Date: Sat, 1 Sep 2012 00:10:54 +0200 From: G. Plain Subject: MARCO E VALE chapter 1 MARCO & VALE CAPITOLO 1 UN "SOGGETTO" PARTICOLARE Da quando il ministero aveva deciso il taglio dei posti assegnati alle mansioni d'ufficio, erano iniziati i problemi. D'altronde, la fortuna non poteva continuare a sorridermi all'infinito. Sapevo di non essere una persona particolarmente brillante, sia per il mio fisico ridicolo, alto appena circa 160cm, esile e debole da far paura, sia per il mio carattere remissivo e timoroso. Ed è per questo che quando a 34 anni suonati avevo vinto il concorso per entrare al Ministero della Giustizia per un incarico amministrativo di completo agio, non mi sembrava vero. Ma purtroppo la pacchia era durata ben poco, in quanto dopo alcuni mesi, arrivò "la riorganizzazione dei ruoli" per la quale il Ministro decise, per razionalizzare i costi di gestione, che tutto il personale non strettamente necessario in ufficio, doveva essere ricollocato nelle case circondariali del territorio italiano, svolgendo compiti di controllo dei detenuti od incarichi affini. Nel leggere la circolare che ci avvisava di questa piccola grande rivoluzione, mi si gelò il sangue. Io nelle carceri? Io a controllare i detenuti? Io a sedare sommosse e tenere sotto chiave i peggiori delinquenti del paese? Non ne sarei mai stato capace e al solo pensiero, un brivido e un rivolo di sudore gelato percorsero la mia esile schiena. Nei giorni seguenti, iniziai a parlare con tutti quelli che avrebbero potuto aiutarmi a risolvere quella faccenda: sindacalisti, dirigenti, colleghi, conoscenti, politici conosciuti per vie traverse... ma a quanto pare non c'era proprio nulla che si potesse fare di fronte alle scelte del Ministro. Avrei dovuto sicuramente lasciare il mio ufficio, tuttavia, forse, un qualcosa che potesse rendere il trasferimento meno terribile si poteva ancora fare. C'era infatti la possibilità di essere inseriti nell'ufficio che effettuava i controlli sui minorenni condannati per reati minori, che non si ritenevano socialmente pericolosi a tal punto da dover essere indirizzati nei centri di recupero o addirittura in prigione. Questi infatti venivano lasciati a casa sotto tutela della famiglia d'origine, a casa, e con l'aiuto di un supporto psichiatrico per il recupero sociale. Aiuto che spesso però si limitava all'impasticcare i ragazzi di tranquillanti al fine di farli stare buoni e scrivere "buona condotta" nel registro. Una sorta di arresti domiciliari minorili, una delle tante invenzioni adottate dal nuovo governo per contenere il sovraffollamento delle carceri. Mi dissero che era un lavoro di tutto riposo: qualche pratica da tenere ordinata e qualche visita settimanale a dei ragazzini tra i 14 e 18 anni. Ragazzi per lo più accusati di piccoli spacci, violenze occasionali da astinenza alla droga, furtarelli da quattro soldi e scippi saltuari, ma comunque sotto il fermo controllo della famiglia, e per giunta sotto l'effetto di tonnellate di tranquillanti, e quindi per nulla pericolosi. E così accettai, diventando un "agente per il controllo della custodia minorile". Ed in effetti, all'inizio, fu un lavoro facile e di tutto riposo. I ragazzi che andavo a trovare a casa ogni settimana, e di cui seguivo lo svolgersi della pena, avevano infatti tutta l'intenzione di mostrarsi "cambiati" e pentiti ai miei occhi. Erano mansueti come cuccioli di lepre quando varcavo la soglia di casa, perché sapevano, sia loro stessi che i genitori, che dal mio rapporto settimanale sarebbe dipeso il loro proseguire quel regime privilegiato piuttosto che l'andare in carcere, come anche l'allungarsi o il ridursi del periodo di pena prevista. Era vero però anche il fatto che si trattava comunque di reati minori, e di ragazzi con alle spalle una buona famiglia, tutte circostanze che facevano decisamente propendere per la scelta di far loro evitare l'esperienza del carcere propriamente detto. Tuttavia, l'apparente serenità di quella nuova situazione