Date: Wed, 13 Apr 2011 21:01:54 +0200 From: Lenny Bruce Subject: L'Estate di Lorenzo - 4th installment DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story. Questa storia è già apparsa su MMSA (http://www.malespank.net/listAuthor.php?author=Lenny+Bruce) con una suddivisione diversa dei capitoli. La prima parte si ispira, molto liberamente, ad un racconto apparso su Nifty un paio di anni fa, scritto da Donny Mumford, presente nei 'prolific authors'. La storia è 'A submissive boy's story' (http://www.nifty.org/nifty/gay/college/submissive-boy/) Donny Mumford è un ragazzo, adesso 25enne, che vive nel New Jersey e alcuni dei suoi racconti sono autobiografici. Trovo che sia un bravo e promettente scrittore e non solo per chi ama questo genere. Capitolo terzo -- Raffaele, per sempre Ricordo quando andai a casa di Raffaele quella seconda volta. Per tutto il tragitto non feci altro che chiedermi cosa dovessi aspettarmi. La prima volta che c'ero andato avevo avuto un po' paura, poi era finita con Raffaele che mi leccava tutto e mi frustava con la cinghia di cuoio. Molto dolore e il culo che era ancora un po' rosso, ma era stato bello lo stesso. Lui aveva detto che era una speciale tecnica di allenamento per dimostrare quello che un leader, un capo, cioè noi, deve essere disposto a fare per gli altri. Adesso lo posso dire, guardando indietro a quei giorni, capisco di aver fatto una serie di cose sciocche anche per un quattordicenne. Raffaele seppe prendermi in giro, facendomi credere che mi stava mettendo a parte di segreti dei ragazzi più grandi, facendomi fare quelle cose di sesso che i ragazzi grandi fanno prima di diventare adulti, sposarsi e farsi una famiglia. Adesso capisco che volevo credere a quello che Raffaele mi raccontava. Le sue spiegazioni erano sempre più contorte, una combinazione di tattica militare e responsabilità di comando, ma a me non importava. Quello che sapevo allora, era che Raffaele era il mio idolo e mi piaceva da morire come mi faceva sentire quando mi faceva quelle cose. Qualunque cosa mi facesse, me lo faceva diventare duro e sborrare. L'orgasmo era per me una cosa relativamente nuova a quell'età e quelle sborrate così bollenti erano magiche, tanto che guardavo sempre alla successiva, non appena mi ero calmato dalla precedente. Accettare il suo comportamento così insolito, era un piccolo prezzo da pagare in cambio di tutte le straordinarie sensazioni che potevo sperimentare. Che ne sapevo io quattordicenne del comportamento di un sedicenne per stabilire che era inconsueto o anomalo? A quell'età ero fissato con le esperienze sessuali che quelli più grandi di me presumibilmente facevano, come, per esempio l'inculata che Raffaele mi aveva fatto mettendomi a quattro zampe dopo l'ultima riunione. Era proprio a quello che pensavo mentre mi avvicinavo a casa sua, a lui dietro di me, come un cane che ne monta un altro. Per arrivare prima, a mia madre avevo raccontato che Raffaele mi voleva vedere per fare il programma della prossima riunione. Mia madre mi era parsa molto impressionata. Quando arrivai davanti al portone, appoggiai la bicicletta e mi sedetti per terra, cercando di incrociare le gambe come faceva Raffaele. Mi accesi una sigaretta e cercai di emettere un cerchio di fumo. Sentii il suono di un clacson. Raffaele era alla guida della cinquecento della mamma. Che non avrebbe mai potuto guidare, ma che stava guidando lo stesso. Non credevo ai miei occhi. "Sali" fece e fu l'unica cosa che disse. Ero folle di eccitazione. Da solo in macchina con lui. Era un sogno. Mi affrettai a salire e lui ripartì senza neppure guardarmi. Aveva la faccia incazzata. Girammo senza meta per strade fuori città, poi si diresse verso la pineta in riva al mare e stava per parcheggiare, quando un'altra cinquecento s'infilò prima di lui nel posto che aveva scelto o così mi parve di capire. "È tutta la giornata che va avanti così" mi disse, poi gridò "Stronzo, cornuto!" rivolgendosi all'altra macchina. L'uomo anziano che era alla guida fece finta di non sentire. "Testa di cazzo" gridò ancora Raffaele che aveva la faccia rossa "ho avuto una giornata del cazzo, perciò stai attento a quello che fai o dici, Lorenzo, altrimenti di sculaccio finché ti faccio uscire una fichetta nuova! Hai capito?" "Si, Raffaele" dissi io, guardando impaurito fuori dal finestrino. Stavo pensando che era proprio incazzato, ma proprio il suo comportamento autoritario e la sua minaccia mi avevano fatto sentire una specie di tremolio alle palle. Lui intanto si stava spostando verso un altro posto, un po' più lontano e stava per parcheggiare, ma non smetteva di tamburellare con le dita sullo sterzo. Cercai di guardare avanti, ma con la coda dell'occhio lo fissai, cogliendo la sua espressione e pensai che tanto quando era così incazzato, mi piaceva anche di più, oltre a farmi paura. Soprattutto se non ero la causa della sua arrabbiatura. Scendemmo dalla macchina, o meglio lui scese ed io lo seguii, pensando che volesse così. Andò verso un chiosco che vendeva panini e ne ordinò due e una bottiglia di Coca Cola. Tornammo in macchina e guidò dentro la pineta, fermandosi sotto un albero. Attaccò il primo panino, mentre gli lanciavo sguardi furtivi con la coda dell'occhio. Mangiava con furia, sbattendo le labbra e non chiudendo mai la bocca, poi si voltò verso di me. "Hai fame?" Annuii e lui mi porse il suo panino mezzo mangiato. "Tira un morso." Lo guardai, per capire se stesse scherzando, ma pareva serio, così mi avvicinai e tirai un morso, proprio nel punto in cui lui aveva appena posato le labbra. Raffaele ne tirò un altro e mi porse il panino. Stavo mangiando anch'io senza più chiudere la bocca e facendo un sacco di rumori, proprio come faceva lui. Finimmo il primo panino e l'ultimo boccone mi fu spinto in bocca da Raffaele che usò l'indice e il medio per farlo. lasciò le due dita nella mia bocca per qualche secondo, guardandomi negli occhi. Io abbassai lo sguardo per fissare quelle dita, ricordandomi che erano sporche di nicotina e che Raffaele solitamente si rosicchiava le unghie. Ma per me andava bene perché quelle dita erano di Raffaele. Mi affrettai a guardarlo nei suoi incredibili occhi blu che m'ipnotizzarono, mentre tenevo le labbra chiuse attorno alle sue dita, in attesa d'istruzioni, ma lui non disse niente. Finalmente sorrise, mentre mi sfilava lentamente le dita dalla bocca e facendolo mi rivoltò il labbro inferiore, come aveva fatto quella prima sera. Trascinò la punta del dito bagnato di saliva, fino al mento. Ero sempre in attesa di suoi ordini e quando capii che non avrebbe detto niente cominciai a masticare il boccone, senza smettere di guardarlo negli occhi, finché non voltò la testa per prendere l'altro panino che mangiammo insieme, allo stesso modo. E ogni volta che me lo porse, fece in modo che io mordessi nel punto in cui lui aveva appena posato le labbra e i denti, lasciando traccia della sua saliva. Anche la bottiglia di Coca Cola andò avanti e dietro allo stesso modo, con Raffaele che ogni volta infilava l'estremità della bottiglia in bocca e poi faceva fare lo stesso a me. Mentre lui masticava, non mi stancavo di guardarlo, di fissare il suo dente scheggiato che mi piaceva tanto e che lo rendeva così unico e affascinante. Notai come fossero bianchi i suoi denti in contrasto