di avergli fatto succhiare l'uccello. Quando gli succhiò la lingua, gli fece davvero male, poi improvvisamente Benny mollò la presa e lui riuscì a divincolarsi e ad allontanarsi. "Lasciami stare!" urlò Giacomo "Tu sei pazzo!" Cercò di allontanarsi, ma il suo fu un patetico tentativo di resistenza e restò senza risultato. Fece anche per colpire Benny che con uno strattone lo spinse per terra, dandogli un calcio al petto. "Maledetto" sibilò Benny "lo sai che ti sei messo nei guai? Adesso pagherai per quello che hai detto!" Giacomo tremava visibilmente e stava per pisciarsi addosso. Cercò di scostarsi, strisciando più lontano. "Me la stavo prendendo calma con te, avevo paura di farti male, ma adesso ho deciso che faremo un bel passo avanti con il tuo addestramento e andremo subito fino in fondo!" Benny parlava con una voce calma che stava terrorizzando Giacomo. "Alzati e vai a metterti contro quel muro, con le mani dietro la testa, schiavo!" sull'ultima parola la voce s'impennò "Ti sei rivoltato contro il tuo padrone. Tu hai reagito e non dovevi farlo! Lo sai che adesso dovrei ucciderti?" Più che quelle parole senza senso, fu il tono a spaventare Giacomo che temette davvero per la propria vita. Si alzò e corse a mettersi contro il muro di fondo dell'aula. Per conto suo Benny era furioso, mai nessuno aveva osato dirgli una cosa del genere, meno che mai uno più piccolo di lui. Solo per un momento si chiese se era pazzo, come aveva detto Giacomo, ma scacciò l'idea. Lui non era pazzo, era solo arrapato, pensò. In realtà avevano ragione tutti e due. Guardò il ragazzino, quella piccola merda tremava come una foglia. Gli aveva messo addosso una bella paura ed era giusto così, perché stava per essere punito come meritava e, per l'idea che gli era venuta, faceva bene a tremare. Benny si sfilò lentamente la cintura di cuoio che teneva ai pantaloni e la fece schioccare minacciosamente nell'aria. Il rumore che produsse fu sinistro. Giacomo tremava di paura, il suo corpo si era coperto di sudore, quel rumore gli aveva fatto immaginare ciò che stava per accadere. Barcollò quando si sentì toccare i fianchi, ma non osò muoversi, sentì le dita di Benny infilarsi dentro ai pantaloni, sbottonarli, avvertì le sue dita fredde sulla pelle. Benny era sconvolto dalla rabbia e gli tirò giù con furia i pantaloni e le mutande, abbassandoglieli fino alle caviglie, mettendo a nudo il sedere che era tondo, roseo, perfetto. Ci aveva fantasticato sopra ed era esattamente come se l'era immaginato, ma in quel momento la rabbia l'accecava. Notò solo che Giacomo indossava ancora quegli slip bianchi a righini che i ragazzini usano, finché non riescono a convincere le mamme che sono abbastanza grandi per scegliersi le mutande che vogliono. E questo, se possibile, lo fece arrapare ancora di più. Si sfiorò l'inguine, fasciato dai suoi perfetti boxer di maglina, indispensabili a tutti gli atleti. Dentro i boxer l'uccello era così duro che stava per esplodere un'altra volta. Si sentì onnipotente. "Cazzo, se mi piacerà incularti!" disse più a se stesso che a Giacomo. Gli passò una mano all'interno delle cosce, accarezzando la pelle liscia, poi risalì con un dito lungo lo spacco. Tornò indietro e si fermò sul buco, spinse leggermente, come a indicargli quello che l'aspettava. Gli infilò la mano tra le gambe e prese le palle, le strinse leggermente, quasi senza fargli male, poi un po' di più fino a infilargli le unghie nella pelle morbida del sacco. Giacomo gridò per la paura, come svegliandosi dal torpore che l'aveva avvolto, ma non si mosse, perché, pur nella follia di quel momento, ricordò a se stesso che la cosa peggiore da fare quando qualcuno ti tiene per le palle è muoversi. Sempre passandogli la mano da sotto, Benny gli prese l'uccello moscio in mano. Era così piccolo in confronto al suo. "Quanto ce l'hai lungo, Giacomo? Tre centimetri?" chiese ridendo. Era pazzo, pensò, Giacomo, tremando sempre di più. Tremando così forte che temette un'altra volta di pisciarsi addosso, poi Benny lo lasciò andare. "Pensa a quando ti infilerò il mio... saranno venti centimetri nel tuo culetto stretto. Ci pensi? Cazzo!" Giacomo ingoiò a vuoto, terrorizzato da quello che lo aspettava, adesso e dopo. Nella sua vita si era introdotto questo pazzo che adesso minacciava il suo futuro in cui non vedeva altro che umiliazioni, dolore e violenza. Benny teneva la cinghia nella mano destra e la muoveva distrattamente, ma Giacomo guardava dritto davanti a sé, non osando girarsi, o sbirciare. Per tre volte lo sentì usare a vuoto la cinghia, che schioccava nell'aria e terminava sul palmo della mano aperta. Il quarto colpo invece arrivò a segno e Giacomo gridò. Gli altri colpi seguirono a ritmo incalzante e lui non ce la fece più neppure a gridare. Verso la fine si pisciò addosso, il fiotto d'urina gli partì dall'uccello schizzando contro il muro a ogni colpo che riceveva. Benny vide cambiare in rosso la tinta delicatamente rosea dei due globi perfetti, alla prima striscia trasversale ne erano seguiti velocemente tante altre. Gliene dette almeno venti, usando tutta la forza che aveva nelle sue braccia potenti. Giacomo soffriva atrocemente, ma soprattutto si sentiva umiliato. Quando Benny si fermò, lui non aveva più fiato, più lacrime, si accasciò a terra bagnandosi di orina e si raccolse su se stesso. "Sei una merda!" disse Benny che era tutto affannato, poi si accorse della pozza di pisciata che si era formata ai piedi del muro e senza dire altro, riprese a frustarlo dove capitava, gliene diede altre, colpendolo sul corpo, sulle braccia sulle cosce scoperte. Giacomo si era raccolto in posizione fetale, cercando di proteggere la testa, la faccia. Avrebbe voluto svenire, morire, per l'umiliazione che provava, per il dolore, per tutto. Quando Benny si fermò, non aveva più fiato, tirò fuori l'uccello che era sempre duro, per un momento pensò di incularlo là stesso, poi pensò che la loro prima volta dovesse essere speciale e poi lui già stava per sborrare. Se lo menò velocemente e dopo pochi colpi gli sborrò addosso. Tre schizzi che finirono sulle cosce nude del ragazzino, sulle strisce rosse che gli aveva lasciato con la cinghia. Quando si calmò, dopo la sborrata, iniziò a pisciargli addosso, cercando di prenderlo sulla faccia, tra i capelli. Finì scrollandosi l'uccello e se lo rimise dentro i pantaloni. "Domani pomeriggio ti aspetto a casa mia, alle quattro. Vedrai che ci divertiremo! Ti farò sapere dov'è e vedi di esserci, altrimenti ti ammazzo!" Detto questo se ne andò, lasciandolo bagnato e dolorante, per terra, a piangere in silenzio. 2. Giacomo Danti "Abito in una villa, a Parco Valla" disse Benny la mattina dopo e gli spiegò esattamente dove. Parco Valla era un quartiere periferico facilmente raggiungibile anche a piedi. C'erano ville e condomini circondati dal verde. La villa abitata da Benny era in un posto abbastanza isolato. "Quando arrivi non suonare, ma passa da dietro, entra dalla porta posteriore, te la farò trovare aperta" aggiunse ghignando "passa di là, quella è l'entrata della servitù e degli schiavi!" Giacomo doveva girare attorno alla villa e, seguendo la recinzione, raggiungere il retro, là c'era un cancelletto che avrebbe trovato aperto, seguire il viale di ghiaia, entrare in casa senza suonare, salire al primo piano. La camera di Benny era la prima sulla sinistra. Benny insisté che non doveva farsi vedere da nessuno. "Di pomeriggio sono sempre solo, ma tu cerca lo stesso di non farti vedere, mentre ti avvicini alla villa, non voglio che pensino che me la faccio con un finocchio come te!" A scuola avevano parlato con il professore che curava il progetto di affiancamento tra grandi e piccoli, maturandi e matricole, mentori e discepoli, aveva detto pomposamente l'uomo. Benny gli aveva raccontato, inventandosi tutto, del loro primo incontro e gli aveva anche detto quali programmi avevano. Si sarebbero visti ogni mattina a scuola e anche alcuni pomeriggi, a casa dell'uno o dell'altro. Il professore era stato contento, anche perché Giacomo pareva convinto di continuare a vedersi con Benny. "Sei stato bravo a prenderlo per il culo, sai?" disse Benny quando il professore si fu allontanato "Se ti fosse sfuggita anche solo una parola, ti avrei ucciso!" Giacomo aveva fatto di si con la testa, ma pareva molto distratto, come distaccato. "Cos'è, ti è piaciuto quello che ti ho fatto ieri pomeriggio, eh?" Ancora un vago cenno di assenso. "Vedrai cosa ti sto preparando per oggi, ma se ti pisci addosso un'altra volta te lo taglio. Sono stato chiaro? "No, starò attento!" "E come sta il culo?" "È ancora rosso..." disse Giacomo con un filo di voce "ieri mi hai fatto molto male." "Hai avuto solo quello che ti sei meritato, schiavo! Io però sono preoccupato lo stesso per il tuo culo e sai perché? Vedi, puttanella, questo pomeriggio il tuo culetto sarà... diciamo, in primo piano!" "Farò qualunque cosa, ma ti prego, non farmi troppo male" lo pregò Giacomo che stava per piangere e Benny non poteva permettersi che lo vedessero, al centro dell'atrio, con un ragazzino che piangeva. "Stai tranquillo, ti farò solo quello che mi serve. Tu non preoccuparti e vedi di non pisciarti un'altra volta addosso" ripeté. "Ok!" "Quelli ti hanno dato fastidio stamattina?" Si riferiva ai due compagni che lo angariavano. "No, non mi hanno neppure guardato!" "Tutto merito mio" si vantò Benny "gli ho detto che, se si avvicinavano a te, gli avrei staccato le palle!" "Grazie" disse Giacomo, sempre con gli occhi bassi. "Vedi che a fare il mio schiavo hai qualcosa da guadagnarci anche tu?" "Ok!" disse Giacomo un'altra volta ma si capiva che era distratto. "Sei pronto a essere sverginato oggi?" chiese allora Benny con un altro ghigno, tanto per ottenere la sua attenzione. "Mi farai male?" "Solo quello che serve!" e se ne andò, perché stava suonando la campanella che segnalava la fine dell'intervallo. Giacomo arrivò a Parco Valla puntuale e per entrare nella villa fece come gli era stato raccomandato. Quando arrivò nella camera, Benny se ne stava sul letto, con le mani dietro la