lavorativa venne un giorno ad essere turbata, quando mi trovai sulla scrivania la pratica di un nuovo soggetto da seguire, che non rispettava nessuno dei parametri previsti. Si trattava di un certo Marco Lanfranchi, 16 anni e mezzo, condannato per omicidio e assegnato al regime degli arresti domiciliari minorili fino al raggiungimento della maggiore età. Rilessi credendo di aver avuto un abbaglio: omicidio!? E come era possibile che per omicidio non stesse in carcere? Sfogliai la cartella, pensando subito che facesse parte di una famiglia molto altolocata o di qualche onorevole che voleva coprire un possibile scandalo, e invece, ebbi un'altra sorpresa: non c'era traccia dei genitori nella scheda familiare, ma era elencato solo il fratello maggiore di 19 anni e mezzo: Valerio Lanfranchi, indicato come tutore del ragazzo e responsabile della sua custodia in casa. Inoltre la situazione era complicata ancora di più dal fatto che mancava completamente la scheda segnaletica, con foto, caratteristiche fisiche, descrizione della personalità. Persino i dati del processo che lo aveva condannato, erano riportati solo in frasi sintetiche e non molto descrittive, facendo riferimento solo a uno scontro con un coetaneo finito male... Insomma, seguire un ragazzo con queste premesse era un incarico davvero inaccettabile! Andai subito a lamentarmi con il mio superiore, ma ne ricavai soltanto un secco rimprovero, visto che quella cartella veniva direttamente da un processo in cui uno dei magistrati più importanti e in vista del momento, aveva disposto espressamente che si procedesse in tal senso! E così, a malincuore, tornai in ufficio per fare la prima telefonata di contatto: il fratello del soggetto rispose subito al cellulare, con un "pronto" squillante e sicuro, che tradiva la sua giovane età ma al tempo stesso manifestava una sicurezza e una forza di carattere inaspettate. Gli spiegai che ero Giovanni Magri (nel dire il mio cognome, essendo proprio magro fisicamente, la mia voce tentennava sempre un po') e che in qualità di agente per il controllo della custodia minorile mi sarei recato a casa loro il pomeriggio stesso a verificare che suo fratello - e tutelato - Marco, stesse rispettando tutte le prescrizioni del giudice. Valerio mi rispose che non c'erano problemi, che però lui non poteva esserci in quanto si trovava a lavoro tutto il giorno, ma che ciononostante potevo tranquillamente andare a far visita direttamente al fratello. Acconsentii e quando stavo quasi per attaccare, Valerio aggiunse: "dott. Magri sia comprensivo con mio fratello, sembra cattivo ma si comporta così solo perché abbiamo molto sofferto nella vita". Non sapevo cosa rispondere, Valerio sembrava così giudizioso e responsabile, anche solo dalla voce si percepiva che era un ragazzo degno di fiducia, ma il fratello rimaneva pur sempre un omicida! Il pomeriggio, mi avviai quindi verso l'abitazione di Marco Lanfranchi, che si trovava in una zona tra le più facoltose della città. Arrivai in una villa molto grande, parcheggiai la mia utilitaria ed entrai nel giardino, poiché il cancello era aperto. Sulla porta di casa trovai un biglietto con su scritto "Per Giovanni: entra e aspetta nel salotto". Che insolenza! Nemmeno degnarsi di venire ad aprire, farmi aspettare nel salotto neanche fossi un venditore porta a porta, inoltre un biglietto in cui mi si dava del tu e non del lei! Entrai comunque in casa, e mi sedetti nel salottino che si apriva dalla prima porta a destra del corridoio. Con pazienza aspettai qualche minuto, la casa era silenziosa. Ma proprio quando iniziai a pensare che forse me ne sarei dovuto ritornare in ufficio a redigere un verbale assolutamente negativo su quel soggetto, sentii dei passi pesanti provenire dal piano di sopra e scendere le scale. Mi alzai in piedi, finalmente stavo per ritrovarmi faccia a faccia con il giovane che avrei dovuto tenere sotto controllo nei prossimi mesi. Lo sentii salutarmi ancora dal corridoio, con un "Giovanni, allora