con le gengive rosse. Mi piaceva guardarlo, il labbro superiore segnato da una peluria che io fantasticavo fossero baffi veri, il ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva sulla fronte, coprendogli un occhio e che lui ravviava con un solo dito, prima di tirare un altro morso al panino che stava dividendo con me. Aveva qualche brufolo, ma pochi, sulla fronte e uno sulla guancia sinistra. Era bello, pensai, il perfetto ragazzo, il mio idolo. Mangiare e bere con Raffaele diventò un'altra attività sexy per me, mi venne duro a prendere cibo direttamente dalle sue dita. Ricordando quello spuntino adesso, dopo quattro anni, è ovvio che Raffaele volesse dimostrare la sua supremazia, l'autorità che aveva nei miei confronti, umiliandomi con un cibo, usato, già addentato da lui, facendomi sporgere per prenderlo, come fossi un cucciolo che chiedeva di essere sfamato. Fu un'altra affermazione di potere nei miei confronti, di controllo da parte sua, ma non mi sembrò così a quei tempi. Pensai piuttosto che fosse un suo modo di insegnarmi a dividere il cibo con gli altri. Cosa realmente cercasse di insegnarmi non era chiaro, o non volle dirmelo, né io glielo chiesi, perché avrebbe potuto pensare che fossi troppo giovane per capirlo e quindi lasciarmi perdere, rimandarmi indietro con tutti gli altri quattordicenni con cui me la passavo fino ad una settimana prima. Quando finimmo di mangiare e di bere, Raffaele si pulì meticolosamente le mani e la bocca con dei fazzolettini di carta, poi mi fece cenno di avvicinarmi con l'indice. Io mi sporsi come avevo già fatto per raggiungere il cibo che mi concedeva e lui mi prese il mento tra il pollice e l'indice per tenermi ferma la faccia e mi pulì la bocca con gli stessi tovagliolini che aveva usato per sé. Quando gli parve che fossimo entrambi abbastanza puliti con un gesto mi mandò a gettare in un cestino tutte le carte. Non avevamo detto una parola da quando mi aveva offerto di dividere il panino. Dato che lo seguivo in tutto quello che faceva, se lui restava zitto, io me ne stavo zitto e soprattutto aspettavo pazientemente i suoi ordini. Adesso riesco a capire che Raffaele mi trattava in molti modi diversi. Secondo il suo umore mi trattava come se avessi sei anni, pulendomi la bocca dopo mangiato, per esempio. Mi trattava così quando voleva ricoprire il ruolo di un adulto. Altre volte per lui dovevo essere come una ragazzina sottomessa, quando m'inculava, nella `fichetta' come la chiamava lui, oppure mi trattava come un collaboratore incompetente o un monello che andava punito, quando gli veniva voglia di sculacciarmi. Raramente mi considerò un eguale e fu solo quelle volte in cui volle compagnia, mentre fumavamo una sigaretta e chiacchieravamo. Ancor più raramente mi trattò da amico, da compagno, ma solo poche volte, quando volle qualcuno cui raccontare di sé, di com'era veramente. All'epoca non riconoscevo il ruolo che mi era assegnato e dubito anche che Raffaele stesso lo capisse, lo distinguesse, fra i suoi stai d'animo e balzi d'umore. Quella volta alla pineta, dopo aver gettato la spazzatura, tornai in macchina e lo guardai in attesa d'istruzioni. "Accendi due sigarette, Lorenzo" ordinò. Lo feci e le fumammo durante il tragitto verso casa sua. Non dicemmo nulla di quello che avevamo fatto, lui parlò solo di quello che stavamo per fare e di quanto fosse importante per me seguire esattamente le sue istruzioni. Mentre camminavamo verso la sua camera, per qualche ragione, sperai che stessimo per fare qualcosa di affezionato, non semplicemente di sessuale. Mi sarebbe piaciuto tanto che Raffaele mi abbracciasse, per esempio, ma non doveva accadere sempre, né troppo spesso, neanche quella volta. Lui mi aveva già reso dipendente da sé ed io volevo essere certo di piacergli, perciò un abbraccio sarebbe stato bello da ricevere per conferma. Purtroppo quella sera non erano previsti abbracci. Appena fummo nella sua stanza, lui assunse l'atteggiamento arrogante e presuntuoso che usava quando presiedeva le riunioni degli scout. "Adesso spogliati nudo e mettiti sull'attenti. Fai in fretta!" Lo feci prima che potei, mettendomi dritto davanti a lui. Per prima cosa tentò di aggiustarmi il ciuffo di capelli che, come sempre, mi stava dritto sulla testa. Soffiò nelle narici, irritato dalla mancanza di disciplina dei miei capelli, poi cominciò ad ispezionarmi l'uccello, usando il pollice e l'indice mi tirò avanti e dietro la pelle sulla cappella. Se il motivo era di verificare che mi fossi lavato bene prima di andare da lui, non spiegava perché lo facesse una quindicina di volte. Non me lo chiesi allora, anche perché quel movimento mi faceva più che felice e non volevo certo protestare. Mi toccò anche il culo verificando i segni delle frustate dell'altra volta. Me lo massaggiò pure. "Ti fa male?" "No, signore!" Assentì distrattamente e m'infilò un dito tra le natiche, spinse sul buco, il dito penetrò d'una falange. Pensai che stesse controllando l'attrezzatura, mi venne da ridere, ma mi trattenni. Quando l'ispezione fu completata, mi lasciò con l'uccello duro che puntava verso l'alto, spuntando dal mio piccolo cespuglio di peletti scuri. E mi lasciò anche a fare piccoli respiri affannosi e a strizzare gli occhi cercando di controllare l'eccitazione. Come ripensandoci, mi accarezzò ancora le natiche e mentre le strizzava forte con una mano, con l'altra mi prese le palle e le strinse, facendomi quasi gridare, poi mi passò il dito sul culo, per un ultimo controllo, pensai. "Perché non hai la fichetta bagnata?" chiese con la faccia seria, poi mi sorrise "Lo sai che alle ragazze, quando stanno per essere scopate, gli s'inumidisce la fica?" Era una lezione di educazione sessuale sul campo ed io la accettai molto grato. Scossi la testa, perché non lo sapevo proprio. O meglio, lo sapevo, perché avevo già letto tutto dell'anatomia umana, ma l'avevo incomprensibilmente dimenticato. Adesso so anche perché. A un quattordicenne omosessuale non importa proprio che la fica si bagni se si aspetta di essere scopata, no? "E perché a te la fichetta non si bagna, cazzo, Lorenzo?" Lo guardai con apprensione. Perché a me non si bagnava la fichetta? Mi chiesi. Perché non era una fichetta vera? Mi risposi con rammarico. Lo pensai, ma non lo dissi, ma ero davvero amareggiato che non mi si bagnasse. "Va tutto bene, non è colpa tua" fece lui notando il mio sguardo dispiaciuto "vai sul letto." Seguendo il suo sguardo e qualche gesto capii come e dove voleva che mi mettessi, perciò mi sedetti a gambe incrociate al centro del letto, mentre lui lentamente, senza distogliere lo sguardo dal mio corpo, si slacciava le scarpe, si sfilava i calzini, i pantaloni e gli slip. Gli guardai l'uccello che era duro come il mio, ma più lungo e grosso, la folta corona di peli che gli cresceva attorno, le palle grosse che aveva sotto. Si tolse la maglietta e saltò tutto nudo sul letto appoggiando la schiena alla spalliera. Era la prima volta che era nudo davanti a me e quella vista mi affascinò, perché non avevo mai visto un'altra persona tutta nuda. Al mare, tutti avevano il costume, ma non potevo certo guardarle fisse, né m'interessava particolarmente. A scuola, per l'educazione fisica, a mala pena ci cambiavamo le scarpe. Solo quelli più ricchi avevano la tuta, non certo io che facevo gli