testa. Indossava solo i boxer e ce l'aveva già duro. Entrando Giacomo restò senza fiato quando vide quanto era grosso l'arnese che Benny intendeva infilargli nel culo. L'aveva già preso in bocca, ma adesso stava per sentire davvero quant'era grosso. "Entra, vieni e spogliati, dai!" "Benny, io..." Benny si alzò di scatto e l'afferrò per un braccio strattonandolo con violenza. "Quando io ti do un ordine, tu lo devi solo eseguire, cazzo!" urlò e Giacomo si fece piccolo, piccolo aspettandosi il peggio che arrivò subito, perché Benny, risedendosi sul letto, lo tirò fino a metterselo sulle ginocchia e cominciò a sculacciarlo. Si fermò solo quando le mani cominciarono a fargli male. Giacomo stava piangendo da un bel po' con il culo che gli bruciava per il dolore. La pelle era già irritata a causa delle cinghiate del giorno prima, ma dopo le sculacciate era diventata molto più sensibile. Poi sentì le mani calde infilarsi sotto e sbottonargli i pantaloni, abbassarglieli. Benny gli raccolse gli slip nello spacco del culo e cominciò ad accarezzargli le natiche tutte rosse. Il sollievo fu breve, perché Benny gli tirò un pizzicotto, stringendo tra il pollice e l'indice un grosso lembo di pelle del culo. Giacomo urlò e Benny strinse più forte. Giacomo tentò di divincolarsi e Benny, senza lasciargli andare il lembo di pelle che teneva stretto tra le dita, lo sculacciò sull'altra natica. Con violenza, con cattiveria, senza voler si più fermare. "Ti prego, basta! Ti prego, basta! Mi fai male!" urlava Giacomo, cercando di divincolarsi, ma Benny non lo ascoltava continuando insensibile la tortura. E lo fece finché non si scocciò o si stancò di stringere tra le dita quel lembo di pelle, oppure la mano gli fece male per i colpi che stava dando. Non certo perché si era impietosito. Sulla natica adesso Giacomo aveva un livido violaceo, della forma delle due dita che prima la stringevano, mentre l'altra metà del sedere era assai più rossa. Benny riprese ad accarezzarlo. Giacomo tremava, in attesa della prossima tortura che non si sarebbe fatta attendere. Sentì un'altra volta le mani infilarsi sotto che questa volta gli abbassavano gli slip, lasciandolo scoperto, sempre sulle ginocchia di Benny. Si sentì allargare e poi sfiorare dentro lo spacco e capì quello che adesso lo aspettava. Fu quasi un sollievo. Era là per quello, no? Per essere sverginato da quel pazzo. Che lo facesse in fretta, ma Benny non aveva la stessa idea di come doveva andare. Era vergine anche lui e voleva che la sua prima volta durasse il più possibile. Lo sfiorò soffermandosi sul buchino, chiedendosi come avrebbe fatto a infilargli il suo cazzone, quei venti centimetri che sentiva pulsare in mezzo alle gambe. Già sapeva che la prima volta avrebbe sborrato in fretta. La vera scopata sarebbe stata la seconda, quando con calma, dopo averlo impalato avrebbe raggiunto il miglior orgasmo della sua vita. Poco gli importava di come l'avrebbe lasciato dopo. Il buco non era il suo, ma se ne sentiva un po' responsabile. Più che responsabile, gli interessava che fosse utilizzabile ancora e prima possibile. Pur nella sua follia o arrapamento, capiva che doveva usare qualche cautela per non fargli danni permanenti e poterlo adoperare, se non il giorno successivo, almeno dopo due giorni, ma solo perché domani aveva allenamento. Questo pensava, mentre distrattamente gli accarezzava la pelle morbida tra le palle e il buco e poi spingeva, avvertendo chiaramente che Giacomo tratteneva il fiato ogni volta che lui passava con le dita attorno alla fessura. "Ci tieni alla fichetta, eh, puttanella?" e dicendolo spinse leggermente infilando una nocca dell'indice, poi un'altra e infine tutto il dito. Giacomo si lamentò e lui girò il dito all'interno, sentendo la mucosa calda e rorida di umori. Tirò fuori il dito e se l'odorò. "Sa di merda!" disse "E di cosa sennò?" aggiunse ridendo. `È proprio pazzo' pensò Giacomo. Benny gli prese i capelli e gli tirò su la testa a forza, quando l'ebbe abbastanza vicino gli avvicinò il dito alla bocca. "Puliscilo!" Giacomo tentò di sottrarsi e lui gli spinse il dito tra le labbra, cercando di fargli aprire la bocca, ma Giacomo non lo volle fare e tenne i denti serrati. Benny allora lo lasciò andare, poi improvvisamente lo spinse, facendolo cadere per terra. Mentre Giacomo era ancora disorientato, gli dette un calcio nel fianco facendogli mancare il fiato. Ne approfittò per riprendergli i capelli e metterlo in piedi un'altra volta. Giacomo si sollevò urlando, cercando di resistergli, ma Benny era troppo forte e lo gettò sul letto, a pancia sotto. Dovette resistere un'altra volta alla tentazione di saltargli addosso e violentarlo, penetrandolo là stesso. Nella sua follia, era sempre deciso a rendersi la cosa il più divertente possibile, sebbene ormai fosse sull'orlo dell'orgasmo. Fu addosso al ragazzino e, mentre con una mano gli immobilizzava le braccia, con l'altra riprese a sculacciarlo. "Continui a disubbidirmi" gli disse, mentre gli arrossava ulteriormente il sedere "non capisci che sei in mio potere, che io possiedo già la tua anima e tra un poco anche il tuo corpo sarà mio!" Gli dette qualche altra sculacciata, poi lo lasciò andare. Giacomo tremava, cercava di calmarsi, stava rimettendosi in posizione fetale. "Spogliati" ordinò Benny "spogliati, completamente nudo, mettiti a pancia sotto sul letto" gridò mentre si appoggiava alla scrivania "fai uno spogliarello, fammi vedere come sei bravo, fammi arrapare di più... lo sai che se mi fai arrapare, poi vengo velocemente, no? E se sborro subito, ti faccio male di meno?" `Anche se poi ti inculo un'altra volta per mezz'ora e ti sborro dentro lo stesso, ma questo tu non lo immagini ancora' pensò, mentre Giacomo, tremante, cominciava a sbottonarsi la camicia, arrivando ad accennare qualche movimento che potesse sembrare in qualche modo erotico. Era la cosa più umiliante che avesse fatto nella sua vita, più di quello che aveva già fatto, più di quello che stava per fare, ma cercò lo stesso di muoversi con sensualità. Quando fu completamente nudo, si fermò, con la testa bassa. Benny lo guardò in estasi, era davvero bello, con la pelle chiara, una vaga traccia di abbronzatura sul torace, il segno del costume da bagno sotto l'ombelico, che quasi non si vedeva più, l'uccello moscio con uno spruzzo di pelini biondi sopra le palle piccoline. "Girati" gli disse e Giacomo lentamente si voltò. Il culo era violentemente rosso, di porpora, con i lividi su una natica. "Vieni a metterti in grembo" e Giacomo lo fece, un po' timoroso, ma Benny gli fece un cenno che gli parve perfino amichevole. Si sedette con molta cautela, il culetto gli faceva troppo male. Benny gli prese l'uccello con una mano, mentre con l'altra l'accarezzava in mezzo alle gambe. Cominciò lentamente a menarglielo e le dita dell'altra mano gli cercarono subito il buco, l'indice si insinuò sulla pelle morbida, nella carne tenera. Benny lo sentì sospirare, l'uccello era già duro, al ragazzino piaceva, pensò. Spinse di più il dito e continuò a menarglielo. "Non è la prima volta, vero?" Giacomo fece di no con la testa. "Chi è stato, quei due?" "No!" "Allora te lo infili tu!" Il ragazzino restò zitto e abbassò di più la testa, si era fatto tutto rosso. Benny gli strinse le palle, facendogli male. "Raccontami che fai" ripeté con voce più minacciosa. "Qualche volta me lo infilo io" stava per piangere. "Ed io che pensavo di sverginarti..." disse Benny ridendo e forzando un po' il dito con cui lo stava già penetrando "ti piace quando te lo fai?" Giacomo fece di si con la testa. "E adesso ti sta piacendo?" Giacomo cominciò a muoversi, per accompagnare i movimenti della mano di Benny, ma anche per favorire la penetrazione. Arrossì e di nuovo fece di si con la testa. Dopo avergli infilato completamente l'indice, Benny glielo sfilò lentamente e l'unì al medio. Ricominciò a spingere. Così dovette fargli male, perché Giacomo trattenne il respiro, non si mosse più, ma lui non smise di menarglielo e di spingere, così le due dita entrarono, aiutate dal sudore e dal caldo che c'era tra le natiche e in mezzo alle gambe. Adesso il ragazzino era tutto sudato, l'uccello era caldissimo, Giacomo cominciò anche a sospirare, finché con una spinta maggiore non si infilò da solo tutte e due le dita nel culo. Restò un momento immobile, poi sborrò. Gli uscirono tre schizzi che saltarono fuori finendogli sulla pancia, l'ultimo sul polso di Benny. "E bravo questo ragazzino, nonostante tutto sei un maschietto, eh? Anche se ti piace metterti le dita nel culo!" Giacomo non gli rispose, preso com'era nello stupore dell'orgasmo. Benny gli sfilò le dita e gliele mise sotto al naso. "Credo che questa volta le leccherai. Dopo tutto sono servite a farti sborrare, no?" Ma Giacomo voltò la testa e un attimo dopo era a pancia sotto, sulle ginocchia di Benny, rassegnato ad un'altra scarica di sculacciate. Questa volta aveva l'uccello e la pancia schiacciate contro la coscia di Benny e le gambe bloccate in mezzo a quelle del ragazzo più grande che gli teneva strette anche le braccia. Invece delle sculacciate sentì che l'accarezzava, poi avvertì un movimento. Benny si sporse a prendere qualcosa e un momento dopo lui provò un dolore terribile. Una fitta insopportabile, seguita da un'altra e da altre ancora che alla fine gli resero il culo insensibile. Le ultime quasi non le sentì, perché stava per svenire. Tra il dolore che provava e la testa all'ingiù, più bassa del corpo, quella di svenire era una reazione comprensibile per il suo organismo. Benny se ne accorse e gli alzò velocemente la testa, prendendolo per i capelli, poi lo sollevò, rimettendolo in piedi, ma lui non ce la fece, le gambe gli si piegarono, anche perché, nel tentativo di restare diritto, fece forza e tese i muscoli dei glutei e questo gli provocò altre fitte che rischiarono di fargli perdere conoscenza. "Ehi... sveglia" faceva Benny, dandogli schiaffetti sulle guance "dai... sei proprio una femminuccia!" Ma era spaventato, non tanto delle conseguenze di poter aver ucciso il ragazzino, quanto dal fatto