facciamo una cosa rapida, ok?". La voce era intensa, forte e risonante di ragazzo, ma allo stesso tempo potente e profonda, e mi fece venire un brivido lungo la schiena. Iniziai istintivamente a rispondere seccato: "Marco Lanfranchi io ti intimo di usare un linguagg..." Ma quelle parole mi morirono in bocca non appena iniziai a vederlo comparire dalla porta del salotto: vidi una spalla apparire dal corridoio, entrando nell'apertura della porta dal lato da cui era provenuto il saluto, inizialmente solo una spalla, ma troppo in alto e troppo, troppo grossa rispetto a come avrebbe dovuto essere! Era enorme e sferica come una palla di cannone, coperta da una maglietta scura, e al di sotto di essa, una manica distesa e tirata al massimo, dalla quale emergeva una cosa: un braccio, che però assomigliava di più a un prosciutto intero come forma e come dimensioni... Nel frattempo continuava a comparire il resto del corpo... un torace che presto coprì tutta la luce della porta, con due pettorali che premevano contro la maglietta, creando tra di loro un solco, in cui avrei potuto far sprofondare una mia mano intera, e al di sotto del quale, sporgevano sul resto dell'addome di svariati centimetri. La vita era molto stretta con la parte inferiore scoperta, dato che la maglietta arrivava solo fino all'ombelico, lasciando vedere distintamente gli ultimi due gruppi addominali, scolpiti e perfetti. Era una visione di una bellezza e di una straordinarietà senza precedenti per me! Continuando a guardare, mentre quel gigante si poneva di traverso per poter entrare nella stanza senza demolire gli stipiti della porta, non potei non notare il rigonfiamento a dir poco imbarazzante che il pantaloncino extra large che indossava non riusciva a nascondere minimamente, anche perché deformato e reso aderente fino a quasi esplodere dai suoi quadricipiti colossali, che erano ammassati al suo interno, almeno fino a poco sopra metà coscia. Fu in quel momento che notai la testa del ragazzone che avevo di fronte, perché si stava piegando per poter oltrepassare la porta, segno che di altezza superava abbondantemente i due metri dell'architrave... Un viso perfetto, folti capelli neri tagliati corti a spazzola, occhi scuri, grandi e intensi, barbetta sottile e sexy, labbra carnose e zigomi pronunciati, eppure dei lineamenti ancora da ragazzino, per la sua età di appena 16 anni e mezzo... "Dicevi Giovanni!?" mi sentii apostrofare da quelle labbra esse stesse muscolose e potenti. "Ehm... dicevo... ti intimo di... usare un linguaggio... più rispettoso" mentre balbettavo queste parole lui si avvicinava a me sempre di più... e io indietreggiavo... finché non arrivai con le spalle al muro, ma lui continuò comunque ad avanzare... fino a stringermi tra il suo torace muscoloso e la parete... Io ero terrorizzato e incapace di reagire... il mio viso finì proprio, a causa della enorme differenza d'altezza, tra i suoi pettorali con il mio naso incastrato nel solco, sentendogli dire "Certo certo, più rispettoso... come no!", e detto questo, contrasse i pettorali, schiacciandomi istantaneamente il naso e pressandomi la bocca contro la maglietta! E così in un istante mi precluse ogni modo per respirare, mentre io non potei fare altro che iniziare ad agitarmi. Provai a spingerlo via, menando colpi con le mani, le braccia, le gambe, ma dovunque colpissi era come scontrarmi contro puro marmo... Finché non riuscendo più a trattenere il respiro, piombai in un blackout totale. Quando rinvenni sentii, ancora prima di aprire gli occhi e rendermi conto del resto, di essere in ginocchio, in mezzo a due globi duri che mi tenevano sollevata la testa da sotto il mento e due altri oggetti duri che sentivo premere dietro la nuca. Aprii gli occhi, e mi resi subito conto di essere stato trasportato altrove: ero in una camera diversa, inginocchiato ai piedi di un grande letto. La mia testa era sollevata e tenuta ferma dai polpacci di Marco che mi premevano sul collo e sotto il mento! E