esercizi con gli stessi vestiti con cui avrei finito quella giornata e anche la successive, se è per questo. Mia madre è sempre stata molto attenta a farmi andare in giro pulito, ma quello che indossavo era spesso tutto quello che avevo, perciò, quando lei lavava i miei indumenti, io mi coprivo con una coperta. Nudo, Raffaele era affascinante e mi fece pensare al David di Michelangelo, a quello di Donatello e a tanti altri esempi di scultura rinascimentale e classica che, oltre ad essere capolavori artistici, erano anche gli unici uomini nudi che avessi mai visto. Il mio amore per l'arte assunse quel pomeriggio un nuovo senso, un'inaspettata espressione. "Mettiti in mezzo alle mie gambe e fammi vedere che cosa ricordi della mia lezione" fece lui strappandomi ai miei pensieri, che per una volta non erano completamente indecenti. Emisi un lungo respiro, deluso perché aveva ricominciato con le leccate e non era quello che avevo sperato per questa serata. Raffaele aveva piedi lunghi, dita affusolate con le unghie regolari, non come quelle delle mani. Non avevo mai visto dita così lunghe. Lo accarezzai e sollevai gli occhi a incrociare il suo sguardo. Lui mi fissava, aveva le guance infiammate da un'emozione che allora non mi spiegai. "Inginocchiati e comincia il tuo esercizio di sottomissione con il mio corpo, lo devi adorare come ti ho fatto con te. Stai attento, Lorenzo, devi farlo con criterio..." mi ammonì, qualunque cosa volesse dirmi. Io annuii e cominciai a leccargli un piede, ma ebbi quasi un conato che però riuscii a controllare, così cercai di eseguire i suoi ordini, con deliberata lentezza, per non fargli credere di voler finire in fretta. Volle che cominciassi dal piede destro, leccandogli il tallone. Con il naso attaccato alla pianta non potei non sentire l'odore stantio che non era per niente arrapante come il suo sudore. Cercai di trattenere il respiro per lunghi periodi, poi espiravo e inspiravo con la bocca aperta. "Schiaccia la faccia contro la pianta del piede, come ho fatto io" disse con la voce tutta affannata "appiattisci la lingua, si, così. Sali lungo la gamba" disse finalmente ed io fui contento di abbandonare il suo piede. Avevo la faccia tutta bagnata ed ero costretto a inalare quell'odore forte di saliva secca e piedi. Quando raggiunsi il polpaccio, tutto cambiò. Là c'era il suo odore e per me fu come impazzire di gioia. Non era ancora il suo sudore, ma sulla lingua sentii il sapore della sua pelle e con il naso avvertii il profumo del suo corpo. "Baciami le ginocchia, Lorenzo, metti tutta la saliva che hai!" io lo feci, cercando di controllare il respiro "Adesso sali lentamente, prima una gamba, poi fai l'altra. Devi fermarti ai peli dell'uccello, però, lo so che me lo vuoi succhiare, ma quello sarà il premio, se sarai bravo. Adesso baciami l'ombelico e sali fino al petto" a quel punto mi aveva abbracciato ed io ero in paradiso, dimentico di tutto i piedi di questo mondo "finisci con i capezzoli, succhiali finché non ti dico di smettere!" La sua voce era sempre più affannata e riusciva a parlare a mala pena, tanto era eccitato. Ogni tanto, infilando il braccio fra i nostri corpi andava a toccarsi l'uccello durissimo. Aveva la punta già bagnata, me la sentivo contro la pancia. Lui se lo sfiorava soltanto, sospirava, si lamentava, mentre gli succhiavo i capezzoli come aveva fatto con me. Mi ricordavo che a me era piaciuto, speravo che piacesse anche a lui e pareva di sì. Mi ordinò di passare alle ascelle e ricominciai a leccare e succhiare e mentre lo facevo ripetevo a me stesso che era per Raffaele. "È Raffaele, è Raffaele, è Raffaele!" mi dicevo nella mente. Sborrai così, senza accorgermene, a causa dell'odore delle sue ascelle. Quell'aroma divino che sentivo per la prima volta infilandoci il naso, allentò i muscoli del mio ventre e, se Raffaele non mi avesse scosso, probabilmente gli avrei anche pisciato addosso. La sborra mi uscì senza spasmi nel momento in cui posai il naso contro i suoi pili neri, lisci, umidi di sudore. Quell'odore m'intossicò, fu come una droga che agì direttamente sull'uccello. "L'hai fatto un'altra volta" stava dicendo Raffaele, mentre mi allontanava da sé e si controllava l'uccello che gli avevo coperto di sborra. Mi prese per il ciuffo abbassandomi fino a schiacciare la faccia contro il suo pube. Ero ancora intontito dall'orgasmo che avevo vissuto, non avevo altre sensazioni che quelle che mi venivano dall'uccello e del suo sudore che continuava a salirmi lungo le narici, fino a sconvolgermi il cervello. Ho letto l'anno scorso dell'effetto delle droghe e della cocaina in particolare che assunta per via nasale raggiunge direttamente i centri nervosi e il cuore. Credo seriamente che il sudore di Raffaele contenesse sostanze che a me risultavano stupefacenti. "Pulisci tutto" disse con una voce che avrei trovato minacciosa, se non fossi stato ancora fuori di me. Comincia a leccare la mia sborra, pensai che non ne avevo mai fatta tanta. Quando arrivai vicino all'uccello, era grosso e duro come non l'avevo mai visto, lucido alla punta. Raffaele faceva brevi respiri e mi guardava da sopra con quegli occhi blu che parevano forarmi la testa. "Succhiami il cazzo, Lorenzo. Finalmente puoi succhiarmelo! Sei contento? Anche se non lo meriti..." disse con la voce che si era fatta più dolce, quasi allegra. Feci un profondo respiro e leccai la sborra che gli era finita sull'asta, poi gli presi la cappella in bocca leccando anche quella, ma come se fosse un gelato. Continuai a farlo finché non lo sentii mormorare qualcosa. "Bravo, Lorenzo!" disse tra i sospiri e questo mi riempì di orgoglio, facendomi scordare la punizione che ero certo di ricevere. Pochi secondi dopo l'uccello di Raffaele mi esplose in bocca riempiendomela di sborra, ne uscì tanta che mi sopraffece. Lo sperma mi finì nel naso, giù in gola, uscì dai lati della bocca, colandomi sul mento. Avevo gli occhi pieni di lacrime e cominciai a tossire e sputacchiare la sborra che mi era finita nella trachea. Era stato tutto così improvviso, spaventoso, ma anche terribilmente sexy. Ero riuscito a farlo sborrare in meno di mezzo minuto. Come avevo fatto? Adesso lo so che ancora prima che glielo prendessi in bocca lui stava per sborrare, per tutte le sollecitazioni che aveva ricevuto con le mie leccate e succhiate, soprattutto per la mia assoluta sottomissione che per lui doveva essere straordinariamente eccitante, ma allora mi parve tutto poco meno che miracoloso. Dopo quell'esplosione, ci calmammo e prendemmo in mano i rispettivi uccelli, Raffaele per spremere gli ultimi effetti del suo orgasmo, io perché ero sull'orlo della mia seconda sborrata, che non riuscii a fare, perché Raffaele mi dette uno schiaffo sulla mano. Di mia iniziativa glielo ripresi in bocca per pulirlo meglio e lui se ne restò silenzioso, quando finii fu anche carino con me, perché mi abbracciò davvero, tenendomi stretto a sé. Eravamo nudi e il suo odore era più forte che mai in quella piccola stanza. Ero stordito, come avvolto in un felice stupore. Dopo un po' si scosse e fumammo, senza smettere di guardarci, ma non fu detta una parola, poi Raffaele mi sculacciò. Lo dovette fare per punirmi, perché poco prima gli avevo sborrato addosso e non ero riuscito a controllarmi. Sapevo che era soprattutto questo che lo