di avere rotto così presto il suo nuovo giocattolo, prima di averci giocato davvero. Finalmente Giacomo reagì, riaprì gli occhi, si raddrizzò, fece per sedersi sulla sponda del letto, ma scattò in piedi, perché il dolore al culo era troppo forte. Alzandosi vide il righello di legno con cui Benny l'aveva colpito. Si toccò istintivamente le natiche, provò ad accarezzarle, ma si rese conto che gli faceva troppo male anche solo a sfiorarle. Restò in piedi davanti a Benny che lo guardava con un certo sollievo. Il giocattolo era tornato a funzionare. "Ok, è arrivato il momento di darti quello che aspettavi da quando sei arrivato. Mettiti sul letto a pancia sotto" ordinò. Giacomo tremava, non aveva mai smesso, ma questa volta si affrettò a ubbidire. Era stremato, ma voleva che tutto finisse prima possibile e non voleva morire, non ancora. Il culetto tondo e rosso del ragazzino risaltava sulla trapunta chiara che copriva completamente il letto, era la cosa che più si notava. Benny sentì il cuore battergli forte, stava per farlo, di lì a qualche momento l'avrebbe inculato. Avrebbe consumato due verginità in un colpo solo. Gli allargò le natiche e vide il buco era un po' arrossato, leggermente più largo, gli sfuggì un sorriso pensando a come sarebbe stato quando avrebbe finito. Anche il suo uccello sarebbe stato rosso, ma di un arrossamento causato solo al piacere che sarebbe riuscito ad ottenere. Sputò sul buco e sparse la saliva tutto attorno, si sputò anche sulle dita bagnandosi la punta dell'uccello. Aveva sempre la tentazione di violentarlo senza nessun lubrificante, ma la possibilità di farsi male al cazzo gli consigliava di bagnarsi almeno la punta. Una volta dentro, ragionò, avrebbe funzionato come con la fica. Sputò un'altra volta per bagnarsi meglio, poi gli si stese sopra. Giacomo continuava a tremare aspettando di provare il dolore peggiore della sua vita. E, dopo quello che aveva già sofferto quel giorno, sarebbe stato davvero un grande dolore. Benny ce l'aveva grosso e se non l'avesse lubrificato bene gli avrebbe rotto davvero il culo. Lo sentì posargli la punta contro il buco e poi spingere. La cappella di Benny era a punta e non più grossa del resto dell'uccello, scivolò dentro allargandogli il buco, seguita subito da metà dall'asta. Benny si fermò timoroso di continuare, aveva sentito il corpo del ragazzo tendersi e poi rilassarsi, consentendogli di scivolare ancora più a fondo di un altro paio di centimetri. Aveva avuto paura di rompergli il culo, ma evidentemente aveva messo troppa saliva e la puttanella si stava godendo la penetrazione. L'avrebbe violentato un'altra volta, per il momento la cosa più urgente era di scaricare l'enorme tensione che sentiva nelle palle, svuotarle del loro carico di sborra, riempirgli il culo e restargli dentro a riposare. Il dolore che aveva sentito subito si era come diffuso a tutto il culo, confondendosi con le fitte che provenivano dalle natiche martoriate dal righello. E il fatto che Benny gli si fosse messo addosso con tutto il suo peso non aiutava certo, perché gli stava schiacciando proprio il culo, nel punto dov'era più sensibile. Quando capì che il culo del ragazzino si era adattato all'intrusione, Benny si spostò leggermente in avanti allineando meglio il cazzo e spinse di più, infilandoglielo tutto, finché non sentì la pelle caldissima delle natiche contro il ventre. Fu allora che Giacomo urlò. Urlò come un animale che sta per essere sgozzato, urlò e urlò ancora, perché qualcuno gli stava piantando un bastone nel culo. Benny eccitato da quelle grida e dai tentativi di divincolarsi, lo tenne fermo sotto di sé e cominciò a pomparlo con violenza crescente, spingendosi ad ogni colpo più in fondo, allargandogli l'apertura con i movimenti scomposti che faceva. Perse immediatamente il controllo e sborrò. Fu come se ondate di piacere lo sommergessero e lui si lasciò travolgere. Schiacciava senza pietà il corpicino sotto di sé, spingendo e strattonandolo, mentre si lasciava trascinare dagli ultimi spasmi del suo orgasmo. Giacomo, che in un primo momento ne aveva favorito l'entrata, aveva poi istintivamente stretto il culo attorno all'uccello di Benny. Adesso cercava di rilassarsi, sotto di lui, per alleviare qualcuno dei tanti, brutti dolori che provava. Benny si era calmato e ansimava piano con una guancia appoggiata sul letto, la bocca semiaperta a pochi centimetri dal viso di Giacomo che lo guardava con gli occhi sbarrati. Quando li aprì anche lui, si fissarono e Benny sogghignò, facendo un movimento con il bacino che ravvivò la sofferenza dentro al culo di Giacomo. Il ragazzo fece una smorfia di dolore. "Ti piace, eh?" Giacomo continuava a guardarlo, era immobile nella sua espressione di sofferenza e questo irritò Benny che dette un altro paio di colpi con il bacino. "Ho chiesto se ti è piaciuto!" disse fissandolo torvo. Giacomo fece di si con la testa, allora Benny infilò la mano sotto per prendergli l'uccello moscio. "Che fai, mi dici le bugie?" e glielo strinse prendendoglielo insieme alle palle. Giacomo gridò. "Mi fai male... ti prego" stava piangendo. "Lo so che ti faccio male" Benny era serio "ma mi piace" aggiunse come per scusarsi, poi gli lasciò andare le palle, ma dette un altro paio di colpi strappando smorfie di dolore a Giacomo "com'è che non sei eccitato?" "Ma se sono venuto poco fa?" cercò di giustificarsi il ragazzino "E poi tu mi stai facendo male!" A Benny nel frattempo gli si era un poco ammosciato, perciò lo tirò fuori, scivolò di lato e si mise supino, con le mani dietro la nuca, in quella posizione che gli pareva fosse la più espressiva del suo status di padrone. "Leccamelo, puliscilo!" ordinò. Giacomo esitò. "Vuoi essere sculacciato un'altra volta? Con la cinghia o col righello?" Giacomo scosse vigorosamente la testa, poi si mosse lentamente fino a inginocchiarsi tra le gambe che Benny aveva allargato. "Prima toglimi i boxer" e lui lo fece "adesso cerca di pulirlo per bene" Giacomo esitante si abbassò, avvicinando la bocca all'uccello moscio di Benny "prendilo in bocca e succhialo bene, poi leccalo e puliscilo" e lui lo fece. Non aveva il sapore terribile che pensava, sapeva della sborra di Benny e quella la conosceva e poi era solo leggermente amaro, quanto all'odore, era di sudore e certamente quello del suo culo, ma non proprio di cacca. Per questa volta dentro era pulito, per fortuna. Glielo succhiò per bene, poi prese a leccarlo con diligenza, conscio che un qualunque errore, anche piccolo, avrebbe portato ad altre sculacciate e quelle non avrebbe potuto sopportarle. Il culetto gli faceva troppo male, di un dolore sordo, pulsante, che seguiva i battiti frequenti del suo cuore. "Stai diventando bravo a succhiare" fece Benny "i tuoi vecchi amici ti hanno fatto esercitare parecchio" concluse ridendo. Chiuse gli occhi e si rilassò, mentre Giacomo continuava a leccare e succhiare, facendogli un massaggio delicato che lentamente glielo stava facendo tornare duro. Mormorò soddisfatto, accomodandosi meglio sul letto. Il ragazzino stava davvero facendo un buon lavoro. Non l'avrebbe violentato nemmeno questa volta, ma l'avrebbe penetrato gentilmente, prima di cominciare a stantuffarlo senza pietà. A Benny sfuggì un risolino che Giacomo notò e questo gli dette un brivido lungo la schiena. Aveva paura di quei sorrisi. "Per premio, per come sei stato bravo, ti inculerò un'altra volta, sei contento?" e si alzò improvvisamente sfilandoglielo dalle labbra, lasciandolo là in ginocchio con la bocca aperta e un poco di saliva che gli colava di lato "Mettiti in posizione" disse indicando che lo voleva un'altra volta a pancia sotto. Giacomo si affrettò a eseguire l'ordine, anche perché sperava di sfruttare la saliva di cui gli aveva cosparso sull'uccello per lubrificare l'inevitabile penetrazione. Benny l'accarezzò e fu quasi delicato sulla pelle arrossata delle natiche, gliele aprì, guardò il buco che adesso era notevolmente più largo. Lo tastò, era umido, infilò un dito e toccò una sostanza vischiosa, il suo sperma. Sorrise a se stesso, che stupido a non pensarci, infilò due dita, raccogliendo altra sborra. Giacomo si mosse a disagio, le due dita nel culo gli provocavano bruciore, una sensazione acuta di fastidio, di ingombro. Benny gli mise le dita sotto il naso. "Leccale" disse, mentre gli si metteva sopra schiacciandolo con il proprio peso. A quel punto Giacomo non aveva molte possibilità di movimento, né voleva indisporlo, le dita non puzzavano troppo e la sborra di Benny l'aveva già ingoiata, perciò aprì la bocca. Le dita gli si infilarono e lui gli chiuse le labbra attorno, cominciò a leccarle e succhiarle ubbidiente. Nel frattempo Benny si era aggiustato sopra di lui e, puntato l'uccello contro il buco, gliel'aveva infilato lentamente. Giacomo mormorò qualcosa, tra un grugnito e un'esclamazione di dolore, ma non smise di succhiare. Benny lo penetrò infilandoglielo completamente, finché non lo sentì irrigidirsi sotto di sé, poi si tirò indietro, fermandosi alla cappella. Fece così diverse volte e Giacomo seguiva i suoi movimenti trattenendo il fiato, fino a quando la punta del cazzo di Benny non toccava l'estremo limite dietro di lui. Espirava solo quando lui lo tirava fuori. Benny lo pompò per qualche minuto, poi gli tolse le dita dalla bocca e Giacomo cominciò a emettere un rumore molto simile all'aria cacciata fuori da un cuscino quando qualcosa di pesante gli cade sopra. Lo fece a ogni botta ricevuta, ogni volta che il bacino di Benny lo colpiva contro le natiche e l'uccello colpiva un'altra parte dentro di lui, proprio dentro, dove credeva che non si potesse arrivare. Benny continuò a incularlo con movimenti ritmici per qualche minuto, finché non sentì montargli dentro l'eccitazione e si rese conto di essere vicino al limite di un altro orgasmo. Si fermò. Tutti e due tirarono il fiato per qualche secondo, poi riprese ad un ritmo più lento che però accelerò presto per tornare alla velocità di prima. Si fermò ancora, questa volta dopo meno tempo, si riposò, si calmò di più e poi riprese. Si bloccò, restò