dietro la nuca, gli oggetti duri che sentivo, altro non erano che i talloni di Marco. Quello che avevo davanti agli occhi fu qualcosa che mi tolse letteralmente il fiato, anche se metaforicamente. Infatti disteso sul letto davanti a me, per tutta la lunghezza dello stesso e appoggiato alla parete da metà torace in poi, c'era il corpo meraviglioso ed enorme di Marco. Questi inoltre nel frattempo, si era tolto la maglietta sfoggiando: i pettorali che a momenti poco prima non mi avevano asfissiato, i bicipiti (si potevano chiamare lo stesso bicipiti essendo grossi più del mio torace?), gli otto blocchi degli addominali perfettamente squadrati e distaccati dal ventre con solchi profondi almeno un paio di centimetri, e tutto il resto dei suoi muscoli ipersviluppati... La visione era da urlo, tuttavia cercai di concentrarmi sui polpacci che mi tenevano bloccata la testa: erano rilassati al momento, ma li sentivo premere sotto il mio mento, e istintivamente cercai di scansarli con le mani, notandone le dimensioni enormi. Anche non contratti infatti erano grossi ognuno quasi quanto tutta la mia testa, e al tatto, pur sotto una pelle morbida e liscissima, erano duri come acciaio! Provai a sollevarmi ma notando i miei movimenti, con una flessione leggerissima dei polpacci, Marco trasformò quei due globi enormi in due tenaglie dalla forma di diamante, che immediatamente iniziarono a stringermi il collo: non una semplice stretta, ma una vera a propria morsa d'acciaio, che mi fece scricchiolare la trachea e che per poco non mi fece perdere di nuovo i sensi... Mi immobilizzai all'istante, impedito sia dalla improvvisa rinnovata mancanza d'aria, che mi fece arrossare subito tutto il volto, sia dallo sguardo profondo e minaccioso di Marco, che inizio a parlare, senza mai smettere di fissarmi: "Giovanni, patti chiari amicizia lunga: tu stai immobile e in silenzio e fai quello che dico io. SEMPRE. Se hai capito, batti le mani sul letto" Istintivamente, non volendo morire soffocato o, peggio, rimanere paralizzato con l'osso del collo rotto, iniziai a sbattere le mani sul letto con tutta la forza che avevo in corpo. Sentii la morsa dei polpacci allentarsi un po' potendo così riprendere a respirare ansimando. "Sai", riprese il gigante che mi trovavo dinanzi, "un po' sono deluso. Quando ho saputo che sarebbe venuto un agente di custodia a controllarmi settimanalmente, ero incuriosito, mi immaginavo un poliziotto atletico e in forma, che mi sarebbe costato quanto meno un minimo di impegno per piegarlo alla mia volontà... E invece mi ritrovo un pigmeo anoressico che devo stare attento a non disintegrare al minimo movimento... Prima ho fatto fatica a flettere i pettorali quel minimo necessario a toglierti l'aria senza maciullarti il naso..." A queste parole il senso di umiliazione e di vergogna in me crebbe esponenzialmente, e al rossore della precedente mancanza di ossigeno si aggiunse, a far diventare la mia faccia rosso bordò, la constatazione che tutto quello che stava affermando Marco era completamente vero. "Comunque", continuò il ragazzo, "voglio che tu ti renda conto della mia forza, anche se dovrebbe esserti già abbastanza evidente. Alzati e portami quel bilanciere lì all'angolo." Pensai che fosse meglio non stare a discutere, e così appena allargò le gambe quel tanto che bastava a liberarmi, mi alzai, non senza una certa fatica per le ossa ancora doloranti, e guardai verso l'angolo della stanza da lui indicato. C'era un bilanciere sistemato in piedi, accostato all'angolo opposto della stanza, alto quasi quanto me e soprattutto molto spesso. Nell'avvicinarmi pensai fosse un tubo vuoto all'interno, ma quando lo afferrai, mi resi conto che mi sbagliavo: sull'estremità era infatti inciso "20kg" e quando provai a sollevarlo proprio non riuscivo a reggerne il peso! Ma per non disubbidire a Marco, mi misi a trascinare verso di lui il bilanciere, tenendolo con entrambe le mani. Quando arrivai alla sua portata, mi strappò di mano