irritava di me, che nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscissi ancora a controllarmi. Sborrare senza permesso era tra le cose che lo facevano arrabbiare di più. Che mi sculacciasse, mi parve una buona cosa, perché l'ultima volta mi aveva frustato con quella striscia da barbiere che mi aveva fatto tanto male. Dopo le sigarette, con un cenno mi fece mettere sulle ginocchia, per traverso, lui era sempre appoggiato alla spalliera del letto. Prima mi accarezzò il culo con delicatezza, poi cominciò a sculacciarmi, prima piano, poi più forte, sentii subito il suo uccello sotto la pancia che gli si induriva e a me diventò ancora più duro. Sempre più duro, finché scordai il dolore e le sculacciate e cominciai a muovermi e a strofinarlo contro la sua coscia. Un momento prima che sborrassi, mi fece alzare. Io stavo piangendo, senza essermene reso conto, ma lui non ci badò. Mi fece mettere a quattro zampe e mi inculò, sempre sul letto. Lo fece con calma, prima bagnandoselo di saliva e poi infilandomelo lentamente, attento a non farmi male, accarezzandomi le natiche arrossate, ma dandomi ogni tanto una sculacciata forte che mi faceva sobbalzare e lanciare tanti piccoli urli di cui non sarei stato orgoglioso se li avessi risentiti. Quando il suo uccello mi fu tutto dentro, lo tirò fuori e poi tornò a spingere. E ogni volta che lo spingeva dentro il mio uccello sobbalzava. Quando si decise ad aumentare la velocità con cui mi fotteva, il letto cominciò a cigolare pesantemente per i nostri movimenti ed io sborrai, schizzandomi fin sul mento e bagnando il letto sotto di me. Fu meraviglioso, anche se lui continuò per qualche altro minuto a penetrarmi, allargandomi il buco, roteando l'uccello che mi teneva dentro, arrivando sollevarmi facendo leva con il cazzo dentro al buco. Durò dieci minuti, disse poi con orgoglio, forse per consolare il mio pianto. Dopo la mia sborrata, mi aveva scopato senza pietà, prima di raggiungere il suo secondo orgasmo, allargandomi il buco che mi bruciava dentro e fuori e attorno, per le sculacciate. "Ci ho messo tanto perché prima ho sborrato anche l'anima, Lorenzo. Ed è stato per merito tuo, sei stato bravo!" mi disse ed io mi sentii scoppiare di orgoglio e per un momento mi passò anche il dolore al culo, il bruciore e tutto quanto. E piansi di felicità, capendo che anche dopo aver sborrato, ogni spinta di Raffaele, pur facendomi male, mi era piaciuta. Quella scopata fu la più lunga e la più bollente che mi avesse mai fatto Raffaele. Mentre me ne tornavo a casa, pedalando cautamente sulla bicicletta di cui usavo sempre meno la sella, pensai non solo all'inculata, ma anche alle sculacciate, all'effetto che avevano avuto su di me, a quanto mi piaceva riceverle. I miei fine settimana li trascorrevo lontani da Raffaele che non voleva vedermi di sabato o di domenica. Buon per me, perché il mio culo, dentro e fuori, aveva bisogno di riposo. Il lunedì sera però ero ansioso di rivederlo. Quella settimana avevamo la riunione di martedì, perciò il lunedì andai a casa sua alla solita ora. Lui non era là, così lo aspettai seduto davanti al portone, a gambe incrociate, ovviamente fumando. Stavo cercando di immaginare come sarebbe andata la serata, cioè cosa mi avrebbe fatto, quando il padre arrivò in macchina, suonò il clacson per salutarmi ed entrò nel garage. Nella macchina c'era anche Raffaele che uscì velocemente e mi venne incontro. "Stasera lavoreremo nello scantinato" disse con il broncio. Lui non era mai felice di vedermi, non certo quanto lo ero io, né sorpreso che io fossi là ad aspettarlo come un cagnolino. Era come se pensasse che io sarei stato là in ogni caso e solo perché lui me l'aveva ordinato. Probabilmente avrebbe mostrato sorpresa se non mi avesse trovato. "Si, Raffaele" feci subito io, poi aggiunsi "lo sai che, cioè, tu mi sei mancato sabato e domenica e..." Ma lui ignorò quello che gli stavo dicendo e si rivolse al padre indicandomi. "Lui sta negli scout, papà. Sto cercando di insegnargli qualche cosa, ma non so se ci riuscirò!" Il padre mi sorrise. "Si, l'ho visto entrando" poi inaspettatamente mi porse la mano "io sono il papà di questo scemo" disse ridendo. Incredulo per quello che mi aveva detto e per l'onore che mi stava facendo, anche solo parlandomi, gli strinsi la mano che mi porgeva. "È un piacere conoscerla, signore" e gli dissi il mio nome. Lui annuì, mi sorrise, poi si rivolse a Raffaele per ricordargli che la cena sarebbe stata pronta entro un'ora. Raffaele attese che la porta si chiudesse dietro le spalle del padre, poi mi fece cenno di seguirlo. "Lo hai sentito, ho meno di un'ora per addestrarti stasera, perciò è meglio se cominciamo." Lo seguii ubbidiente e notai che il suo odore era forte. Quella sera niente piedi, invece, per ragioni che non ho mai capito, volle che indossassi la sua vecchia divisa da lupetto, quella che aveva indossato quando aveva otto anni. Io sospirai, perché mi sembrò un'altra serata persa con una delle sue inspiegabili sciocchezze. Come ho già detto, Freud e la psicanalisi sarebbero arrivati qualche mese dopo, quindi non ne sapevo ancora niente di pulsioni, feticci e trasgressioni sessuali. Il travestitismo era al di là delle mie conoscenze dell'epoca. Guardando quella divisa sbiadita e decisamente troppo piccola scossi la testa incredulo. "Non riuscirò mai a entrare in quei pantaloncini!" "Tu puoi e lo farai. At-tenti!" Io automaticamente scattai raddrizzandomi, le braccia e la mani tese ai lati del corpo, la testa sollevata, gli occhi fissi al muro davanti a me. Raffaele cercò, come il solito, di pettinarmi il ciuffo e come sempre i capelli restarono diritti sulla testa. "Cazzo!" borbottò tra i denti, poi andò verso il banco da lavoro e, prese un paio di grosse forbici, tornò verso di me. Senza dire una parola e con un paio di colpi, mi taglio il ciuffo ribelle quasi alla radice. I capelli mi caddero sul naso, poi sulla maglietta, alcuni finirono per terra. Vidi una ciocca impigliata tra le lame delle forbici, mentre Raffaele le riponeva in un cassetto. Tornò da me e mi passò il dito dove aveva appena tagliato. "Non ho fatto un buon lavoro. Te li volevo solo accorciare, ma quelle grosse forbici sono difficili da controllare. Mi dispiace, Lorenzo. Dopo ti darò i soldi per andare dal barbiere" e quasi mi accarezzò la guancia destra con il palmo della mano. Non durò più di un secondo, ma fu quasi amorevole ed io mi commossi. Quella fu l'unica volta in cui Raffaele disse di essere dispiaciuto per qualcosa che mi aveva fatto. Mi sbottonò i pantaloni e me li abbassò, fece lo stesso con le mutande. Mi fissò il pube, mentre distrattamente passava le mani arruffandomi i pochi peli che m'incorniciavano il cazzo, poi si voltò verso il tavolo da lavoro, dove aveva lasciato le forbici. Oh no, pensai, ma Raffaele scosse la testa e parve rinunciarci. Mi strinse le palle, invece. Non tanto da farmi male, ma le strinse. "Hai una sigaretta?" chiese. Non ne avevo più molte ed erano nei miei pantaloni, finiti a terra. Ne prese una e la accese, poi mi fece sfilare la maglietta lasciandomi nudo, eccetto che per i calzini e le scarpe. Io rimasi sull'attenti, mentre lui mi accarezzava tutto. Più esattamente mi strofinò le mani davanti e da dietro, contemporaneamente, dalle spalle al culo, dal petto al pube, su e giù