immobile, perché questa volta ci era andato proprio vicino. "Non muoverti, non muoverti, se ti muovi, ti ammazzo" sibilò nell'orecchio di Giacomo che restò come paralizzato per il terrore che un movimento involontario potesse tradirlo. Restò immobile e quell'immobilità gli fece più male che se Benny avesse continuato a muoversi, perché consentì al sangue di tornare a scorrere regolarmente nelle sue vene, nelle viscere e dalle viscere, irrorando il sistema nervoso trasmettergli il dolore terribile che quella penetrazione continuata, la dilatazione innaturale cui Benny lo stava sottoponendo, gli procurava. Benny tornò a muoversi, dopo un paio di minuti, centoventi secondi di immobilità. Si mosse, ma era troppo vicino al precipizio, all'orlo, al baratro in cui decise di cadere, perché se ne fece travolgere. E dette sfogo a tutta la violenza di cui fu capace, finalmente violentando il ragazzino, come aveva pensato di fare già tante volte. Quando si fu calmato, quando l'ultima goccia di sborra l'ebbe abbandonato per finire in quell'orifizio violato, ricadde schiacciando il piccolino che, sotto di lui, respirava a stento, cercando di non piangere troppo forte. Lentamente tornò a una respirazione normale e solo allora sembrò avvedersi della forma umana sotto di lui, dei suoi disperati tentativi di respirare, dei piccoli movimenti che cercava di fare. Giacomo aveva vissuto quei trenta minuti, senz'altro i più difficili della sua giovane vita, in una specie di trance, indotta dal dolore che stava soffrendo. Per quanto lubrificato, il membro di Benny era ancora troppo grosso e gli aveva provocato un fastidio terribile dentro, nella cavità del retto. Aveva sofferto un dolore che non credeva di poter provare, né tanto meno sopportare. Tutte le volte in cui Benny si era fermato, l'avevano assalito ondate di nausea, ma lui aveva cercato sempre di controllarsi, sapeva che vomitando avrebbe rischiato la vita. Gli ultimi minuti erano stati i peggiori, era quasi svenuto, aveva avuto momenti in cui si era annebbiata la vista, ma poi un colpo peggiore degli altri, più forte, più violento, più profondo, l'aveva risvegliato e fatto tornare alla sua immensa miseria. Dopo l'ultima sosta, quando Benny aveva ripreso a muoversi accelerando la corsa, Giacomo aveva temuto davvero di morire. La violenza forsennata con cui veniva penetrato, gli fece temere che quel corpo che gli martellava addosso potesse schiacciarlo, mentre il randello che teneva piantato nel culo l'avrebbe sicuramente sfondato. Nel momento in cui si sentì peggio, proprio nell'istante in cui stava ricordando a se stesso che nessuno l'avrebbe pianto, Benny sborrò. Con un urlo inumano eiaculò per la seconda volta quel giorno, scaricando tutto il suo seme nel posto più profondo che potesse raggiungere. Adesso aveva realmente posseduto il corpo di Giacomo. Gli cadde addosso esausto e madido del proprio sudore, sul corpo martoriato e ugualmente fradicio delle loro traspirazioni. Improvvisamente si avvide che la camera era impregnata di odori, di sperma, di fluidi corporei, di sudore. Gli parve di soffocare. Si alzò, staccandosi dal corpo di Giacomo. Si guardò l'uccello che era bagnato di sborra e anche sporco di sangue, di colpo gli apparve tutta l'assurdità delle proprie azioni, la sua gravità estrema, ma quel barlume di ragione non durò che pochi secondi. La visione delle natiche rotonde di Giacomo, palesemente allargate dalla verga che gli era stata piantata nel mezzo fino a pochi momenti prima, quei globi piccoli e perfetti che portavano i segni delle sculacciate e delle frustate ricevuti, da un lato anche il livido lasciato dal terribile pizzicotto che gli aveva dato, il corpo armonioso del ragazzo mollemente adagiato sul letto, immobile, se non per il respiro frequente, quasi febbrile che gli faceva sollevare le spalle. Quella visione lo riportò alla sua follia, facendogliela accettare come il necessario tributo al piacere, alla sua infinita lussuria. L'avrebbe posseduto ancora ed ancora, Giacomo era il suo schiavo, aveva fatto valere il suo diritto, adesso ne possedeva corpo e anima e presto gli avrebbe mangiato il cuore. Quei pensieri lo sopraffecero e gli sfuggì una specie di ruggito che fece sobbalzare il ragazzino. "Vestiti e vattene" gli disse, mentre si guardava attorno, cercando i pantaloncini "esci e richiudi tutte le porte dietro di te. Sparisci... ho detto!" urlò alla fine, perché Giacomo gli pareva lento a muoversi. Si stava rivestendo, era malfermo sulle gambe e tremava, cercò ugualmente di reggersi in piedi e di fare prima che poté. Benny era già uscito dalla camera, forse era andato nel bagno. Lui si guardò attorno, vide un pacchetto di fazzolettini di carta, ne prese un paio, li accartocciò e se li mise nello spacco del culo, per tamponare lo sperma che sarebbe certamente colato fuori quando avesse cominciato a camminare. Gli bruciava da morire, dentro e fuori e attorno, non riusciva a decidere dove gli bruciasse di più. Lasciando la camera la guardò con attenzione, come per imprimersela nella memoria. 3. Eugenio Sangallo Il giorno dopo a scuola fu un inferno. Non a causa dei suoi tormentatori, perché quelli ormai si tenevano prudentemente lontani da lui, ma perché non riusciva a stare seduto. Giacomo si agitava per cercare una posizione che non poteva trovare. La superficie delle natiche era arrossata e coperta di lividi, la sera prima a casa aveva provato di tutto, dal bagno freddo a quello caldo o tiepido, una crema rinfrescante, di quelle doposole, una antibiotica. Tutto gli aveva dato un poco di sollievo, ma era stato solo momentaneo, perché subito dopo il bruciore e il dolore erano tornati più forti di prima. E quello che aveva sentito dentro, era stato anche peggio. Da dentro, il buco gli bruciava e gli dava prurito. Cerando con disperazione nei cassetti della mamma aveva trovato una crema per le emorroidi, lette attentamente le istruzioni, l'aveva applicata. Solo così era riuscito ad addormentarsi. La mattina dopo il dolore era meno forte, ma erano rimasti il bruciore fuori e il prurito dentro. E per questo non riusciva a stare fermo sulla sedia. Eugenio, il suo compagno di banco, capì che qualcosa non andava. Anche il giorno prima, se è per questo, aveva notato che Giacomo era distratto e sofferente. Gliene aveva chiesto la ragione, ma Giacomo era stato sfuggente. Stamattina però, Eugenio non intendeva lasciarsi liquidare con altrettanta facilità. Lui era un ragazzo calmo e giudizioso, alto, magro, con gli occhiali, una zazzera di capelli neri, sempre spettinati, la carnagione un po' scura, era una di quelle persone che riescono sempre a non farsi notare. Non era brutto, ma nemmeno bello come Giacomo. Eugenio non si notava, lui si confondeva con la tappezzeria e per questo, al contrario di Giacomo, quasi sempre era lasciato in pace. Eugenio l'osservò muoversi a disagio per le prime due ore di lezione. Attese l'ora di educazione fisica durante la quale erano solitamente lasciati a se stessi dall'insegnante. Era sempre durante quella lezione che Giacomo subiva gli attacchi dei due bulli che lo tormentavano, ma questa volta sarebbe stato Eugenio a inseguirlo e con un intento decisamente più benevolo. "Giacomo, ti prego, dimmi che ti è successo" l'implorò per l'ennesima volta, mentre se ne stavano seduti in un angolo della palestra, cercando di rendersi invisibili. "Non posso!" "Chi è stato? Quei due?" Eugenio sapeva dei due bulli, anche se non aveva idea di quello che avevano fatto al compagno. Giacomo scosse la testa. "È stato tuo padre?" "No, ma che dici, quello neppure mi guarda!" "E allora chi è stato?" Giacomo scosse un'altra volta la testa. "Se non mi dici chi è stato non posso aiutarti!" "Nessuno mi può aiutare" fece Giacomo sconsolato, mentre due lacrime gli scendevano sulle guance. "Io ho deciso di aiutarti!" "Non puoi fare niente!" gridò. "Ho deciso e basta" disse Eugenio, facendo voltare di scatto Giacomo che non l'aveva mai sentito parlare a quel modo e non si aspettava tanta decisione. Eugenio gli mise la mano sulla spalla e l'attirò a sé, parlandogli nell'orecchio. "Devi aver fiducia in me, Giacomo" gli mormorò "sono l'unico che può aiutarti... dimmi, che ti hanno fatto? Chi è stato?" Giacomo scosse ancora la testa. Avrebbe voluto credergli, non chiedeva altro, ma che poteva fare Eugenio per aiutarlo? Sarebbe bastata una parola di Benny e tutto il liceo avrebbe saputo che lui succhiava il cazzo e lo prendeva in culo. L'avrebbero saputo anche i suoi genitori che già lo disprezzavano. Che poteva fare se non andare domani pomeriggio a casa di Benny, nella stanza delle torture a farsi brutalizzare e violentare un'altra volta, sperando di morire soffocato? Quest'idea gli dette una tale tristezza che scoppiò a piangere, singhiozzando senza più riuscire a fermarsi. Eugenio, che lo stava osservando attentamente, lo fece alzare e se lo tirò dietro verso i bagni, cercando di coprirgli la faccia, in modo che nessuno lo vedesse piangere. Quando furono al sicuro, nello stanzino dei bidelli, a quell'ora sempre vuoto, Eugenio gli prese la faccia fra le mani, lo guardò negli occhi e lo baciò sulla bocca sfiorandogli le labbra. "Io ho deciso di aiutarti!" ripeté "E lo farò, che tu lo voglia o no!" Lo baciò ancora, poi l'abbracciò stretto, abbassando la mano lentamente, fino a sfiorargli il culetto. Quando lo toccò là, Giacomo si lamentò. "Fammi vedere... ti prego! Non capisci che ti voglio bene?" "Anch'io ti voglio bene!" Quell'affermazione stupì Eugenio. Giacomo era troppo bello per accorgersi di lui. "Davvero?" "Si... ma prima non lo capivo. Adesso lo so. E tu non mi hai mai guardato!" "Io non ti guardavo, perché tu... tu sei troppo bello e io sono brutto! Mi vergognavo!" "No, per me tu sei bellissimo!" disse Giacomo e questa volta fu lui a baciarlo. Tutti e due non avevano mai fatto nulla del genere e quello che Giacomo fece li stupì entrambi. Il primo bacio era stato d'affetto, d'incoraggiamento, ma l'altro, fu completamente diverso, non schiusero le labbra, ma fu un vero bacio d'amore. Quando si separarono, Eugenio lo