l'attrezzo e tenendolo saldamente con una sola mano, inizio a farlo roteare tra le dita come fanno le majorette con i bastoncini di legno! Si vedeva comunque l'impegno dei muscoli, dalle contrazioni degli ampi avambracci, dalle striature dei bicipiti che si accendevano di sangue, una visione che mi lasciò a bocca aperta dallo stupore! Il suo viso era serenissimo, come se far roteare quel peso enorme fosse la cosa più naturale del mondo per lui, e quando mi chiese "Allora che ne pensi Giovanni" non seppi far altro che rispondere a mezza bocca "Se.. sei fortissimo!". Ma lui mi urlò contro "E tu pensi che sia questa la prova di forza!? Questo è un giochetto da bambini! Guarda ora" E detto questo prese con decisione il bilanciere in pugno e lo portò verso il gomito dell'altro braccio, in modo da metterne la parte centrale tra avambraccio e bicipite. Quindi, con un movimentò che mi lasciò ancora più stupefatto, iniziò a contrarre il bicipite, dapprima senza fare molta forza, solo per incastrare il bilanciere tra bicipite e avambraccio. Poi una volta fissatolo in quel mondo, sollevò il braccio e iniziò a contrarre maggiormente. La parte centrale del bilanciere scomparve tra le masse muscolari a dir poco enormi, mentre il bicipite del ragazzo sembrava gonfiarsi e animarsi di vita propria. Man mano che Marco fletteva il muscolo, il bicipite esplodeva di vene mentre sulla sommità si formavano due teste ben distinte e ipertrofiche... Iniziai a sudare, un po' per il calore che emanava da vicino quel corpo magnifico, e un po' per la sola visione della massa smisurata di quel muscolo che sembrava ingigantirsi a vista d'occhio, superando le dimensioni della mia testa e persino del mio torace, fino al punto in cui mi vennero a mancare termini umani di paragone... Poi notai Marco sforzarsi di più per qualche secondo: contrarre con maggiore determinazione e, subito dopo, rilasciare parzialmente il bicipite dicendomi "Guarda dentro". Avvicinai la testa e, sgranando gli occhi, notai che l'asta in acciaio massiccio, era stata completamente deformata dalla pressione dei muscoli di Marco! La parte centrale, si era infatti di molto assottigliata e allargata per seguire il profilo dei muscoli che la avevano stretta, muscoli evidentemente molto più duri dell'acciaio stesso! Alla vista di ciò, iniziarono a tremarmi le gambe, e a girarmi la testa... "Aspetta, non è ancora finita" disse l'ercole che avevo di fronte e subito contrasse di nuovo il bicipite, ma con forza stavolta, emettendo un urlo gutturale "AArrgh" che mi fece gelare il sangue nelle vene... Quindi rilasciò di nuovo il braccio, completamente, e dopo un istante il bilanciere cadde per terra, ma metà da un lato, metà dall'altro! Era riuscito a disintegrare completamente la parte centrale, spezzando l'asta in due tronconi! Non riuscivo a credere a ciò che vedevo... Senza rendermene conto, ebbi un sussulto nel basso addome, e poi sentii uno strano calore nelle mutande... Stavo infatti facendomi la pipì addosso dallo spavento e dall'umiliazione! Arrossii ancora di più, ancor che fosse umanamente possibile, ma per fortuna Marco non si accorse della mia completa umiliazione anche corporale e continuò a parlarmi: "Allora... spero che ti sia reso conto di chi hai di fronte. Ora, gli ordini sono questi. Ascolta bene perché li dirò una sola volta. Domani mattina vai in ufficio e fai il miglior rapporto possibile su questo primo controllo qui a casa. Poi, domani pomeriggio, vieni e me lo fai leggere. E prega che mi piaccia altrimenti..." E rivolse lo sguardo verso il bilanciere appena distrutto. "Ah, un'altra cosa: ho sentito, dal rumore che hai fatto parcheggiando, che sei venuto in macchina. Allora, fino a domani la macchina la prendo io, so guidare anche se non sono maggiorenne e ho proprio voglia di farmi un giretto. Dovrò staccare il sedile davanti per entrarci dentro, stando seduto direttamente sul sedile posteriore, ma penso non sia un problema per te vero!? Ah ah ah ah!" E detto questo