allo stesso tempo, soffermandosi sempre più sulle parti intime. Mi aprì il culo e passò le dita nello spacco, mi prese l'uccello con l'altra mano, poi le palle. Risalì alle spalle. Come le altre volte il fumo e il suo odore mi circondavano ubriacandomi. Era una specie di riscaldamento che faceva per sé e anche per me. Mi piaceva anche quello. Cercai di seguire il suo tempo nella respirazione e cominciai a fare lunghi respiri insieme con lui. Ovviamente avevo l'uccello durissimo e potevo vedere che nei suoi pantaloni il cazzo era ugualmente irrigidito. Avrei voluto tanto prenderglielo, accarezzarlo, mettermelo in bocca, ma non potevo farlo, neppure pensarlo. Raffaele mi strofinò tutto, seguiva le mani con gli occhi, fissava e guardava concentrato ogni centimetro del mio corpo. La sua faccia si trovò spesso vicinissima alla mia, il ciuffo mi passò davanti agli occhi, mi accarezzò le guance. Mi piacque da morire ricevere tutte quelle attenzioni, avrei voluto baciarlo, l'avrei fatto se non avessi avuto paura delle conseguenze. Quando si fu stancato di strofinarmi e toccarmi, anche di accarezzarmi, si prese l'uccello da sopra ai pantaloni e guardò fisso il mio pisello ugualmente duro, ma più piccolo. Fece di si con la testa, pensando chissà a cosa. Prese un paio di vecchi slip, della stessa epoca di quando lui indossava la vecchia divisa, e provò a infilarmeli. Prima le gambe, poi spingendomi il cazzo duro contro la pancia cercò di tirarli su, ma non riuscì farmeli arrivare all'ombelico. Capivo che stava per incazzarsi, ma rimasi fermo sull'attenti, cercando di tirare dentro la pancia e trattenendo il respiro, sperando di aiutare Raffaele, ma non ci fu modo. Finalmente ci rinunciò, lasciandoli dov'erano arrivati. Il mio uccello era tornato moscio, intrappolato nelle mutande che me lo strizzavano. M'infilò a forza la camicia della divisa su cui erano cuciti molti gradi e distintivi guadagnati durante la lunga carriera nei lupetti. Con qualche sforzo riuscì ad abbottonarmela, ma era proprio corta. Raffaele non ci badò e mi fece infilare il più piccolo paio di pantaloncini da scout che avessi mai visto. Dovetti togliermi anche i calzini per infilare i piedi nell'apertura delle gambe. Parevano piccoli anche per un bambino di otto anni. L'unico aspetto positivo dei pantaloncini era che avevano l'elastico in vita e non dovevano essere abbottonati. Raffaele face un passo indietro per guardarmi meglio e toccandosi l'uccello sempre duro annuì ancora. "Infila la camicia nei pantaloni" ordinò. Feci di tutto per trovare un po' di spazio tra l'elastico e la pelle dei miei fianchi e della pancia. Praticamente non respiravo più. Raffaele mi guardava con occhi luccicanti, cercò ancora qualcosa in una scatola e finalmente trovò il cappellino da lupetto che mi appoggiò sulla testa, senza poterlo infilare. Mi sentivo come un salsicciotto. Stette un po' a scrutarmi, poi prese dalla stessa scatola il fazzoletto che mi legò al collo. Adesso indossavo una divisa da lupetto, perfetta per un bambino di otto anni. Il problema era che io ne avevo quattordici e non ero piccolino. Mi guardò soddisfatto strofinandosi l'uccello da sopra ai pantaloni e poi fece lo stesso con me, mi mise la mano davanti e cominciò a massaggiarmi. L'uccello mi si era ammosciato completamente, ma lui lo fece facilmente tornare in vita, strofinandolo e massaggiandolo con la mano destra, mentre con la sinistra mi toccava il sedere accarezzandomelo e pizzicandolo ogni tanto. La sua testa era vicina alla mia, tanto che, con un poco di fantasia potevamo sembrare abbracciati, i suoi capelli mi sfioravano le guance e odoravano di pulito. Volevo stringerlo, mettergli le braccia attorno al collo, avvicinare la mia guancia alla sua, ma non osai. Questo desiderio, la mia reazione mi colsero di sorpresa, facendomi pensare a quali erano i miei reali sentimenti per lui. Ovviamente non giunsi a nessuna conclusione razionale. Mi piaceva stare con lui ed eseguire i suoi ordini, per quanto bizzarri. Con quei pensieri nella testa e con Raffaele che mi massaggiava l'uccello duro, mi lasciai sfuggire un lungo sospiro. "Lo so, lo so che ti piace" fece lui. Ero certo che si sarebbe infuriato vedendomi godere durante l'addestramento, come lo chiamava lui, ma sentii il piacere avvicinarsi. Raffaele m'infilò la mano da dietro per stringermi il culo, facendosi miracolosamente largo in quei pantaloncini così stretti. La sua mano sulla pelle nuda, le dita sulla mia pelle, le sue lunghe dita mi accarezzarono le natiche infilandosi, trovando spazio nello spacco, stretto dal tessuto. Quel tocco mi strappò un altro gemito. Mosse il dito medio cercandomi il buco, toccando e ripassando finché non lo trovò, umido di sudore. Io balbettai qualcosa quando me lo infilò. La prima nocca e poi lentamente tutto dentro. Ero teso, sollevato sulla punta dei piedi, appoggiato alle sue spalle, dimenticando che dovevo stare sull'attenti, con l'uccello pronto a esplodere dentro quei ridicoli pantaloncini che me lo stringevano all'inverosimile e Raffaele che non smetteva di massaggiarlo stimolandolo, mentre mi inculava con il suo lungo dito. "Oh, Raffaele... io..." mi lamentai, mentre il primo schizzo di sborra mi usciva dalla punta dell'uccello e impiastricciava l'interno dei pantaloncini. Mi lamentai ancora mentre altra sborra usciva fermandosi contro l'elastico stretto che mi segava sulla pancia. A ogni schizzo contraevo il buco del culo attorno al dito di Raffaele. Le sensazioni erano fantastiche, avevo il pube bagnato di sborra e il davanti dei pantaloncini era già macchiato di umido. Raffaele respirava pesantemente attraverso il naso, le nostre teste si erano sfiorate colpendosi un paio di volte e adesso non desideravo altro che mi abbracciasse. Poi lui riuscì a controllare il respiro. "È meglio se non mi hai sborrato nella divisa da lupetto" disse ed io credetti di non aver capito. Avevo superato il mio orgasmo, ma respiravo ancora velocemente, schiacciando la mia testa contro la guancia di Raffaele. Non dissi nulla. Lui mi sfilò il dito dal culo e con tutte e due le mani mi abbassò i pantaloncini. "Me li hai sborrati tutti" gridò "piegati!" "Cosa?" Raffaele scacciò il mio braccio dalla sua spalla e mi fece piegare finché non posai il torace sul banco da lavoro. "Raffaele" lo pregai, con voce esitante. "Stai così" fece lui con la voce severa "e accetta la punizione. Dovevi pensarci bene, prima di sporcare gli indumenti degli altri" e cominciò a sculacciarmi con la mano aperta. Mi teneva fermo contro il banco e mi colpiva il culo con schiaffi sonori e dolorosi. Io cominciai a piangere subito dopo i primi colpi. Non era un pianto rumoroso, ma avevo ugualmente la faccia piena di lacrime e il moccio al naso. Essere sculacciati sul sedere nudo fa veramente male e quella sera Raffaele menava forte. E poi era ingiusto, ecco. Mi aveva stimolato in tutti i modi e doveva aspettarsi che sborrassi. Per di più non potevo muovere per niente, perché i pantaloncini mi bloccavano le gambe a metà coscia. Fino a quel giorno non mi aveva lasciato segni che non andassero via entro un paio di giorni. Io piangevo sempre, perché provavo un po' di dolore e mi piaceva che dopo mi consolasse, qualunque cosa facesse. Certamente non ero mai disperato. Sapevo anche che a lui piaceva sculacciarmi e