guardò negli occhi. "Adesso capisci, perché voglio aiutarti?" chiese ancora. "Si..." "Posso vedere?" "Si." Eugenio si sciolse dall'abbraccio e sbottonò i pantaloni di Giacomo. Lo fece voltare e con molta cautela glieli abbassò, poi abbassò anche gli slip, ma solo da dietro e allora inorridì. Le natiche erano coperte di lividi, su quella sinistra ce n'erano due più grandi e più scuri. Il colore predominante era il rosso, ma c'era anche molto viola e già un po' di giallo, dove i lividi stavano scolorando. "Cazzo... Giacomo, chi è stato?" "No..." "Si, invece... si, si..." Eugenio l'abbracciò forte "devi dirmelo, perché tutto questo deve finire!" "Non posso" Giacomo stava piangendo "non posso, mi vergogno troppo!" "Chi è stato che ti ha fatto questo? Come te l'ha fatto?" "Con la cinghia... e poi un righello e anche sculacciate... tante!" Piangeva, sempre stretto nell'abbraccio protettivo di Eugenio. "Che altro ti ha fatto?" "Mi vergogno..." "Hai detto che mi vuoi bene..." "Mi vergogno, Eugenio!" "Ti fidi di me?" "Si!" di questo era certo. "Qualunque cosa sia stata, quello che penso di te, per me non cambia. Prima ho detto che ti volevo bene, ma non era vero!" lo sentì irrigidirsi "Aspetta! Voglio dire che non era esatto, non volevo dire solo quello, la verità è che io ti amo, Giacomo! Da quanti anni ci conosciamo?" "Dalla prima elementare?" "Già, sono tanti, Giacomo, più della metà della nostra vita. Te lo dico adesso, perché pensavo che tu fossi irraggiungibile per me, ma ti amo tanto e da tanto tempo. È vero, Giacomo. Tu mi credi?" Stava piangendo anche lui e fu Giacomo a doverlo consolare, ad accarezzarlo, a sfiorargli le guance bagnate. "Si, ti credo, ma com'è che non l'avevo mai capito?" "Eri sempre così triste, avevi troppo pensieri." "Lui mi costretto... prima è stato qua in un'aula al secondo piano. Mi ha frustato con la cinghia, poi me l'ha fatto succhiare..." si fermò, perché piangeva troppo, Eugenio con le carezze riuscì a calmarlo "ieri a casa sua mi ha sculacciato, poi le frustate. Se l'è fatto prendere in bocca e poi me l'ha messo... dietro!" "Dietro?" Eugenio era incredulo. "Me lo ha infilato dentro al buco. Mi ha fatto tanto male... per due volte!" "Mi dispiace" piangevano insieme consolandosi, stretti nell'abbraccio "Chi è stato, Giacomo, dimmelo! "Benny Treves" lo disse con un filo di voce. "Lo ammazzo!" "No, no... lui, lui mi ricatta, lo dirà a tutti che me l'ha messo dietro... e io mi vergogno tanto! Faccio schifo, non è vero?" "No, io amo la persona più bella del mondo!" "Ma è con te che mi vergogno di più!" gridò Giacomo cercando di liberarsi dall'abbraccio. Allora Eugenio gli s'inginocchiò davanti, gli abbassò le mutandine e glielo prese in bocca. Dopo un attimo di confusione Giacomo cercò di allontanarsi, ma Eugenio lo tenne fermo, mentre con la lingua gli accarezzava la punta. Il pisello si indurì velocemente. Non aveva mai fatto nulla di simile, l'aveva desiderato, ma era certo che non l'avrebbe mai fatto. Lo guidarono l'amore e l'istinto. Continuò finché non sentì il respiro di Giacomo farsi corto, poi lo sentì gemere, infine raccolse in bocca il suo seme. Lui si era già bagnato le mutande da un bel po'. Quando si alzò, Giacomo lo guardava incredulo. "Adesso ho succhiato anch'io un uccello. Mi vuoi bene di meno?" chiese Eugenio sfiorandogli le labbra con le sue. Giacomo fece di no con la testa. Era ancora confuso, turbato. In quel momento sentirono rumori nel bagno, una porta fu aperta e poi fu chiusa. Si resero conto che l'ora era quasi passata e che presto sarebbero arrivati molti altri compagni. Giacomo si rivestì e uscirono dallo stanzino, assicurandosi di non essere visti. "Che succederà adesso?" chiese Giacomo, mentre si allontanavano "Domani vuole che torni da lui. Mi ucciderà di botte o mi sfonderà!" aggiunse piagnucolando. "Non ti farà niente! Ci penserò io!" "E come farai? Se quello si accorge che te l'ho detto, mi sputtana a tutto il liceo e così lo saprà anche mia madre!" "Fammi pensare. Qualcosa troverò." "Ho paura!" "Perché non vieni a casa mia nel pomeriggio?" 4. Eugenio e Giacomo Scoprire che Eugenio abitasse a Parco Valla, a pochi metri da Benny, fu un'amara sorpresa per Giacomo. Per un momento fu preso dal panico all'idea di essere visto dal suo tormentatore, oppure che anche Eugenio potesse tradirlo e che volesse solo approfittare di lui. Poi si diede dello stupido e disse a se stesso che non aveva nessun altro di cui potesse fidarsi. Si ricordò anche che Eugenio gli piaceva. Non era certo di amarlo, ma gli era almeno affezionato, gli voleva bene e l'idea che Eugenio l'amasse lo rendeva orgoglioso. L'amico l'accolse sorridendo. "Ho avuto un'idea, ma prima dobbiamo fare alcune cose" gli disse già sulla porta "siamo soli in casa. I miei genitori non arriveranno prima di tre ore" e se lo tirò dietro fin nella sua camera che a Giacomo sembrò molto grande e ben arredata, per essere la camera di un quattordicenne. "Che hai pensato di fare?" "Prima dobbiamo metterci in pari" fece Eugenio. "Che vuoi dire?" "Io voglio... devo provare le stesse cose che hai provato tu, così non potrai più vergognarti con me, oppure potremo vergognarci insieme!" "Non voglio... non posso!" "E invece sì. Voglio che prima mi sculacci e poi mi frusti e poi me lo metti." "No, tu sei pazzo!" "No, sono solo innamorato di te, non capisci? Vieni!" E se lo tirò dietro, lo fece sedere sul letto e si mise con la pancia sulle sue ginocchia. "Tu pensa a sculacciarmi. Ti dico io quando ti devi fermare!" Giacomo fissava incredulo il culetto tondo che aveva davanti. Sul suo grembo si era appena adagiato il suo migliore amico, di cui avvertiva l'uccello duro, schiacciato contro la coscia destra. Con la mano l'accarezzò. Eugenio indossava dei pantaloni di maglina, molto sottili, che disegnavano perfettamente le curve del culetto. Erano così aderenti che anche lo spacco era abbastanza visibile. Giacomo ingoiò a vuoto, l'accarezzò un'altra volta, si rese conto di avere il fiato corto e di essere anche lui eccitato. "Ti prego, Giacomo..." Gli dette una prima sculacciata, ma fu più un'altra carezza. "Giacomo..." Eugenio quasi gridò e lui allora cominciò a dargliele, alternando i colpi su una natica e sull'altra. Ogni tanto lo colpiva con la mano aperta su tutto il culetto. "Aspetta..." fece Eugenio. "Mi dispiace, mi dispiace... io non volevo..." disse Giacomo, già sicuro di avergli fatto male Eugenio si era solo sollevato per abbassarsi i pantaloni e restare in mutande, poi gli si era rimesso in grembo. "Continua, dai..." Lui invece l'accarezzò timidamente. "Ti prego, Giacomo, dammene ancora..." Un'altra carezza e poi ripresero le sculacciate. Eugenio ricominciò a muoversi, forse un po' a disagio, cominciava a sentire i colpi. Giacomo fece per fermarsi, ma lui, per tutta risposta, con le mani si raccolse le mutande nello spacco esponendo le natiche già arrossate alle botte del compagno. Dopo un po' avevano entrambi l'affanno, ma Eugenio, non aveva alcuna intenzione di rinunciare. Si alzò un'altra volta per abbassarsi le mutande. Il pisello non era più tanto duro, ma non si era ammosciato del tutto. Guardò Giacomo negli occhi e si tolse anche la maglietta restando nudo davanti alla persona che amava. "Sono magro che mi puoi contare le ossa, ho gli occhiali, i capelli che fanno schifo. Sono brutto, eh?" Giacomo l'abbracciò, stringendolo ai fianchi e stava abbassandosi per prendergli l'uccello in bocca, ma Eugenio si sottrasse. "No, questo non è per oggi e poi non abbiamo ancora finito!" Gli si mise un'altra volta in grembo. "Devi darmene ancora." "Ma ti sto facendo male." "Mi devi fare male, cazzo!" E Giacomo l'accontentò, gliene dette finché non si accorse che piangeva. Allora lo prese tra le braccia e lo strinse forte. "Eugenio, mi dispiace!" "Hai pianto, mentre quel porco ti faceva quelle cose?" "Si!" "E allora è giusto che pianga anch'io. E adesso devi frustarmi!" "No!" "Se non mi frusti e non mi frusti forte, non ti aiuterò!" "Che c'entra!" "Non capisci che voglio sentirmi come ti sei sentito tu? Perché solo allora potremo essere uguali noi due?" "Non ce la faccio, Eugenio!" "Neppure se te lo chiedo io?" Glielo chiese mentre si stendeva sul letto a pancia sotto, afferrando con le mani la testiera che era in tubolare d'acciaio. "La cinghia è su quella sedia. È di cuoio, credo che vada bene." Detto questo, affondò la faccia nel cuscino e attese. Giacomo non avrebbe mai immaginato di trovarsi davanti una vista come quella. Il corpo nudo di Eugenio era eccitante. Le gambe lunghe e sottili, eppure leggermente muscolose, i polpacci su cui cominciava a comparire qualche pelo nero come i suoi capelli. Con la sua carnagione scura, l'esposizione al sole gli aveva donato una coloratura più intensa, interrotta attorno al culetto dove aveva indossato il costume da bagno, ma adesso il culetto era arrossato dalle sculacciate. Era tondo e terminava nei fianchi più stretti che lui avesse mai visto. Il torso si allargava nelle spalle, con la pelle liscia e ambrata, per terminare nel collo lungo, quasi coperto dalle ciocche lisce di capelli che Eugenio portava lunghi fin quasi alle spalle. Il volto era nascosto dal cuscino e Giacomo sapeva che gli occhi erano chiusi, serrati in attesa del dolore che lui gli avrebbe provocato. Che doveva infliggergli perché fossero uguali. "Devi darmene almeno sei, tutte forti" bofonchiò Eugenio da dentro al cuscino" e se non sono abbastanza forti da lasciarmi il segno, non le conto!" "Eugenio..." "Sto aspettando!" Giacomo si avvolse parte della cinghia attorno al palmo, proprio come aveva visto fare a Benny, guardò il culetto di Eugenio, prese la mira e lo colpì. Eugenio gridò: "Uno!" Poi sospirò, si mosse un poco e tornò immobile. Giacomo tremava, ma lo colpì un'altra volta. "Due!" Gli tremavano le gambe e piangeva, Giacomo si sentiva come in trappola, ma non aveva altra paura che quella di fargli male. Sentiva il dolore su di sé. Avvertiva nei glutei lo stesso bruciore che Eugenio stava sentendo in quel momento. "Tre!" si mosse ancora come per cercare di alleviare la