allungò la mano verso di me per avere le chiavi. A quel punto, forse per il fatto che mi stava parlando normalmente o forse per la battuta che lo fece sorridere facendogli assumere per qualche istante un volto da ragazzino, insomma non so esattamente perché, ma feci un errore. Un errore piccolo, marginale, ma che mi costò molto caro. Risposi impulsivamente "Ma non puoi guidare... con la mia macchina... senza patente..." Mi resi subito conto della stupidaggine totale che avevo fatto. Il suo volto cambiò istantaneamente espressione, diventando rigido e inespressivo. Si alzò dal letto, sovrastandomi completamente, e senza nemmeno parlare mi mise una mano in faccia, coprendomi il volto interamente e stringendomi il cranio da un orecchio all'altro con le sue lunghissime e spesse dita. Il palmo della mano, enorme, mi copriva bocca e naso, e percepii che stava iniziando a sollevarmi da terra tenendomi solo con una mano dalla testa! Mi aggrappai con le mie mani all'enorme avambraccio, cercando di farmi forza per non farmi slogare l'osso del collo, ma man mano che mi sollevava il dolore al collo e alla schiena si facevano lancinanti! Iniziai a divincolarmi come potevo, a muovere disperatamente gambe e piedi che si erano nel frattempo staccati forzatamente dal pavimento, mugugnavo dal dolore contro il palmo della sua mano che mi impediva di parlare correttamente. Poi ad un certo punto, lo sentii dire: "Oltre che più debole, sei anche più stupido di quanto pensassi. Comunque, rispetta almeno le altre cose che ti ho detto, se no la prossima volta non ti andrà così bene" E detto questo, mi scaraventò con forza incredibile contro la parete più lontana, in alto, andando a sbattere quasi sul soffitto con la testa per poi ricadere col resto del corpo violentemente a terra e perdere i sensi all'istante. Non so dire dopo quanto tempo ripresi i sensi. Sentii un po' d'acqua sul viso, qualche schiaffetto leggero sulle guance e, percependo ancora le mie membra tutte indolenzite e sofferenti, aprii gli occhi. La prima sensazione che ebbi, fu quella di essere morto e di ritrovarmi in paradiso. Infatti, anche se ero ancora adagiato per terra, probabilmente nello stesso punto dove ero caduto, avevo di fronte al mio viso, chinato sopra di me, un angelo sceso dal cielo: viso giovane e perfetto, lunghi e fluenti capelli biondi, occhi celesti profondissimi, mascella larga e volitiva, labbra carnose, carnagione chiara e delicata... Poi ampliando lo sguardo, vidi che anche questo essere angelico, in quanto a muscolatura e dimensioni, aveva da dire la sua... La maglietta chiara che indossava, conteneva a malapena le sue spalle larghissime, ampie e possenti. Il collo taurino era sostenuto da una coppia di trapezi che si innalzavano di svariati centimetri rispetto alle clavicole... I pettorali gonfiavano la parte centrale della maglietta fino quasi a lacerarla, e così in pochi istanti ebbi una visione complessiva che lasciava trasparire una potenza, una forza e anche una bellezza fuori dal comune. L'espressione del viso era buona, sinceramente preoccupata per la mia situazione, per il fatto di dovermi soccorrere, ma mostrava anche una maturità e una consapevolezza che non erano di certo normali per la sua giovane età. Quando iniziò a parlare, ebbi come un sussulto, perché io quella voce la conoscevo: "Dottor Magri, mi scuso per i problemi che ha avuto con mio fratello. Sono Valerio Lanfranchi, le spiegherò tutto, mi prenderò io cura di lei, non si preoccupi..." E detto questo, prima ancora che potessi anche solo rispondere, mi prese in braccio, tra i suoi bicipiti enormi, ognuno dei quali da solo avrebbe potuto sostenere tranquillamente tutto il mio esile corpo, e mi sollevò stringendomi con dolcezza a sé... FINE CAPITOLO 1 [Se il racconto ti e' piaciuto puoi inviare un commento a: one_plain_guy@hotmail.com oppure iscriverti al gruppo Yahoo: http://it.groups.yahoo.com/group/adoroimuscoli/ dove troverai altri racconti a tematica muscolare in italiano.]