sentirmi piangere, questo era chiaro. E poi gli piaceva farlo a lungo, non erano mai pochi colpi, ognuno mirato a una zona del culo e la mano restava sempre un secondo in più, non dico ad accarezzarmi, ma a trarne piacere. Dopo le sue sculacciate, il mio culo era sempre di un rosso vivo e uniforme che scendeva spesso a metà delle cosce, lui era molto meticoloso anche in questo. Quella di quella sera però fu una delle più lunghe e dolorose punizioni che m'inflisse. Non contento di sculacciarmi con le mani, forse perché gli facevano già male le palme, prese una tavoletta che era sul tavolo, una specie di righello e cominciò a colpirmi con quello, facendomi sobbalzare e urlare ad ogni colpo. Me ne dette dodici, li contai nella mente cercando di distrarmi. A quel punto ero disperato e avevo paura che non si fermasse più. Gettò il righello sul bancone, poi andò a mettersi seduto su un mucchio di scatole. Tremavo e non osavo guardarlo, mi vergognavo del mio pianto e delle mie grida, avevo paura di averlo irritato ancora di più, avevo paura di lui. "Vieni qua" ordinò ed io mi avvicinai esitante. Mi afferrò per un braccio e mi fece mettere sulle sue ginocchia, a pancia sotto, con la fronte che toccava terra da una parte e i piedi sollevati dall'altra, avevo l'uccello penzoloni in mezzo alle sue gambe, il culo proprio sotto i suoi occhi. "Vediamo se adesso piangi!" Mi prese l'uccello con la sinistra, mentre con l'altra mi accarezzava il culo, faceva scorrere le dita nello spacco e mi provava il buco. Non me lo aspettavo, ma mi tornò immediatamente duro. Nel frattempo mi aveva infilato il dito indice nel culo e lo roteava lentamente, grattandomi con l'unghia rosicchiata le pareti del retto. Sfilò lentamente il dito e tornò ad accarezzarmi il culo che era bollente e tutto rosso. Quando me lo guardai a casa quella sera, vidi che avevo delle strisce più scure, erano i lividi lasciati dal righello. La pelle era tutta arrossata e mi faceva davvero male. Mentre mi menava lentamente l'uccello duro, ricominciò a sculacciarmi. Io mi dimenai come potevo e ripresi a piangere, ma le sensazioni che ricevevo dall'uccello erano in contraddizione con quanto pensavo dovesse accadere. Il mio culo era in fiamme, sculacciato senza pietà da non sapevo più quanto tempo, ma avevo l'uccello duro come non lo era mai stato e sentivo avvicinarsi il momento in cui avrei sborrato per la seconda volta. Il dolore che provavo era insopportabile. "Lo vedi che ti piace" disse Raffaele con il fiato corto "vai a metterti dove stavi prima" ordinò. Mi alzai tremante, con le gambe molli, ma l'uccello duro che puntava verso l'alto, la punta già bagnata. Lo sentivo pulsare a ogni battito del mio cuore e ad ogni movimento dell'uccello sentivo una fitta dentro al culo e il bruciore di fuori che era sempre più forte. Con la coda dell'occhio vidi che si spogliava, si abbassò pantaloncini e mutande e capii che mi avrebbe inculato. Il mio uccello ebbe un altro spasmo che quasi mi fece sborrare. Sperai solo che non ricominciasse a sculacciarmi. Si mise dietro di me, si sputò un po' di saliva sulla mano per bagnarsi il cazzo e me lo appoggiò sul buco, un momento dopo l'avevo tutto dentro, fino a sentire i peli strofinarmi sulla pelle arrossata del culo, ad aggiungere un bruciore più forte a quello che già provavo. Ma non fu quello a farmi gridare, non solo quello, fu la frenesia con la quale mi scopò. E non gridai solo per il dolore, ma anche per l'orgasmo che mi stava inducendo. Raffaele mi riempì il culo di una quantità incredibile di sborra, fin dentro, fino a dove non era mai arrivato. Io emisi un paio di spruzzi, ma mi si piegarono le gambe e Raffaele mi sorresse. Quando ci fummo calmati e ci rivestimmo, Raffaele andò a sedersi per terra a gambe incrociate ed io provai ad abbassarmi, ma, quando il mio culo toccò il pavimento duro, saltai in piedi con un gridolino. Non sapevo decidere cosa mi facesse più male, se fuori dal culo per le sculacciate o dentro al culo per l'inculata. Ma forse era il buco il punto più indolenzito. Raffaele lo aveva forzato come non aveva mai fatto prima e adesso mi pulsava. Sentivo ogni battito del cuore riverberarsi giù, fin là sotto. Raffaele si accorse del mio movimento e senza una parola prese uno dei cuscini della poltrona che c'era in un angolo e me lo mise sotto, mentre riprovavo a sedermi. Il mio primo orgasmo con il dito nel culo e il massaggio di Raffaele era stato forte e il secondo, con il cazzo di Raffaele nel culo e senza neppure toccarmi era stato a dir poco intenso. Tutto era stato entusiasmante, tranne ovviamente il prolungarsi della punizione che avrei preferito meno intensa e senza quel maledetto righello. Provai a guardarlo, sperando di commuoverlo, perché nonostante tutto quello che mi stava facendo, desideravo solo che mi abbracciasse e mi cullasse un poco, dicendomi che mi stavo comportando bene e che potevo diventare quello che lui voleva io diventassi, qualunque cosa fosse, ma non lo fece. Si odorò il dito che mi aveva tenuto dentro al culo, poi me lo mise sotto al naso e mi guardò negli occhi, mentre io sentivo l'odore di cacca e sudore. Mi tenne il dito schiacciato contro il labbro inferiore per un po', finché aprii la bocca e lo leccai tutto. Se l'odorò e me lo rimise sotto il naso, io lo leccai ancora, lui l'odorò e poi finalmente tornò a fumare la sua sigaretta, mentre io me ne stavo seduto diritto e non per disciplina, ma perché non avevo come posare il culo su quel pavimento duro e quel cuscino sottile. "Hai bisogno di tagliarti i capelli un'altra volta, Lorenzo" disse "fai in modo di averli a posto per domani sera alla riunione. Capito?" "Si, Raffaele!" risposi prontamente e tirai una lunga boccata di fumo. Non volevo parlarne, poi mi feci coraggio, perché non c'era proprio altra soluzione. "Ehm, Raffaele, mi dispiace, ma non so se potrò andare al barbiere" dissi esitante guardandomi le ginocchia incrociate. Lui mi guardò incredulo per tanta insolenza. "Io... io, cioè, non ho i soldi" e scoppiai a piangere, come il bambino che ero. "Hai ragione. Te li darò io" fece Raffaele e tirò fuori dalla tasca una banconota, poi non parlò più fino a che non gettammo via i mozziconi. "Sono fiero di te, Lorenzo. E sai perché? Tu hai preso la tua punizione fino in fondo. È notevole come l'hai sopportata, eppure sei così giovane." Pensai che quello fosse il miglior complimento che avessi mai ricevuto nella mia vita e feci del mio meglio per non sorridere troppo, né troppo a lungo. Volevo sembrargli maturo come aveva detto che ero. "Grazie, Raffaele!" e attesi tranquillamente che Raffaele decidesse di rimandarmi a casa. La mattina dopo, di buon ora tornai dal barbiere e questa volta capitai dall'altro lavorante. "Taglio normale, ragazzo?" chiese lui "Ehi, chi ti ha tagliato il ciuffo?" E senza aspettare risposta cominciò a tagliare, esattamente come aveva fatto l'altro barbiere la volta precedente, eccetto che per i capelli davanti ovviamente. Seguii il suo lavoro nello specchio e lui tagliò finché non fu soddisfatto di quello che aveva eliminato che era tanto. In tutto Raffaele mi mandò quattro volte a tagliarmi i capelli, sempre a sue spese, e anche dopo che la nostra relazione finì, continuai a tornare da quel barbiere per qualche volta ancora, perché mi aiutava a conservare quel