pena, strinse le mani attorno al tubo della spalliera, gli sbiancarono le nocche delle dita, batté i piedi contro il materasso, poi si immobilizzò e attese. "Non ce la faccio..." piagnucolò Giacomo. "Ti prego! Da solo non posso darmele. Poco fa ho provato..." poi gridò, perché l'aveva colpito un'altra frustata "Quattro!" Giacomo fece un respiro lungo, alzò il braccio e poi le fece cadere con forza, mentre la cinghia colpiva il culetto di Eugenio proprio al centro, lasciando una striscia più rossa delle altre. "Cinque!" "Basta!" "Dai, ancora una..." disse Eugenio a denti stretti "E sei!" urlò. Eugenio piangeva schiacciando la faccia contro il cuscino. "Mi dispiace, mi dispiace!" Giacomo gli si era steso accanto e cercava di abbracciarlo, di scuoterlo, avrebbe voluto baciarlo sulla bocca, sulle guance, asciugargli le lacrime, ma Eugenio non si muoveva. Teneva la testa schiacciata contro il cuscino. Dal leggero movimento delle spalle si capiva che stava piangendo. "Adesso me lo devi mettere" disse quando riuscì a controllare la voce. "No, no, non voglio..." anche Giacomo piangeva. "Lo devi fare! Ti prego... spogliati anche tu e mettimelo dentro." "Perché, Eugenio?" si disperava Giacomo. "Deve essere così, il perché te lo spiego dopo!" "Non posso!" "Non ce l'hai duro?" Solo allora Giacomo si accorse con estrema vergogna che ce l'aveva tanto duro da fargli male. "Si" fece con un filo di voce. "Spogliati e infilamelo, ma lo devi fare proprio come te lo ha fatto quello. Proprio così!" "No, ti prego!" Già l'idea di metterlo a Eugenio era orribile, doverlo poi forzare, fini a fargli male era incettabile. A un secondo pensiero, però, Giacomo si scoprì curioso. Si toccò davanti e ce l'aveva sempre duro. Quando si toccò, provò un piacere del quale si rimproverò subito. "Giacomo, spogliati anche tu e inculami, cazzo!" Giacomo si sentì un'altra volta preso in trappola, in una situazione da cui non sapeva come uscire, ma era anche eccitato, arrapato e questo l'aiutò parecchio a decidere. In tutta fretta di alzò la maglietta fino alle ascelle e si abbassò i pantaloni e le mutande fino alle caviglie. Il pisello gli saltò fuori, schioccando contro la pancia. Eugenio incuriosito dal rumore si voltò a guardare. Contrariamente a quanto aveva detto Benny, l'uccello di Giacomo non era piccolo. Per un quattordicenne era anche abbastanza grosso e lungo. Giacomo cercò lo sguardo di Eugenio, ma quello era tornato ad affondare la faccia nel cuscino, allora l'accarezzò sul culetto. "Oggi non dobbiamo fare l'amore, mi devi inculare!" borbottò Eugenio e quell'idea ispirò Giacomo. Che gli si mise sopra posandogli l'uccello duro sullo spacco. Spingendolo con la pancia lo fece scorrere tra le natiche e si mosse un po', anche perché quello che stava facendo improvvisamente gli piaceva da morire. Giacomo si spostò fino a farglielo scivolare tra le gambe ed Eugenio lo catturò con i suoi movimenti, perché anche lui, adesso e nonostante il bruciore che provava sul culetto, trovava la situazione stimolante. "Inculami!" ripeté con la voce arrochita dall'eccitazione. Memore di quello che gli aveva fatto Benny, Giacomo si bagnò le dita e gliele passò sul buchetto, le bagnò ancora so inumidì la punta dell'uccello. Ripeté l'operazione, poi lo puntò contro il buco e spinse. Eugenio sospirò e lui si bloccò, ma poi sentì le mani del compagno sul sedere, che lo pressavano e dette una spinta più forte e fu dentro, lo sentì irrigidirsi. Eugenio non immaginava che facesse così male, ma l'aveva chiesto lui, l'aveva desiderato, lo considerava una prova d'amore, indispensabile al loro rapporto. Cercò di calmarsi, sapendo che vedendolo soffrire Giacomo non avrebbe mai portato a termine quel compito. Una volta dentro, fu facile farsi prendere dalla frenesia e Giacomo spinse forte, finché poté. Quando l'ebbe infilato tutto, quando la superficie calda del culetto di Eugenio era pressata contro i pochi peli che aveva sul pube, lo sfilò e poi lo spinse tutto dentro. Un'altra volta e un'altra ancora. Ad ogni spinta Eugenio sbuffava, ma non diceva nulla. Si era solo accomodato meglio, allargando un poco le gambe. Giacomo l'afferrò per le spalle e iniziò a muoversi ritmicamente, per un tempo che immaginò infinito, per quanto piacere provava, ma che terminò troppo presto, quasi subito. Sborrò con violenza assestando a Eugenio gli ultimi poderosi colpi. Quando riprese fiato, si rese conto di quello che aveva appena fatto e scoppiò a piangere. "Mi dispiace, mi dispiace" ripeteva. Anche Eugenio era in lacrime. "Va tutto bene, adesso siamo uguali e io ti amo più di prima!" Giacomo fece per alzarsi, cercando di sfilarsi da lui, ma Eugenio lo fermò. "No, resta dentro di me, ti prego. Devo dirti una cosa." "Che cosa?" piagnucolò Giacomo. "Vuoi essere il mio fidanzato?" "Io?" "Si, vuoi metterti con me, anche se non sono bello come te?" "Si... ti ho fatto male?" "Un poco, ma vedi?" gli prese la mano e se l'infilò sotto la pancia, fino a fargli sentire che s'era bagnato "Oggi è la seconda volta che mi fai sborrare!" "E come?" "Stamattina, mentre te lo succhiavo..." disse ridacchiando "senza neppure toccarmi e adesso, con quella cosa che mi hai messo dentro!" "Sicuro che non ti fa male?" "Mi brucia solo un poco, ma è così bello sentirti dentro!" e mosse il culetto per sistemarsi meglio. "Lo farai anche a me?" "Certo, se tu vuoi e me lo permetti!" "Si... ti prego!" "Allora, stiamo insieme?" "Si!" "Bene, però adesso dobbiamo parlare. Ho un piano per domani!" 5. Benny e Giacomo. "Come te lo senti il culetto?" Era l'intervallo, fra la terza e la quarta ora. Quindici minuti esatti e Giacomo s'era fatto trovare fuori dell'aula di Benny. "Mi fa ancora male!" "Col cazzone che ti ho infilato, ci credo che ti fa male!" "Mi esce anche il sangue. Oggi non credo di poter venire!" "Io invece credo che verrai!" Si erano spostati verso le scale, in una zona dove c'era meno gente. D'altra parte, il loro colloquio era di natura piuttosto riservata. "Se non ci credi guarda tu stesso" fece Giacomo sfidandolo con gli occhi. "Non mi piace né il tono, né quello sguardo." "Scusa, Benny, voglio dire che" e abbassò gli occhi "mi fa male davvero e che se vuoi, puoi guardare anche adesso in che condizioni è il mio sedere." "E dove?" "Andiamo alle aule nuove." Quella era un'ala appena costruita e non ancora utilizzata. Ci si andava solo per fumare, oppure per qualche altra attività illecita. All'intervallo c'era sicuramente gente in giro da quelle parti, ma se fossero passati dalle scale di servizio, non li avrebbe visti nessuno. Giacomo s'incamminò senza voltarsi a guardare se Benny lo seguiva, ma più o meno consciamente aveva capito che il suo di dietro era una calamita per il ragazzo più grande. Benny, infatti, lo seguì, incantato da ciò che gli si muoveva davanti. Quando arrivarono nell'ala nuova, Giacomo si guardò attorno e poi andò dritto ad aprire la porta della seconda aula del corridoio. La stanza era luminosa, con grandi finestre, ben illuminata dal sole della tarda mattinata. "Vuoi vedere quello che mi hai fatto?" quasi gli urlò Giacomo che era andato a mettersi davanti ad una finestra. "Cazzo, parla piano!" "Vieni a vedere!" e cominciò a sbottonarsi i jeans "Sei contento? Guarda!" e si abbassò gli slip facendosi illuminare il culetto dal sole. Lo spettacolo era impressionante. Il culetto di Giacomo era sempre bello, tondo e ben proporzionato, il problema era il colore. Su un fondo di rosato scuro, c'erano varie striature più rosse e qua e là macchie viola contornate di giallo. "Ti... ti fa male?" chiese Benny improvvisamente preoccupato. "Molto! Queste strisce come pensi che me le sia fatte?" Benny restò per un momento a bocca aperta, poi gli guardò il culetto e l'uccello gli s'indurì. Si toccò avanti, se lo accarezzò. "Quelle strisce te le ho fatte con la cinghia, non te lo ricordi? Oppure con il righello a casa mia?" disse ridendo lo sciagurato. "E quante me ne hai date?" "Boh... venti? Trenta? Chi cazzo se lo ricorda?" disse, poi aggiunse "Quelle più sotto devono essere le cinghiate che ti ho dato qua a scuola, sopra ci sono i colpi di righello dell'altro ieri! Sono stato bravo, eh?" Giacomo aveva l'affanno, adesso era spaventato. "E il buco ti fa male?" "Assai... mi è uscito il sangue anche stamattina, quando sono andato in bagno!" "Se hai cacato, vuol dire che funziona ancora!" fece Benny, scoppiando a ridere un'altra volta "Ho il cazzo grosso, che ci posso fare? E il tuo buco era piccolo, ma noi l'abbiamo allargato! E vedrai che oggi non ti farà così male!" "Ti prego, Benny... oggi non posso!" "Ti aspetto alle quattro, come l'altra volta. Puntuale, mi raccomando!" "Che mi farai?" "Quello che ti ho fatto l'altra volta, con qualche variante!" "Cioè? Ti prego, non farmi ancora più male! Che mi farai?" "Prima te lo farò succhiare, perché ho visto che sei bravo. Ma prima di sborrare credo che t'inculerò. Questa volta però senza saliva... a crudo. Anche se mi farà un poco male, farà più male a te!" "E mi farai le cose che mi hai fatto l'altra volta?" " Cosa? Le sculacciate o il pizzicotto? Te lo ricordi il pizzicotto?" "Si..." e Giacomo incominciò a piangere. Il ricordo del dolore sofferto con quel pizzicotto era troppo vivo per lui. "Vedi? C'è ancora il segno!" "Sono le mie dita quelle?" chiese Benny ridendo. "Si... me lo farai un'altra volta?" "Solo se lo meriterai!" "Ce l'hai già duro, Benny?" "Cazzo, non lo vedi?" "Me lo fai vedere?" Lo tirò fuori velocemente. "Ti piace?" "Si!" "Sei una puttanella. Sono riuscito a trasformarti in una puttanella solo con qualche frustata, un pompino e due inculate?" "Mi hai inculato due volte?" "Si, non te ne sei accorto?" "Mi faceva troppo male!" "Ce l'ho troppo grosso per te! Guarda!" e lo tirò fuori "Quando ti ho sverginato, ti ricordi che hai gridato? Ma quando poi ti ho inculato la seconda volta, lo hai preso così, senza fiatare!" "Forse ero svenuto" borbottò Giacomo. "Non credo. Stavi sotto di me e ti muovevi!" "Forse sono svenuto quando me le hai date con il righello!" "Quello si che ti ha fatto male, eh? Chissà che oggi non ti do una ripassata con il righello!" Benny se lo stava menando lentamente. Era davvero grosso. Giacomo provò un brivido ricordando che aveva dovuto sopportare due penetrazioni. "Mi hai fatto arrapare con tutti questi discorsi. Inginocchiati e succhiamelo..." "Non posso, è tardi! Sono quasi le undici e dieci!" Il cuore gli batteva forte nel petto, sperava che Benny non decidesse di arrivare in ritardo alla lezione. "Cazzo, hai ragione" e se lo rimise dentro, duro com'era "ti aspetto alle quattro e se non arrivi puntuale, sarò molto cattivo!" Se ne andò sbattendo la porta. Giacomo si appoggiò al muro. Era esausto. In quel momento, saltando il davanzale, entrò Eugenio che in mano aveva una piccola telecamera e sul piccolo monitor si stava riguardando con molto interesse il filmato che aveva appena girato. 6. Benny la paga cara. Puntuale, alle quattro del pomeriggio, Giacomo andò a casa di Benny, rifacendo la strada di due giorni prima, accertandosi anche di non essere stato visto da nessuno, proprio come gli era stato raccomandato. "Entra, puttanella" gridò Benny che l'aveva sentito arrivare "dai, entra, oggi voglio farti provare qualcosa di nuovo" e fece schioccare un paio di volte il frustino che impugnava, producendo un rumore sibilante che gelò il sangue di Giacomo. Benny era a torso nudo e la stanza puzzava di sudore. Forse non si era lavato e indossava solo il sokito paio di boxer di maglina che lasciavano indovinare abbastanza quello che, grosso e duro, c'era sotto. Quando era entrato in casa, Benny aveva lasciato la porta socchiusa. "Vieni, avvicinati. Fammi prima vedere come sta il culo. Oggi le prenderai lo stesso, ma non voglio romperti la pelle, forse ti frusterò sulle cosce." Giacomo mosse qualche passo nella stanza, Benny lo prese per un braccio, quando sulla porta si materializzò Eugenio. "E tu che cazzo ci fai qua?" disse, lasciando andare Giacomo che si allontanò velocemente. "Ciao, Benny!" "Ho detto: che cazzo ci fai qua?" "Sono con lui" disse calmo Eugenio, appoggiandosi allo stipite. "E perché sei qui? Forse sei il suo fidanzato..." fece Benny ridendo. "Sì, anche se non ci siamo ancora dichiarati ufficialmente." Nonostante tutto, Giacomo riuscì anche ad arrossire. "E che cazzo vuoi? Solo perché abiti nella villa vicino alla mia, non puoi entrarmi in casa senza chiedere il permesso. Quindi vattene a fare in culo e togliti dai coglioni che ho da fare... con il tuo fidanzato!" "Lui non ci vuole stare!" "Che cazzo ne sai tu?" "L'ha detto a me. Per questo l'ho accompagnato!" "Ce n'è anche per te, se ne vuoi" fece allora Benny toccandosi avanti, dove l'uccello duro non riusciva a stare nelle mutande. "Quanti anni hai, Benny?" "Che cazzo te ne frega?" "Ne hai appena compiuti diciotto, vero? Mia madre se lo ricorda." "Si, il mese scorso... perché?" "Sai quanti anni ha Giacomo?" "No..." "Ne farò quattordici a marzo. Vado un anno avanti a scuola!" "Io invece li ho appena compiuti!" "Che bella cosa! Adesso che sappiamo tutti l'età degli altri, puoi lasciarci che ho da fare con il tuo ragazzo? O ragazza?" "Sai perché ti ho chiesto l'età, Benny?" "No e non me ne frega un cazzo!" "Si che te ne frega. Adesso ti spiego." "Ho detto vaffanculo!" "Tu lo sai cosa fa mio padre, no?" chiese Eugenio, posando un braccio sulle spalle di Giacomo. "L'avvocato! E allora?" "Prima di venire gli ho fatto una domanda. Vuoi saperla?" "No!" "Te la dico lo stesso. Gli ho chiesto: `Senti papà, se uno di diciotto anni fa sesso con uno che non ne ha compiuti quattordici, commette reato?' e mio padre ha voluto subito sapere se il quattordicenne in questione ero io. L'ho subito rassicurato. Allora lui mi ha risposto che il diciottenne commette reato, anche se il quattordicenne è consenziente! Pensa un po', Benny, pensa un po'!" "E allora?" "Poi ho chiesto a mio padre: `E se quello che non ha ancora compiuto quattordici anni non è consenziente?'. Sai papà che mi ha risposto?" "Che ti ha risposto?" Benny non era più così sicuro di sé. "Che il diciottenne commette più di un reato!" "E questo che vuol dire?" "Che sei nella merda, Benedetto Treves! Papà ha detto che rischi fino a vent'anni!" L'unica cosa vera era che il papà faceva l'avvocato, per il resto Eugenio si stava inventando tutto o quasi tutto. La maggior parte delle informazioni proveniva da un sito di assistenza legale on-line consultato la sera prima. "E perché pensi che abbia fatto sesso con questo?" "Perché lo dice lui." "Questo finocchio s'inventa un sacco di cose!" "E tu dici sempre la verità, no?" "Certo!" "Allora è vero che lo hai violentato due volte e che lo hai ripetutamente sculacciato e bastonato e l'hai costretto a fare sesso orale!" "Non l'ho mai detto!" "Ti ho sentito io, proprio stamattina, nell'aula vuota durante l'intervallo! Ti ho sentito, quando volevi farti fare un pompino, ma si era fatto tardi!" "Io scherzavo!" "Ma le altre cose che hai detto sono vere!" "Te le sei inventate tu e vi siete messi d'accordo per fregarmi!" "Io ero fuori alla finestra e ho sentito tutto!" "Non vi crederà nessuno!" "Ma a te crederanno!" "Io non ho parlato con nessuno!" "Hai già parlato abbastanza!" tirò fuori dalla tasca una custodia di cd e gliela lanciò "Avevo una telecamera e un buon microfono!" Non era proprio vero, perché il filmato era venuto male e non si sentiva quasi niente, ma Benny lo guardava lo stesso con la bocca aperta. Se fosse stato un po' più calmo, non avrebbe creduto a tutto quello che dicevano i due, avrebbe almeno dovuto controllare il contenuto del cd, ma Benny non era più in grado di ragionare molto bene. Eugenio non aveva ancora finito si sorprenderlo. "L'altro giorno, quando Giacomo è uscito da questa villa, è venuto da me, piangeva, si disperava. Solo dopo molte insistenze, sono riuscito a farmi dire quello che era accaduto e allora gli ho proposto di farsi prendere un tampone di sperma dal retto. Lui non voleva e si vergognava, ma io l'ho convinto. Non è stata una bella esperienza, ma l'abbiamo fatto. Tu queste cose non le puoi capire, ma io lo amo. Tornando al tampone, adesso è sigillato nella cassaforte di mio padre e potrebbe servire a incastrarti meglio. Sempre che tu non riesca a spiegare come ha fatto, la tua sborra, a finire nel culo del mio innamorato!" Adesso Benny lo guardava con gli occhi sbarrati, il leggero turbamento di poco prima adesso era paura. Ovviamente il tampone era una balla, Eugenio aveva letto qualcosa del genere in un giallo, ma niente a che vedere con la realtà. Benny però non leggeva libri gialli e non era più in grado di fare pensieri coerenti. "Allora? Che ne dici? Chiamo papà?" "No, aspetta!" "Non vuoi guardare il filmato? Sei venuto bene, specie quando vuoi farti fare il pompino. Mi è piaciuta anche la parte in cui ricordi a Giacomo che gli hai sborrato per due volte nel culo! Ne aveva tanta dentro quando ho guardato!" Lo sguardo di Benny correva da Giacomo che ascoltava impassibile a Eugenio che addirittura sorrideva. "Che volete da me?" "Tu che pensi?" "Volete soldi? Ve ne posso dare!" "No, Benny Treves, vogliamo te!" "Che vuoi dire?" e guardò Giacomo "E tu dì qualcosa... cazzo, non parli?" "Credo che d'ora in poi sarai il nostro schiavo!" disse Giacomo, fissandolo. Poi tirò fuori dalla tasca una corda di nylon. Benny seguiva i suoi movimenti come ipnotizzato. "Mio padre ci aspetta a casa tra mezz'ora" rincarò Eugenio "esattamente alle cinque meno un quarto, altrimenti verrà a cercarci. Lui sa dove siamo, gli ho anche lasciato una copia di quel cd. Di sicuro guarderà il filmato!" Giacomo intanto, con un movimento veloce, gli legava i polsi. Giacomo era stato nei boy scout , prima di lasciar perdere, perché non gli piaceva andare in giro in pantaloncini a sporcarsi di terra, ma aveva fatto in tempo ad imparare a fare in nodi. E li sapeva fare bene. Riuscì a immobilizzarlo, prima che Benny capisse, mentre Eugenio lo distraeva con quell'accenno al padre avvocato. "Che mi volete fare?" gridò spaventato Benny scoprendosi con i polsi legati. Con un movimento brusco, una botta secca al torace, Eugenio lo fece cadere sul letto, quasi supino, e Giacomo, usando un altro pezzo di corda, gli legò strette le caviglie. "Ci sarebbe piaciuto averti a braccia e gambe aperte, ma per questa volta è più sicuro che tu sia legato così" fece Eugenio, sempre molto calmo e per niente innervosito "le prossime volte sarai certamente più disponibile a collaborare e ti legheremo diversamente!" "Che vuol dire le prossime volte?" "Dì la verità, Benny, per quanto tempo avevi pensato di tormentare Giacomo? Un mese, un anno? Fino a che non si fosse ammazzato?" "No!" Eugenio lo colpì con il frustino sulla coscia e Benny gridò. "A noi devi dire la verità!" "Non ci avevo pensato, per niente!" gridò, quasi piangendo. Eugenio lo colpì un'altra volta, nello stesso punto, e Benny urlò ancora. "Giacomo, ti ricordi quante cinghiate ti ha dato in tutto?" "Non le ho contate, ma sono state almeno una trentina." "OK, altre ventotto allora. E con il frustino! Le vuoi sulle cosce o sul culo, Benny?" "No, per favore, mi fanno troppo male!" piagnucolò. "Giacomo, quando ti picchiava, lo pregavi di smettere?" "Si!" Un'altra frustata, nello stesso punto, ancora un urlo. "E lui smetteva!" "No!" Eugenio colpì altre quattro volte, sempre nello stesso punto, sulla coscia destra di Benny che urlava a ogni frustata. Nonostante i movimenti e gli strattoni che dava, Benny non riusciva a evitare i colpi, anche perché Eugenio prendeva ogni volta la mira con molta accuratezza. La parte anteriore della coscia, forte e muscolosa, di Benny, mostrava adesso una striscia, trasversale e purpurea, in cui la pelle pareva sul punto di rompersi. "Basta!" gridò Giacomo che non ce la faceva a vederlo soffrire, anche se avevano deciso insieme che dovevano spaventarlo seriamente, per evitare sorprese in futuro. E lui aveva giurato a Eugenio che non si sarebbe impietosito. Con un colpo di reni, Benny riuscì a voltarsi a pancia sotto sul letto e Giacomo lo aiutò fino a farlo stendere completamente. Benny aveva un bel culetto tondo e invitante, tutto il suo corpo