particolare aspetto che piaceva a Raffaele e che mi rendeva tanto simile a lui. Poi lentamente tornai a ragionare con la mia testa e mi feci ricrescere i capelli come piacevano a me, risparmiando i soldi del barbiere. Adesso quattro anni dopo devo riconoscere che quello che porto in testa è lo stesso taglio con qualche piccola concessione, ma nel complesso è del tutto simile a quello voluto da Raffaele. Non è strano? Durante tutto il mese successivo, dopo l'incidente della sborrata nella divisa di lupetto, Raffaele continuò a farmi tutte le cose che avevamo già fatto. Leccarlo dappertutto almeno una volta la settimana, mi faceva bere la sua sborra e poi mi sculacciava prima di incularmi. C'era la sera della divisa stretta, lo stesso una volta alla settimana. Con quella, prima mi faceva sborrare nei pantaloncini che erano sempre più sporchi e poi mi puniva per essermi bagnato, infine m'inculava selvaggiamente perché quello che avevamo appena fatto era la cosa che lo eccitava più di tutte. Sempre una volta nella settimana andavamo a comprarci i panini che mangiavamo insieme, sbocconcellandoli a turno, con me che mordevo esattamente dove lui aveva lasciato traccia della sua saliva. Dopo le riunioni degli scout, restavamo sempre da soli per rimettere tutto a posto e, quando avevo esaurito i miei compiti, mi abbassavo pantaloncini e slip e andavo a mettermi chinato contro la scrivania, mentre lui ispezionava attentamente il mio lavoro. Lo sentivo avvicinarsi e, senza darmi una spiegazione, cominciava a sculacciarmi. Non mi diceva mai cosa avessi sbagliato, mi sculacciava e basta, finché non mi sentiva piangere. Solo allora mi mandava ai gabinetti con l'ordine di spogliarmi nudo e aspettarlo per l'inculata. Insomma, ogni volta che ci vedevamo, mi sculacciava e m'inculava in differenti posizioni, ma il più delle volte mi prendeva come piaceva a me, cioè a quattro zampe `come i cani', dicevo io, che ero felice di fare tutto quello che mi ordinava, sia perché avevo orgasmi ogni volta che ne aveva lui, ma anche perché ormai gli ero davvero affezionato. Ero sotto il suo controllo, ma posso dire che lo amavo. Ripensandoci credo di averlo amato davvero, ma allora ero certo che fosse l'affetto forte e indiscutibile che uno come me prova per il suo capo, il suo modello, il suo padrone o qualunque cosa non fosse un amore tra finocchi. Più esattamente, che l'idea che potessi esserlo non mi aveva nemmeno sfiorato, perciò non avevo potuto neppure rifiutarla. Raffaele m'inculò e sculacciò ogni sera di quelle settimane, sia che avessimo riunione agli scout, sia che non l'avessimo. Credo che, in quelle settimane estive, mi abbia dato alcune migliaia di sculacciate e altro ancora e che mi abbia pompato nel culo e in bocca qualche litro di sborra, prima che tutto finisse. L'ultima cosa che facemmo insieme fu il campeggio, un'intera settimana in montagna. Era un campo regionale di scout cui partecipavano circa cinquecento ragazzi come noi. Il nostro reparto ci arrivò con un pullman dopo tre ore di viaggio. Io ero seduto accanto a lui e tutti tranne me pensavano che fossi il suo cagnolino, se non peggio. Raffaele riuscì a organizzarci in modo che noi due dormissimo da soli dividendo una tenda da due posti, piantata in un posto isolato, a guardia della cambusa. La prima sera, quando fu ora di andare a dormire, faceva molto freddo e senza discutere ci infilammo, ovviamente nudi, nello stesso sacco a pelo. L'odore delle nostre ascelle rimase intrappolato dentro al sacco e mi raggiungeva ad ogni nostro movimento avvolgendomi. Era un odore che ormai mi stava dando una forma di dipendenza, un afrodisiaco. Raffaele m'inculò non appena ci fummo messi di lato, con le braccia strette attorno ai miei fianchi, nel suo primo vero abbraccio. E che inculata fu. Raffaele sapeva che questi sarebbero stati gli ultimi giorni che avremmo trascorso insieme. Io non ne avevo idea. Non appena fummo nel sacco a pelo, cominciò a toccarmi il buco con le dita, se le bagnò e cominciò a infilarmi l'indice, lo bagnò ancora e lo infilò tutto, poi fece lo stesso con il medio e infine li infilò tutti e due. A quel punto ero abbastanza lubrificato e allargato. Dalla terza settimana d'inculate, Raffaele aveva cominciato ad avere più cura del mio buco, cercando per quanto possibile di lubrificarlo prima di infilarmi l'uccello. Una settimana prima del campo aveva cominciato a farmi molto male ed io avevo pianto nel momento stesso in cui lui mi aveva toccato. Mi ero vergognato a dirgli che quella mattina mi aveva fatto male fare la cacca. Ma il dolore provato quando aveva cercato di allargarmelo, era stato terribile, avevo cominciato a singhiozzare e lui mi aveva sculacciato forte per non averglielo detto prima, poi per due giorni non mi aveva inculato e da quando aveva ripreso, cercava sempre di infilarmelo con molta più attenzione, bagnandolo bene di saliva. Non che non facesse male, ma era sempre meglio che all'asciutto. Quella notte nella tenda io me ne stavo quieto, di fianco, dandogli le spalle e aspettando l'ormai familiare sensazione di pienezza dentro il culo. Lui mi lavorò a lungo con le dita ed io avrei voluto sospirare e lanciare anche qualche urlo per come mi piaceva e come mi preparavo a godere, ma sapevo bene che non dovevo farlo, perché altrimenti mi avrebbe sculacciato là stesso. Il mio uccello duro spingeva contro il lato del sacco a pelo, già prima che lui me lo infilasse, solo pensando a quello che avrei provato quando l'avesse fatto. Come mi piaceva sentirmelo dentro, sentirmi unito a Raffaele, come se fossimo davvero una persona sola. M'inculò tutte le notti che trascorremmo al campo e la prima inculata era sempre molto veloce. Me lo infilava con cautela, ma una volta dentro mi scopava con forza, quasi con violenza e mi stringeva forte, la mia schiena contro il suo petto, metteva le gambe attorno alle mie, per impedirmi di piegarle, costringendomi in una posizione di completo abbandono contro di lui. Capivo che era un modo per lui di sentire tutto il mio corpo e per me erano momenti fantastici, con le gambe tese, in uno sforzo che mi dava quasi i crampi. Mi scopava muovendo il cazzo dentro e fuori molto velocemente per uno o due minuti, poi io sborravo sporcandomi la pancia, cercando di non lanciare gridolini. Raffaele a quel punto mi teneva una mano stretta attorno al torace e l'altra contro la bocca per impedirmi di gridare, come sapeva che avrei fatto. I muscoli del mio culo si stringevano attorno a suo cazzo, il buco glielo strizzava e lui non riusciva più a resistere e mi sborrava riempiendomi di seme con quieti borbottii e sospiri prima di riacquistare una respirazione normale. Entrambi avevamo l'affanno, dopo il primo orgasmo. Raffaele me lo lasciava dentro e mi abbracciava stretto modellando il suo corpo contro il mio, in un modo che non poteva essere altro che affettuoso, anche se forse non lo faceva volontariamente, ma solo perché in due nel sacco a pelo stavamo stretti. E comunque non ne parlammo mai. Il suo mento un po' ruvido di barba mi raspava al lato del collo. "Si... mmmh Raffaele..." sussurravo io. Ed era tutto quello che volevo e che avevo cercato in quei mesi, attraverso le inculate, le leccate, le migliaia di sculacciate, le frustate, le umiliazioni che mi aveva inflitto e che io avevo cercato. Era