era tonico, molto atletico, ben formato e sviluppato da anni di allenamenti e gare. I due ragazzini si guardarono e si sorrisero, poi tornarono seri. Non pensavano di riuscire a sottomettere così facilmente Benny che adesso piangeva piano, con la faccia affondata nel cuscino, le mani legate e schiacciate sotto la pancia, terrorizzato da quello che gli stavano per fare, ma anche da quello che aveva fatto a Giacomo. "Mi dispiace" lo sentirono dire "mi dispiace" ripeté, più a se stesso che a Giacomo. "Vuoi sapere quello che ti succederà adesso?" chiese Eugenio. "Qualunque cosa sia, me la merito!" "Se lo fai per impietosirci, non ne vale la pena, subirai comunque la tua punizione!" "Giacomo, ti ho fatto tanto male, quanto ne sento io adesso?" chiese senza muovere la faccia dal cuscino, senza voltarsi guardarlo, perché la vergogna che provava era troppo grande. Adesso che aveva capito quanto male aveva fatto, desiderava solo di pagare e forse di morire. "Tu mi hai fatto molto più male e avevo tanta paura. Tu hai paura?" "Si, un poco... no, assai!" gridò Benny. "Fai bene ad averne" intervenne Eugenio "perché adesso noi faremo a te quello che tu hai fatto a lui. E per sicurezza filmeremo tutto, in modo che, quando sarai riuscito a liberarti, non potrai vendicarti!" Fece un cenno a Giacomo e insieme gli abbassarono i pantaloncini alle caviglie, lasciandolo nudo, a pancia sotto sul letto. Avrebbero dovuto cominciare a sculacciarlo o frustarlo, a colpirlo in qualche modo, questo avevano in programma, ma il culo di Benny era troppo bello e perfetto per non toccarlo. L'accarezzarono sulle natiche vigorose e leggermente pelose che parvero molto diverse dalle loro. Uno da una parte e uno dall'altra cercarono di aprirle, per continuare l'esplorazione, ma Benny, per un residuo di pudore, resistette. Dopo un paio di sculacciate, non ce la fece più a stringerle e poterono allargargliele, scoprendo all'interno un tesoro di peli sottili, ma anche più fitti, poi più giù il buchino che a turno sfiorarono con la punta delle dita, facendo rabbrividire Benny. Il letto era al centro della stanza e i due si erano sistemati su ciascun lato, perciò fu quasi naturale cominciare a sculacciarlo ritmicamente, prima uno e poi l'altro, senza mai intralciarsi. Continuarono finché Benny non cominciò ad agitarsi e poi a piangere forte. "Basta, basta, vi prego!" gridò. "Basta!" gridò anche Giacomo. Il culo era proprio rosso, senza rendersene conto, l'avevano sculacciato per una decina di minuti, ovunque, anche sui lati e fino all'attaccatura delle cosce, molti schiaffi anche più giù, quasi fino alle ginocchia. Non era stato doloroso come le cinghiate che aveva avuto Giacomo, ma gli avevano fatto male. "Mi darete anche le cinghiate?" I due si guardarono e Giacomo fece di no con la testa. Allora Eugenio indicò il centro del culo e Giacomo assentì. "No, adesso Giacomo te lo metterà in culo, poi toccherà a me!" "Per favore..." "Tu sei vergine, vero?" gli chiese Eugenio, ma Benny non rispose, allora gli dette un paio di sculacciate molto forti "ti ho chiesto se sei ancora vergine, oppure ti sei fatto inculare da qualcuno?" e gliene dette altre per incoraggiarlo a rispondere. "No, non l'ho mai fatto!" gridò Benny. "Allora Giacomo ti sverginerà!" "No!" "E perché no?" fece Giacomo "Tu l'hai fatto con me!" "Io... non lo so! Hai ragione, me lo merito! Ma non farmi male, ti prego!" "Guarda, non è grande come il tuo, ma credo che ti farà male lo stesso!" S'era spogliato ed era andato a mettersi davanti a Benny, con l'uccello duro, parallelo alla pancia. Eugenio intanto li riprendeva con la telecamera. Glielo passò sulla guancia e Benny rabbrividì. Chiuse gli occhi un'altra volta, ma per un motivo diverso. Aveva sentito l'eccitazione aumentare e sapeva che stava per sborrare. Per l'uccello duro di Giacomo? Per sculacciate? Perché era legato? Non riusciva a spiegarselo. Sapeva solo di essere ad un passo dall'orgasmo. Giacomo salì sul letto e si mise a cavalcioni, allineando l'uccello sullo spacco, si spostò indietro fino a puntarlo contro il buco. Dovette fare forza per orientarlo verso il basso, tanto l'aveva duro. Si bagnò la punta, passò un po' di saliva anche sul buco e poi spinse. Si bagnò un'altra volta e umettò il buco. Benny teneva la faccia schiacciata contro il cuscino. Giacomo spinse e con un grido gli fu dentro. Gridò anche Benny, il dolore gli fece scordare per il momento l'urgenza di sborrare. "Adesso scopalo!" l'incitò Eugenio "Non devi fare l'amore!" gli ricordò. Giacomo si piegò fino ad appoggiarsi sul dorso di Benny e cominciò a muoversi ritmicamente. L'uccello entrava e usciva, ma lui si fermava appena prima che la cappella scivolasse fuori. Avrebbe voluto scoparlo come aveva detto Eugenio, ma non poteva. Quel corpo caldo e disponibile sotto di sé, l'inteneriva. Benny non gli stava resistendo, lo stava accettando, invitando dentro di sé. Gli avvicinò le labbra all'orecchio. "Lo sai che, se quel giorno in classe me l'avessi chiesto, te l'avrei fatto fare!" "Mi dispiace" disse piano Benny, voltandosi a guardarlo "D'ora in poi, farò sempre quello che mi chiederai di fare. Ti do la mia parola d'onore. Se vale ancora qualcosa!" "Per me vale!" Non durò quanto Giacomo aveva sperato, perché arrivò troppo presto il momento di godere. Con una serie di colpi più forti, sempre attento a non fargli male, Giacomo raggiunse l'orgasmo, scaricando con violenza tutto il suo seme nel retto di Benny che subito dopo, con una serie di gemiti e contrazioni lo seguì. Giacomo, infilò la mano sotto, a cercare l'uccello di Benny e il seme che aveva bagnato le lenzuola, la tenne là, per accarezzarlo. Benny non pensava che fosse possibile vergognarsi tanto. Ogni momento di quel maledetto pomeriggio raggiungeva un nuovo, più elevato livello di vergogna, ma quello che provò quando immediatamente dopo l'orgasmo di Giacomo fu quasi intollerabile. Stava sborrando, perché un ragazzino di neppure quattordici anni lo inculava, mentre un altro ragazzino li riprendeva con la telecamera. Il desiderio di morire in quel momento gli parve inadeguato a bilanciare il proprio imbarazzo. Eppure aveva appena sborrato e sapeva anche perché. Gli era piaciuto e soprattutto aveva goduto la sensazione del corpo di Giacomo su di sé, dentro di sé, la sua gentilezza, l'inesperienza che aveva riconosciuto, l'attenzione a non farlo soffrire troppo, dopo tutto il male che aveva ricevuto. Aveva goduto per il senso d'impotenza che percepiva per se stesso in quel momento. Sentì Giacomo sfilarsi, altre mani cominciarono a toccarlo, più brusche, meno gentili, sgarbate. Un altro corpo gli si posò pesantemente addosso e un altro uccello fu puntato contro il buco. Questo entrò più facilmente e con meno dolore, perché il buco era allargato, perché l'uccello era più piccolo. Eugenio lo scopò per meno tempo, più arrapato, ancora meno esperto dell'altro. Questa volta lui non sborrò, ma quando Eugenio raggiunse il suo orgasmo, Benny si rese conto d'averlo duro un'altra volta. "Adesso dovremmo fartelo leccare fino a pulirlo" disse Giacomo "ma non lo facciamo, perché non siamo stronzi come te!" Benny ricominciò a piangere. Intanto Eugenio non l'aveva ancora tirato fuori e continuava a scoparlo lentamente, anche dopo avere sborrato. "Così ti piace prenderlo in culo, eh, Benny?" chiese muovendosi piano, lasciando che Giacomo lo riprendesse "Rispondi alle mie domande Benny, oppure vuoi essere sculacciato un'altra volta?" "Si, si, mi piace!" Finalmente Eugenio si sfilò e i due si rivestirono. Mentre Eugenio usciva dalla stanza, Giacomo si sedette sulla sponda del letto e inaspettatamente cominciò ad accarezzare Benny sulle spalle. "Eugenio sta riportando la telecamera a casa sua. Ci è sembrato più sicuro fare così per quando ti libereremo." "Non vi avrei fatto niente lo stesso. Non devi avere più paura di me! Ti prego, Giacomo!" Adesso Benny si era messo su un fianco, mentre Giacomo non smetteva d'accarezzarlo. Si guardavano negli occhi. Giacomo decise di non aspettare Eugenio e gli sciolse i polsi e le caviglie. "Che mi farete adesso?" chiese Benny massaggiandosi la pelle segnata dalle corde. "Dipende da te!" "Non mi... non mi farete più nulla?" "No, se non ci obbligherai!" "Io ti ho fatto molto più male e te ne avrei fatto ancora!" "Lo so, ma oggi è cambiato tutto." Benny gli accarezzò la coscia e poi si rimise a pancia sotto, posò la guancia sul cuscino e lo guardò fisso. "Perché non ti spogli? Vuoi fare l'amore con me un'altra volta?" Quando tornò, Eugenio li trovò abbracciati che si baciavano. Giacomo gli fece cenno unirsi a loro ed Eugenio, dopo essersi velocemente tolto i vestiti, li raggiunse sul letto. E fu il suo turno di fare l'amore con Benny. Nei mesi successivi continuarono così, a fare l'amore. All'inizio Eugenio fece qualche resistenza, perché non si fidava troppo di Benny e perché non voleva dividere Giacomo con il ragazzo più grande, ma poi si convinse, perché scoprirono di essere innamorati uno dell'altro. Perciò Benny diventò lo schiavo devoto dei due ragazzini. Tutti i pomeriggi, quando non avevano allenamenti o altri impegni, i due arrivavano a casa di Benny e lo legavano come avevano fatto la prima volta, oppure in tanti modi diversi. Dopo averlo sculacciato, come e quanto volevano, lo inculavano a turno. Benny sborrava almeno due volte, prima che Giacomo lo liberasse. Poi restavano sul letto abbracciati a chiacchierare, finché non gli tornava duro e Benny si metteva a pancia sotto un'altra volta e solo allora facevano l'amore. Dopo alcuni mesi e un'infinità d'insistenze i due convinsero Benny a incularli. Lui non ne voleva sapere e per persuaderlo furono costretti a menarlo con la cinghia. Tra le lacrime, per il dolore che provava al culo che gli avevano ridotto a strisce e per la paura che aveva di fargli male, li inculò a turno, con grande soddisfazione di entrambi. Con soddisfazione di tutti e tre, ma questo non riuscirono a farglielo dire, neppure minacciandolo di punizioni peggiori. FINE Se a qualcuno è piaciuto, me lo faccia sapere! lennybruce55@gmail.com