quello che volevo dall'inizio, un segno di affetto e finalmente lo stavo ricevendo. Era il segno inequivocabile che anche lui mi amava. Lo capii allora, come lo so adesso. Adesso, quattro anni dopo, so che in quelle notti mi stava salutando per sempre e che il suo cagnolino ubbidiente gli sarebbe mancato. Per conto mio già allora sapevo che sarebbe frequentato gli ultimi anni del liceo in un collegio militare, ma ero certo che l'avrebbe fatto in una città vicina, che sarebbe tornato per il fine settimana e soprattutto che avrebbe continuato ad addestrarmi. Allora ero convinto che Raffaele era affezionato a me, almeno quanto io lo ero a lui e quelle notti nel sacco a pelo me lo confermarono. In realtà il collegio militare scelto da suo padre era molto più lontano di quanto pensassi, i fine settimana che avrebbe trascorso in città molti di meno e non ci sarebbe mai stato tempo per me. Quel campeggio sarebbe stata la sua ultima volta negli scout, perché non avrebbe più avuto tempo da dedicare all'associazione. Seppi tutto questo andando a cercarlo un paio di giorni dopo il ritorno, perché lui non si era fatto più sentire. Me lo disse suo padre riconoscendomi, per avermi visto in giro nelle ultime settimane. Raffaele era partito per andare a stare da certi parenti e per ambientarsi nella nuova città, prima di cominciare a frequentare l'accademia. Non mi salutò e non lo rividi mai più. Scoprire la verità mi fece stare male da morire, ma non sapendolo ancora, vissi quel campeggio come i giorni migliori della mia vita, alla fine dell'estate più bella. La seconda inculata notturna veniva sempre dopo una mezz'ora. Non ci parlavamo nel frattempo, ma Raffaele mi accarezzava, mi massaggiava le spalle e i fianchi oppure mi strofinava la pancia spargendo la mia sborra ovunque, mi toccava l'uccello scappellandolo, mi stringeva le palle in quel suo modo speciale, fermandosi un attimo prima di farmi male davvero, mi passava le dita tra i peli del pube, mi pizzicava i capezzoli. Quando lo faceva, mi metteva una mano sulla bocca con un dito tra i denti e con l'altra mi prendeva il capezzolo tra pollice e indice. Lui stringeva ed io lo mordevo. Accadeva in perfetto silenzio, ci eccitavamo bilanciando le nostre sofferenze. Tutti i suoi movimenti erano di una tenerezza estrema e in certi momenti a me pareva di fare le fusa, mentre lui mi accarezzava con tanta dolcezza, oppure procurandomi dolore. Lentamente, lasciato dentro di me, il suo uccello ricominciava a indurirsi un'altra volta e lui senza fretta riprendeva a muoversi. Ad un passo lento, questa volta, mi scopava assaporando le sensazioni che l'uccello gli inviava con lunghe, lente penetrazioni. Durava almeno un quarto d'ora. Io mi sentivo in paradiso, riuscendo perfino a scivolare nel dormiveglia, svegliato da una sua spinta più profonda o da un movimento diverso. Il suo massaggio interno e le carezze che mi faceva davanti mi portavano sulla soglia di un altro orgasmo per molto tempo, prima che riuscissi a sborrare ancora. Come prima, sentendo arrivare il mio momento, lui mi stringeva forte e soffocava il mio grido di piacere, mettendomi la mano davanti alla bocca. Raffaele mi sborrava dentro subito dopo, ancora una volta tradito dalle contrazioni del mio buchetto. Ci addormentavamo così, immediatamente dopo il suo secondo orgasmo, con il suo cazzo ben piantato nel culo, le sue braccia strette attorno al mio petto, le gambe intrecciate. La mattina era lui a svegliarmi, perché durante la notte si era sfilato da me ed io non l'avevo neppure sentito. Mi aveva sciolto dal suo abbraccio, ma era rimasto nel sacco a pelo. La mattina mi svegliava infilandomelo, sempre con cautela, ma tutto dentro, sfruttando un'altra erezione potente. Mi scopava velocemente, perché era sempre quasi ora di alzarsi e noi due dovevamo essere i primi ad uscire per svegliare gli altri. Venivamo velocemente per la terza volta in poche ore e, sempre senza dire parole, ci separavamo. Raffaele s'infilava la tuta da ginnastica e usciva a pisciare, io accartocciavo un poco di carta igienica e me la infilavo nel culo, poi uscivo anch'io in tuta per correre alla latrina, cercando di camminare con disinvoltura, per quanto possibile. Nessuno disse mai nulla, ma credo che in molti si chiedessero perché corressi tanto e tenendomi il culo ogni mattina. Dopo tutto quel tempo trascorso con Raffaele, la realtà della sua assenza fu un peso tremendo da sopportare. Lui mi aveva fatto vivere quei giorni al campo come in paradiso. L'interno di un sacco a pelo è un posto bellissimo per trascorrere la notte con il proprio innamorato. Sborravamo tre volte ogni notte e il seme si spargeva ovunque, anche se Raffaele mi sborrava nel culo, qualcosa colava sempre fuori. Nonostante andassi alla latrina appena alzato, sentivo colarmi la sua sborra per tutto il giorno. La mattina il buco era tutto arrossato, mi faceva anche un po' male e avevo problemi a camminare. Dopo sette notti così, l'ultima notte Raffaele mi inculò solo due volte e la seconda, quella dolce e affettuosa fu l'ultima volta in cui fece l'amore con me. Quella mattina non si svegliò in tempo per darmi la terza razione. Al momento non ci pensai più di tanto, perché avevo il culo in fiamme. Tutta quella sborra e l'igiene precaria del campo mi avevano fatto arrossare il culo. Il viaggio di ritorno in autobus fu una tortura per la mia povera fichetta tutta arrossata. Quando arrivammo dovemmo mettere a posto il materiale, prima di andarcene e Raffaele mi sorprese aiutandomi parecchio, poi mi fece quella che poi sarebbe stata la sua ultima ispezione. Mi fece mettere sull'attenti, nonostante il mio culo arrossato e dolorante. Parlando con calma mi fece promettere che non avrei mai parlato con nessuno dell'addestramento cui mi aveva sottoposto e di tutto quello che avevamo fatto, perché avremmo potuto finire nei guai tutti e due. Fu molto dolce. Quella fu l'ultima volta in cui lo vidi. Mi accarezzò la testa e guardandomi fisso negli occhi disse che ero stato il migliore fratello scout che avesse mai avuto. Mi mise le mani sulle spalle e mi abbracciò forte, quasi cullandomi. Poi mi lasciò andare, mi dette una pacca sulla spalla e se ne andò, senza voltarsi. Sono certo che avesse gli occhi lucidi. Io invece stavo piangendo, ero davvero toccato da tutte quelle tenerezze e non avevo ancora idea che fosse un addio. Forse era sorpreso lui stesso da tanta commozione e, invece di raccontarmi la verità, che stava lasciandomi per sempre, decise di scappare per non darmi spiegazioni. Dopo piansi tanto, anche adesso ho gli occhi lucidi a ricordare quei giorni. È notte e il treno corre veloce, per quello che è possibile a un treno come questo. I miei compagni di viaggio avrebbero voluto spegnere le luci nello scompartimento, ma io non ho voluto, perché devo pensare, ricordare e scrivere e quest'ultima cosa non posso farla al buio. Se fosse accaduto quattro anni fa, che qualcuno mi avesse detto di spegnere la luce, l'avrei preso come un ordine e non avrei avuto il coraggio di oppormi, non ci avrei neppure provato, ma adesso è tutto diverso, sono più grande e sono cambiato. Li ho convinti facilmente che con le luci accese siamo più al sicuro, perché in giro ci sono un sacco di ladri ed è meglio che uno di noi resti sveglio. TBC lennybruce55@gmail.com